Introduzione
Lo scopo di questa tesi è esaminare i percorsi politici compiuti dagli ex combattenti
provenienti dai reparti delle truppe d’assalto italiane, nei loro passaggi da soldati
appartenenti ad un corpo militare di élite, a membri di un gruppo politico di rilevanza
nazionale (con forti legami con il fascismo sansepolcrista), ad associazione autonoma in
contrapposizione politica e, per una sua parte minoritaria, anche militare al fascismo
reazionario e, infine, ad associazione di reduci pienamente integrata nelle strutture del
regime. Il periodo analizzato comprende quindi un arco temporale di circa sette anni dal
1917, anno in cui furono create i primi reparti d'assalto, al 1924 anno in cui il regime
fascista si afferma definitivamente e l'arditismo perde ogni sua significativa rilevanza
politica.
Il materiale e le pubblicazioni disponibili per lo studio degli arditi, tanto da un punto di
vista militare quanto da quello politico, hanno avuto negli ultimi 25 anni un impulso
notevole, non solo con l'edizione di nuovi libri, ma anche con la riedizione e le ristampe
di diari o, comunque, di libri contemporanei agli eventi o di poco successivi.
Mentre sul dopoguerra la documentazione a disposizione permette una ricostruzione
sufficientemente dettagliata degli eventi cui furono partecipi gli arditi, la
documentazione sulla nascita, lo sviluppo ed i combattimenti a cui presero parte i vari
reparti delle truppe d’assalto non è numerosa e spesso risulta contraddittoria. Indicativo
delle problematiche riscontrabili nell'affrontare tale studio è quanto riporta Giorgio
Rochat nel suo libro:
«All’ottobre 1917 risultano costituiti 23 reparti d’assalto secondo la commissione d’inchiesta
su Caporetto, 22 secondo la Relazione uffìciale dell’Ufficio storico dell’esercito: senonché
l’elenco dei reparti dato da quest’ultima fonte contrasta con le testimonianze della
memorialistica ed i successivi volumi della Relazione ufficiale. L’ordine di battaglia
dell’esercito al 24 ottobre 1917 fornito dalla Relazione cita solo 17 reparti d’assalto, con una
numerazione parzialmente fantastica e almeno una lacuna grave; nel corso della narrazione
della ritirata di Caporetto compaiono però nel volume altri reparti d’assalto non compresi nel
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citato ordine di battaglia, mentre lo scarso interesse per la specialità è attestato dalla continua
variazione delle denominazioni dei reparti, indicati ora con cifre arabe ora con cifre romane»
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Fra le fonti, da cui è possibile trarre le maggiori informazioni sul periodo bellico, vi è
sicuramente il libro dell’ex ufficiale degli arditi Salvatore Farina “Le truppe d'assalto
italiane”, edito nel 1938, che non si limita a ricordi personali ma approfondisce, in modo
particolareggiato ed esauriente, tutti gli aspetti militari delle truppe d'assalto -
dall’addestramento, alle armi, alle tattiche, alle principali battaglie.
Per quanto i libri e le memorie personali sull'arditismo, pubblicate negli anni 1920-’30,
tendano per lo più ad essere elogiative ed autocelebrative, sono storicamente utili perché
forniscono uno sguardo d’insieme sia sulle componenti ideologiche e morali degli arditi
in guerra, sia sulla vita militare, talvolta con la ricostruzione degli scontri bellici, letti
direttamente dal punto di vista delle truppe. È importante ricordare che la maggior parte
di tali opere sono state scritte negli anni del fascismo imperante e, per lo più, redatte da
figure di riferimento del regime che avevano, quindi, interesse a mostrare legami
indissolubili e di continuità fra arditismo, fascismo delle origini e fascismo di governo.
Continuità già ampiamente perseguita dal regime, mediante l’appropriazione dei miti e
dei simboli dell’arditismo.
Per quanto tali pubblicazioni tendano, quindi, ad esaltare la superiorità militare e morale
delle truppe d’assalto, i filoni narrativi possono essere ricondotti a tre indirizzi principali.
Il primo è quello politico-ideologico, con una vera e propria apologia dell’ardito,
sviluppato da autori, per lo più legati al movimento futurista, quali Mario Carli
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,
Ferruccio Vecchi, Tommaso Marinetti
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, Paolo Giudici
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; il secondo è rappresentato da
autori quali, Dante Mazzucato, padre Giuliani, Gianni Corsaro che, all’interno di un
racconto prevalentemente autobiografico, tendono ad evidenziarne la vena patriottica di
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Giorgio Rochat, Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, Gorizia, Leg, 2017, p. 16.
