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Introduzione
L’interesse per la materia oggetto della presente tesi nasce da una personale
esperienza professionale di “addetto ai lavori” maturata come impiegata civile presso la
divisione J9 CIMIC del Comando Operativo di vertice Interforze (COI), cui fanno capo,
in ambito Difesa, tutte le attività a livello nazionale di Cooperazione Civile –Militare
(Civil Military Co-operation-CIMIC).
Obiettivo di questo lavoro è stato quello di partire dall’analisi dello scenario
strategico contemporaneo, evidenziando le principali aree di crisi per poi passare allo
studio degli aspetti sociologici dell’organizzazione delle Forze Armate e alla qualità
assunta dall’immagine militare. In particolare ci si è focalizzati sul ruolo della
Cooperazione Civile-Militare negli attuali teatri operativi, su come questa possa arrivare
a porre delle basi che rendano sostenibile la situazione di pace e sicurezza conseguita,
riuscendo a dare alla popolazione una struttura sociale ed economica di governance
autonoma in grado di innescare un percorso di crescita e sviluppo.
Nel primo capitolo l’idea è stata quella di fornire una visione su come i
parametri fondamentali dello scenario strategico globale siano stati modificati da
fratture storiche recenti: la fine della Guerra fredda, la caduta del Muro di Berlino con il
disfacimento dell’impero sovietico per implosione (1989) e l’attentato terroristico
portato al cuore degli Stati Uniti d’America l’11 settembre del 2001.
Prima del 1989 la contrapposizione Patto di Varsavia/Alleanza Atlantica era
caratterizzata da una minaccia di chiara provenienza e di portata qualitativa e
quantitativa definibile con apprezzabile esattezza, ma era una minaccia originata nelle
sue estreme conseguenze dalla deterrenza. Infatti la risposta nucleare, possibile da
entrambi i contendenti anche a fronte di un primo colpo distruttivo, era riuscita ad
assicurare un periodo di pace senza precedenti nella storia del continente europeo e a
garantire un effetto moderatore e limitatore anche nelle zone periferiche del terzo
Mondo. (Jean, 2004)
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Ma la fine della contrapposizione bipolare e della guerra fredda non ha creato i
presupposti per l’attesa stabilità e per un effettivo ordine mondiale.
Sullo scenario internazionale sono apparsi molteplici fattori di insicurezza, quali
il proliferare delle armi di distruzione di massa, la diffusione di tecnologie e di
armamenti sofisticati, la pressione demografica, fenomeni di criminalità internazionale e
di terrorismo di matrice fondamentalista-islamica.
La data dell’11 settembre ci ha fatto tragicamente scoprire un nuovo tipo di
minaccia, insieme al carattere globale della nostra vulnerabilità: questa non è più
necessariamente militare, ma è multidimensionale, non proviene necessariamente da
attori statali, ma anche da attori non statali o sub-statali.
Nell’attuale complesso scenario strategico, vi è una domanda crescente di
sicurezza che richiede, per essere soddisfatta, una molteplicità di strumenti e il
contributo di un numero più ampio di attori, Stati ed Istituzioni: in questo quadro è
imprescindibile la constatazione che oggi l’unica sicurezza possibile è una sicurezza
condivisa.
L’organizzazione delle nostre Forze Armate non si è sottratta a queste nuove
sfide, evolvendo dalla dimensione prevalentemente statica della difesa del territorio
nazionale verso il sostegno dinamico all’azione della Comunità internazionale.
Attraverso un esame del sistema organizzativo militare, si è cercato di ricostruire il
mutato atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti delle Forze armate e come le
stesse siano state riconsiderate al servizio della comunità, superando quella
“invisibilità” che le ha contraddistinte soprattutto negli anni ’70 del secolo scorso. Si è
evidenziato come le Forze armate, pur rimanendo legate a valori e tradizioni storiche,
hanno saputo adeguarsi alle nuove tecnologie e ai mutamenti sociali, tracciando una
breve analisi dei modelli di valori nel sistema sociale e sistema militare elaborato da
Inghehart (1983), da Moskos (1977) e da Battistelli (1996).
