5
popolari non erano fini a se stessi, né composti a beneficio esclusivo
dell’ascoltatore, ma rispondevano in genere ad un determinato scopo pratico.
Con l’avvento della cultura di massa, però, il dualismo tra la cultura “alta” e
quella delle classi popolari si rompe, e i prodotti dell’industria culturale, quali ad
esempio la musica leggera, data la loro accessibilità economica e la loro
somiglianza con quelli della cultura “alta”, sostituiscono a poco a poco il
materiale folklorico, che viene progressivamente relegato ai margini come
sinonimo di arretratezza culturale: alla fine di questo processo, venuta meno la
produzione folklorica originale, la cultura di massa diviene di fatto la cultura
delle classi popolari.
Il folklore, però, viene spesso recuperato dall’industria culturale e sottoposto alla
logica del profitto, divenendo esso stesso una fonte di guadagno: ciò avviene
soprattutto nel campo del turismo, nel quale il folklore viene utilizzato per
soddisfare le aspettative del viaggiatore in cerca di esotismo; in questi casi, però,
ciò che viene presentato al turista non sono spesso i canti e le danze
autenticamente folklorici, ma una serie di rielaborazioni dei modelli originari
che prescindono dalle reali caratteristiche del folklore autentico per aderire
invece alla rappresentazione sociale fornita dai mass-media a proposito di quel
determinato luogo e che nel loro insieme costituiscono il folklore turistico, che è
dunque un prodotto dell’industria culturale.
Ciò avviene in maniera eclatante in Sicilia, terra il cui folklore è oggetto di una
serie di stereotipizzazioni che non offrono l’immagine reale dell’isola, ma una
6
rappresentazione che coincide con quella offerta dai mass-media, che a loro
volta riprendono quella stereotipata divulgata dagli stessi siciliani a scopo
promozionale, in un reciproco richiamo che ubbidisce all’unico scopo di
soddisfare le aspettative del turista-spettatore-cliente per ricavare un maggior
profitto: il carretto decorato, lo scacciapensieri (il celebre “marranzanu”), i
costumi colorati, i tamburelli, la tarantella, sono gli elementi che ricorrono
continuamente in ogni rappresentazione della Sicilia, e costituiscono un caso
esemplare di utilizzo di elementi folklorici con scopi di profitto da parte
dell’industria culturale e della cultura di massa; tale rappresentazione sociale,
come vedremo, non coincide con l’immagine della Sicilia che emerge dallo
studio dei testi dei canti autenticamente folklorici, ciò che noi definiremo
folklore di ricerca, poiché questa, essendo meno allegra e gioiosa, non
risponderebbe alle esigenze di divertimento ed evasione che il pubblico,
influenzato dagli stereotipi diffusi dai mass-media e fortemente radicati
nell’immaginaro collettivo, nutre nei confronti del folklore siciliano.
Questo lavoro si propone di offrire un confronto fra l’immagine idealizzata della
Sicilia fornita dai mass-media e replicata dal folklore turistico e quella realistica
e problematica che è possibile ricostruire attraverso l’analisi del materiale
folklorico autentico, verificando attraverso una ricerca sul campo l’influenza dei
mass-media sulle aspettative del pubblico delle altre regioni d’Italia e straniero
nei confronti del folklore siciliano, per comprendere fino a che punto la cultura
7
di massa riesce a subordinare il folklore ai suoi scopi e ad influenzare la
percezione dell’audience.
Nel primo capitolo presenteremo un quadro generale delle principali
caratteristiche della cultura di massa e dell’industria culturale, attraverso il
contributo dei testi degli studiosi che maggiormente si sono occupati di questo
fenomeno, quali Adorno, Horkheimer e Marcuse, per citarne alcuni; passeremo
poi nel secondo capitolo a delineare i concetti di cultura e folklore, spostando la
trattazione su un piano più strettamente antropologico, per poi trattare del
folklore come cultura “altra” rispetto alla cultura ufficiale e della funzione
comunicativa da esso svolta presso le classi popolari.
