3
Infatti, dal 1991, l’Iniziativa LEADER opera a favore delle zone rurali
dell’Unione Europea proponendo un metodo di sviluppo che favorisce un’attiva
partecipazione degli operatori locali al futuro del proprio territorio.
L’ultima edizione dell’Iniziativa LEADER interessa tutte le zone rurali
dell’Unione. Per restringere il campo di osservazione, abbiamo analizzato nello
specifico l’attuazione del LEADER nella Regione Lazio, al fine di evidenziare gli
aspetti positivi e negativi incontrati nella realizzazione dei Programmi LEADER
Regionali.
Infine, abbiamo ritenuto opportuno analizzare più in profondità uno dei Piani di
Sviluppo Locale finanziati dalla Regione Lazio nell’ambito del LEADER+, per
avere un quadro di come concretamente le risorse mobilitate da questa iniziativa
agiscono sul campo. Ciò è stato possibile anche grazie alla disponibilità del
Responsabile Amministrativo Finanziario del Gruppo di Azione Locale “Terre
Pontine e Ciociare” che ci ha dedicato un po’ del suo tempo per raccontarci come
nasce, come agisce e quali problemi deve superare un’Associazione di questo tipo.
L’obiettivo finale della nostra analisi non è certamente quello di formulare un
giudizio in assoluto positivo o negativo sul LEADER, quanto piuttosto quello di
mostrare quali elementi sembrano ostacolare e quali avvantaggiare la riuscita di
azioni che fanno del coinvolgimento degli attori locali, dell’innovazione e
dell’immaterialità degli interventi, i principi cardine per promuovere uno sviluppo
sostenibile e duraturo che faccia delle zone rurali dell’UE un contesto
socioeconomico sano e dinamico.
4
1. Lo sviluppo rurale e la politica di coesione economica e sociale
Per sviluppo rurale nella UE si intende lo sviluppo socioeconomico delle aree
extra-urbane, caratterizzate da svantaggi competitivi in termini territoriali, di
servizi, conoscenze e opportunità.
È considerato rurale il territorio la cui “parte principale” è utilizzata per
l’agricoltura, l’acquacoltura e la pesca, per le attività economiche e culturali dei
suoi abitanti, per le attività di ricreazione non urbane e del tempo libero, per fini
abitativi.
In ambito comunitario, la terminologia “sviluppo rurale” identifica una modalità
di intervento a carattere strutturale in favore del mondo agricolo, che trova la sua
legittimazione giuridica nel Regolamento (CE) n. 1257/99. Essa si attua attraverso
specifici programmi operativi, nell’ambito dei quali sono contenute una serie di
misure, il cui fine ultimo è quello di migliorare la competitività del settore
agricolo, di assicurare la salvaguardia dell’ambiente e di promuovere la creazione
di fonti alternative di reddito.
La strada che l’Unione Europea ha percorso per arrivare alla forma attuale di
intervento in favore del mondo agricolo è stata lunga e non priva di difficoltà.
Negli anni cinquanta i sei paesi
1
fondatori del mercato comune erano composti
da regioni relativamente omogenee. Nonostante ciò, nel preambolo del Trattato di
Roma
2
già si affrontava il problema della riduzione delle “disparità fra le differenti
regioni” e il superamento “del ritardo di quelle meno favorite”. Impegno ribadito
all’art. 2, dove si afferma che “ La Comunità ha il compito di promuovere,
mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle
politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività
economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata,
una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e
più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano”.
1
Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo.
2
Il Trattato di Roma venne firmato il 25 Marzo 1957.
5
Nel Trattato di Roma, all’art. 3, era anche prevista “l’instaurazione di una
politica comune nel settore dell’agricoltura”. I motivi che spinsero sin dall’inizio a
porre le basi per un intervento comune in campo agricolo sono delineati all’art. 39.
Tutti e sei i paesi fondatori condividevano un livello molto basso di redditi agricoli
in rapporto alle altre categorie della popolazione, per questo si avvertiva il bisogno
di incrementare la produttività dell’agricoltura al fine di migliorare il tenore di vita
della popolazione rurale, grazie soprattutto al miglioramento del reddito
individuale.
3
I ritardi nello sviluppo industriale e nell’ammodernamento dell’agricoltura
potevano ostacolare il funzionamento del mercato comune e rallentare
l’integrazione socio-economica fra gli Stati membri.