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«L’Ardito, il futurista della guerra, l’avanguardia scapigliata e pronta a tutto, alleggerita, agilizzata, sfrenata, la
forza gaia dei vent’anni che scaglia le bombe fischiettando i ricordi del Varietà. Si era finalmente trovato il tipo di
soldato nostro, assolutamente nostro, diverso dal bersagliere, dall’alpino, dallo zuavo francese, dal pattugliere
tedesco, dall’assaltatore austriaco, e adatto alle imprese più inverosimili, alle audacie più incredibili, alle avventure
individuali che toccavano il fantastico e il leggendario». Ed ancora «L’Ardito è agile, veloce, impetuoso e odia tutto
ciò che è lento, stanco, sfiduciato, pesante». Carli Mario, Noi Arditi, Milano, Facchi Editore, 1919, pp. 6, 36.
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In appendice (documento 1) è riportato il Manifesto dell’ardito futurista redatto da Marinetti.
5
«Tutto si disse di noi né ci mancò la lode. […] Fummo vilipesi ed esaltati, odiati ed amati, invidiati e rispettati;
ma nessuno fissò a lungo gli sguardi della mente nella profondità dell’anima nostra; chi tentò di studiarci e di
conoscerci e di giudicarci non vi riuscì; nessuno seppe e sa chi noi siamo, chi noi fummo. Nessuno. […] Chi
siamo e chi fummo solo noi possiamo saperlo; possono saperlo solo coloro che con noi ebbero comunanza di
vita,di fede, di ideali. Agli altri è soltanto possibile giudicare le nostre azioni di guerra e il giudizio, per noi, non
può essere che assolutamente lusinghiero». Paolo Giudici, Fiamme Nere, Firenze, Lecconi, 1920, p. 9
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stampo liberale/interventista; la terza interpretazione è quella di impostazione “militare”
e documentaristica, seppur nell’ambito di una elevazione morale degli arditi, ed è
rappresentata principalmente dal libro di Salvatore Farina e da altri documenti prodotti
dall’ufficio storico dell’esercito italiano.
I libri e le pubblicazione più recenti
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, invece, affrontano prevalentemente lo studio
dell'arditismo nel periodo post bellico, approfondendo gli sviluppi del movimento
all’interno del clima politico-sociale italiano del tempo, ed analizzando gli intricati
collegamenti fra arditismo, futurismo, fiumanesimo, fasci di combattimento e fascismo
di governo.
Nella redazione della presente tesi, oltre alle pubblicazioni più recenti, sono state
utilizzate alcune importanti fonti storiche, oggetto di ristampa, e ricerche su fonti
originali presso la Biblioteca nazionale di Firenze. In particolare le ricerche presso la
Biblioteca Nazionale hanno riguardato la rivista L'Ardito, pubblicazione ufficiale
dell'Associazione Nazionale Arditi d’Italia fino al 1923, ed epicentro del dibattito
politico interno all'associazione.
In considerazione del materiale disponibile e dello sviluppo temporale degli eventi che si
sono succeduti all'interno del periodo di studio, la tesi è stata suddivisa in quattro
capitoli: i primi due riferiti principalmente al periodo bellico; gli ultimi due riferiti
prevalentemente al periodo post bellico fino al 1924.
Nel primo capitolo sono affrontati gli aspetti legati alle origini degli arditi, con
particolare attenzione alle motivazioni che hanno portato alla nascita delle truppe
d'assalto ed agli aspetti legati al reclutamento ed all'addestramento di tali truppe.
Nel secondo capitolo sono analizzati con maggior dettaglio gli aspetti tattici e militari
con approfondimenti riferiti all'armamento, alle modalità di combattimento ed ai
principali scontri a cui hanno partecipato le truppe d’assalto.
Nel terzo capitolo è stato analizzato il periodo dell’immediato dopoguerra, fortemente
influenzato dall’andamento della Conferenza di pace di Parigi, cercando di seguire il
percorso, spesso non lineare, dell’Associazione degli Arditi all’interno del complesso
panorama politico italiano, anche in relazione agli intricati legami fra arditismo,
futurismo, fiumanesimo, fascismo.
Nel quarto capitolo sono state analizzate le vicende e le motivazioni che hanno portato
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Eros Francescangeli, Giorgio Rochat, Marco Rossi.
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agli aspri scontri interni al movimento arditistico, prevalentemente legati al rapporto da
mantenere con il fascismo squadrista, e la loro evoluzione, nel tempo, fino alla nascita
degli Arditi del Popolo. Nella parte finale del capitolo è stato seguito l’evolversi
dell’arditismo fino alla repressione fascista del dissenso interno all’associazione, e il
totale appiattimento politico della stessa, sulle direttive del governo fascista.
