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INTRODUZIONE
Le regole del “gioco” perfetto
La linea teorica che stiamo provando a delineare ha come
caratteristica fondamentale un’andatura ibrida ed ambigua, fuori da
ogni sorta di incanalamento a schemi determinati. Cercare di
inquadrare un approccio teorico in un senso piuttosto che in un altro,
non è l’intenzione della tesi che vogliamo intraprendere e sostenere.
Piuttosto, il nostro intento sarà quello di procedere per vie trasversali,
inconsuete e ambivalenti. Cerchiamo di procedere secondo una linea
del tempo dettata dal movimento stesso dei concetti, i quali viaggiano
da soli verso delle direzioni piuttosto che altre. Il concetto del gioco,
ad esempio, abbiamo avuto modo di accennare quanto sia enigmatico
e difficile da far rientrare in categorie prestabilite. E’ all’infuori di
ogni modello temporale e teorico, in quanto è sia a libera
interpretazione che a libera fluttuazione. Quello del gioco è un
movimento libero, oscillante che si muove nella rete del tempo e dello
spazio senza poter tessere ragnatele di significati oltre quelli che il
gioco stesso ci insegna. Il gioco è «un’azione libera: conscia di non
esser presa ‘sul serio’ e situata al di fuori della vita consueta che
nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; un’azione a
cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene
vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di
proposito, che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita
rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano
mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito»
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, per dirlo
con le parole di Huizinga. Il gioco, così come inteso dallo studioso
olandese, è inserito in un contesto a sé stante, appartenente solo a sé
6
J. Huizinga, Homo Ludens. Einaudi, Torino, 1946, p.7
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stesso e ad esso ricondotto. Il suo schema strutturale è in realtà rigido
ma non per noi, in quanto è esso stesso che ci governa e ci controlla
secondo i suoi ritmi. In particolare, la sua massima manifestazione in
un contesto propriamente culturale permette di accentuare ancora di
più quanto il gioco non sia staccato da noi, ma vive attraverso di noi.
Quando giochiamo viviamo una sorta di separatezza dal tempo reale,
mettendo in standby la realtà e dedicandoci solo al tempo del gioco.
Entriamo in un mondo parallelo in cui non esistono le regole e i modi
della vita reale, ma quelli del gioco. Siamo noi che ce ne appropriamo
trasformandolo in varie forme seguendo le scie culturali su cui spesso
ci adagiamo. Sì perché è proprio in questo senso propriamente
culturale che si gettano le basi per ricondurre il gioco a qualcosa che
ci appartiene ma non è nostro; è di un altro tempo, un altro spazio, un
altro mondo racchiuso nella sua bolla magica. Eppure, da questa
visione mistica del gioco in Huizinga, si è passati a trasportare il
gioco in una dimensione più profana, dove la realtà e il gioco non
solo vengono ad ibridarsi ma anche a cozzare. Huizinga aveva del
gioco una visione culturale molto forte, ma per quanto fosse libero di
essere secondo il suo sistema instabile, lo aveva trasceso dalla realtà
che è la nostra principale amica-nemica. La realtà è molto più forte
anche di noi stessi e ci permette di poter trasformare il valore
culturale del gioco in termini più terreni, riuscendo così a deviare il
gioco da singolo a più giochi.
Anche la nostra realtà non è unica ma è arbitraria, duttile,
ambivalente, è sempre in grande trasformazione. E’ una realtà in
potenza, che segue il meccanismo degli eventi e procede secondo la
scia di ciò che sarà o potrà essere. I giochi stessi seguono la linea del
tempo, dello spazio e dei cambiamenti, in quanto non sempre sono
regolati o scanditi da precise direttive ma anche dalla libera
interpretazione e volontà. Così come ogni realtà è unica e duplice,
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ogni gioco si adatta alla propria realtà e al modo in cui noi viviamo la
nostra realtà. Per dirla alla Callois: «I giochi, dunque, non sono
regolati e fittizi. Sono piuttosto o regolati o fittizi. Tanto che, se un
gioco regolato appare in determinate circostanze come un’attività
seria e al di fuori dalla portata di chi ne ignora le regole, se cioè gli
appare come facente parte della vita normale, questo gioco può
immediatamente fornire al profano sconcertato e curioso lo schema di
un divertente simulacro».
