6
Lo scopo del presente studio è costituito dalla trattazione del
tema della morte nei termini usati da Jonas. Tale soggetto verrà
considerato nella sua evoluzione storica, in altre parole verranno
analizzate le radici dalle quali proviene al fine di comprendere il
significato teorico che assume nelle pagine dello scrittore per poi
trasportare tale significato nella sua esecuzione pratica.
In breve, iniziando dalla ‘biologia filosofica’ trattata dal
filosofo in The Phenomenon of Life arriveremo alla concezione
dell’etica esposta dal filosofo nel suo Il principio responsabilità.
Un’etica per la civiltà tecnologica e compiremo questo passaggio
seguendo quello che per noi costituisce il filo di Arianna del
pensiero di Jonas ovvero il fenomeno della morte. Sarà mio
compito mettere in evidenza le analogie presenti nei testi e le
possibili incongruenze che possono apparire in opere lontane fra
loro temporalmente.
7
INTRODUZIONE
Il pensiero di Hans Jonas si può suddividere in tre fasi: la
prima caratterizzata dall’influenza di Heidegger e dall’interesse del
filosofo per la gnosi; la seconda dall’incontro con la cultura
anglosassone e in particolare con la filosofia dell’organismo di
Whitehead, rappresentativo di questo periodo è The Phenomenon of
Life . Toward a philosophical biology; la terza dalle riflessioni sulla
tecnologia come prodotto della libertà umana e, quindi, la fase più
propriamente etica del pensiero di Jonas.
Le tre fasi del pensiero jonasiano sono comunque collegate
tra loro ma quelle che più si confanno al fine del presente studio
sono la seconda e la terza. Importante a questo punto è chiarire il
rapporto che intercorre tra il filosofo inglese, Whitehead, e Jonas.
Per tale rapporto mi servirò dell’efficace articolo di Donnelly
intitolato Whitehead and Hans Jonas: Organism, Causality, and
Perception
1
.
Entrambi si oppongono alle tradizioni filosofiche dominanti,
l’idealismo e il materialismo, ed entrambi sono fautori di una
filosofia dell’organismo che basa la sua euristica sulla funzione del
corpo vivente. Tuttavia questo svolge un ruolo differente nelle due
filosofie: per Jonas l’organismo umano è un individuo attivo e
1
S. Donnelly, Whitehead and Hans Jonas: Organism, Causality, and Perception, in
New School for Social Research, 1979, pp. 301- 315; al quale non farò riferimento
nella rassegna dell’ultimo capitolo.
8
durevole che realizza e sostiene una forma sostanziale individuale
nell’affrontare e nell’entrare in commercio con il mondo esterno.
Le forme della sua esperienza seguono il modello ontologico del
suo essere che è caratterizzato dall’esser-bisognoso dell’ambiente
con il quale crea un commercio al fine di costituire un’entità
vivente e perdurante. L’organismo per Jonas risulta essere sempre
trascendente senza mai realmente abbandonare se stesso e il
mondo. Lo stesso si potrebbe dire della filosofia di Whitehead
salvo che per questo gli organismi durevoli non sono soggetti
individuali e che le potenzialità definite dell’essere e le esperienze
sono atemporalmente fissate da Dio nel quale, secondo Whitehead,
ogni evento - compreso il male che è nell’esistenza - trova la
sua ultima giustificazione e interpretazione. In questo sistema la
morte non trova il suo spazio. La differenza tra essere e non essere
non viene tracciata e così anche il problema dell’identità biologica
non trova soluzione (per il problema dell’identità cfr. cap.2.4.1,
p.<a>). Jonas afferma (nell’appendice di Dio è un matematico? egli
si intrattiene sulla filosofia di Whitehead) che non si può assumere
tutto il divenire come autorealizzazione quindi postulare una storia
del successo garantito; la morte, l’angoscia dell’individuo deve
essere considerata. Come si può capire la vita se non si comprende
la morte?
