Introduzione
Il presente lavoro è volto ad analizzare il processo di stigmatizzazione dello
straniero durante periodi di crisi come quelli rappresentati dalle epidemie.
Partendo da una trattazione di carattere teorico, nel primo capitolo si analizzeranno
i concetti base a fondamento dell’ostilità nei confronti dell’Altro, dello straniero:
l’essere umano infatti è per natura un essere timoroso, rivestito di milioni di paure;
l’essenza stessa della paura fa sì che l’Altro venga scambiato per la panacea di tutti
i mali. È la paura indirizzata verso l’Altro che permette l’esorcizzazione della paura
stessa, che sia legata all’instabilità economica, all’instabilità emotiva o a quella
politica. L’uomo deve potersi immunizzare dalla minaccia biologica e sociale
rappresentata dall’esterno, da ciò che si colloca al di fuori di una comunità e lo fa
attraverso una dialettica negativa che esteriorizza il male, il batterio rappresentato
da tutto ciò che gli è distante fisicamente e moralmente. Questo processo raggiunge
il suo culmine con l’epidemia della paura, un’epidemia di idee, di sospetti che
dilagano proprio come dilaga un virus contagioso. Gli esseri umani sembrano
assoggettati ad una forza irrazionale che li spinge a ricercare in tutti i modi una
minaccia tangibile, un colpevole della diffusione della malattia: si va creando
un’organizzazione sociale includente-escludente in cui da una parte vi è la
comunità colpita dal male e dall’altra un sottogruppo o minoranza additata come
causa del fenomeno naturale, come categoria altamente a rischio, come capro
espiatorio. Il risultato è una patologizzazione morale della natura, una mescolanza
di dimensioni dove non vi è più confine tra ciò che è naturale è ciò che è
propriamente morale o additabile all’uomo: tutto si fonde e si sovrappone in un
unicum indistinguibile. È l’imprevedibilità di alcuni rischi e pericoli endemici che
porta l’individuo a demoralizzare la propria responsabilità nei confronti degli Altri:
gli stranieri, gli immigrati, gli Altri sono corpi dove risiedono strane malattie
tropicali, sono agenti sporchi e senza alcun senso dell’igiene, sono un pericolo per
la salute pubblica. La formazione di opinioni di questo tipo sembrano accentuarsi
quando si fa riferimento alla relazione tra insiders e outsiders nella dimensione
dello spazio. Lo straniero fa paura, terrorizza perché è sia vicino sia lontano: è
vicino fisicamente, ma lontano culturalmente poiché si colloca al di fuori dei
confini tracciati da una comunità. Lo straniero in quanto incarnazione
dell’incertezza è percepito come una sostanza “vischiosa” che risucchia la nostra
libertà, il nostro potere d’azione ostacolando la piena realizzazione di ogni
individualità. Ecco dunque che nei periodi di crisi sanitaria risulta facile
colpevolizzare gli Altri: gli Ebrei avevano avvelenato i pozzi durante l’epidemia di
peste per uccidere il maggior numero di cristiani e avevano diffuso la sifilide
insieme agli Indios lussuriosi; i Cinesi erano colpevoli di aver diffuso la peste a
causa della loro cattiva igiene e delle loro strane abitudini, gli Haitiani erano
colpevoli di aver diffuso il colera perché sudici e senza igiene, i lavoratori irlandesi
di Duffy’s Cut furono brutalmente uccisi in quanto ritenuti responsabili di aver
diffuso il colera; gli Afro-brasiliani poi furono accusati di uccidere l’immigrazione
sana proveniente dall’Europa diffondendo la febbre gialla, gli Afro-cubani furono
accusati di diffondere la tubercolosi tra la popolazione bianca di Cuba, i Sud-
Africani furono esclusi dalle politiche sanitarie elaborate nel periodo dell’AIDS, i
Cinesi furono pesantemente discriminati durante l’epidemia di SARS, così come i
Chilangos messicani durante l’epidemia di influenza suina. Molti sono i casi di
biologizzazione e razzializzazione del sociale e l’obiettivo del presente lavoro è
proprio quello di porre in evidenza questi meccanismi. Meccanismi che sono
senz’altro familiari, data l’attuale pandemia di Covid-19 che ha investito il globo
intero. Proprio in virtù dell’apparizione di questo nuovo virus, si è voluto dedicare
il Capitolo 3 all’elaborazione di un sondaggio descrittivo-informazionale volto ad
osservare quanto in Italia l’impatto di questa nuova crisi biologica abbia inciso
sulla percezione della comunità asiatica e degli immigrati come categorie a rischio,
soprattutto nel periodo che intercorre tra luglio e settembre 2020. L’analisi,
condotta telematicamente attraverso Google moduli, è paragonabile ad una
fotografia della relazione italiani-stranieri nel primo periodo della pandemia. Data
poi la continua evoluzione di quest’ultima, ci si è limitati ad interpretare i risultati
raccolti senza elaborare ipotesi non convalidabili concretamente.
