3
1.1 Cenni di semiotica alimentare
La semiotica (dal greco σημειωτική - simeiotikí) è per definizione «la scienza dei segni
linguistici e non linguistici»
1
, ossia, citando Gianfranco Marrone, «di tutto ciò che
l’uomo, nelle sue diverse manifestazioni storiche e geografiche, adopera per entrare in
contatto con gli altri uomini, ma soprattutto per significare sé stesso, le organizzazioni di
collettività, la storia, la cultura, la natura, il cosmo nella sua interezza, le divinità»
2
. Tra
la moltitudine di segni che l’uomo utilizza, vi è proprio il cibo, il quale «forse ancor di
più e ancor meglio di molti altri sistemi di significazione umana e sociale, dalle materie
prescelte alle tecniche per trasformarle sino alla modalità della loro assunzione, è
significativo»
3
, questo perché «se, come si ripete, l’uomo è ciò che mangia, non è tanto o
soltanto perché le sostanze che via via incorpora vanno a costituire la sua materialità
fisica, quanto anche perché, dal punto di vista antropologico, il cibo che prepara e
ingerisce lo rappresenta, lo significa, contribuendo a costruirne l’identità, individuale
come collettiva»
4
. La semiotica alimentare tende a distinguere due diverse dimensioni del
cibo che, nella realtà di tutti i giorni, si incrociano continuamente: il linguaggio sul cibo
e il cibo come linguaggio.
5
Di cibo si è sempre parlato e sempre si parlerà. Viaggiando attraverso tutte le epoche,
infatti, non è difficile riscontrare come il rapporto con il cibo abbia permeato tutte le
azioni compiute dall’uomo, dalle strutture economico-sociali al lavoro, dal potere ai
valori culturali. Ogni testo storico contiene almeno un accenno a questo tema e basti
pensare alla miriade di proverbi che ne mettono in evidenza con saggezza sia i pregi che
i difetti, o che lo utilizzano come metafora per trasmettere saggi insegnamenti, per capire
quanto siano antichi gli assunti attorno al cibo. Credere che oggi si parli di cibo più di
quanto si facesse in passato, è frutto di una visione limitata dell’argomento. Ciò che
distingue epoche passate dal presente non è una sua maggiore importanza nel vivere
quotidiano dell’uomo, quanto piuttosto un’amplificazione dei mezzi e delle occasioni
durante le quali è possibile parlarne e, al contempo, approfondire le proprie conoscenze
e consapevolezze sulla materia. Il fatto che oggigiorno oltre che nei libri di cucina, nelle
riviste, nelle guide di settore e nei romanzi, si parli di cibo in tv, al cinema, alla radio e
1
treccani.it/enciclopedia/semiotica_%28Dizionario-di-filosofia%29/
2
Marrone G., 2019, Semiotica del gusto: Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola cit., p. 17
3
Ivi, p. 18
4
Ivi, p.18-19
5
Ibidem
4
online, ha provocato un incredibile aumento di riflessioni e discussioni intorno a esso.
6
L’immediatezza di alcuni media e la passività con cui possono essere utilizzati (mi
riferisco in particolare alla radio, alla tv e agli smartphone) hanno inoltre messo in primo
piano l’argomento alimentare. Si pensi, ad esempio, a cosa succede accedendo a un
qualsiasi social network: nella maggior parte dei casi non è l’utente a ricercare
attivamente informazioni, ma sono queste ultime a raggiungerlo, fino talvolta a
travolgerlo. In questa valanga di contenuti a emergere è sovente proprio il cibo, in
particolare all’interno di foto dalle inquadrature ben studiate e in filmati, come video-
ricette dalle anteprime accattivanti o video-assaggi di cibi più o meno stravaganti, che i
fruitori visualizzano, come passatempo o realmente interessati, spesso senza neanche la
necessità di premere il tasto play sul proprio dispositivo. Ascoltatori, spettatori e utenti
vengono in questo modo invogliati, talvolta inconsapevolmente e attraverso meccanismi
simili a quelli riscontrabili nei classici contenuti pubblicitari, a modificare e ad affinare i
propri gusti, a selezionare e a preparare i cibi in maniera più consapevole per sé stessi e
per l’ambiente, a esporsi sul web in vecchie o nuove passioni, fino a interessarsi a
problematiche anche molto lontane rispetto alla propria realtà.