1
La filosofia dell’organismo di Jonas trova forma in The
Phenomenon of Life. Toward a philosophical biology. Partendo dal
significato etimologico dei termini costituenti tale titolo, sarà più
facile gettare un po’ di luce sul fine che Jonas si prefiggeva quando
1
H. Jonas, Dio è un matematico? Sul senso del metabolismo, Genova, il melangolo,
1995, cfr. p. 70
9
raccolse in un unico volume saggi in apparenza molto diversi tra
loro
1
. Il significato di ‘fenomeno della vita’ sembra chiaro, il
problema sorge quando andiamo a considerare il seguito del titolo
‘verso una biologia filosofica’.
Che significa ciò? Con il dizionario
2
alla mano, alla voce
biologia, possiamo leggere “scienza che studia la vita nei suoi
fenomeni e nelle leggi che la governano, si divide in numerose
branche secondo diversi oggetti di studio particolare; es. biologia
umana, animale, vegetale”; tale è il significato letterale del termine,
tuttavia, nel titolo, il termine non è preso isolatamente ma è
affiancato dall’aggettivo ‘filosofico’. Perché? Perché,
evidentemente, quel vocabolo, non sufficientemente adatto allo
scopo dell’opera, non rispondeva alle necessità del tema che
l’autore aveva in mente di affrontare nientemeno che il fenomeno
della vita.
Queste ultime riflessioni complicano non poco quella prima
parte del titolo che, prima facie, ci era sembrata chiara. E’
manifesto che qui quello che Jonas si propone è qualcosa di
totalmente nuovo che esce fuori dai canoni fino ad allora acquisiti.
Per il filosofo in questione, il fenomeno della vita è un fenomeno di
cui bisogna rendere conto, un fenomeno che deve essere spiegato
1
In The Phenomenon of Life sono presentati saggi che ex abrupto possono sembrare
privi di un collegamento. Riporto qui di seguito i titoli contenuti in tale opera: Life,
Death, and the Body in the Theory of Being, Philosophical Aspects of Darwinism, Is
God a Mathematician?, To Move and To Feel: On the Animal Soul, Cybernetics and
Purpose: A Critique, The Nobility of Sight: A Study in the Phenomenology of the
Senses, Image-making and the Freedom of Man, From Philosophy of The Organism to
the Philosophy of Man, The Practical Uses of Theory, Gnosticism, Esistentialism, and
Nihilism, Heidegger and Theology, Immortality and the Modern Temper, Nature and
Ethics.
2
A. Gabrielli, Grande dizionario illustrato della lingua italiana, a cura di G. Gabrielli,
Farigliano (CN), CDE-Gruppo Mondadori,1989.
10
non solo biologicamente ma filosoficamente. La vita qui presa in
considerazione è quella dove:
“...... the organic even in its lowest forms
prefigures mind, and that mind even on its
highest reaches remains part of the organic.”
1
Questa frase, estrapolata dall’introduzione dell’opera prima citata,
ci dimostra la novità del pensiero di Jonas. Il convincimento
dell’autore è difatti rappresentato dal considerare la vita come un
intero finalizzato ad uno scopo e senza differenze di grado.
Tale affermazione va interpretata nel senso che la vita
presenta uno scopo sia come vita umana che animale che vegetale.
Tale scopo è posseduto anche dalla singola cellula che fa parte di
ognuno di tali organismi. Possedere un fine non è proprio solo delle
forme di vita più avanzate ma anche della vita considerata ad uno
stato pre-mentale. Lo scopo, e questo è un argomento che l’autore
affronta in maniera sistematica nel capitolo terzo di Il principio
responsabilità, è proprio della vita in generale, esso si palesa nelle
forme più sviluppate ma è presente, anche se in maniera latente,
anche nelle forme più basse.
Egli, in breve, si prefigge di superare la fede dei moderni,
caratterizzata in essenza nella seconda parte della citazione sopra
riportata, e quella degli antichi, caratterizzata nella prima parte. Il
suo convincimento è che entrambe sono valide e inseparabili. Jonas
si fa portatore di una filosofia della vita che, in quanto tale, è
composta sia dalla filosofia della mente che da quella
dell’organismo rendendosi quindi interprete di una realtà della vita
1
H. Jonas, The Phenomenon of Life. Toward a philosophical biology, New York,
Harper & Row, 1966, p. 1
11
globalmente intesa e unificante, che supera quella dicotomia di
corpo e anima, spirito e materia che trovò la sua forma classica con
Descartes
1
. Ma vediamo più in dettaglio quanto finora affermato e
cerchiamo di capire l’importanza che tutto questo assume in
rapporto al nostro tema.