4
Tuttavia, nonostante la consapevolezza di tali problemi non ci fu, almeno
all’inizio, l’elaborazione di una politica regionale compiuta né l’istituzione di
strumenti finanziari adeguati. Ci si limitò ad interventi di carattere regionale e
settoriale.
5
Lo stato embrionale della politica di coesione si basava su tre strumenti:
ξ la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) che doveva essere una fonte di
prestiti e fideiussioni a basso tasso di interesse per le regioni meno
sviluppate della Comunità;
ξ il Fondo Sociale Europeo (FSE), previsto espressamente dagli articoli 123-
128 del Trattato di Roma, era finalizzato a migliorare le possibilità di
occupazione e il tenore di vita dei lavoratori europei;
ξ l’istituzione nel breve termine di una politica agricola comune (PAC).
Tuttavia, il Trattato di Roma faceva soprattutto affidamento sugli effetti positivi
e automatici del mercato per colmare le disuguaglianze a livello di sviluppo
economico.
6
3
F. Fauri, 2001.
4
F. Caruso, 1996.
5
Ibidem.
6
F. Fauri, 2001.
6
Uno degli assi portanti su cui venne costruita la Comunità Economica Europea fu
proprio la convinzione che di per se la creazione di un grande mercato comune
avrebbe apportato sviluppo economico e benessere sociale. Si era cioè convinti che
l’integrazione economica sarebbe stata raggiunta grazie alla rimozione degli
ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e delle
merci.
7
Conviene però ricordare che la realizzazione del mercato unico, e quindi la
liberalizzazione totale degli scambi, esponeva a rischi le regioni meno sviluppate
della Comunità: infatti proprio le strutture economiche delle regioni più fragili
avrebbero incontrato maggiori problemi in seguito all’eliminazione di ogni forma,
diretta o indiretta, di protezione della loro economia.
8
La fiducia nelle capacità del mercato, in realtà, nascondeva la riluttanza dei
Governi degli Stati membri a delegare alla Comunità le proprie politiche di
sviluppo e di sostegno agli investimenti. Atteggiamento questo, che determinò
inizialmente la marginalizzazione delle politiche strutturali e l’assoluta prevalenza
delle politiche di mercato, soprattutto nel settore agricolo.
9
L’avvio operativo della PAC avvenne con il Regolamento (CEE) n. 25 del 4
aprile 1962 che istituiva un Fondo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA)
col compito di finanziare l’organizzazione dei mercati e l’adattamento delle
strutture.
Tuttavia, col Regolamento del 1962 prese avvio solo la politica di sostegno dei
prezzi agricoli che non fu dunque accompagnata da interventi di carattere
strutturale.
10
Infatti, delle due sezioni nelle quali è stato diviso il FEOGA, la sezione
Orientamento è rimasta, per lungo tempo, inoperante; mentre la sezione Garanzia,
destinata al sostegno dei mercati, è andata rapidamente crescendo ben oltre le
previsioni.
11
7
S. Vaccari, 1999.
8
G. Gallizioli, 1992.
9
S. Vaccari, 2000.
10
Ibidem.
11
C. Salvemini, 1983.
7
Il FEOGA – sezione Orientamento iniziò ad operare con il reg. (CEE) n. 17 del 5
febbraio 1964, che prevedeva azioni volte al miglioramento strutturale delle
aziende agricole, delle infrastrutture rurali, della trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli.
12
I risultati dei primi dieci anni di vita della PAC furono del tutto insoddisfacenti.
La politica dei prezzi non aveva risolto i problemi di inferiorità dei redditi agricoli
e la politica strutturale aveva ottenuto risultati modesti.
13
Il 18 dicembre 1968 fu pubblicato un Memorandum sulla riforma
dell’agricoltura nella Comunità Europea noto anche come II Piano Mansholt, col
quale si cercò di imporre una svolta alla PAC.
14
I punti salienti della proposta di riforma erano:
ξ favorire l’esodo della popolazione agricola;
ξ adattare le strutture di produzione;
ξ migliorare la struttura dei mercati e la commercializzazione dei prodotti
agricoli.
Tuttavia, solo nel 1972 le indicazioni del Memorandum si tradussero in tre
Direttive
15
socio-strutturali.
Nel frattempo con la recessione internazionale degli anni settanta si accentuarono
le disparità tra le diverse regioni europee in termini di reddito, di produttività e
livelli di occupazione.
