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aspetti della vita sociale, ma anche il contrario, cioè
che la dipendenza del sistema politico dai mass media
tende ad aumentare. Sopratutto adesso, con la nascita
dei new media (internet, social networking, telefonia
mobile), questa relazione a doppio senso è sotto i
nostri occhi. Vediamo ad esempio i candidati alle
presidenziali USA, che sfruttano in ogni modo la
visibilità che i nuovi mezzi di comunicazione
assicurano: blog, Myspace, Youtube e quant’altro,
superando ogni esperimento precedente di video (o
web) politica.
Ogni Paese ha la sua storia, sociale ed economica, ed
è proprio da questa che dobbiamo partire per riuscire
a capire anche l’attualità. North la chiama
“dipendenza di sentiero”: il passato ha una potente
influenza, non perché assomigli al presente o debba
assomigliare al futuro, ma perché esistono correlazioni
importanti. I livelli di alfabetizzazione del 1890 e la
diffusione di massa dei giornali del 2000 sono collegati.
Il fatto che nell’Europa meridionale le istituzioni liberali
si siano sviluppate più tardi rispetto ai paesi del Nord
America ha segnato i modelli di giornalismo e di
informazione per lunghissimi periodi di tempo, facendo
della stampa un mezzo elitario, destinato ad un
processo orizzontale di dibattito e negoziazione fra
fazioni, e contribuendo a renderla come la conosciamo
oggi.
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Cercheremo di fare un confronto fra modelli
giornalistici (modelli tratti da una letteratura empirica,
non normativa) perché questo ci permette di
analizzare il loro sviluppo storico come istituzioni, e ci
aiuta a rispondere ad alcune domande. Ad esempio, se
la commercializzazione favorisce od ostacola
l’indipendenza dei media, o quale sia il modo migliore
per garantire la pluralità di voci e di opinioni in un
sistema politico.
1. I modelli
1.1 I criteri di classificazione
Hallin e Mancini
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, proponendo un quadro generale per
confrontare i sistemi di comunicazione, utilizzano
quattro criteri principali: lo sviluppo dei mercati della
comunicazione, il parallelismo politico, lo sviluppo della
professionalità giornalistica e il grado e la natura
dell’intervento statale nel sistema di comunicazione.
Su questa base sono stati elaborati tre modelli di
giornalismo, analizzando soltanto l’Europa e il Nord
America. Modelli che vengono definiti “tipi ideali”,
perché come sappiamo la realtà è sempre più
complicata delle divisioni in generi e classi, e quindi
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D. Hallin, P. Mancini, “Modelli di giornalismo. Mass media e politica nelle
democrazie occidentali”, Bologna, Laterza, 2006
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anche i Paesi che vengono associati in un unico
modello sono spesso molto più eterogenei al loro
interno. Un altro elemento che deve spingerci a
considerare queste classificazioni come “ideali” è la
costante evoluzione dei modelli verso la
commercializzazione, cominciata negli anni ’80 con la
nascita delle tv pubbliche.
Per sviluppo dei mercati gli autori intendono la
differenza che si viene a creare fra paesi dove i
giornali di massa sono nati intorno alla fine del 1800 e
paesi dove questo non è avvenuto. Lo sviluppo dei
mercati, e quindi la conseguente commercializzazione,
ha portato a crescite differenti: da una parte (in Gran
Bretagna, in America) i giornali erano grandi imprese
che si autofinanziavano, dall’altra (nell’Europa
Meridionale, tipicamente in Italia) la caratteristica di
prodotto elitario non ha mai reso i giornali indipendenti
da proprietà politiche e da sovvenzioni statali.
Parlando di parallelismo politico gli autori si rifanno a
un concetto più particolare, il parallelismo stampa-
partiti (Seymour-Ure, 1974;), ovvero una situazione
dove la struttura del sistema di comunicazione è
parallela a quella dei partiti. Un giornale per uno, per
semplificare. Oggi questa condizione è praticamente
impossibile da trovare, si parla quindi di parallelismo
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politico più in generale, per indicare correlazioni fra
mass media e matrici ideologiche.
Lo sviluppo della professionalità giornalistica è un
criterio abbastanza difficile da inquadrare, ma
indubbiamente efficace. Difficile perché la professione
giornalistica, tranne che in alcuni Paesi come l’Italia,
non ha un accesso regolamentato né altre
caratteristiche tipiche di professioni come l’avvocatura,
o la medicina. Riuscire a stabilire un criterio che
accerti il grado di professionalità è molto complicato: è
impossibile non rilevare che in Italia -come già
accennato- esiste un Ordine Professionale che non
tutela affatto la professionalità che viene considerata
molto bassa per altri motivi.
Hallin e Mancini propongono l’uso di tre criteri, da
verificare per accertare il grado di professionalità:
l’autonomia, l’uso di norme professionali distinte e
condivise, il giornalismo inteso o meno come servizio
pubblico. Verificando la presenza di queste tre
condizioni, si può stabilire la professionalità dei
giornalisti in ognuno dei Paesi studiati. Si tratta di un
criterio efficace, dicevamo, perché permette di capire
che relazioni ci sono fra il corpo mediale e il resto della
società.