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Lo studioso francese è stato uno dei primi
ad ampliare la visione classica di Huizinga, introducendo nozioni e
meccanismi del gioco che ci hanno portato a gettare le basi per i
diversi criteri in cui il gioco viene vissuto, fino ai nostri giorni.
«Nel mondo del gioco, chiuso in sé, limitato nello spazio e nel
tempo e fissato dalle regole, ogni giocatore lancia la sua sfida al
destino, all’altro, all’immagine, a se stesso, come si può derivare dai
quattro tipi di gioco distinti da Caillois».
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Difatti, con le sue quattro
forme del gioco (l’agon, l’alea, la mimicry e l’ilinx)
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l’orizzonte si è
spogliato di un’aura oscura e si è ricoperto di un cono di luce sui
differenti modi di vivere e vedere il gioco. Ognuna di queste forme ha
una sua proprietà, designa un diverso espediente di cui il gioco si
impregna, dando vita a più visioni sia del gioco che dei giochi.
Oggigiorno possiamo notare come il gioco, in verità, non sia più
interpretabile come uno stile a senso unico su cui poter studiare o
intravedere la realtà, ma è divenuto enigmatico e duplice. La realtà
stessa non solo si è evoluta, ma ha fatto sì che con il passare del
tempo si creasse una linea immaginaria intorno a noi senza riuscire a
capire il confine tra gioco, realtà e virtualità. Ritorna questo termine
poliedrico, il quale sarà un perno centrale non solo della nostra teoria
ma soprattutto del nostro punto di vista sulla realtà. Difatti, esistono
7
R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano, 1981, p. 24
8
C. Mongardini, Saggio sul gioco, Franco Angeli, Milano, 1990, p.24
9
R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, cit., p.27
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molti giochi ma soprattutto esistono tanti stili di gioco in cui la realtà
viene completamente capovolta dal suo significato originario. Con
l’avvento della tecnologia, dei videogames e dei mobile games questo
scenario teorico viene a caricarsi ancor di più di un senso ibrido e
ambiguo. Infatti, è proprio qui che viene ad inserirsi la già citata
ambivalenza del gioco in termini di play e game.
«Innanzitutto bisogna distinguere tra l’astratto concetto di un game
e gli individuali plays di questo game. Il game è semplicemente
l’insieme [totality] delle regole che lo descrivono. Ogni caso
particolare in cui il gioco – game è giocato [played] – in un modo
particolare- dall’inizio alla fine è un gioco – play. In secondo luogo,
bisognerebbe stabilire una distinzione corrispondente per le mosse
[moves] che sono elementi componenziali del gioco [game]. Una
mossa è l’occasione di una scelta [choice] tra varie alternative che
deve essere fatta da uno dei giocatori o per mezzo di uno strumento
che generi esiti casuali, sotto le condizioni esattamente prescritte dalle
regole del gioco [game]. La mossa non è null’altro se non questa
astratta “occasione”, con i dettagli descrittivi che ne seguono – vale a
dire – una componente del gioco [game]. La specifica alternativa
scelta in una situazione concreta, per esempio in un concreto gioco
[play] è la scelta [choice]. Così le mosse sono correlate alle scelte
nello stesso modo in cui il game lo è al play [il gioco lo è alla partita].
Il game consiste in una sequenza di mosse e il play in una sequenza di
scelte».
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E’ dunque chiaro come questa mescolanza tra play e game
abbia delle ricadute non solo sulla teorizzazione del gioco finora
inteso, ma soprattutto da un punto di vista psicologico e sociologico.
Se attraverso questo piccolo excursus concettuale del gioco abbiamo
potuto constatare come questo abbia avuto degli allargamenti di
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J. Von Neumann,O. Morgenstern, Theory of Games and Economic Behavior, Princeton
University Press, New Jersey, 1944 citato in De sanctis Ricciardone P., Il potere del debole.
Dal gioco al sapere, Meltemi, Roma, 1997, pp. 125-142
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vedute, nello stesso modo abbiamo potuto osservare come questi
cambiamenti abbiano stravolto l’atteggiamento delle persone. Non si
può ancora propriamente di giocatori in quanto, in questo contesto,
teniamo a sottolineare l’importanza di questo spostamento di asse da
un gioco inteso con meccaniche e dinamiche prettamente ludiche ad
un gioco intrinsecamente pregnante di regole e strategie. Prima
ancora di essere giocatori siamo persone, con peculiarità individuali e
sociali attribuibili a questo contesto di vita quotidiana, il quale
abbraccia gran parte delle nostre esigenze e dei nostri bisogni
primariamente umani. Ed è proprio qui che si concentra il punto
nevralgico del discorso: il passaggio fondamentale da persone a
giocatori anche nella nostra routine. A questo punto c’è da chiedersi
se questa transizione sia davvero avvenuta o se in realtà sia sempre
esistito questo intreccio di persone come giocatori e viceversa.