La constatazione che oggi le operazioni militari sono finalizzate alla
prevenzione, gestione e soluzione di situazioni di crisi introduce il secondo capitolo, in
cui viene posta una particolare attenzione su quelle che sono definite le operazioni di
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stabilizzazione e ricostruzione e sulle varie fasi in cui si sviluppano, fino ad arrivare ad
esaminare tutto il complesso delle attività di interazione tra forze militari e componente
civile negli attuali teatri operativi e che va sotto il nome di Cooperazione Civile-Militare
o, secondo la terminologia NATO, Civil Military Cooperation (CIMIC).
La Civil Military Cooperation viene definita dalla dottrina NATO come “la
coordinazione e cooperazione, in supporto della missione, tra i Comandanti NATO e gli
attori civili presenti nel teatro di operazione, tra cui si includono la popolazione civile,
le autorità locali, le organizzazioni internazionali, nazionali e non governative, nonché
agenzie civili ivi presenti” (ALLIED JOINT PUBLICATION-9 NATO Civil-Military
Co-operation Doctrine, 2003).
Il CIMIC è l’interfaccia tra le Forze alleate e la componente civile e si prefigge
lo scopo di stabilire e mantenere la piena cooperazione tra le autorità civili, le
organizzazioni, le agenzie, la popolazione e il Comandante NATO presente nel teatro di
operazioni, al fine di permettere a quest’ultimo il pieno assolvimento della missione. Il
conseguimento di questo scopo consente di creare e sostenere le condizioni necessarie
ad un successo duraturo dell’intervento militare.
In un’area di crisi, vi è un fortissimo bisogno del rapido avvio di ordine e
sicurezza pubblica attraverso la ricostituzione della polizia civile, della magistratura,
delle guardie carcerarie e di altri addetti all'amministrazione civile, per fare in modo di
instaurare nel più breve tempo possibile la normalità e la fiducia.Vi è anche assoluta
necessità di ricostruire, di ripristinare i servizi essenziali (come acqua ed elettricità) e,
naturalmente, di ricostituire le infrastrutture logistiche per far rinascere rapidamente la
regione interessata. Prima si vedono i frutti della stabilità e la migliore qualità della vita
che essa produce, prima è probabile sia evitata la violenza criminale degli ex-
guerriglieri come mezzo per conseguire i propri fini.
Lo scopo principale della Cooperazione Civile - Militare fuori dal territorio
nazionale (Civil Military Cooperation - CIMIC), pertanto, è quello di contribuire al
raggiungimento degli obiettivi civili in tutti i campi (giustizia, cultura, economia,
sociale, sicurezza, ecc.) al fine di favorire la ricostruzione del tessuto socio-economico.
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Essa fa parte integrante di tutti i processi di gestione delle crisi ed il suo ruolo è
soprattutto significativo durante le fasi iniziali, quando le Organizzazioni Civili non
sono ancora in grado di soddisfare le molteplici esigenze delle popolazioni e delle
Istituzioni locali e regionali.
In particolare, il CIMIC costituisce l'interfaccia tra l'ambiente civile e la
componente militare nel teatro di operazione principalmente attraverso l'espletamento di
delicate funzioni come:
1. il collegamento civile-militare, che inquadra tutte le attività più dirette di
cooperazione civile e militare, tese a fondare una piattaforma di intenti su cui
elaborare strategie comuni e coerenti tra le due componenti;
2. il supporto all’ambiente civile, che inquadra tutte le attività che la componente
militare compie a sostegno dell’ambiente civile in cui opera;
3. il supporto diretto alla forza militare, che inquadra tutte quelle attività tese a
facilitare al Comandante il reperimento di beni e servizi che si reputi conveniente
o necessario reperire in loco, come ad esempio la stipula di accordi per l’acquisto
di risorse locali.
Il terzo capitolo analizza il modello civile e militare di ricostruzione e sostegno
alla governance nel teatro operativo afghano, partendo da un breve cenno sulle modalità
di dispiegamento delle forze multinazionali in Afghanistan per poi esaminare
l’introduzione del ruolo del Provincial Reconstruction Team (PRT), un’organizzazione
mista di militari e civili idonea a contribuire alla creazione di un ambiente stabile e
sicuro mediante il supporto alla ricostruzione e allo sviluppo e in concorso alle attività
umanitarie svolte nella regione di competenza.