Capitolo 1
Le fondamenta dell’ostilità verso l’Altro
1.1 Paura e immunizzazione nella società
La vita post-moderna sembra essere ormai preda di due elementi fondamentali: la
paura e l’incertezza. Bauman tratta entrambe le categorie nei saggi Paura liquida e
La società dell’incertezza. Dell’incertezza, il sociologo, sottolinea la sua
permanenza continua nella vita umana, nell’intero cosmo ed il suo essere costituita
da dimensioni, da fattori che ne permettono il dilagarsi: primo tra tutti è l’idea di un
mondo attuale e futuro in cui l’individuo avrà sempre meno capacità di controllo
sugli eventi che lo circondano. Un secondo fattore riguarda il disordine e la
mancanza di struttura che descrive lo stato del mondo attuale: difatti è decaduta la
tradizionale divisione dei paesi in <<secondo mondo>> e <<terzo mondo>>, così
come la sudditanza degli ultimi nei confronti dei primi. Il governo dell’irrazionalità
del mercato libero, penetrato ad ogni livello sociale, ha poi incentivato la
disuguaglianza tra nazioni, continenti e cittadini annullando ogni tipo di richiamo ai
diritti dell’essere umano. Per ciò che concerne invece le realtà sociali queste
risultano essere sempre più instabili
1
.
La paura d’altra parte è un sentimento plasmante l’essere umano e quindi le società
stesse. Una delle emozioni primarie come ci ricorda la psicologia è proprio la
paura, una paura che sembra perdurare nei secoli attraversando trasversalmente il
tempo, lo spazio. Oggi questa paura sembra aver assunto forme differenti,
intensificandosi ancor di più come ci ricorda Zygmunt Bauman definendo la paura
come liquida, persistente, che sfugge al controllo del singolo, che è indistinta e
senza cause chiare
2
. Delumeau concorda con Bauman quando si riferisce alla paura
1
Z. Bauman, la società dell’incertezza, Bologna, il Mulino, 1999, Cap. 2
2
Z. Bauman, Paura liquida, Bari, Editori Laterza, 2006
sottolineandone il carattere volubile, la presenza costante nell’esperienza umana ed
il carattere patologico. Quest’ultimo si accentua nel momento in cui la paura,
superato un certo limite, genera dei blocchi disgregando l’essere e facendolo
distaccare dalla realtà. In effetti la paralisi e l’intorpidimento dei sensi difronte ad
un pericolo che minaccia la salute personale, rappresenta uno scenario plausibile se
si interpreta la paura individuale come “un’emozione-choc”
3
. Questo perenne stato
d’allerta derivante dalla pervasività stessa dei pericoli, induce spesso a preoccuparsi
di ciò che è indesiderabile e del modo in cui è possibile prevedere ciò che è
indesiderabile, come suggerisce Bauman.
Tuttavia anche in assenza di pericoli veri e propri, a livello dell’individuo, si attiva
una sensazione di incertezza e fragilità chiamata ‘paura derivata’ che autoalimenta
la paura stessa. Tale terrore viscerale che attanaglia il mondo intero è chiamato
sindrome del Titanic, riassumibile nella paura di andare incontro ad un iceberg, un
pericolo, una catastrofe celata nella quotidianità falsamente ordinata e stabile
4
. La
presenza della minaccia, del pericolo scatena un processo che, come suggerisce
Esposito, non è solo un processo biologico, ma anche sociale, giuridico, politico –
quest’ultimo un ambito che fa leva sui timori e sull’incolumità dei cittadini per i
propri interessi, generando spesso anche delle paure non dimostrabili nella pratica
5
.
