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Introduzione
Questo lavoro nasce dall’esigenza di delineare un profilo dell’individualità
all’interno della riflessione plotiniana, individualità che il filosofo tende per lo
piø a indicare con il termine «noi», hêmeis. L’approccio piø adatto ci è
sembrato, quindi, seguire il significato specifico che questo termine ricopre
nelle Enneadi, ma ciò si è rivelato arduo sin nei suoi esordi in quanto il senso
di hêmeis non si presenta in modo univoco e ricopre significati differenti.
Una preoccupazione spesso manifestata dagli studiosi di Plotino riguarda le
ricadute della sua ontologia sul piano strettamente antropologico: la
soggettività cui sembra essere interessato Plotino non si esaurisce all’interno
di confini propriamente umani e personali, ma trova le sue strutture ultime in
un orizzonte metafisico molto piø vasto, di cui gli stessi esseri umani non
sono che parte.
Inserito in questo orizzonte, l’uomo plotiniano è determinato da due istanze:
da un lato il dualismo tradizionale di matrice orfico-pitagorica di anima e
corpo rielaborato all’interno del modello platonico sensibile-intelligibile ne
mostra la tensione interna che lo caratterizza, tensione che in Plotino è
integrata da quella prospettiva ontologica gradualista che fa dei diversi livelli
gerarchici del reale i momenti ontologici di un unico movimento, quello di un
principio che si offre.
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L’anima individuale, protagonista del nostro studio, è inserita – all’interno di
questo scenario maestoso – in un luogo di confine, tra il versante opaco della
corrente generativa che termina nell’oscurità materica e quello piø luminoso
che dalle prime alterità giunge sino all’Uno. A questa natura anfibia è proprio
un dinamismo che la rende capace di ridefinirsi continuamente sulla base di
una proprietà che Plotino esprime nei seguenti termini
«Ogni anima è e diviene ciò che guarda»
1
Abbiamo così assunto questa determinazione dell’anima individuale come
punto di riferimento.
Lo studio consta di due parti principali: il primo capitolo verte sul dibattito
attuale intorno alla natura di hêmeis; il secondo capitolo interviene
attivamente in tale dibattito a partire dalla lettura di V 3 [49], 3.
Partendo dall’analisi di un dibattito ancora in corso relativo al modo in cui
Plotino intende l’individualità abbiamo avuto modo di riscontrare nelle
interpretazioni prese in considerazione le stesse difficoltà cui abbiamo
accennato in apertura: l’ambiguità ontologica dell’oggetto della ricerca lo
rende indefinibile in sØ e per sØ. La ragione è da riscontrare nel suo carattere
essenzialmente relazionale, ed è proprio quest’ultimo elemento a fornire la
cornice entro la quale abbiamo inserito la nostra ricostruzione del dibattito e il
nostro commento. Il termine hêmeis («noi») non è provvisto di connotati
ontologici evidenti. Questo ha spinto gli interpreti ad avanzare ipotesi, a volte
contrastanti (come nel caso delle interpretazioni di G. Aubry e R.
Chiaradonna), o comunque divergenti tra loro nell’aver posto al centro
differenti “soggetti” candidati al ruolo di hêmeis.
E’ stato tuttavia possibile riconoscere un momento oggettivo delle definizioni
proposte. La soggettività cui rinvia il «noi» plotiniano si trova in una duplice
condizione: da un lato deve fronteggiare uno scacco epistemologico, dal
momento che le condizioni di accesso all’autentica conoscenza di sØ
richiedono l’abbandono di tutti quegli elementi costitutivi della soggettività
1
Enn. IV 3 [27], 8, 15-16.
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incarnata che rendono “umano” l’uomo, compresa la facoltà discorsiva;
dall’altro hêmeis si presenta come un soggetto pratico cui spetta la scelta etica
fondamentale di elevarsi dal suo stato ordinario sino ai livelli superiori,
intraprendendo un percorso di auto-perfezionamento.
I due aspetti non sono disgiunti, il processo di ascesa è intrinsecamente
teoretico (dal momento che anche la virtø è una forma di contemplazione),
conoscenza di sØ e costituzione di sØ si implicano a vicenda.
In sede di commento, partendo dal carattere relazionale del «noi», abbiamo
cercato di ricostruire i momenti cognitivi attraverso i quali l’anima
individuale costituisce la propria esistenza: dalle facoltà cognitive inferiori
(sensazione, phantasia-memoria), mediane (logos e dianoia), sino a quelle
superiori (noesis). I diversi momenti cognitivi hanno la loro rilevanza pratica:
le facoltà cognitive inferiori portano l’anima (natura essenzialmente
intelligibile) a conoscere e imparare il mondo fenomenico, con il rischio che
essa resti impantanata nel corpo; facendo però leva sull’essenza razionale,
l’anima, attraverso il discorso, può rimediare alla condizione ordinaria degli
individui indirizzando la sua attenzione in tutt’altra direzione.