Il rapporto tra il folklore e la cultura di massa sarà invece il tema centrale del
terzo capitolo del nostro lavoro, nel quale esamineremo i meccanismi attraverso
i quali il folklore ( e per folklore intenderemo soprattutto i canti popolari, che di
esso costituiscono la manifestazione più visibile ) viene prima emarginato dalla
cultura di massa e successivamente da questa recuperato e subordinato alla
logica del profitto, processo che dà origine alla dicotomia folklorico vs.
folkloristico; infine, tratteremo della realtà della situazione del folklore autentico
nell’epoca dell’industria culturale.
Nel quarto capitolo applicheremo quanto trattato in precedenza al caso della
Sicilia, presentando i risultati della nostra ricerca e confrontando le due diverse
Sicilie presentate dal folklore turistico e da quello di ricerca, attraverso il
confronto dei testi di alcuni canti appartenenti ai due repertori, nel tentativo di
8
mettere in luce le distorsioni presenti negli stereotipi e nei luoghi comuni più
diffusi ed offrire al lettore un quadro più oggettivo e rispondente alla realtà del
folklore siciliano, per restituire ad esso la sua grande valenza culturale di
strumento per la ricostruzione della vita quotidiana delle classi popolari in
Sicilia nei secoli passati .
9
CAP. 1
INDUSTRIA CULTURALE, CULTURA DI MASSA E MASS-MEDIA.
Par. 1.1: l’industria culturale
Nei primi decenni del XX secolo, in particolare intorno agli anni Trenta,
si verificano una serie di importanti mutamenti nella struttura produttiva che
avranno grandi ripercussioni a livello socio-culturale. L’introduzione nella
fabbrica fordista della catena di montaggio consente la produzione di oggetti in
serie e riduce il tempo di lavoro necessario; di conseguenza aumenta il tempo
libero a disposizione dell’individuo, e tale nuova condizione, unita alla
disponibilità di un reddito maggiore creata dall’aumento della produzione
conseguente all’allargamento del mercato crea i presupposti per il sorgere,
accanto ai bisogni primari (mangiare, bere, vestirsi, ecc.), di un nuovo bisogno:
lo svago, il divertimento, ecc…. La necessità di soddisfare bisogni culturali
uguali provenienti da milioni di persone in innumerevoli luoghi è il presupposto
per la nascita di un fenomeno nuovo caratteristico della società di massa:
l’industria culturale, termine coniato da T. W. Adorno per indicare l’industria
che soddisfa la domanda di cultura proveniente dalle masse attraverso beni
culturali prodotti in serie e destinati ad un ampio mercato.
Fondandosi su principii e regole analoghe a quelli che regolano l’industria dei
beni di consumo, l’industria culturale non sfugge alla logica tipica di ogni
produzione di massa, cioè il massimo dei consumi: essa, perciò, tende ad un
10
pubblico universale, dunque ad una maggior varietà che soddisfi tutti gli
interessi e i gusti, in modo da poter raggiungere un pubblico sempre più vasto
1
;
tale varietà di gusti e interessi è soddisfatta attraverso la produzione di prodotti
standardizzati e a buon mercato.
L’offerta di merci culturali a basso costo fa dunque sì che le masse abbiano la
possibilità di accedere al dominio della cultura tradizionalmente appannaggio
delle élites intellettuali: ma quali sono le caratteristiche di questa nuova cultura
di massa?
Se osserviamo i prodotti dell’industria culturale notiamo subito notevoli
differenze rispetto alle opere che sono tradizionalmente espressione della cultura
“alta”
2
; innanzitutto, dovendo soddisfare un’enorme varietà di gusti e preferenze
all’interno di un pubblico che conta ormai milioni di persone sparse in tutto il
mondo, esse presentano costantemente i caratteri dell’uniformità e della
ripetizione dei clichès e degli standard astratti che, riducendo la varietà ad un
minimo comune denominatore, rispondono meglio alle aspettative comuni del
pubblico e dunque assicurano un maggior successo commerciale: il nuovo è
escluso, sostituito dalla riproduzione del sempre uguale, che taglia fuori ogni
tentativo di sperimentazione che comporti una parte di rischio, in un circolo
continuo di produzione e riproduzione meccanica per il quale nulla muta.
