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Introduzione
“La Tecnica ha reso l’uomo antiquato, obbligandolo nello stretto binario della coppia
produzione-consumo, e antiquata è divenuta anche la sua attitudine immaginativa,
ormai incapace di cogliere gli smisurati effetti di gesti che rischiano di avere nel
paradosso atomico, nell’evento ultimo la loro Epifania onnidistruttiva. In un universo
moralmente imploso, l’odio è diventato un sovrappiù per occasioni speciali, un’inutile
via traversa, così come i campi di battaglia resi obsoleti dal gesto asettico e ripetitivo
del disinseritore che annichilisce da lontano”.
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Queste sono le parole del filosofo morale del 900’ Günther Anders, colui che ci ha
ispirato e ha fatto sì che la nostra riflessione sul problema della tecnica avesse inizio.
Questa citazione racchiude sinteticamente il nostro percorso.
Ripercorrendo le tappe fondamentali della vita del filosofo e del suo pensiero, siamo
giunti a illustrare i punti cardine delle sue opere a partire dai saggi l’Emigrante e
Patologia della libertà. Saggio della non identificazione, che muoveranno l’indagine
antropologico-filosofica sulla condizione dell’emigrante e le esperienze della stessa
ossia la disgregazione del sé, dei rapporti interpersonali e dell’“assenza di mondo”.
I sentimenti di diversità ed estraneità non sono solo al centro della riflessione dell’autore
ma mettono in luce alcuni aspetti della sua vita come, ad esempio, l’esilio statunitense
a causa delle persecuzioni naziste, perché di origine ebrea.
Sarà inoltre centrale il tema dell’umiliazione, della vergogna dell’origine, che
ritroveremo anche in Patologia della Libertà come ciò che riflette la condizione
originaria dell’uomo di non libertà, e nella sua opera principale L’uomo è antiquato, ma
sotto un’altra veste.
In Patologia della Libertà, troviamo un confronto, scontro acceso con la visione
filosofica heideggeriana dell’individuo e del suo “essere nel mondo” e di ciò che Anders
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Cfr. G. Anders, L’odio è antiquato, Bollati Boringhieri, 2006.
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definirà come un antropocentrismo di matrice moderna, un “antropocentrismo
pudibondo” nell’opera del 1956.
Per Anders non si parla della posizione indispensabile che l’uomo occupa nel mondo,
della necessità della presenza umana nel mondo, ma si parla piuttosto di un uomo
escluso dal mondo, estraneo al mondo, di “uomo senza mondo”.
È importante riflettere a tal proposito dell’ambivalenza del pensiero di Anders perché,
se è vero che da una parte riflette una negatività, un pessimismo radicale, che poi
diventerà un conservatorismo ontologico nella fase ultima della sua vita, dall’altra parte
c’è una possibilità di riscatto da parte dell’uomo.
C’è un’unica possibilità, secondo Anders, di annientare il nichilismo e questa è insita
nell’azione. Il nichilismo non può essere superato ma può essere accantonato grazie
all’agire umano.
Questo tema è centrale nei due volumi dell’opera L’Uomo è antiquato e in Noi figli di
Eichmann come nel Carteggio di Eatherly e darà luogo alla filosofia morale che Anders
chiamerà “d’occasione o occasionalismo”. Non si può restare indifferenti di fronte agli
eventi storici e alle stragi che caratterizzano la storia umana. La riflessione filosofica
che tiene insieme “metafisica e giornalismo” è proprio l’occasionalismo.
Se nella prima parte del nostro lavoro ci siamo soffermati sugli aspetti determinanti del
primo volume della sua opera principale del 1956, L’Uomo è Antiquato, quali capacità
prometeica, dislivello prometeico che si fa portatore della discrepanza, dello scarto e del
paradosso umano; la vergogna prometeica e il significato che assume il nostro essere
antiquati, nella seconda parte della nostra riflessione abbiamo analizzato le novità
teoriche che Anders ci offre nel secondo volume dell’opera principale che uscirà solo
nel 1980 dopo un lungo silenzio filosofico, a causa delle tragedie dell’umanità.
