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Introduzione
Internet è una Repubblica democratica fondata sul lavoro
non retribuito. L’evidente rilettura dell’articolo 1 della
Costituzione italiana
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è la costatazione principale che ha
generato il progetto di questa tesi. La domanda che ne
consegue è limpida nella sua semplicità: perché? E’ intorno a
questo interrogativo che si è sviluppato il lavoro di ricerca,
focalizzando l’analisi sul campo maggiormente caro ad uno
studente di un corso di Laurea come quello di “Informazione,
editoria e giornalismo”. Il giornalismo, per l'appunto. O
quantomeno, dal momento che non sempre è lecito parlare di
giornalismo, la creazione dei contenuti editoriali che
rappresentano il cuore pulsante di ogni sito Web. La conditio
sine qua non di ogni accesso e di conseguenza il mezzo
attraverso cui ottenere guadagni la cui fonte primaria
continua ad essere la pubblicità.
Per cercare di chiarire il proliferare del fenomeno della
mancata retribuzione – o della bassissima retribuzione, come
si vedrà più avanti – dei contenuti editoriali è innanzitutto
necessario delineare le caratteristiche contestuali. La prima
parte di questo lavoro mira quindi a garantire al lettore le
coordinate necessarie per orientarsi poi nella successiva fase
di ricerca, quella che tenta di dare una risposta al quesito
cardine. In primo luogo si traccerà una breve storia del
giornalismo online che mira a ripercorrere alcune tappe
salienti: la nascita negli Stati Uniti, l’arrivo in Italia, le prime
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“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, art.1
Costituzione della Repubblica Italiana.
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difficoltà incontrate nell’individuare un modello di business
efficace sino all’ascesa, favorita da due eventi esogeni come
il sexgate, lo scandalo che ha visto coinvolti l’ex Presidente
degli Stati Uniti Bill Clinton e la stagista Monica Lewinski e
gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Si vedrà
tuttavia come si sia dovuto attendere l’avvento del cosiddetto
Web 2.0 per avere da parte del giornalismo online una piena
maturazione, così come una capacità di definirsi autonomo
rispetto alla propria controparte cartacea, tanto da un punto di
vista di prestigio, quanto da un punto di vista di totale
sfruttamento delle caratteristiche del mezzo Internet. Dopo
aver portato a termine un’analisi di tipo storico, si andrà ad
esaminare nel dettaglio gli stravolgimenti provocati
dall’evoluzione tecnologica. La prima domanda che verrà
posta riguarderà i cambiamenti della notizia, ora
caratterizzata da elementi quali la tempestività, l’interattività,
l’ipertestualità e la multimedialità. A queste proprietà vanno
aggiunti l’inserimento nei motori di ricerca, quindi
l’indicizzazione e il posizionamento di ogni contenuto
editoriale e le tecniche di impaginazione ad esso legate. Si
vedrà inoltre come questa serie di stravolgimenti avrà
ripercussioni non solamente sulla notizia concepita, prodotta
e distribuita sul Web, ma anche su quella relegata
esclusivamente ai formati cartacei. Il cambiamento dei mezzi
tecnologici e quello della natura stessa della notizia non
possono che modificare, di conseguenza, l’approccio stesso
alla professione, così come il modus operandi e le abilità
richieste. Verrà tracciato un profilo del cosiddetto new
journalist, il giornalista online, la figura che tra scetticismo e
problemi di adattamento è diventata protagonista del nuovo
modo di fare informazione. A subire maggiori stravolgimenti
è con ogni probabilità – come si vedrà più avanti – il rapporto
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che il professionista deve intrattenere con i propri lettori, mai
stato così diretto ed immediato in precedenza. Altro aspetto
cruciale a venire riscritto dalle caratteristiche della Rete è uno
dei caposaldi della professione: la verifica della notizia e,
consequentemente, la sua attendibilità. Come viene gestito il
flusso imponente di informazioni? Come il suo
aggiornamento costante? Quali le conseguenze dal punto di
vista della credibilità tanto del mezzo quanto dei
professionisti che su di esso esercitano la propria attività?