1
Per il rapporto Jonas - Descartes confronta l’appendice al capitolo 1
12
CAPITOLO I
SULLA MORTE E SULLA VITA:
POSIZIONI ANTICHE E CREDO MODERNO
1
In questo capitolo esporrò la concezione della morte nella
sua evoluzione storica così come la vede Hans Jonas. Il punto di
partenza sarà il primo saggio contenuto in The Phenomenon of Life
intitolato Life, Death, and the Body in the Theory of Being in cui il
nostro filosofo mette in luce il differente significato che il
fenomeno della morte ha assunto nelle varie epoche storiche.
E’ doveroso, da parte mia, chiarire che l’esposizione che qui
segue prende spunto dal saggio sopra citato ma che per esigenza di
chiarezza e per ottenere una migliore intelligibilità del tema che qui
si vuole affrontare si snoderà attraverso una struttura che non è
quella proposta dallo stesso Jonas nel suo scritto.
Mia intenzione è, infatti, sottolineare il diverso ruolo che la
morte interpreta nelle concezioni di pensiero che si sono succedute
dagli albori dell’uomo fino alla sua massima evoluzione,
contestualizzando il soggetto ed esponendolo a critica in ogni
situazione.
1
Il presente capitolo si basa in particolar modo sul capitolo primo di The Phenomenon
of Life intitolato Life, Death, and the Body in the Theory of Being.
13
La scelta di una diversa struttura espositiva è dettata dalla
necessità di mettere in evidenza l’evoluzione storica di cui il
concetto di morte è stato protagonista dalla comparsa del fenomeno
fino ai giorni nostri.
1.1 La morte nella concezione panvitalistica.
Jonas nel suo scritto rende conto inizialmente della
concezione panvitalistica della morte. La concezione panvitalistica,
secondo il nostro filosofo, nasce con la consapevolezza dell’uomo
di essere uomo. Ma quando l’uomo cominciò ad essere uomo?
Quando, scrive Jonas, iniziò ad interpretare la natura delle cose e si
rese conto di essere circondato da cose viventi, dalla vita. L’anima
veniva riconosciuta in ogni cosa e la vita diventava il denominatore
comune di tutte le entità.
Questa convinzione primitiva, continua Jonas, portò al
fenomeno dell’animismo e poi all’ilozoismo, una delle sue forme
concettuali più recenti; la materia morta doveva ancora essere
scoperta.
In questa situazione che si andava delineando è evidente
l’importanza assunta dalla vita; essa, infatti, rappresentava la parola
chiave per la comprensione della realtà circostante dal momento
che ogni cosa era vista come vivente. Questa visione del mondo
sembrò essere contraddetta dall’apparizione della morte. Scrive al
riguardo il nostro filosofo:
“In such a world-view, the riddle confronting man is
death: it is the contradiction to the one intellegible, self-
explaining, ‘natural’ condition which is the general life.
To the extent that life is accepted as the primary state of
things, death looms as the disturbing mystery. Hence the
14
problem of death is probably the first to deserve this
name in the history of thought.”
1
Hans Jonas afferma che rappresentando la morte un
problema, un problema che minava le basi di quella concezione
panvitalistica che si era così ampiamente diffusa, diventò
necessario trovare una soluzione. In un modo o nell’altro il nodo
doveva essere sciolto. La strada scelta fu anche quella più ovvia: la
morte doveva essere negata. Il simbolo di tale atteggiamento fu
l’invenzione delle tombe tramite le quali si conosce e si nega la
morte allo stesso tempo; e nelle quali il nostro filosofo trova il
germe della metafisica. Infatti, possiamo leggere nel testo di Jonas:
“out of the tombs arose pristine methaphysics in the
shape of mith and religion. That all is life and that all life
is mortal is the basic contradiction it strives to resolve. It
meets the profound challenge; and to save the sum of
things, death had somehow to be denied.”