E’ stata posta una particolare attenzione al concetto di Comprehensive approach,
e della sua applicazione nel teatro operativo afghano, che pone in evidenza come un
impegno pieno, e sin dalle prime fasi della pianificazione delle moderne operazioni
militari, di tutte le componenti del livello strategico nazionale e multinazionale sia
necessario ad un approccio comprensivo nell’analisi e nella gestione delle aree di crisi.
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Attraverso la testimonianza del Gen. Errico, Comandante nel 2006 del Regional
Command West (RC-W) di Herat, si è tracciato un quadro di situazione delle principali
figure istituzionali e non, con il quale il Comandante si trova ad interagire nell’ambito
del proprio mandato e che rende particolarmente difficile creare le condizioni per la
condivisione di progetti, premessa indispensabile per un efficace processo di
ricostruzione e sviluppo.
I contingenti militari impiegati in Afghanistan svolgono prevalentemente le loro
attività in due settori, quello della sicurezza e quello della ricostruzione e sviluppo. Le
attività CIMIC vengono esplicate nel secondo settore attraverso un assetto chiamato
CIMIC center e sono di norma dedicate a dare soluzioni a richieste specifiche che
necessitano di interventi rapidi e condotti con tempi a breve/medio termine, detti
appunto Quick Impact Projects, cioè progetti a impatto immediato, che assicurano un
immediato ritorno in termini di consenso da parte della popolazione verso il contingente
italiano.
Compito del CIMIC è, quindi, contribuire alla ricostruzione del tessuto socio-
economico (degradato, danneggiato, distrutto) di un Paese o di un territorio in modo da
ristabilire nel più breve tempo possibile la fiducia verso le Istituzioni e le
Organizzazioni internazionali e costituirne il fondamento del successivo sviluppo.
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1 L’istituzione militare e le aree di crisi
1.1 Le aree di crisi nello scenario strategico contemporaneo
Da circa un decennio il quadro di riferimento internazionale è caratterizzato da
una fase di elevata dinamicità e accentuata instabilità, frutto dell’interazione fra le
molteplici crisi in atto. Permangono le irrisolte tensioni politiche nell’area del Medio
Oriente, nei Balcani e nelle zone limitrofe, oltre a situazioni di criticità in aree
dell’Europa orientale, del Caucaso e del bacino del Mediterraneo fino al Corno
d’Africa.
La sicurezza e la stabilità rappresentano sempre più un interesse con dimensione
sopranazionale. I fattori che insidiano la stabilità globale possono essere contrastati
sfruttando il più ampio coinvolgimento multinazionale, con una pluralità di mezzi e
un’azione multidimensionale fra cui anche quella militare (Jean, 1999).
Lo scenario strategico internazionale è stato profondamente modificato da
fratture storiche recenti: la fine della Guerra Fredda con la caduta del Muro di Berlino
nel 1989 e il crollo delle Due Torri nel 2001.
La prima frattura ha segnato la fine di un concetto della sicurezza con cui si era
convissuto per oltre quarant’anni: la sicurezza “statica” fondata sull’equilibrio bipolare,
la deterrenza e la priorità del teatro europeo. Dal 1989 in poi, il concetto di sicurezza è
diventato dinamico ed appare fondamentalmente legato alla capacità di proiezione delle
forze piuttosto che alla difesa del proprio territorio. La seconda data, il 2001, ci ha fatto
tragicamente scoprire un “nuovo” tipo di minaccia, insieme al carattere globale della
nostra vulnerabilità. Il contesto attuale è, in effetti, caratterizzato da una proliferazione
delle minacce, dal punto di vista sia geografico (le minacce sono disperse in più teatri),
sia dal punto di vista della loro natura.
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La minaccia non è più necessariamente militare, ma è multidimensionale, non
proviene necessariamente da attori statali, ma anche da attori non statali o sub-statali.
Non deriva solo da Stati forti ma anche da Stati “falliti”, assumendo dimensioni
molteplici: terrorismo, proliferazione nucleare, criminalità transnazionale, narcotraffico
globale, immigrazione clandestina. Si tratta di una minaccia “dinamica”che si diffonde e
si sviluppa con estrema rapidità grazie alla globalizzazione e all’interdipendenza fra gli
Stati.