L’ultimo criterio è il grado di intervento statale e la sua
natura nel sistema della comunicazione: lo stato entra
in molti modi nel sistema mediale, innanzitutto con le
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televisioni pubbliche, che sono presenti in quasi tutti i
Paesi presi in esame, ma anche con gli incentivi
economici e con l’emanazione di leggi che possono
favorire i giornalisti rispetto ai privati cittadini
(esimente del diritto di cronaca, diritto di critica,
norme più ampie sulla privacy).
La differenza sostanziale la troviamo fra Paesi nei
quali l’intervento statale è limitato, ad esempio
l’America, dove il Primo Emendamento e la filosofia
che ne consegue impongono un’assoluta indipendenza,
e Paesi dove lo Stato entra più prepotentemente nella
proprietà e nel finanziamento dei media (tipicamente i
paesi postcomunisti).
I modelli proposti da Hallin e Mancini sono tre: il
modello liberale, che prevale in Gran Bretagna, Irlanda
e Nord America, il modello democratico-corporativo,
che è presente in Europa continentale, e il modello
pluralista-polarizzato, che troviamo nei paesi
mediterranei dell’Europa meridionale.
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1.2 Il modello liberale
Il modello liberale è caratterizzato dallo sviluppo
precoce della stampa di massa, e dalla crescita del
sistema mediale senza interventi pesanti da parte
dello Stato: questo ha permesso di marginalizzare i
giornali di partito, quelli religiosi, sindacali ecc.
Ovviamente, ogni Paese che fa parte di questo
modello ha una storia a sé: quello che è vero per gli
Stati Uniti può esserlo meno per l’Irlanda, dove la
stampa religiosa ha avuto un certo peso, o per il
Regno Unito, dove i giornali commerciali si sono
sviluppati solo intorno al 1850, dopo essersi liberati
delle molte tasse e limitazioni imposte dalle èlite
dominanti, che temevano l’espansione indiscriminata
della stampa. Fattore comuni sono stati
l’alfabetizzazione precoce, aiutata dalla Rivoluzione
Protestante, e lo sviluppo dei mercati e delle classi
sociali legati ad essi.
I giornali si auto-sostenevano con gli introiti
pubblicitari, questo gli permetteva di essere
indipendenti dal potere politico. C’è a questo proposito
una discussione, fra chi ritiene che “il valore crescente
dei giornali come mezzi pubblicitari permise loro di
liberarsi gradualmente dal controllo del governo o dei
partiti e diventare voci indipendenti dell’opinione
pubblica” (Altick, 1957, pg.322), la cosiddetta
interpretazione dominante, e chi invece abbraccia la
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tesi revisionista, che vede nella commercializzazione
dei media un indebolimento, innanzitutto per la
concentrazione del potere nelle mani di chi ha interessi
economici, e poi perché i giornali appaiono più protesi
alla vendita di qualcosa che all’informazione dei
cittadini.
Qualunque delle due tesi si voglia abbracciare, di
sicuro la commercializzazione ha emancipato i giornali
di questi Paesi dalla dipendenza dai sussidi statali e
politici, senza però togliere loro del tutto un ruolo
politico indipendente.
Lo stile giornalistico è improntato all’obiettività e alla
separazione fra fatti e commenti. La
professionalizzazione è in genere alta, mentre con
alcuni distinguo che vedremo in seguito, il parallelismo
politico è più basso rispetto ai Paesi dell’Europa
meridionale.
1.3 Il modello democratico - corporativo
Il modello democratico - corporativo, conosciuto anche
come il modello delle “tre compresenze”, deve il suo
nome all’autore Peter Katzenstein, che definisce così,
nel suo Small states in world markets del 1985,
l’assetto dei piccoli paesi dell’Europa centro-
settentrionale che basavano la loro organizzazione
sulla condivisione del potere e la contrattazione fra gli
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interessi più forti nella società. Sotto questo modello
comprendiamo non solo la Scandinavia, i Paesi Bassi,
la Svizzera, ma anche la Germania e l’Austria,
sopratutto dopo il secondo conflitto mondiale.
Questo modello viene chiamato anche delle “tre
compresenze” perché la sua maggiore peculiarità è
associare alcuni elementi che a prima vista sembrano
estranei fra di loro, e che in genere non appaiono
insieme in altri contesti.
La prima delle tre compresenze è un forte parallelismo
politico associato ad una stampa a circolazione di
massa molto consistente. Quindi, mercati solidi della
comunicazione, che di solito si associano a libertà dal
potere politico, e di contro forte partigianeria dei mezzi
di informazione.
La seconda compresenza affianca il parallelismo
politico ad un forte grado di professionalizzazione del
giornalismo: anche questo è un fenomeno anomalo, in
quanto si manifesta in genere il contrario, con forte
partigianeria nei mass media che prestano poi
inevitabilmente il fianco alle strumentalizzazioni.
La terza ed ultima compresenza mette in evidenza una
consolidata storia di stampa libera unita a una
tradizione di forte intervento statale nei media. I
media sono stati sempre considerati un’istituzione
pubblica, e compito dello stato è garantire le pari
opportunità per tutti nella comunicazione.