3
1
Sull’argomento si veda Morin E. (1963) “Il grande pubblico”, in M. Livolsi (a cura di), Comunicazione e
cultura di massa, Hoepli, Milano, pp. 107-115
2
per la differenza tra i livelli di cultura si faccia riferimento a Shils E. (1968) , La società di massa e la sua
cultura, in M. Livolsi (a cura di), op. cit., pp. 185-203
3
Per un approfondimento di quest’ultimo concetto si veda Horkheimer M. – Adorno T . W., L’industria
culturale, in M. Livolsi (a cura di), op. cit. pp.52-53
11
E’ chiara a questo punto la seconda importante caratteristica della cultura di
massa rispetto a quella del passato: al motivo dell’espressione artistica si
sostituisce il motivo del profitto, vera forza motrice dell’industria culturale e
parametro di riferimento per la valutazione di ogni suo prodotto; l’industria
culturale non produce opere contraddistinte da un maggior valore artistico,
culturale o estetico, ma oggetti che, possedendo una maggiore attrattiva su un
più ampio numero di individui e essendo per essi economicamente accessibili,
consentono di realizzare un maggior guadagno. La standardizzazione e
l’applicazione all’arte delle regole di mercato contribuiscono all’abbassamento
del livello dei prodotti dell’industria culturale e di conseguenza della cultura di
massa che di tali prodotti si nutre, e, come sostiene Adorno, “l’abolizione del
privilegio culturale per liquidazione e svendita non introduce le masse ai domini
già loro preclusi, ma contribuisce, nelle condizioni sociali attuali, proprio alla
rovina della cultura”
4
.
Ulteriore conseguenze dell’allargamento del pubblico è l’aumento della
distanza, ed infine la separazione, fra i produttori di cultura ed i consumatori:
mentre un tempo l’artista era vicino al suo pubblico, e riusciva a coglierne le
sollecitazioni, a interpretarne gli umori e a soddisfarne i gusti in modo più
efficace, data la vicinanza e la familiarità, nella cultura di massa egli è costretto
ad utilizzare toni impersonali nel tentativo di accontentare i gusti di tutti, ma
finisce spesso per non accontentarne nessuno; ciò, unito all’allettamento
4
Ibidem, p. 70
12
economico offerto dal mercato della cultura di massa, ha come risultato
progressivo la stagnazione della creatività e del talento artistico, che è
imprigionato in standard e schemi consueti. Se ogni prodotto culturale deve poi
avere una sua ragion d’essere pratica e dunque essere funzionale al sistema,
l’arte vede messa a rischio la sua autonomia, e anzi, spesso, sopravvive solo
rinnegandola e inserendosi fra i beni di consumo, adeguandosi al principio della
ripetizione portato avanti dall’industria culturale tramite l’adattamento delle
forme delle sue opere al bisogno di svago e ai desideri del pubblico.
5
Concludendo, possiamo riassumere l’essenza dell’industria culturale nella
produzione, mossa da fini di profitto, di beni di consumo culturale modellati su
schemi e standard rispondenti ai gusti generali e delle aspettative del pubblico e
orientati alla soddisfazione del nuovo bisogno di svago da essa stessa indotto.
6
5
Sull’adeguamento dell’arte ai dettami dell’industria culturale si veda Horkheimer M. – Adorno T . W, op. cit.
6
Per l’analisi dei nuovi bisogni è opportuno fare riferimento a Marcuse H., Le nuove forme di controllo, in M.
Livolsi (a cura di), op. cit., pp. 169-173
13
Par 1.2 a) Cultura di massa e mass-media.
La cultura di massa è essenzialmente quella trasmessa e diffusa dai mass-
media: i mezzi di comunicazione di massa sono in genere funzionali al sistema,
poiché divulgano i valori della nuova cultura fra un pubblico vastissimo ed
estremamente vario, e conferiscono una legittimità alle tendenze e ai prodotti
dell’industria culturale per il fatto stesso di dedicare loro attenzione,
rispondendo così alla funzione di conferimento di uno status sociale ad essi
attribuita da Lazarsfeld e Merton.