E’ dunque probabile che, in un contesto sia personale che sociologico,
noi siamo sempre stati giocatori di noi stessi e della realtà che ci
circonda utilizzando tattiche, strategie e facendo scelte che hanno
condizionato i due emisferi del reale: quello interiore e quello esterno.
Come afferma Giuliano: «vi è dunque un ruolo–game, uno schema di
comportamenti prescritti che ognuno di noi utilizza per conseguire
vantaggi e gratificazioni sociali. Questo è un ruolo che viene “giocato
sulla base delle regole”. […] Poi vi è un ruolo – play, in cui l’identità
dell’attore prevale sulla strumentalità dell’atto. In questo caso il ruolo
è prima di tutto gratificante di per sé, non come mezzo per conseguire
qualche obiettivo».
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Siamo dunque composti sia da play che da
game; non è un confine sottile che divide le nostre mosse dalle nostre
scelte ma è la concatenazione di entrambi che ci ha portato a
realizzare come il gioco sia sempre stato ambiguo, ma anche
11
L. Giuliano, I padroni della menzogna. Il gioco delle identità e i mondi virtuali, Meltemi,
Roma, 1997, p.49
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esclusivo. Come noi stessi interpretiamo dei ruoli diversi, diventando
dunque dei giocatori, in base alle situazioni, al contesto in cui ci
troviamo pur essendo una sola persona. Tutto questo può essere
oggigiorno racchiuso nella cosiddetta “gamification”; in particolare,
per far sì che questa avvenga c’è bisogno di quattro requisiti
vincolanti: obiettivi, regole, punteggio e divertimento.
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Questi non
sono altro che i punti necessari affinché il gioco possa avvenire ma,
nel caso della gamification, non solo sono basilari bensì è anche
fondamentale che avvengano in maniera processuale e
imprescindibile affinché possa riuscire l’obiettivo per cui è stata
applicata questa tecnica. Come sappiamo, la gamification viene
applicata in contesti non propriamente ludici, ovvero in diversi ambiti
che abbracciano diversi contesti culturali, sociali e lavorativi, tra cui
ad esempio la realizzazione dell’aspetto grafico dei siti web, social
network, campagne promozionali e pubblicitarie in luoghi virtuali o
reali che ogni giorno viviamo. Spesso siamo circondati da un tale
bombardamento di gamification in ogni aspetto della nostra vita senza
renderci conto che attuiamo degli atteggiamenti che rispecchiano
esattamente i quattro punti del gioco: abbiamo degli obiettivi da
raggiungere, ci atteniamo alle regole per poter raggiungere il nostro
scopo, sappiamo che in base al nostro operato possiamo ricevere delle
ricompense o delle penalità e che possiamo proseguire alzando ogni
volta l’asticella dei nostri livelli superati oppure abbandonare in
qualsiasi momento. E’ un po’ come le regole della vita reale, quella
che ti costringe a dover stare al passo con te stesso e con la società
che ti circonda ricevendo gratificazioni e ottenendo massima stima se
prosegui nel modo corretto, oppure paghi lo scotto del non avere fatto
12
F. Viola, Gamification – I videogiochi nella vita quotidiana, Arduino Viola, Roma, 2011,
p.160
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abbastanza, uscendo fuori dal coro e cercando di recuperare il prima
possibile la partita persa per essere al pari livello degli altri.