Nel primo volume ritroviamo “le considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda
rivoluzione industriale”, con le quali Anders dà il nome al sottotitolo dell’opera.
Anders parla di metamorfosi dell’anima, ossia della trasfigurazione dell’uomo da homo
creator a homo faber e da homo faber a homo materia
2
.
2
Per approfondimenti vd, M. Lalatta Costerbosa, Günther Anders, DeriveApprodi, Roma, 2023:
https://deriveapprodi.com/libro/gunther-anders/
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Quest’ultimo passaggio ha con sé ciò che Anders chiama auto-sabotaggio, auto-
degradazione e si ascrivono nella logica della reificazione, ossia la riduzione dell’uomo
a cosa
3
.
Se da una parte quanto detto apre alla concezione del dislivello prometeico, ossia
l’incapacità umana di prevedere gli esiti prodotti dalle sue creazioni e di arrestare la
produzione così come l’azione degli stessi, in quanto l’uomo è incapace di non potere,
dall’altra apre l’esperienza paradossale del mostruoso.
Non riuscendo a stare al passo con i nostri prodotti proviamo il sentimento di vergogna
e di inadeguatezza dell’avere una natura diversa dai nostri prodotti, un sentimento che
Anders chiama “malaise dell’unicità”, e di conseguenza sperimentiamo il trasformarci
per amore dei nostri artifici, in macchine.
Non siamo più noi i protagonisti della storia, ma le macchine e non ci accorgiamo di
questo, siamo miopi della nostra cecità e ciò che ci contraddistingue è la nostra freddezza
morale, dirà Anders in Noi figli di Eichmann.
Nel secondo capitolo del nostro elaborato analizzeremo il secondo volume di L’uomo è
Antiquato, dove Anders tratterà più da vicino quello che abbiamo chiamato il rapporto-
scarto tra l’uomo e la macchina, a partire dalle nuove accezioni assunte dal dislivello
prometeico. Anders elabora anche dieci tesi sull’espansione delle macchine e
amplificherà quello che nel primo volume chiama discrepanza dell’uomo rispetto ai suoi
prodotti e dunque la caduta di tutti quei problemi morali che non possono essere
calcolati.
La capacità umana di calcolare è nulla rispetto a quella delle macchine.
È quest’ultimo punto che ispirerà la terza parte del nostro elaborato sui problemi e i
dilemmi del rapporto etica e tecnica, tecnologia, e sul tema delle intelligenze artificiali
e dei loro algoritmi e sulla responsabilità dell’uomo moderno nei confronti dell’uso dei
prodotti digitali.
Nella seconda parte verrà anche trattato il tema dell’autodistruzione e della
responsabilità dell’uomo a partire dal 6 agosto del 1945 definito da Anders giorno zero
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È importante ricordare l’omaggio che Anders fa all’opera del padre Persona cosa, nella dedica che
apre il primo volume dell’opera del 56’.
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dell’umanità, perché è da quel giorno che l’umanità ha i mezzi tecnici per pensare e
realizzare la propria distruzione totale.
Questo sarà il tema dell’opera andersiana, Il mondo dopo l’uomo, dove si ha un ulteriore
sviluppo della storia umana, dalla possibilità di pensare ad un uomo senza mondo,
quanto abbiamo visto nelle opere giovanili, il giorno zero del 1945, è possibile pensare
ad un mondo senza uomo.
Quanto detto, ha ispirato poi la riflessione sulla responsabilità dell’uomo nell’epoca
della riproducibilità tecnica della morte, come la chiama l’autore, oggetto di studio della
filosofia della tecnica dello stesso, con il richiamo all’opera andersiana, L’ultima vittima
di Hiroshima. Il Carteggio con C. Eatherly, il pilota della bomba atomica, riportiamo
quanto Eatherly dirà nella prima lettera dello scambio tra quest’ultimo e il filosofo, “Non
so se (...) Le abbiano raccontato tutta la mia storia. Sono il pilota che ha guidato, nella
Seconda guerra mondiale, la “missione atomica Hiroshima”, e da allora la mia coscienza
è stata tormentata dai rimorsi. Mi sono reso colpevole di atti antisociali perché, nella
confusione in cui mi trovavo, cercavo in tutti modi un castigo.”