Ci si rese conto: da un lato che le disparità economiche, quando sono strutturali,
si accentuano con il passare del tempo determinando una crescente polarizzazione
tra le diverse regioni; dall’altro, che le sole forze del mercato non potevano dare
una risposta adeguata ai problemi d’ordine economico e sociale provocati dalla
crisi economica che amplificava il divario esistente tra le regioni più avanzate e
quelle meno favorite.
16
12
A. Mattei, 1996.
13
Ibidem.
14
Ibidem.
15
Direttive nn. 159, 160 e 161 del 17 aprile 1972.
16
U. Triulzi, 1999.
8
Divenne dunque evidente la necessità di predisporre, all’interno della Comunità,
opportune misure compensative per andare incontro alle regioni più bisognose.
Al fine di correggere i principali squilibri regionali della Comunità, e
specialmente quelli derivanti dal prevalere dell’attività agricola, dalle
trasformazioni industriali e dalla sottoccupazione strutturale, dal 1° gennaio 1975 è
stato reso operante il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale
17
(FESR). Il nuovo
Fondo si proponeva di accrescere le risorse totali disponibili all’interno della
Comunità attraverso la concessione di contributi agli investimenti nei settori
dell’industria, dell’artigianato, dei servizi e delle infrastrutture.
18
L’azione del FESR si basava su due principi: quello della compartecipazione, o
addizionalità, in base al quale l’intervento finanziario del FESR si sarebbe dovuto
aggiungere a quello dello Stato membro, non potendo trattarsi di un mero rimborso
delle spese nazionali, e la possibilità di far convergere altri strumenti finanziari su
un intervento già beneficiario del contributo FESR.
19
Il FESR non ottenne però risultati soddisfacenti a causa di tre limiti nella sua
strategia di intervento: il ruolo marginale della Commissione; il mancato rispetto
del principio della compartecipazione; la sottovalutazione dei problemi delle
regioni in ritardo di sviluppo.
20
Almeno fino alla fine degli anni settanta, l’intervento strutturale non poté
disporre di risorse e di strumenti in grado di incidere significativamente sulle realtà
regionali.
La politica regionale delle origini ha infatti sofferto di limiti quantitativi e
qualitativi. Dal punto di vista quantitativo vi è stata una sottovalutazione delle
risorse finanziarie necessarie al conseguimento degli obiettivi della politica. Dal
punto di vista qualitativo vi è stata una subordinazione dell’azione comunitaria alle
politiche nazionali.
21
17
Regolamento (CEE) n. 724 del 18 marzo 1975.
18
A. Mattei, 1996.
19
F. Caruso, 1999.
20
Ibidem.
21
U. Triulzi, 1999.
9
La riduzione degli squilibri regionali, come obiettivo da realizzare a lungo
termine, presuppone l’instaurazione di un processo di convergenza a più livelli. In
primo luogo, in termini di reddito, da perseguire attraverso una più sostenuta
crescita del PIL, della competitività e dell’occupazione nelle aree più svantaggiate.
In secondo luogo, in termini sociali, attraverso la promozione di sistemi di
protezione sociale e di lotta all’emarginazione delle categorie più deboli del mondo
del lavoro (giovani, donne, disoccupati di lunga durata). In terzo luogo, in termini
di competitività, assicurando la riqualificazione delle competenze e l’adeguamento
dei lavoratori alle mutazioni industriali.
22
Fu in questo contesto che maturò il progetto di riformare completamente i
meccanismi degli interventi finanziari comunitari e di creare un’unica politica della
coesione.
23
Il superamento della logica di settore in favore di azioni strutturali integrate e di
dimensione regionale venne definitivamente sancito a partire dalla metà degli anni
ottanta con il varo dei Programmi Integrati Mediterranei
24
(PIM). L’obiettivo dei
PIM era il miglioramento delle strutture socioeconomiche delle predette regioni,
per consentirne l’adattamento all’allargamento della CEE, perseguendo “lo
sviluppo, l’adeguamento nonché il sostegno all’occupazione e ai redditi”.
25
I PIM rappresentano una tappa importante nella politica di sviluppo delle regioni
sfavorite e della politica regionale comunitaria, ma anche ai fini di una nuova
impostazione degli interventi della Comunità. Nella attuazione dei PIM, infatti,
ritroviamo principi quali l’integrazione delle risorse, la programmazione
pluriennale, la regionalizzazione degli interventi e il coordinamento tra le diverse
amministrazioni, che diverranno le basi per la riforma delle missioni dei Fondi a
finalità strutturale varata nel 1988.
26
22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
Regolamento (CEE) n. 2088 del Consiglio del 23 Luglio 1985.