In particolare, nel presente studio, si è cercato di focalizzare l’attenzione sul dibattito
interno all’associazione ed al movimento arditistico, mostrando come il mito che vuole
gli arditi legati in modo imprescindibile allo squadrismo fascista ed al regime
mussoliniano, sia vero soltanto in parte. Il movimento, nel dopoguerra, non è mai stato
monolitico: vi sono state correnti politiche diverse che hanno portato gli arditi a militare
in schieramenti opposti ed a scontrarsi, anche militarmente fra loro, nella lotta tra
fascismo ed antifascismo. È il fascismo che si è appropriato dei simboli degli arditi
facendone proprie icone. La canzone “Giovinezza” (l’inno degli arditi divenuto prima
l’inno delle squadre fasciste e poi del regime), le camicie nere, i teschi, il fez, il pugnale,
l’ “A noi!”, sono tutti elementi appartenenti all’arditismo di guerra che il fascismo ha
utilizzato per affermare una continuità, anche ideale, fra arditismo, fascismo squadrista e
fascismo di governo. Sono i vincitori che hanno deciso chi erano gli arditi e cosa era
l’arditismo; che ne hanno ricostruito una storia parziale, tutta schierata a loro favore,
utilizzando l’arditismo, analogamente al mito della guerra, come elemento fondante del
regime.
Eppure anche le milizie degli Arditi del Popolo, nello scontro con le squadre fasciste,
utilizzavano ampiamente i simboli, i gagliardetti, le bandiere, le parole e gli
atteggiamenti tipici dell’arditismo di guerra; perfino nell’abbigliamento prevalente, il
maglione nero con ricami di pugnali o teschi, è evidente il richiamo alle truppe d’assalto.
Il fatto che l’arditismo popolare sia nato come movimento militare autonomo rispetto ai
grandi partiti di massa di “sinistra”, e che da questi sia stato osteggiato provocando così,
di fatto, il fallimento della possibile lotta armata unitaria antifascista, è certamente fra i
motivi che hanno provocato l’oblio dell’arditismo popolare anche nell’Italia democratica
repubblicana, facendo sì che l’unica memoria storica restasse quella dell’appropriazione
fascista, che identificava l’ardito con il fascista e l’arditismo con il fascismo.
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«nessuno [ha mai] avuto, né l’interesse, ne’ la volontà di scrivere una storia degli Arditi del popolo. Non l’ebbero
- comprensibilmente - gli storici fascisti (poiché l’esistenza dell’arditismo popolare smentiva il mito del
combattentismo divenuto in massa fascista). Non ebbero tale intenzione gli storici d’ispirazione liberal-
democratica (perché, trattando di Arditi del popolo, si sarebbe messo in luce l’atteggiamento di sostanziale
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Le pubblicazioni di Eros Francescangeli
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e di Marco Rossi
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mostrano con chiarezza
come questa visione storica non sia corretta. L’arditismo ha avuto nel tempo un
comportamento fortemente ambiguo e discontinuo nei confronti del fascismo: di
identificazione con il fascismo sansepolcrista rivoluzionario della prima ora; di frizione,
se non di aperto scontro, con il fascismo conservatore e padronale. L’antisocialismo
degli arditi è legato al nazionalismo intrinseco del movimento e non al rifiuto degli ideali
socialisti e di difesa della classe operaia. L’antisocialismo è quindi conseguenza della
scelta neutralista del 1914-15 e delle feroci critiche espresse dal partito socialista sulla
guerra, sulla conduzione della stessa, sui risultati ottenuti dall’Italia e, in parte, anche sul
movimento dei reduci. Gli arditi, che avevano combattuto con valore e ritenevano di
aver fornito un contributo decisivo al raggiungimento della vittoria, non potevano che
contrapporsi aspramente a tale visione. E la contrapposizione non poteva certo avvenire
su di un piano dialettico, che gli arditi disprezzavano e per il quale non erano attrezzati,
ma su un piano più consono al movimento, quello dello scontro armato. Solo in un
secondo momento, quando appare evidente la volontà governativa di utilizzare gli arditi
come “arma” per la repressione popolare in collegamento allo squadrismo fascista
reazionario, si ha un allontanamento della maggioranza del movimento arditistico dal
fascismo fino a divenirne, almeno in parte, antagonista e capace, anche se per una sua
porzione minoritaria, di contrapporvisi militarmente.