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Tutti noi dobbiamo fare i conti con questo nuovo mondo, con le conseguenze delle
nostre azioni, dirà Anders, confortando Eatherly per il suo senso di colpa.
Nel terzo capitolo, per superare i limiti che sono rimasti nella nostra psicologia morale
che limitano le disposizioni morali di altruismo e senso di giustizia, quali il bias del
futuro prossimo, la responsabilità su base causale, l’intorpidimento al numero, ossia la
nostra limitatezza a immaginarci gli esiti delle nostre azioni, ci siamo interrogati sulla
possibilità di un biopotenziamento morale attraverso l’uso delle nuove tecnologie, ossia
le biotecnologie, una soluzione che sembra andare controcorrente rispetto all’analisi di
G. Anders perché sembra richiamare la logica della reificazione.
Siamo poi passati a definire cosa sia l’intelligenza artificiale, che abbiamo indicato con
la sigla AI e ci siamo soffermati sull’interrogativo se certi comportamenti etici possano
essere inscritti nei programmi delle macchine digitali e nei loro algoritmi; se “le
macchine possono pensare”, con l’articolo di A. Turing e le possibili obiezioni.
Nascono così dei problemi di natura etica relativi alla possibilità di riconoscere
un’autonomia operativa alle macchine, ossia automatizzare senza il bisogno di un
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Questa citazione fa parte della Lettera 28 del 22 aprile 1960 del Carteggio con Eatherly.
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mediatore umano, compiti e ruoli che fino al XX secolo erano destinati esclusivamente
all’uomo. Ciò apre una serie di interrogativi sulla responsabilità, personalità giuridica e
infine capacità decisionale da parte degli artifici umani.
Nel quarto e ultimo capitolo della nostra riflessione filosofica sul problema della tecnica
ci siamo soffermati sulla definizione del transumanesimo data da N. Bostrom per
indirizzarci al pensiero di F. Fukuyama contenuto nella sua opera L’uomo oltre uomo e
all’Homo deus di Noah Harari.
Abbiamo analizzato come le nuove tecnologie possano essere applicabili all’uomo,
pensiamo a quella che abbiamo definito pratica di “selettocoltura”, nel tentativo di
abbandonare i connotati negativi connessi alle politiche eugenetiche, affinché si possano
eliminare aspetti non desiderati della condizione umana come la sofferenza, la malattia,
l’invecchiamento, e persino, l’essere mortali.
A tal proposito si farà riferimento al “nuovo programma dell’umanità”, come viene
definito da Harari con gli obiettivi degli uomini del “Mondo nuovo”, con la definizione
data da Huxley e ripresa poi da Fukuyama e con essa la possibilità di trasformare l’Homo
sapiens in Homo Deus.
Queste diverse possibilità offerte dalla tecnica contemporanea ci confermano quanto le
riflessioni di Anders siano state non soltanto calzanti e lungimiranti, ma anche, per certi
aspetti, addirittura profetiche.
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Capitolo I
Günther Anders: il rapporto-scarto tra l’uomo e la tecnica.
1.1 Günther Anders tra passato e attualità: vita, opere e pensiero.
Günther Anders, pseudonimo di Günther Stern, nacque a Breslavia nel 1902 da una colta
famiglia di origine ebraiche, morì poi nel 1992 a Vienna.
Anders fu uno dei più innovativi filosofi morali del 900’, visse quasi per intero un secolo
che, come ben noto, fu caratterizzato da tragedie enormi. In effetti, gli avvenimenti di
Auschwitz e Hiroshima, che Anders definì i punti di non ritorno, assunsero
un’importanza fondamentale per la vita dell’autore e per l’evoluzione della sua
riflessione teorica. Non è un caso che l’interesse per l’antropologia filosofica, centrale
nei suoi lavori giovanili e maturi, lasciò il posto a quello per la filosofia morale.
Anders fu allievo di Husserl e di Heidegger a Friburgo e a Marburgo dove conobbe la
sua compagna di studi e prima moglie Hanna Arendt, dalla quale si separò e a cui dedicò
un saggio intitolato La battaglia delle Ciliegie
5
.