Dopo aver risposto a questi interrogativi si cercherà di
delineare i diversi volti del giornalismo online, i formati che
ogni utente/lettore può trovare sulla propria strada durante la
navigazione in Rete. In primo luogo verranno analizzate le
cosiddette testate derivate, ovvero quelle che, forti di un
formato cartaceo in grade di garantire autorevolezza e lettori,
sono approdate sul Web. I casi d’interesse saranno tanto
nazionali (La Repubblica, Internazionale), quanto
internazionali (Daily Mail, New York Times, Guardian) e si
evidenzieranno le caratteristiche distintive della versione
online rispetto a quella cartacea. In seconda battuta si
concederà spazio alle testate nate direttamente sul Web
facendo affidamento su una ricerca pubblicata
dall’Università di Oxford, tramite il suo RISJ, Reuters
Institute for the Study of Journalism, che mira ad indagare la
situazione dell’editoria online. Verranno sottolineate,
attraverso l’analisi di alcuni casi, le difficoltà nel creare un
efficace modello di business in grado di garantire
quantomeno il raggiungimento di un punto di pareggio. Uno
spazio a sé stante verrà infine dedicato al fenomeno
dell’Huffington Post e alle sue innumerevoli controversie, di
particolare interesse – come si vedrà – per i temi trattati da
questa ricerca. Infine sarà la volta di quei formati giornalistici
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più direttamente figli del Web 2.0: la blogosfera, Twitter e il
citizen journalism. Analizzando queste diverse tipologie si
avrà modo di soffermarsi in particolar modo sul rapporto
sempre più stretto venutosi a creare tra giornalismo
professionista ed amatoriale. Quali le conseguenze per la
professione in seguito alla nascita e al successo di piattaforme
che consentono l’accesso alla produzione dei contenuti
editoriali ad un pubblico precedentemente relegato al ruolo di
spettatore passivo? Come considerare da un punto di vista di
legittimità il lavoro di un blogger? E’ autorevole un portale
di citizen journalism (o giornalismo partecipativo)? Quali le
ripercussioni generate da uno strumento quale è Twitter?
Perché sembra essere il social network preferito dall’universo
giornalistico?
La prima parte di questo lavoro verrà conclusa da una
sezione dedicata alla situazione della professione in Italia:
dalle leggi che la regolano alle modalità di accesso alla
professione; dal fenomeno del precariato al rapporto tra il
sistema editoriale italiano e la Rete. Ho ritenuto fosse
assolutamente necessario, in modo da fornire un quadro
completo in vista della seconda parte di questo lavoro,
soffermarsi su questi aspetti. Si partirà con un’analisi
dell’Ordine dei Giornalisti in Italia: la legge che lo istituisce,
la sua organizzazione, le sue funzioni, la sua legittimità, i suoi
rapporti con la Rete. Ha ancora senso parlare di un Albo
professionale quando chiunque può diventare autore
semplicemente disponendo di un computer e di un accesso a
Internet? L’Ordine è un’anomalia tutta italiana? Quali sono i
criteri d’accesso alla professione nel resto del mondo? In
seguito si delinereanno i rapporti tra l’universo giornalistico
e il fenomeno del precariato. L’analisi farà affidamento sui
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dati raccolti da Pino Rea ne Il Rapporto sulla professione
giornalistica in Italia, redatto per Lsdi. Uno degli elementi di
maggiore interesse è la constatazione di come l’asse della
professione si stia spostando dal giornalismo dipendente,
tutelato dai contratti e dalle leggi, dalla previdenza e
dall’assistenza sanitaria di categoria, al lavoro autonomo, alle
collaborazioni coordinate e continuative, al lavoro dei
freelance. Si vedrà come le ricadute più pesanti vadano a
finire sulle spalle dei giovani, di tutti coloro che aspirano e
cercano di trasformare il giornalismo in un lavoro di cui si
possa vivere. In questo senso verranno tracciati nel dettaglio
i rapporti che intercorrono tra l’universo degli aspiranti
giornalisti e Internet e che in qualche modo anticipano i temi
della seconda parte di questo lavoro di ricerca. Quali sono le
opportunità a disposizione dei giovani che si ritrovano a
navigare nel mare magnum della Rete in cerca di una
collaborazione che possa garantire loro quei requisiti richiesti
dall’Ordine dei Giornalisti per entrare a far parte dell’Albo
professionale? Quali i compromessi, quali i ricatti? Come si
vedrà, purtroppo, da questo punto di vista i dati raccolti sono
tutt’altro che confortanti e in un contesto dove il celebre
tesserino professionale diventa merce di scambio in uno
scenario spesso d’illegalità, è lecito chiedersi quale sia la
risposta delle istituzioni in tal senso.
Delineato il quadro di riferimento in ogni suo aspetto, la
seconda parte di questo lavoro si concentrerà sull’analisi del
fenomeno del lavoro non retribuito in tutte le sue molteplici
sfaccettature. La prima sezione di questa parte sarà frutto di
un vero e proprio viaggio nel mare magnum della Rete. Cosa
incontra realmente un aspirante giornalista nel momento in
cui si pone alla ricerca di una collaborazione? Quali le
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opportunità, quali le offerte, i pericoli? Lo scandaglio del
Web porterà alla luce diversi modelli di proposta, nessuno dei
quali particolarmente accattivante per gli aspiranti giornalisti.