Tale processo detto ‘Immunizzazione’ - che altro non è se non la protezione della
vita - prende vita dalla contaminazione, dal contagio del corpo mediante qualcosa
di estraneo e pericoloso che penetra corrompendo l’organismo
6
. Questo elemento
esterno è ciò che tenta di negare la vita, di annullarla. Come in una lotta tra bene e
male, da una parte vi è la forza della vita e dall’altra la sua controforza, un male che
va respinto. Il processo dell’immunizzazione però è intriso di una dialettica
negativa che si avvale di ‘un’inclusione escludente’ per sopravvivere: la vita per
mantenersi intatta, deve inglobare nel suo sistema il male stesso, deve rifiutare sé
stessa, negarsi mediante il suo opposto
7
. Questo principio che governa il
3
J. Delumeau, La paura in Occidente. Storia della paura nell’età moderna, Milano, il Saggiatore, 2018, 26-
27
4
Z. Bauman, Paura liquida, Bari, Editori Laterza, 2006, 25-26
5
R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Torino, Einaudi, 2002 e Z. Bauman, Paura
liquida, Bari, Editori Laterza, 2006
6
R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, 2002
7
Ivi, p. 8
meccanismo è postulato dalla definizione stessa di immunità e dalla teoria
dell’antropologia filosofica tedesca. Il sostantivo ‘immunitas’ difatti, nel suo
significato più puro, rappresenta colui che è esente dal dovere: un individuo che è
per questo immune e si contrappone alla comunità che invece è caratterizzata da
obblighi e doveri reciproci. L’antropologia filosofica tedesca ha continuato su
questa scia riconoscendo nell’imperfezione innata dell’uomo la sua potenzialità:
egli per preservarsi ha bisogno di esteriorizzarsi al suo interno, allontanandosi dalla
comunità. Questa dialettica negativa fonda ogni aspetto e relazione sociale.
Le leggi, le istituzioni, il diritto sanciscono in questo senso la separazione della
vita umana da ciò che è comune, di pubblico dominio. In ambito giuridico dunque,
la separazione dei beni pubblici da quelli privati è funzionale, per la comunità, alla
neutralizzazione di potenziali conflitti, all’inibizione dei pericoli, della violenza.
Tuttavia, nel diritto si annida un paradosso: per rivendicare la proprietà su qualcosa
bisogna esercitare la forza. Pertanto il diritto è assoggettato alla forza, alla
medesima forza che intende contrastare. Il suo obiettivo è quello di difendere la
comunità dai conflitti, dandole in pasto quegli stessi conflitti
8
.
Per ciò che concerne invece l’ambito politico Esposito, parafrasando il sociologo
tedesco Helmuth Plessner, tratta il pericolo rappresentato dall’eccesso di comunità.
La politica deve proteggere la vita umana dal sovraccarico emotivo rappresentato
dalla comunità. Il freno che va posto a questo disequilibrio si cristallizza nella
separazione tra sfera pubblica e privata. In questo senso il rapporto che unisce
l’uomo alla comunità è un rapporto di estraneità, basato sul ‘tatto’: inteso come
vicinanza esclusiva che sterilizza la relazione “dai suoi effetti più pericolosamente
contagiosi”
9
. Il tatto è inteso come ‘rovescio del contatto’, non la sua cancellazione,
ma il suo negativo che impone un grado di vicinanza, un confine, un limite tra
l’uomo e la comunità che - se superato - ha conseguenze deleterie. Al contrario
dell’antropologia sinora trattata che progetta un modello di mediazione
comunitaria, la biopolitica annulla ogni tipo di intercessione assumendo la vita
come contenuto diretto del suo intervento, privandola di qualsiasi aggettivo,
8
R. Esposito, 2002 cit.
9
Ivi, p. 152