2
Quanto appena citato rende testimonianza di ciò che prima è
stato affermato e, cioè, che la morte per essere compresa doveva
venire intesa in termini di vita. Infatti un problema sorge quando un
fatto particolare, qui la morte, entra in collisione con una visione
generale, in questo caso specifico il panvitalismo primordiale. La
tomba fu quindi un mezzo, lo ripetiamo, per risolvere tale
contraddizione avendo il potere di trasportare la morte, il
particolare, nell’universale comprensione della vita; tale processo
veniva affermato, come è facile intuire, postulando una vita dopo la
morte.
1
H. Jonas, The Phenomenon of Life, op. cit., p. 8
2
Ibidem, pagg. 8/9
15
1.2 Il dualismo: una frattura insormontabile.
Abbiamo sin qui seguito Jonas nella trattazione del
panvitalismo primordiale, ora dobbiamo affrontare il tema del
dualismo la cui comparsa segnò la fine dell’armonia fittizia creata
dalla concezione panvitalistica. L’argomento dualistico è di grande
importanza, in primis, perché costituisce l’anello di congiunzione
tra la visione antica (il panvitalismo) e il credo moderno: il
panmeccanicismo di cui parleremo più avanti, e, in seconda istanza,
perché, su un altro piano di lettura, fondamentale per questo studio,
permetterà una comprensione maggiore del pensiero del nostro
autore (cfr. l’appendice al presente capitolo).
La vita, come prima abbiamo visto seguendo la ricostruzione
di Jonas, dominava le scene della realtà, la morte veniva compresa
all’interno della vita ma il primo corpo senza vita, il primo
cadavere, doveva mettere a repentaglio l’intera costruzione e
sebbene la tomba e il culto funerario fossero serviti ad attenuare la
contraddizione causata dalla morte non erano stati in grado,
tuttavia, di risolverla completamente. Leggiamo:
“.... the naive monism broke up into a dualism, with
whose growth the traits of the bewildering sight from
which it had started - the sight of the corpse - could
progressively spread over the face of the physical All.
Death in fact conquered external reality.”
1
Il fenomeno della morte esisteva ed esigeva una spiegazione.
1
Ibidem, p. 13
16
Secondo il nostro filosofo la risposta data fu quella
dualistica. ‘Soma-sema’, questa è la formula orfica
1
che, per prima,
secondo la linea di pensiero seguita da Jonas, affrontò il problema
della morte ora concepito, appunto, nell’interazione di due entità
diverse e contrapposte: corpo e anima.
Il corpo adesso viene inteso come la prigione dell’anima e la
sua morte rappresenta la resurrezione di questa. Scrive Jonas in
proposito, e le sue parole sono chiarificatrici della nuova situazione
qui prospettata:
“Life dwells like a stranger in the flesh which by its own
nature -the nature of corporeal- is nothing but corpse,
seemingly alive by favour of the soul’s passing presence
in it. Only in death, relinquished by its alien visitor, does
the body return to its original thruth, and soul to hers.”
2
Jonas afferma che la religione orfica e la conseguente
‘scoperta del sé’ che fece la sua prima comparsa con questa,
culminò, poi, nella concezione cristiana e gnostica di un’entità
completamente extramondana, incommensurabile a qualsiasi cosa
presente in natura, l’anima.
Questa nuova interpretazione era caratterizzata
dall’esclusione reciproca delle due entità prese in considerazione, il
corpo e l’anima. Ma il passo non era ancora completo. Inizialmente,
1
L’orfismo è un movimento religioso della Grecia antica fondato, secondo la
tradizione, dal poeta tracio Orfeo che risale almeno al sec. vi a.C. Al centro di questa
dottrina c’è il mito antropogonico di Dionisio-Zagreus e del suo sbranamento ad opera
dei Titani successivamente inceneriti da Zeus. Dalle ceneri nacque l’uomo il quale
presenta una componete divina quella ereditata da Dionisio e una malvagia o titanica.
Naturalmente la componente titanica è costituita dal corpo mentre quella dionisiaca
dall’anima.
2
Ibidem, p. 13
17
infatti, il modello ‘soma-sema’ era peculiarmente umano ma
doveva presto estendersi all’intero universo fisico, preparando,
così, la strada ai successori post-dualistici(cfr. 1.3.1).