L’emergere di nuovi attori non statuali, dotati di potenzialità offensive, ha
implicato una rivalutazione del tradizionale concetto di difesa, tesa ora a salvaguardare
gli interessi nazionali con vari strumenti.
La tutela della sovranità, della popolazione, dei beni e degli interessi nazionali
coincide nei fatti con la partecipazione alla salvaguardia collettiva degli interessi vitali
di tutti i Paesi, non solo dell’Occidente. Fenomeni come il terrorismo internazionale,
l’immigrazione illegale, i traffici illeciti o la pirateria marittima, concorrono ad
incrementare ulteriormente la centralità delle alleanze quali pietre angolari
dell’architettura difensiva internazionale e nazionale.
Il sistema internazionale, nella sua struttura, ha basi meno solide e regole meno
chiaramente definite di quanto non fosse fino al 1989. Dopo un ventennio di
“unipolarismo necessario”, nel quale gli Stati Uniti si sono trovati a gestire da soli le
sorti del pianeta, il mondo va configurandosi attorno a diversi poli di potenza, ciascuno
con le proprie ambizioni e la propria fame di crescita (Marucci, 2009).
La Russia torna ad assumere un atteggiamento assertivo, reagendo a quella
“frustrazione storica” determinata da un vuoto geopolitico e da una crescente sindrome
di accerchiamento fondando la propria volontà di potenza sull’energia, petrolio e gas in
particolare.
In una prospettiva di più lungo termine, poi, si deve riscontrare la rapida crescita
delle capacità economiche e militari espresse dalle potenze asiatiche emergenti come
Cina e India. I due modelli di sviluppo sono profondamente diversi, ma il risultato
comune è quello di una straordinaria vitalità economica e demografica. Ma la mappa
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geopolitica del XXI secolo non si esaurisce qui. Il Brasile, ad esempio, è un capofila dei
cosiddetti “paesi emergenti”, accanto a Nigeria, Sud Africa e Corea del Sud.
L’aera geografica comprendente Golfo Persico, Afghanistan e Pakistan continua
a rappresentare un arco di crisi di proporzioni considerevoli, grazie soprattutto alla
presenza sul territorio di due crisi conclamate, l’Iraq e l’Afghanistan, e di due potenziali
crisi caratterizzate da progressivi deterioramenti delle condizioni generali, Iran e
Pakistan. Si inseriscono poi, in una dinamica assai complessa e delicata, altre
dimensioni critiche di varia portata e natura, quali la crisi della sicurezza nello Yemen e
la sempre più delicata politica regionale dell’Arabia Saudita (Cordaro, 2009).
In sostanza l’odierno scenario è caratterizzato da numerosi elementi di instabilità
quali:
1. la natura asimmetrica delle nuove minacce, imprevedibili e diffuse, collegate a
tensioni etniche, sociali, economiche e religiose;
2. una maggiore ricorrenza di crisi ad alta intensità, spesso in teatri assai distanti
dalla Madrepatria e con rilevanti conseguenze sulla stabilità globale;
3. una crescente preoccupazione per la proliferazione delle armi di distruzione di
massa.
Il sistema internazionale, in altri termini, non ha ancora trovato un suo assetto
stabile. Gli Stati Uniti sono un “primus inter pares”, la potenza necessaria e
indispensabile, ma hanno cominciato a palesare crescenti difficoltà a gestire da soli le
dinamiche globali e regionali.
Nell’attuale complesso scenario strategico, vi è una domanda crescente di
sicurezza che richiede, per essere soddisfatta, una molteplicità di strumenti e il
contributo di un numero più ampio di attori, Stati ed Istituzioni. Tuttavia non sono gli
Stati nazionali ad essere, da soli, inadeguati di fronte alle nuove minacce e non si può
nemmeno pensare che le singole istituzioni o alleanze, la NATO o l’Unione Europea o
l’ONU possano, ciascuna da sola, risolvere i complessi problemi della sicurezza
(Marucci, 2009)
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In questo quadro è imprescindibile concludere che oggi l’unica sicurezza
possibile è una sicurezza condivisa. Bisogna corresponsabilizzare il maggior numero di
attori statali, di istituzioni internazionali e regionali per risolvere i problemi della
sicurezza e della risoluzione dei conflitti nelle più diversificate aree di crisi.