Solo un uso proprio della sua parte principale (dianoia), che viene così a
costituire il principio essenziale di hêmeis, consente all’anima di volgere il
proprio sguardo verso le realtà superiori e di incamminarsi verso una
riscoperta di sØ che la condurrà ben al di là dei limiti ordinari.
Una volta raggiunta una certa familiarità con la propria natura divina, e una
volta esperito l’orizzonte noetico sino alle sue estremità, l’anima umana non
svanirà, rarefatta, in un non-luogo. Porterà avanti la sua esistenza incarnata
consapevole della sua condizione paradossale. «Noi», «troppo terreni per
trattenere il divino, ma troppo divini per dimenticarlo»
2
.
2
P. HADOT, Plotino o la semplicità dello sguardo, Torino, Einaudi 1999, p. 60.
8
1. Il problema
1. 1 Il dibattito contemporaneo
Il problema di come Plotino intenda l’individualità ha recentemente attirato
l’attenzione degli interpreti. La questione centrale che essi pongono è se sia
possibile delineare, all’interno della riflessione plotiniana, una filosofia del sØ
e, se questo è possibile, in quali termini. Plotino, infatti, nel corso dei suoi
trattati si pone con insistenza la questione “ma noi…chi noi?”, tuttavia non
dedica nessuno scritto a questo tema e le risposte che dà a questo
interrogativo non sembrano univoche. Inserita in contesti argomentativi
diversi, la nozione di hêmeis è connessa alla natura umana, ma i confini di
quest’ultima non risultano affatto ben definiti. Questa difficoltà, che riguarda
anche altre nozioni, ha origine nella peculiarità della riflessione plotiniana, la
quale scaturisce da un’intuizione unitaria della realtà e risulta perciò
particolarmente difficile da imbrigliare in un sistema di definizioni e schemi.
E tale difficoltà è all’origine del dibattito, tuttora in corso, nel quale si
registrano posizioni del tutto differenti, ma convergenti nel sottolineare il
nodo aporetico di fondo: il noi non si presenta provvisto di una connotazione
ontologica evidente.
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1. 2 Il «noi», l’anima non discesa: C. Tornau
In uno studio del 2009, C. Tornau
3
parte da questo riconoscimento: Plotino
utilizza il pronome «noi», prima persona plurale, perchØ interessato non all’io,
ossia all’invariabile identità personale dell’uomo in qualità d’individuo,
quanto piuttosto alla prospettiva interiore dell’esistenza umana in generale.
Secondo lo studioso, infatti, Plotino ha una concezione duale della natura
umana: da un lato l’uomo autentico, intelligibile, e dall’altro un secondo
uomo, la bestia, che si è aggiunto a quello autentico e che si caratterizza per
un’esistenza impregnata di molteplicità. Esponendo questa concezione Plotino
segue da una parte la tradizione platonica dell’Alcibiade I, per cui l’uomo non
sarebbe nient’altro che la propria anima la quale si rapporta al corpo cui dà
vita come ad uno strumento, dall’altra è portato a riconoscere la pertinenza
filosofica della tesi che considera l’esistenza dell’uomo quella di un essere
vivente psicofisico di cui la coscienza assicura l’unità delle parti corporee.
4
Tuttavia, per Tornau, il termine hêmeis non rinvia direttamente ad uno dei due
uomini, piuttosto si presenta come il risultato di una decisione etica: spetta a
noi la possibilità di scegliere se rimanere al livello dell’uomo incarnato –
conducendo una vita conforme al grado piø basso della realtà psichica,
identificandoci così all’io empirico, sensibile – o volgerci al livello spirituale
(noetico), luogo del vero Uomo – cambiando così radicalmente modo di
vivere. E’ interessante notare che, nella forma in cui si presenta, la decisione
non segue uno schema a tre termini, in cui il soggetto sceglie d’intraprendere
una via al posto di un’altra ma si configura come un passaggio da uno stato
ad un altro. Il soggetto che sceglie si trova già determinato da una delle due
alternative, vale a dire partecipa già della vita incarnata
5
. La decisione è,
dunque, restare a questo livello o intraprendere la via verso il sØ autentico. In
3
C. TORNAU, Qu'est-ce qu'un individu? UnitØ, IndividualitØ et Conscience de Soi dans la
mØtaphysique plotinienne de l'´me, in Plotin et son Platonisme, Les Études Philosophiques,
Settembre 2009 – 3, pp. 333-360.
4
Ivi, p. 333.
5
E’ importante sottolineare il fatto che il soggetto psicofisico rappresenta non una semplice
alternativa da scegliere, ma una condizione esistenziale determinata, ordinaria, che caratterizza
profondamente tutti gli esseri umani.