25
S. Vaccari, 1999.
26
Ibidem.
10
Proprio in quegli anni si sviluppò anche l’idea di una politica comunitaria dello
“sviluppo rurale” dotata di caratteri e autonomia propri rispetto alle altre politiche
comunitarie.
27
Con la Comunicazione della Commissione su Il futuro del Mondo Rurale
28
venne
proposto un approccio “integrato” degli interventi di sviluppo nelle aree rurali. Si
cominciava a pensare di adottare specifiche strategie di azione in base alle esigenze
delle economie locali.
29
La politica di sviluppo rurale definita nella proposta della Commissione si
ispirava dunque ad un modello di sviluppo endogeno e flessibile adatto a cogliere e
a valorizzare le diversità degli ambienti economico-sociali territoriali della UE.
30
In altri termini il sistema locale di sviluppo rurale affiancava alla necessaria
ristrutturazione del settore agricolo, soluzioni innovative quali la diversificazione
delle attività, il turismo, le attività ricreative, la formazione delle risorse umane e la
tutela del patrimonio culturale e ambientale.
31
Diventava così centrale il ruolo svolto dalle forze economiche, sociali e politiche
locali nel proporre interventi coerenti con le potenzialità del proprio territorio.
Un mutamento radicale nella politica di sviluppo regionale si ebbe con la firma
dell’Atto Unico Europeo (AUE)
32
che ha introdotto un Titolo, il quinto, dedicato
esclusivamente alla “coesione economica e sociale”.
L’introduzione del Titolo V (artt. da 130A a 130E) risulta di fondamentale
importanza per individuare l’effettiva data di nascita della consapevole politica
comunitaria di coesione economica e sociale. Da questo momento in poi, tanto gli
Stati membri quanto le Istituzioni comunitarie sono chiamati a concorrere alla
realizzazione della coesione economica e sociale: i primi devono indirizzare la loro
politica economica al perseguimento dello sviluppo delle aree economicamente più
deboli; le seconde devono tener conto, nell’attuare le politiche comuni,
27
F. Casucci, 1998.
28
Commissione, 1988, “Il futuro del Mondo Rurale”, Bollettino della CE, supplemento n. 4.
29
A. Falessi, G. Marotta, 2003.
30
Ibidem.
31
F. Casucci, 1998.
32
L’Atto Unico Europeo venne firmato a Lussemburgo ed all’Aja rispettivamente il 17 e il 28 Febbraio1986. Esso è
entrato in vigore il 1° luglio 1987.
11
dell’obiettivo della coesione. Lo sforzo globale di coesione è mirato ad
avvantaggiare tutte le regioni della Comunità, ma in particolare a ridurre il divario
tra le diverse regioni ed il ritardo di sviluppo di quelle meno favorite.
33
La creazione della “politica di coesione” da parte dell’AUE fu seguita dalla totale
riforma delle regole di funzionamento dei Fondi a finalità strutturale della
Comunità e dal raddoppio delle risorse finanziarie destinate alle aree depresse.
Con la riforma dei Fondi strutturali del 1988 le proposte contenute ne Il futuro
del Mondo Rurale hanno trovato una prima configurazione operativa attraverso
l’attivazione di specifici strumenti d’intervento per lo sviluppo delle aree rurali
(Iniziativa Comunitaria LEADER), basati proprio su un approccio integrato e su
forme di partenariato istituzionale che hanno assegnato un ruolo cruciale alle
autorità decentrate.
34
La rilevanza della politica di coesione economica e sociale è stata ribadita dal
Trattato di Maastricht
35
che ha apportato, anche in materia di politica regionale,
importanti modifiche al Trattato istitutivo della Comunità Europea.
All’art. 130A ora c’è un esplicito riferimento alle zone rurali, segno di una
maggiore attenzione verso queste aree il cui ruolo nell’ambito della politica di
sviluppo integrato del territorio non era stato sufficientemente valorizzato.
36
L’obiettivo del rafforzamento della coesione economica e sociale viene posto dal
Trattato a pari livello con la creazione di uno spazio senza frontiere interne e con
l’instaurazione di un’Unione Economica e Monetaria (UEM).
37
L’articolo 2 del Trattato istitutivo modificato ora include la coesione economica
e sociale fra le finalità e gli obiettivi della Comunità Europea: “La Comunità ha il
compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di
un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle
azioni comuni (…), uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività
33
S. Vaccari, 1999.
34
A. Falessi, G. Marotta, 2003.
35
Il Trattato di Maastricht venne firmato il 7 febbraio 1992 ed entrò in vigore il 1° novembre 1993.