Esistono aree di crisi nel mondo che diventano tali anche in maniera improvvisa,
senza aver dato segni premonitori di sofferenza tali da far adottare misure preventive:
aree di crisi potenziali da monitorare ed aree di crisi conclamate in cui la maggior parte
delle volte è già in corso una determinata tipologia di intervento. Laddove la minaccia è
molteplice e multiforme, le stesse organizzazioni internazionali e regionali hanno un
ruolo chiave da svolgere proprio perché la minaccia non è esclusivamente militare.
Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno proiettato sulla scena
internazionale nuove minacce derivanti da possibili azioni terroristiche e del crimine
organizzato, per cui le politiche di sicurezza e di difesa si trovano, oggi, a doversi
confrontare anche con un nemico trasversale, subdolo e talora immateriale.
Di conseguenza, sulla scena internazionale oltre alle crisi interstatali a livello
regionale e a quelle infrastatali, sono apparsi molteplici fattori di insicurezza, quali la
proliferazione delle armi di distruzione di massa, la diffusione di tecnologie e di
armamenti sofisticati, la pressione demografica, la criminalità internazionale e il
terrorismo di matrice fondamentalista-islamica: tutti questi fattori hanno incrementato le
aree di crisi e di potenziale conflitto e hanno imposto un radicale ripensamento dei
modelli di difesa delle società occidentali, Italia compresa, precedentemente incentrati
sulla disponibilità di forze e arsenali calibrati in chiave difensiva, per fronteggiare una
minaccia chiaramente definita in termini di provenienza, dimensioni e capacità.
Lo strumento militare italiano non si è sottratto a queste sfide, evolvendo dalla
dimensione prevalentemente statica della difesa del territorio nazionale verso il sostegno
dinamico all’azione della Comunità internazionale per la prevenzione e la gestione delle
crisi. (Marucci, 2009).
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1.2 Gli aspetti sociologici dell’organizzazione militare
Nel corso degli ultimi anni, il pensiero collettivo della società italiana nei
confronti delle Forze Armate ha subito profondi cambiamenti dovuti principalmente
all’evoluzione e alla trasformazione della società stessa.
Nel secondo dopoguerra, con un apice negli anni ‘70, buona parte dell’opinione
pubblica considerava le Forze Armate al di fuori della stessa società. Queste, infatti,
proprio per i profondi cambiamenti di quel periodo, registrarono atteggiamenti di
impopolarità e di non accettazione mai raggiunti in precedenza. In seguito alle
drammatiche esperienze della II guerra mondiale gli italiani avevano maturato
atteggiamenti di indifferenza nei confronti delle Forze Armate: eppure queste
continuavano ad esistere e a vent’anni i ragazzi erano chiamati al servizio di leva.
In alcune interviste effettuate da Battistelli i soldati di leva commentavano: “per
strada, in piazza, la gente ci guarda senza vederci: siamo trasparenti” (Battistelli,
1996; pag. 21). Peraltro anche i militari di professione riferivano di avere l’impressione
di essere irrilevanti. L’indifferenza e la scarsa attenzione del mondo politico dell’epoca
avevano contribuito a far si che i governi si limitassero a tenere in piedi uno strumento
militare appena sufficiente a soddisfare le richieste alleate orientate ad un concetto di
difesa europea a fronte di un blocco sovietico sempre compatto e minaccioso.
Nei successivi vent’anni si sono verificati profondi cambiamenti geopolitici: la
caduta del “muro”, la concretizzazione di un’Europa allargata, l’esasperazione del
fanatismo religioso, l’inasprimento dei conflitti mediorientali, l’impoverimento dei
Paesi sudamericani, l’economia emergente della Cina, la conflittualità diffusa,
l’esplosione di tensioni nazionali, etniche, religiose, la percezione delle minacce quali il
terrorismo internazionale, l’immigrazione di massa, la criminalità organizzata, il traffico
di droga, i disastri ecologici hanno ingenerato coinvolgimenti a livello internazionale di
cui la società mondiale non è stata spettatrice passiva.
L’Occidente ha reagito con determinazione e l’opinione pubblica ha assunto un
diverso atteggiamento nei confronti dell’organizzazione militare e di conseguenza è