Un avvenimento da ricordare è il suo trasferimento a Berlino a causa della bocciatura
all’abilitazione alla docenza, dove intraprese la carriera giornalistica. Fu appunto questa
fase a suggerirgli di cambiare il suo cognome in ‘Anders’: l'idea fu, dunque, di tentare
“qualcosa di diverso”, per poter pubblicare i suoi lavori in quanto Stern era troppo
comune in Germania, ma soprattutto per nascondere la sua provenienza ebraica.
5
Il tema centrale del saggio è quello del rapporto dell’Io con la sua inalienabile individualità ma anche
il rapporto dell’Io con il Tu, qui la Arendt e il difficile rapporto dell’uomo con il mondo. Cfr. G. Anders,
La battaglia delle ciliegie, La mia storia d'amore con Hannah Arendt, Donzelli, Roma, 2012.
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Il sentimento di diversità ed estraneità lo accompagnò fin dalla sua giovinezza, dove a
causa del nazionalsocialismo fu vittima di attacchi antisemiti.
Nel 1933 con l’ascesa al potere di Hitler e l’inizio delle persecuzioni naziste, Anders fu
costretto a fuggire dalla Germania nel 1933 per le sue origini ebraiche e si trasferì prima
a Parigi e poi negli Stati Uniti dalla sua famiglia originaria, sperimentando quella
condizione di precarietà esistenziale che caratterizza l’esilio statunitense del filosofo che
durò circa quattordici anni dal 1936 al 1950.
Anders, nel piccolo saggio L’emigrante del 1962, descrive e ci restituisce
esaustivamente quella condizione di disagio esistenziale di chi è costretto ad
abbandonare il suo paese di origine.
In quest’opera, Anders si rivolge ad un tu indefinito, che conferisce al testo un carattere
dialogico, che non è una persona reale ma è il lettore generico e allo stesso tempo ben
determinato, ossia chiunque sia disposto ad ascoltare un individuo “incalzato dalla storia
universale”
6
.
Anders si rivolge al lettore per coinvolgerlo in prima persona nei problemi
dell’emigrazione, le maggiori miserie morali ed esistenziali che non solo Anders
sperimenta ma che descrivono appieno la cronaca quotidiana.
L’autore non si limita a descrivere le difficoltà pratiche della migrazione ma le sfide
derivanti da questa situazione esistenziale, dal momento che l’io costituisce e costruisce
la propria identità a partire dal rapporto con gli altri. Il migrante vive la disgregazione
dei rapporti interpersonali, che genera ciò che il filosofo definisce “la prova perduta
dell’esistenza” e l’effetto di una progressiva caduta nell’oblio, capace di generare una
“assenza di mondo”. In altre parole, l’esilio e la fuga diventano le esperienze dove
l’individuo sperimenta la perdita del mondo e di conseguenza la perdita di se stesso.
Anders descrive la condizione dell’emigrante: non l’immigrato bensì colui che si
identifica sempre e soltanto nel rapporto che ha con il proprio paese e con la propria
origine: Scrive l’autore: “Di quel singolare, “la vita”, noi, incalzati dalla storia
universale, siamo stati defraudati… Ma a noi, che siamo stati sospinti da ambiente in
ambiente, il presupposto dell’unità della vita non è stato concesso”
7
.
6
Cfr. Gunter Anders, L’emigrante, Donzelli, Roma, 2022, p. 63 e ss.
7
Ivi, p. 15.
11
Anders ribadisce che la sua, come quella degli emigranti, è una identità instabile
racchiusa nella formula con la quale l’autore intitola il primo capitolo del saggio “vitae,
non vita”: non si parla di vita ma di pluralità di vite, di tanti segmenti di vite: non vita
sed vitae. L’autore non fa mai riferimento ad un’unica biografia, ma solamente a vite al
plurale, biografie.
La filosofia dell’emigrazione andersiana contiene temi importanti, quali la perdita di sé
e dei propri diritti, dei legami sociali e del diritto alle sue sofferenze; il doversi umiliare
per far fronte alle preoccupazioni basilari della vita.