Il mondo dell’alimentazione è stato spesso paragonato a quello della comunicazione,
poiché il cibo, così come definito da Lévi-Strauss (1968) «buono da pensare»
7
,costituisce
di per sé una specifica forma di linguaggio. Secondo il celebre antropologo è riscontrabile
una profonda connessione tra l'organizzazione di ogni differente cultura e il suo sistema
alimentare e culinario, costituito da tutta una serie di concessioni e divieti, gusti e
disgusti. In questo senso, citando Marrone, «così come nessuno parla unicamente per
trasmettere messaggi, o si veste soltanto per proteggere il corpo, allo stesso modo nessuno
mangia solo per nutrirsi o per godere dei sapori»
8
. Oltre a una natura funzionale ed
estetica degli alimenti, vi è infatti una loro natura semiotica, ovvero ciò che ha permesso
all'uomo di abbandonare i semplici istinti animaleschi per costituire forme diverse di
cultura e civiltà. Le migliaia di gastronomie che ne sono conseguite, sono «la
dimostrazione più evidente della cucina come fatto sociale totale che tende a produrre
forme di identità etnica. I cibi sono segni di noi e del nostro mondo sociale»
9
. Roland
Barthes, fra i primi semiologi a interessarsi di queste tematiche, ne L’alimentazione
6
Marrone G., 2019, Semiotica del gusto: Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola cit.
7
Ibidem
8
Marrone G., 2019, Semiotica del gusto: Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola cit., p. 23
9
Ibidem
5
contemporanea sostiene che il cibo «non è soltanto una collezione di prodotti, bisognosi
di studi statistici o dietetici. È anche e nello stesso tempo un sistema di comunicazione,
un corpo di immagini, un protocollo di usi, di situazioni e di comportamenti»
10
.
Tralasciando l’idea del cibo semplicemente come mero carburante per il nostro
organismo, grazie alla cucina e al gusto, esso assume significati più profondi, basati su
complesse relazioni, ad esempio, fra «natura e cultura, crudo e cotto, elaborato e non
elaborato»
11
. A tal proposito, se da un lato Lévi-Strauss come antropologo, si è soffermato
sul rapporto tra natura e crudezza opposto a quello tra cultura e cottura, chiarendo come
anche il crudo sia una forma di trasformazione culinaria, Greimas (1983), approfondendo
ulteriormente l’argomento dal punto di vista semiologico, ha identificato nell’opposizione
cultura/natura «l’effetto di senso della differente percezione del grado di elaborazione dei
cibi»
12
. Più un cibo è elaborato, più viene percepito come prodotto culturale (es. il bollito);
al contrario, meno è elaborato, più viene percepito come naturale (es. l’arrostito).
Parallelamente, dove Lévi-Strauss tratta tutta quella serie di usanze e rituali che le varie
culture associano a tecniche culinarie di base come la bollitura e l’arrostitura, Greimas si
sofferma anche sui significati che esse assumono: la prima viene, infatti, solitamente
associata all’immaginario femminile e stanziale, mentre la seconda a quello maschile e
nomade.
Un’altra analogia importante è quella tra la cucina, intesa come modificazione culturale
del cibo, e la digestione degli alimenti, considerata un’elaborazione naturale, per la
definizione di gusto e disgusto. Dal punto di vista digestivo, il gusto corrisponde al
seguire il corretto orientamento dei processi di trasformazione del cibo, che deve entrare
dalla bocca e fuoriuscire dall’organismo attraverso l’ano, e il disgusto viene provocato
dall’inversione di questo andamento. Spostandosi sul piano culinario, l’apprezzamento o
il disprezzo nei confronti del cibo corrisponde al riprodurre il naturale processo di
digestione a un livello superiore, ossia culturale. Più precisamente, le manifestazioni
naturali di gusto e disgusto divengono simboli per l’elaborazione di giudizi culinari
(pensiamo, ad esempio, all’utilizzo dell’espressione “questo piatto fa vomitare” e
all’analogia con lo stimolo di disgusto come risultato di processi digestivi che seguono
un andamento ben preciso all’interno dell’organismo).
13
10
Barthes R., 1998, L’alimentazione contemporanea, Einaudi, Torino, Trad. di: Pour une psycho-sociologie de l’alimentation
contemporaine, 1961 trad. di Marrone G. p.33
11
taccuinigastrosofici.it/ita/news/contemporanea/semiotica-alimentare/dimensioni-comunicative-del-cibo.html
12
Marrone G., 2019, Semiotica del gusto: Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola cit., p. 25
13
Ibidem
6
Culture alimentari diverse, inoltre, distinguono e classificano gli esseri viventi, animali e
vegetali, in commestibili e non commestibili, nutritivi e nocivi, permessi e vietati. Così,
come i diversi idiomi tendono a distinguere tra una zona intima (questo), una zona
prossima (codesto) e una zona distante (quello), le specie animali vengono ritenute
commestibili o meno in base alla zona in cui si trovano o in cui vengono percepite.