36
G. Gallizioli, 1992.
37
R. Speciale, 1996.
12
economiche nell’insieme della Comunità, una crescita sostenibile, non
inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei
risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il
miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale
e la solidarietà tra gli Stati membri.”
Con il Trattato sull’Unione venne anche istituito un nuovo strumento strutturale,
il Fondo di Coesione (art. 130D Trattato CE), destinato e sostenere, con
investimenti nell’ambiente e nei trasporti, la convergenza macroeconomica dei
paesi con un PNL per abitante inferiore al 90% della media comunitaria.
Nel 1993, con il Regolamento n. 2080, agli altri Fondi strutturali venne aggiunto
uno Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca (SFOP) con il compito di
promuovere azioni che consentano al settore della pesca di far fronte alle profonde
trasformazioni imposte dallo squilibrio tra capacità di pesca e risorse disponibili.
38
Al fine di dare concretezza alla volontà politica di promuovere la coesione, sulla
base delle decisioni assunte a Maastricht, il 20 luglio 1993, con il Regolamento n.
2081, venne adottata la seconda riforma dei Fondi strutturali con validità durante il
periodo 1994-1999 e anche per questa fase ci fu un aumento delle risorse
finanziarie destinate alle aree in difficoltà.
Le riforme strutturali del 1988 e del 1993 non hanno avuto un impatto decisivo
sulla politica di sviluppo rurale. Per aumentare l’impegno dell’UE a favore di
queste aree, sul finire del 1996, la Commissione ha promosso una Conferenza sullo
sviluppo rurale (Conferenza di Cork).
Partendo dal riconoscimento del ruolo multifunzionale delle aree rurali nelle
società e nelle economie dell’UE, la Conferenza di Cork evidenziò la necessità di
potenziare, in termini di dotazioni finanziarie, le politiche di sviluppo rurale e, nel
contempo, di allargarne il campo di intervento a tutte le aree rurali e di
semplificarne i meccanismi di finanziamento.
39
38
V. Guizzi, 1995.
39
Osservatorio sulle politiche agricole dell’UE, 1997.
13
Un maggiore impegno in favore delle aree rurali venne ribadito anche in
considerazione del ruolo che il loro sviluppo può giocare per il conseguimento
dell’obiettivo della coesione economica e sociale.
40
I principi formulati nella Dichiarazione finale di Cork e il ruolo centrale delle
aree rurali nel modello di sviluppo sostenibile dell’UE vengono ribaditi nel
documento Agenda 2000 presentato il 15 luglio 1997. Grazie a questo documento
la politica di sviluppo rurale diventa uno degli strumenti strategici per il
raggiungimento della coesione economica e sociale dell’UE e viene consacrata
come il “secondo pilastro” della PAC, destinato ad assumere ruolo e peso crescenti
in futuro.
41
Le attuali politiche di sostegno all’agricoltura non perseguono più un obiettivo
“produttivistico”, cioè un aumento quantitativo della produzione. L’obiettivo
perseguito oggi è rivolto a qualificare il ruolo economico-produttivo e sociale
dell’agricoltura (produzione di alimenti sani e di qualità, conservazione delle
risorse ambientali, territoriali e paesaggistiche, ecc.) e a sostenere la formazione di
sistemi locali di sviluppo.
Il programma comunitario che presenta maggiori affinità con il ruolo
multifunzionale dell’agricoltura è il LEADER. I suoi principi cardine permettono
infatti di sperimentare un nuovo approccio allo sviluppo delle aree rurali. Il
principio del bottom up, la costruzione di partenariati locali, la promozione delle
innovazioni sono strumenti indispensabili per accrescere la capacità propositiva e
la visibilità delle aree rurali nei processi di sviluppo. Il valore aggiunto di questo
approccio si rivela tanto più grande in quelle aree più marginali e interne che
spesso si trovano al margine dei grandi processi di sviluppo. Gli interventi in
agricoltura hanno infatti scarse possibilità di successo se non si rimuovono i
vincoli determinati dalla limitata dinamicità del contesto esterno e dall’isolamento
geografico, economico, tecnologico e culturale che continua a caratterizzare molte
aree rurali.
40
A. Falessi, G. Marotta, 2003.
41
Ibidem.