Il tema dell’umiliazione intesa come vergogna, che, come vedremo, è un tema centrale
della riflessione del filosofo, intitola la quarta parte dell’opera.
Ciascun emigrante, almeno nella prima fase, ricorda Anders, doveva assicurarsi un
permesso di vita (permesso di soggiorno) e la caccia di quel permesso era senza
speranza.
La privazione della cittadinanza diviene “pura e semplice vergogna”: l’emigrante è
spossessato di tutto, dovendosi occupare esclusivamente della “preoccupazione del tutto
basilare per la nuda vita”.
La vergogna, dice Anders, solo molto di rado è la conseguenza della colpa
8
: non
necessariamente chi vive in questa vergogna è colpevole. Anders è consapevole della
sua esperienza di esilio e fuga e del loro carattere casuale e incidentale, “senza colpa”.
“Eppure, è proprio dell’esperienza vergognosa, delle “sofferenze negate” che oggi non
voglio fare a meno… per costui l’esperienza di questa vergogna è semplicemente
indispensabile”
9
, in quanto essa fa parte della propria esperienza personale.
Facendo leva su questa storia vergognosa, come la definisce Anders, possiamo forse
scorgere un domani quelle stesse miserie che ad oggi ignoriamo. Il testo di Anders risulta
essere un ampliamento tanto necessario ed urgente quanto attualissimo.
Ritornando alla vita del filosofo, fu negli Stati Uniti, che ebbe luogo il suo lungo silenzio
filosofico, non ci fu spazio per la filosofia in quanto Anders ebbe delle esperienze
lontane da quella che fu la sua vita precedente in Germania.
8
Qui Anders ricorda i prigionieri dei lager, coloro che sono stati costretti a vivere gli ultimi giorni della
propria vita nell’attesa stessa di essere eliminati cfr. Gunter Anders, L’emigrante, cit., p. 38.
9
Ivi, p. 39.
12
Anders lavorò in fabbrica dove conobbe la realtà dell’industria di massa e del dominio
tecnico, che ispirarono l’opera principale dell’autore, sviluppata in due volumi, L’uomo
è antiquato.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Anders si trasferì a Vienna, insieme alla
seconda moglie. Qui il filosofo riprese a scrivere fino alla sua morte, principalmente
opere di filosofia della tecnica, perlopiù impressionato dall’esperienza delle bombe
atomiche.
È qui che ebbe inizio la sua filosofia d’occasione. Anders sentì il peso della
responsabilità postogli dagli avvenimenti storici del 900’: come vedremo anche nel
Carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica
10
, l’etica della
responsabilità è uno dei temi per cui il filosofo è ricordato.
L’opera di Anders, infatti, non si è limitata solo al saggio filosofico ma come abbiamo
visto ha spaziato attraverso diversi generi letterari ma soprattutto tematiche diverse.
A partire da un’analisi generale antropologico-filosofica dell’uomo, marcando anche il
versante psicologico come attestano le opere giovanili del filosofo, Patologia della
Libertà e Un’interpretazione dell’a posteriori del 1930-34, nei suoi scritti ad un certo
punto subentra l’azione morale e politica come testimoniato, tra le altre, dalle opere:
L’uomo è antiquato, il Carteggio con C. Eatherly ed infine l’opera matura Il mondo
dopo l’uomo. Tecnica e violenza
11
del 1979.
1.2 Dalla Patologia della libertà alla condizione della non-identificazione dell’uomo
È interessante vedere come la prospettiva di Anders, già a partire dalle sue prime
elaborazioni teoriche, rifletta un’analisi della condizione umana che riesce a cogliere
criticità e caratteristiche che caratterizzano la nostra società contemporanea.
10
Il tema della responsabilità viene messo in luce da G. Anders in tutte le sue sfaccettature e differenze.
Ricordiamo oltre all’opera-omaggio a Claude Eatherly, l’antitesi che il filosofo vede in Klaus Eichmann
cfr. G. Anders, Noi figli di Eichmann, La Giuntina, Firenze, 1995.
11
Cfr. G. Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza, Mimesis, Milano, 2008.