14
Gli
animali da cortile e quelli che vivono nei luoghi più accessibili (prossimi) vengono
mangiati, mentre gli animali domestici (intimi) e quelli ritenuti esotici (distanti)
solitamente non vengono consumati. Un classico esempio è quello del cane, tipicamente
considerato un animale domestico, ma che in alcune regioni della Cina viene ritenuto
commestibile se appartenente ad alcune razze che vivono lontane dalle abitazioni. Il caso
appena proposto dimostra anche che se da un lato il cibo contribuisce a rafforzare
l’identità di un gruppo, dall’altro va inevitabilmente a evidenziare le differenze tra gruppi
diversi o, in altri casi, all’interno degli stessi gruppi, tra individui diversi
15
. Come tabù di
origine culturale, nel nostro paese è impensabile il consumo di carne canina, mentre in un
paese vicino come la Svizzera, dove manca un’apposita legge che lo vieta, questa, seppur
isolatamente in contesti familiari, viene consumata. Ecco che un’abitudine, una
tradizione, un determinato regime alimentare, divengono lo specchio culturale e
comunicativo del singolo o di intere società, entrando a far parte della moltitudine di
linguaggi che si fanno specchio del mondo.
Come già accennato, i due piani comunicativi appena analizzati, tuttavia, tendono a
fondersi e a confondersi nella vita di tutti i giorni. Concentrarsi sulla ricerca di una
risposta alla domanda «il cibo significa perché se ne parla o se ne parla perché
significa?»
16
sarebbe infruttuoso. Ciò che è importante sottolineare è la possibilità di
ritrovare il cibo tanto nella sfera del tangibile, del reale, come in un pasto preparato
seguendo determinate tecniche culinarie, quanto in quella dell’astratto, della
rappresentazione, ad esempio in una rivista o in un post sui social network, come
dimostrazione del fatto che quello del mangiare è un atto che fa parte di un sistema
contemporaneamente gastronomico, semiotico, sociale e antropologico.
14
Rastier F., 2001, Arts et sciences du texte, Presses universitaires de France, Paris
15
Francesconi C., Raiteri M., 2018, “Pratiche alimentari e relazioni sociali”, Franco Angeli, Milano
16
Bajini I., Calvi M.V., Garzone G., Sergio G., 2017, Parole per mangiare. Discorsi e culture del cibo, LED, Milano, p. 8
7
1.2 Il cibo come forma di comunicazione nelle arti visive
Quello del mangiare, per la maggior parte delle persone, è solo uno dei tanti aspetti che
scandiscono la normale routine quotidiana. La fame diviene così «un’intrusa che va
placata in tempi rapidi»
17
, per evitare che essa possa distrarre da altre attività ritenute più
importanti. Se si va oltre l’idea del cibo come mero bisogno fisiologico però, è possibile
analizzarlo, oltre che dal punto di vista semiologico, anche come soggetto artistico. Non
solo le cosiddette «arti belle», ma in generale tutte le arti riconosciute come tale
attingono, infatti, dalla materia alimentare, tanto per alimenti grezzi e selvatici, quanto
per prelibatezze raffinate ed elaborate. Cibi e sapori compaiono in numerosissimi prodotti
delle arti visive, dapprima esclusivamente nella pittura e, successivamente, anche
all’interno di media quali fotografia e cinema, che posizionano il cibo in una dimensione
lontana dai reali processi alimentari. Nell’era della riproducibilità tecnica
18
così, la
quantità di immagini dedicate al cibo si è moltiplicata e quadri, foto e film che parlano di
cibo vengono considerate opere d’arte a tutti gli effetti, non per l’oggetto rappresentato
in sé, ma per il fatto che esso diventa metafora di sentimenti e fenomeni, facendosi
portavoce dei più intimi sentimenti umani, dall’amore ai conflitti, dalle difficoltà
comunicative alle più profonde modificazioni della società.
17
Korsmeyer C. a cura di Perullo N. trad. di Marino S., 2015, Il senso del gusto Cibo e Filosofia, Aesthetica Edizioni, Palermo cit., p.185
18
Che riprende il titolo di un famoso libro di Benjamin W., 2014, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,
Torino