14
In Agenda 2000 non si affronta solo il tema della politica di sviluppo rurale, ma
vengono esaminate tutte le sfide che l’Unione dovrà affrontare nel terzo millennio:
sviluppo, occupazione, ampliamento ad Est. All’interno di questo documento sono
stati tracciati gli scenari, le scadenze e le proposte per l’Europa degli anni 2000-
2006. Per ciò che riguarda l’azione dei Fondi strutturali, Agenda 2000 propone una
sostanziale modifica degli obiettivi delle politiche di coesione e un potenziamento
di tali politiche, semplificandone la gestione e concentrandone il raggio d’azione.
42
Si arriva così al regolamento (CE) n. 1260 del 21 giugno 1999 che disciplina
l’intervento dei Fondi per il periodo 2000-2006.
Rispetto alle precedenti fasi di programmazione sono intervenuti cambiamenti
istituzionali profondi, che hanno influito sulla necessità di una maggiore coesione
economica tra paesi e tra regioni. La creazione di un’unione monetaria, i vincoli
alla spesa pubblica, il venir meno di strumenti di riequilibrio dei divari di
produttività tra paesi hanno notevolmente ridotto la capacità dei singoli Governi di
intervenire a correzione degli squilibri socio-economici e a promozione dello
sviluppo regionale. Tutto ciò attribuisce maggiore responsabilità alle politiche
europee di coesione.
43
Inoltre, il potenziamento delle politiche regionali è necessario per contenere gli
effetti negativi derivanti dal più importante allargamento che l’Unione abbia mai
sperimentato.
Il 1° maggio 2004 le porte dell’Unione si sono aperte a paesi con marcate
caratteristiche di sottosviluppo, ma anche con grandi potenzialità di competizione
con le regioni in ritardo dell’Europa del Sud.
L’allargamento, oltre ad aggravare le disparità socio-economiche, produrrà un
effetto statistico “perverso”: 18 delle 48 regioni attualmente in ritardo di sviluppo
probabilmente non risponderanno più al criterio (un PIL inferiore al 75% della
media comunitaria) che gli permetterebbe di beneficiare degli aiuti strutturali
42
S. Vaccari, 1999.
43
G. Barbieri, G. Pellegrini, 1999.
15
(obiettivo 1) senza d’altronde, aver visto migliorare sufficientemente la loro
situazione sul terreno.
44
In particolare, è possibile che in conseguenza dell’allargamento ad Est alcune
regioni del Mezzogiorno italiano non rientrino più nell’obiettivo 1. Alla luce di
questa possibilità, i finanziamenti comunitari, concessi per il periodo 2000-2006,
rappresentano una occasione importante che deve essere sfruttata in maniera
razionale ed efficiente per non dover poi parlare ancora una volta di occasione
perduta.
44
E. Funaro, 2003.
16
2. I Fondi strutturali attraverso i processi di riforma
L’approvazione dell’Atto Unico Europeo segna il momento di svolta delle
politiche strutturali comunitarie. Prevedendo “la realizzazione di uno spazio senza
frontiere interne” imponeva l’individuazione di strumenti innovativi che
rendessero più efficace l’intervento comunitario.
45
La prima riforma del 1988 individua alcuni principi fondamentali destinati ad
assicurare unitarietà e coerenza agli interventi comunitari, ottimizzandone
l’efficacia anche in termini di impatto socioeconomico e territoriale.
46
Le seguenti riforme del 1993 e del 1999 completano, migliorano e adeguano la
prima al contesto socioeconomico in cui di volta in volta si trova ad operare
l’Unione Europea.
2.1. La riforma del 1988
Fino al 1988 la Comunità Europea portava avanti la politica regionale attraverso
interventi settoriali non coordinati tra di loro.
L’esigenza di una maggiore integrazione degli interventi e degli strumenti
finanziari è stata accolta nell’AUE che, con l’art. 23 , ha introdotto nel Trattato
CEE il nuovo Titolo V “coesione economica e sociale”, già più volte richiamato.
L’art. 130D del Titolo V fa proprio riferimento alle modifiche da “apportare alla
struttura e alle regole di funzionamento dei Fondi esistenti a finalità strutturale”,
per meglio precisarne “le missioni” al fine di realizzare gli obiettivi della coesione,
di rafforzare l’efficacia e di coordinare gli interventi dei Fondi stessi tra loro e gli
strumenti finanziari esistenti.
47
L’avvio della riforma dei Fondi strutturali dal punto di vista operativo avvenne
con l’emanazione da parte della Commissione di cinque Regolamenti:
45
E. Funaro, 2003.
46
Ibidem.
47
V. Guizzi, 1995.