L’ANAI, l’associazione storica degli arditi, fu sciolta dal prefetto di Firenze nel gennaio
1925 per le forti critiche espresse al regime, ormai vincitore ed in via di consolidamento,
e sostituita dalla una una nuova associazione (FNAI), legata strettamente al fascismo di
governo. Anche analizzando gli articoli della rivista L’Ardito, organo ufficiale
dell’ANAI, si può notare come, rispetto ad una iniziale identità di tutto il movimento con
il fascismo rivoluzionario della prima ora, a seguito dell’esperienza dannunziana di
accettazione del fenomeno fascista da parte dei “moderati” di allora). E non ebbe tale interesse nemmeno la
storiografia legata al PCI, poiché significava compiere una valutazione critica della la propria storia. Solo in tal
senso è allora possibile comprendere l’oblio che gli Arditi del Popolo e la gran parte dei suoi dirigenti, Secondari
in testa hanno dovuto subire dalle storiografie, per così dire, ufficiali. Ma se è comprensibile capire
l’occultamento dell’arditismo popolare da parte della storiografia fascista del ventennio o la disattenzione di
quella d’impronta liberale e/o cattolica, non altrettanto lineare è la comprensione del perché la storiografia
d’ispirazione marxista e/o democratica abbia relegato gli Arditi del popolo a fenomeno marginale». Cit. in
Francescangeli Eros, Arditi del Popolo: Argo secondari e la prima organizzazione antifascista, Roma, Odradek,
2000, p. 6.
8
Ivi, Francescangeli Eros, Arditi del Popolo: Argo secondari e la prima organizzazione antifascista, Roma,
Odradek, 2000.
9
Rossi Marco, Arditi, non gendarmi! Dalle trincee alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-
1922), Pisa, BFS, 2011.
7
Fiume e dell’elaborazione della Carta del Carnaro, inizi un distinguo sempre più ampio
dal fascismo ed un legame indissolubile con gli ideali dannunziani che, seppur ambigui,
risultano per lo più incentrati su di un nazionalismo rivoluzionario
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(non certo
conservatore e padronale) e su diritti politici e sociali molto vicini agli ideali socialisti.
Con il progressivo disimpegno di d’Annunzio dalla scena politica, il movimento degli
arditi perde un fondamentale punto di riferimento, capace di coagulare intorno alla
propria persona le varie anime dell’arditismo, e, insieme, la possibilità di essere la
formazione di riferimento di un fronte nazionalista che, con altri movimenti legati al
“vate”, fosse capace di contrapporsi, anche militarmente, al fascismo reazionario.
10
La “Reggenza Italiana del Carnaro” di d’Annunzio fu l’unico “stato” che ebbe relazioni diplomatiche con
l’Unione Sovietica.
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Capitolo 1
Le truppe d’assalto italiane
1.1 Origini
Sono diversi gli ufficiali che hanno rivendicato il merito di essere il “padre” degli Arditi.
Il maggiore Baseggio si attribuiva la genesi degli arditi in quanto organizzatore, già nel
1915, di pattuglie “specializzate” nominate “Compagnia V olontari Esploratori” o
“Compagnia della Morte” che utilizzavano modalità di combattimento al di fuori dei
canoni usuali delle battaglie di trincea. Carli e Farina trattano ampiamente la questione,
dando merito al maggiore Baseggio di essere stato capace di coordinare e condurre
gruppi di volontari, esperti nell’effettuare azioni particolarmente “audaci”, con una
organizzazione per molti aspetti simile a quella che sarà poi dei reparti degli arditi; e
questo anche relativamente agli aspetti disciplinari. Scrive Carli di tali pattuglie:
«[Baseggio] pensò di organizzare un’azione di volontari coi quali pungere, irritare senza tregua
i fianchi dell’invasore, e raccolse per questa specie di guerriglia una banda varia e pittoresca di
uomini di ogni arma ed età, a cui fu dato il nome di «Compagnia Esploratori della Morte». Poca
disciplina formale, nessuna burocrazia, un’approssimativa gerarchia. Una squadra di
sottufficiali poteva essere comandata da un soldato, il più ardito ed astuto. […] Era in quegli
uomini, oltre a uno sfrenato bisogno di libertà, un enorme disprezzo per il nemico e per la
propria vita, un bisogno di battersi volontariamente, senza costrizioni, senza sanzioni: l’unico
premio a cui aspirassero era il «bravo!» del loro Baseggio»
Nonostante il maggiore Baseggio sia stato un precursore di modalità di combattimento
“alternative”, il merito della creazione del corpo degli arditi e della definizione delle loro
peculiari modalità di assalto va al maggiore Bassi. Farina si sofferma sull’origine degli
arditi, ricostruendone in dettaglio tutte le tappe e terminando con le parole del Gen.
Francesco Saverio Grazioli (comandante della 48
a
divisione e quindi diretto superiore
del col. Bassi), per il quale non vi sono dubbi sul fatto che «Il Col. Bassi deve ritenersi
ideatore e primo organizzatore di tali reparti e la sua opera ricordata come altamente
lodevole soprattutto per i risultati ch’essa dette a vantaggio del nostro esercito nel
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