Offerte a bassissima retribuzione – pochi centesimi ad
articolo -, pagamenti vincolati, cioè legati al numero di
visualizzazioni ottenuti dal singolo contenuto (sotto quella
soglia il lavoro viene svolto gratis), sino ad arrivare
all’hardcore delle collaborazioni gratuite, quelle dove nella
migliore delle ipotesi viene indicata una possibilità di
retribuzione futura in base al successo del progetto. Nel
mezzo – si vedrà – c’è anche dell’altro: dalla curiosa idea del
portale ItalianoSveglia di pagare i propri collaboratori
attraverso premi – è possibile vincere un contratto di
collaborazione – alle offerte poco trasparenti, dove di fronte
ad elementi non del tutto chiari – come la natura del portale
o la presenza o meno di una retribuzione –, viene garantita
comunque la possibilità di ottenere il tesserino da pubblicista.
In seconda battuta, la ricerca sposterà la propria analisi
sulle ragioni che favoriscono e sorreggono il fenomeno in
questione. Diverse le domande che verranno poste in questa
sede: cosa spinge una persona ad accettare di lavorare gratis?
Perché il fenomeno trova terreno particolarmente fertile
nell’universo delle prestazioni intellettuali? Si tratta di una
scelta consapevole o del prodotto di un sistema tutt’altro che
perfetto? A queste domande verrà affiancata una
considerazione di tipo economico: il lavoro non retribuito
inquina il mercato. Tra i sostenitori di questi tesi due
professionisti come Carlo Gubitosa e Silvia Bencivelli, con i
quali ho avuto il piacere di realizzare un’intervista che troverà
spazio assieme ad altre testimonianze: due blogger, Valentina
Orsini e Francesco Sellari, e due giovani aspiranti giornalisti,
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entrambi con una storia da raccontare. Ad ogni modo, dalla
ricerca emergerà come il mercato editoriale online si sia
andato a plasmare su di una nuova moneta: quella della
visibilità.
L’ultimissima parte di questa tesi poserà lo sguardo oltre i
confini nazionali cercando di capire se il fenomeno sia
un’anomalia tutta italiana oppure una realtà priva di
attenzione nei confronti di bandiere e culture diverse. Si avrà
modo di vedere come il dibattito fuori dall’Italia sia molto più
vivace: nel momento in cui mi sono trovato a ricercare delle
fonti, la disponibilità delle stesse provenienti dall’estero, in
particolar modo dagli Stati Uniti, era incredibilmente
maggiore rispetto a quella nostrana. Come si vedrà, sono
soprattutto i palcoscenici a cambiare radicalmente: l’analisi
del fenomeno e le diverse posizioni a riguardo sono ospitate
da testate autorevoli come Atlantic o The New York Times. In
questa sezione della ricerca troveranno inoltre spazio i
cambiamenti strutturali, di carattere tecnologico, economico
e sociale, che caratterizzano il proliferare del fenomeno. La
cosiddetta new economy, il dominio di una domanda che
trova nell’incredibile abbondanza dell’offerta il crollo del
valore di quest’ultima, nonché la sua arma di controllo. La
conclusione di questo lavoro sarà affidata ad una riflessione
di carattere più ampio, che partendo dall’universo
giornalistico arriverà ad inserire quest’ultimo in un contesto
economico e sociale definito dall’antropologa e ricercatrice
americana Sarah Kendzior, post-employment economy.
Ovvero, il rimpiazzo di lavori sicuri che permettono il
sostentamento con altri temporanei sottopagati o non pagati
affatto – e l’idea che questo sia normale e che queste posizioni
siano un passaggio inevitabile per raggiungere un “vero
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lavoro”. Infine ci sarà spazio per l’intervista che ho realizzato
alla gentilissima Sarah Kendzior, dove viene lanciato anche
un importante messaggio da parte dell’antropologa
americana: quello che sprona alla lotta. Gli sfruttatori
dovrebbero vergognarsi, non gli sfruttati.
Questa tesi è il frutto di un utilizzo incrociato di materiale
bibliografico e, soprattutto, articoli pubblicati online. Il
lavoro di ricerca è stato svolto esclusivamente su Internet, ad
ulteriore dimostrazione delle straordinarie potenzialità di
questo mezzo, il cui contributo nel proliferare del fenomeno
descritto in queste pagine dev’essere inquadrato come neutro.
La discriminante in tal senso rimane sempre l’utilizzo che ne
fanno le persone. Non mancano, nella scelta dell’argomento,
un discreto fardello di esperienza personale e il desiderio di
salvaguardare ad ogni costo tanto il mercato, quanto in primo
luogo la dignità inalienabile di qualsiasi tipo di lavoro.