1.3 Il pensiero moderno: la morte assurge al rango di cosa
naturale
Abbiamo visto che per Jonas la visione dualistica si pone
come spartiacque tra il credo antico, il panvitalismo, e quello
moderno, il panmeccanicismo; essa opera questo passaggio
causando nel pensiero successivo un’inversione totale delle
premesse. Infatti il nostro autore nota che il pensiero moderno, che
ha inizio con il rinascimento, si fa portavoce di una situazione
teoretica completamente opposta a quella precedente: il modello
meccanicistico si serve con una qualche priorità dell’inerte, del
misurabile, del dominabile, del non vivente e dunque anche della
morte. La realtà è concepita come un campo di masse inanimate e
di forze che operano secondo le leggi dell’inerzia e della
distribuzione quantitativa dello spazio.
La morte qui è intesa come condizione naturale e, al
contrario, la vita diventa il problema, il mistero da spiegare.
Leggiamo:
“If dualism was the first great correction of the
animistic-monistic one-sideness, materialism which
remained as its residue is then the no less one-sided,
total triumph of the death experience over the life
experience.”
1
1
Ibidem, p. 15
18
In questo mondo, denudato così da ogni interiorità, diviene
necessario il divieto di ogni forma di antropomorfismo e il
conseguente rifiuto dello zoomorfismo in generale; l’unico tipo di
conoscenza che viene riconosciuta è quella che viene definita
scienza esatta, la matematica.
Ogni oggetto diviene intelligibile solo se è possibile
misurarlo e, da qui, scaturisce l’affermazione, forte, che il senza-
vita è il conoscibile per eccellenza, il solo vero fondamento della
realtà. Ora, l’inversione di tendenza ci dimostra che l’ipotesi
generale è costituita, per il meccanicismo, dalla morte e che il fatto
particolare in collisione con questa è la vita; la vita che deve essere
negata nella sua autonomia al fine di essere integrata nella legge
generale.
Scrive Jonas in proposito:
“L’ homme machine signifies in the modern scheme
what conversely hyloizism signified in the ancient
scheme: the usurpation of one, dissembled realm by the
other which enjoys an ontological monopoly. Vitalistic
monism is replaced by mechanism monism, in whose
rules of evidence the standard of life is exchange for that
of death.”
1
Qui Jonas adopera disinvoltamente il termine homme
machine derivato palesemente da La Mettrie, uomo
dell’illuminismo, e, allo stesso tempo, afferma che il cambiamento
di visuale nei confronti della morte comincia con il rinascimento.
Mi sembra opportuno sottolineare che il vuoto che intercorre tra il
rinascimento e La Mettrie imputabile alle citazioni di Jonas sia in
1
H. Jonas, The Phenomenon of Life, op. cit., p. 11
19
definitiva un vuoto apparente poiché Jonas intende far riferimento
all’inizio dell’età moderna che, prendendo come valida la
definizione derivata da La civiltà del rinascimento in Italia (1860)
di Burckhardt, ha inizio, appunto, con il rinascimento. Che poi il
filosofo abbia sentito l’esigenza di richiamarsi ad un autore
illuminista può facilmente essere spiegato col fatto che
l’illuminismo è l’età in cui i toni del rinascimento divengono ancor
più accesi e quindi più adatti all’esemplificazione.
1.3.1 L’eredità del dualismo: gli pseudo-monismi moderni.
Il dualismo affermava, tuttavia, non solo l’esistenza della
materia senza spirito ma, parimenti, sosteneva la possibilità
dell’esistenza dello spirito senza materia. Il filosofo continua
sostenendo che dalla constatazione di ciò deriva che qualsiasi teoria
post-dualistica dell’essere si trova a dover trattare con i due resti del
dualismo: lo spirito e la materia e che, quindi, tale teoria risulterà
monistica solo al prezzo di scegliere una delle due alternative.
Essendo, appunto, le alternative due, è evidente che
l’eredità dualistica è costituita da due teorie ognuna delle quali
avente la pretesa di essere monistica e che oggi noi riconosciamo
come il materialismo e l’idealismo moderni. Entrambe queste teorie
non hanno nulla a che fare col monismo primordiale e, in verità,
sono semplicemente monismi parziali non essendo in grado di
fondere di nuovo quella polarizzazione creata dal dualismo e
trattando ognuna con un solo polo di tale divisione.