C’è quindi una realtà-game che accompagna una realtà-play
intrisa di regole, valori, scelte e mosse che sono sempre
interdipendenti l’una dall’altra. Il nostro stesso modo di agire è quindi
compromesso e influenzato da questa dualità che si fonde in un’unica
entità, la quale si manifesta attraverso il nostro corpo. Quest’ultimo è
la macchina perfetta per poter raccogliere le sfide della realtà tra il
play e il game, tra le mosse attinenti alla vincita di una partita e le
nostre scelte da cui dipende tutto: la nostra realtà, la reputazione di
noi stessi e la percezione del nostro corpo. Rappresenta il fulcro
dell’agire, attraverso di esso viviamo il mondo e il mondo vive in
noi. Giochiamo con tutto il nostro corpo, sempre. In questo senso, ci
possiamo interrogare su come questi possa influenzare la nostra realtà
e come possa essere da essa influenzato. E’ qui che si insinua la
differenza tra realtà e virtualità, tra una realtà concretamente vissuta
sulla nostra pelle o una pratica più collegata ad un espediente digitale
e tecnologico. Il gioco stesso si è modificato in entrambi i sensi; in
base al tipo di esperienza vissuta anche il nostro approccio al gioco si
altera, sia da un tipo di vista mentale che soprattutto fisico. Il
medesimo corpo si trasforma in un corpo-game o un corpo-play a
seconda della sua funzionalità e della sua attinenza con il momento
vissuto. Un corpo-game è soprattutto un corpo che ha delle regole, in
questo caso quelle tecnologiche, e le sue mosse sono dettate anche
dalla sua natura intrinsecamente intesa. Il corpo in questo caso
diventa lui stesso il gioco, sia di sé stesso che confrontato al reale e al
virtuale, mettendo alla prova le sue leggi, anche sfidandole, affinché
possa raggiungere l’obiettivo di un’armonia tra il corpo e ciò che
vorremmo che il corpo fosse. Questo permette, dunque, di vedere il
corpo come una sorta di dimensione potenziale e ‘virtuale’ in grado di
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poter diventare ed essere qualsiasi cosa voglia in base all’uso che di
esso ne facciamo. A seconda dell’occasione che ci troviamo ad
affrontare e al momento che ci troviamo a vivere, il corpo può
trasformarsi ed affrontare metamorfosi oltre le norme del possibile.
Questo gioco di intenti si realizza sulla base di un game in cui il corpo
è vivo, centrale; crea e subisce nuove sfide lungo un percorso ibrido e
meccanico in cui la tecnologica, la realtà e la virtualità danno il loro
contributo essendo parte integrante di questa trasmutazione. Mentre,
di contro, il corpo-play è un corpo che fa delle scelte in base alla
partita che gioca, la quale può essere sia reale che virtuale. In ogni
caso, seppur con delle differenze, è un corpo che si muove negli
schemi di una qualsiasi realtà soprattutto per il divertimento ludico,
motivato solo da sé stesso, dalle sue potenzialità e dai suoi limiti. E’
un corpo avvezzo a rientrare nei meandri dell’abitudine e della
sicurezza, adagiandosi sul piacere di scegliere, in maniera spontanea,
di essere in un modo piuttosto che in un altro. O altresì, di agire in un
modo piuttosto che in un altro. «Questo recupero è possibile perché il
gioco dell’ambivalenza è aperto prima che il sapere metafisico fissi le
regole del gioco, ma proprio perché le regole vengono dopo, questo
gioco è imprevedibile, perché nessuna determinazione posta in gioco
conosce la sua destinazione. L’unica certezza è quella che non ci si
può sottrarre alla necessità del gioco, non si può dire l’ultima parola
sul gioco e fermarlo per sempre».
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A testimonianza di questa immersione del corpo-play e del corpo-
game nella realtà, si crea un real-game in grado di trasformare i
confini del reale, del possibile e del gioco stesso. La partita della
realtà viene giocata su un terreno difficile ma anche metodico;
rispetta le regole del gioco pur permettendone un’imprevedibilità che
però rientra nel mondo del potenziale. Infatti, il corpo in divenire
13
U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 14
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permette la realizzazione di una realtà in potenza: le regole del gioco
sono impeccabili e precise, ma è il corpo che decide la direzione delle
mosse da fare, in base alle sue scelte. Questo non può far altro che
cambiare le carte in tavola e trasformare una realtà consuetudinaria in
una realtà virtuale, intesa appunto come sinonimo di possibilità. E’
qui che si snoda la principale questione che questa analisi si propone
di anatomizzare: ovvero quanto il virtuale e il reale siano strettamente
connessi nel corpo e nelle direttive che esso stabilisce, ma che nello
stesso momento annienta e trasforma. Affrontare la realtà virtuale è il
primo passo che ci può condurre ad un’analisi meno ambigua e lucida
possibile, la quale affonda le sue radici nelle diverse realtà e nelle due
tipologie di corpi fin qui delineate per poter stabilire se la loro
tessitura può costituire le regole di un “gioco” perfetto.