7
Nella dialettica produzione-consumo in cui, secondo Morin
8
, si esprime la
produzione culturale di massa, i mass-media, proponendo nuovi modelli di
consumo culturale, da una parte consentono l’assorbimento dell’offerta
proveniente dall’industria culturale, dall’altra contribuiscono a creare una nuova
domanda da parte del consumatore che a sua volta influenza l’offerta, e così via;
l’elemento principale che consente questa continua interazione tra mass-media e
industria della cultura è la pubblicità, che, agendo da anello di congiunzione tra
cultura e consumi, contribuisce ad indurre nell’individuo nuovi bisogni da
soddisfare attraverso i prodotti dell’industria culturale, che sono presentati non
solo come assolutamente utili, ma soprattutto come indispensabili e capaci di
conferire a chi li possiede un più elevato status sociale.
7
Lazarsfeld P. E., Merton R. K. (1967), Mezzi di comunicazione di massa, gusti popolari e azione sociale
organizzata, in M. Livolsi (a cura di), op. cit.
8
Morin E., op. cit., p. 114-115
14
La cultura trasmessa dai mass-media, dunque, presenta i caratteri di uniformità e
standardizzazione tipici dell’industria culturale; la ricerca costante dell’audience
e dello share più alto produce la ripetizione costante sia delle formule sia dei
contenuti e degli stereotipi che più fanno presa sul pubblico, poiché ne
soddisfano i gusti e ne interpretano le aspettative: lo spettatore di un film di
consumo intuisce facilmente il comportamento dei personaggi sulla base di
rappresentazioni mentali e stereotipi che puntualmente trovano realizzazione,
riesce ad immaginare lo svolgimento della vicenda e prova soddisfazione nel
momento in cui vede realizzate le sue congetture; l’individuo, così assecondato e
rassicurato, finisce addirittura, secondo Adorno
9
, con l’identificare realtà e
finzione, convincendosi che la vita che vive fuori è la prosecuzione di quella che
ha visto poco prima sullo schermo, happy end compreso.
In tale contesto l’arte e la cultura di livello più alto trovano ben poco spazio,
poiché non rispondono per definizione ai canoni e agli schemi consueti della
cultura di massa e dunque esercitano poca attrattiva su un pubblico di massa il
cui unico scopo è in genere lo svago e l’evasione senza sforzo intellettuale, ed è
per questo che vengono confinate negli angoli più remoti dei palinsesti sempre
più affollati, al contrario, di soap-opera, varietà, reality show, e altri format
ripetuti continuamente, a volte su reti diverse, con minime variazioni di
ambientazione e personaggi che lasciano inalterata la formula su cui poggia il
loro successo.
9
Horkheimer M. – Adorno T. W., op. cit., p. 47
15
Se gli elementi che garantiscono un maggior successo sono dunque la
ripetizione, l’adattamento alle preferenze del pubblico e un’adeguata
presentazione pubblicitaria, è evidente che l’artista di talento, il musicista,
l’attore, per poter giungere a conquistare un pubblico più vasto, deve scendere a
compromessi, fare spettacolo e “vendere” bene se stesso al pubblico adeguando
se stesso all’immagine che il pubblico ha di lui, a prescindere dalle reali
intenzioni, e adattando i contenuti delle proprie opere in base a ciò che il
pubblico vuole e si aspetta di sentire e vedere, con il rischio di rimanere
prigioniero di etichette e stereotipi e di non riuscire ad esprimere pienamente il
proprio potenziale artistico e a trasmettere il messaggio originale. Questo, come
vedremo nel corso del nostro lavoro, è una delle cause principali della mancata
comprensione, da parte del pubblico di massa, del valore della cultura folklorica
autentica, che è sempre più minacciata dalle rappresentazioni mediatiche, le
quali, mirando non già alla diffusione culturale, quanto al successo e
all’audience, utilizzano continuamente gli stereotipi radicati nell’immaginario
collettivo del pubblico di massa, in base ai principii sopra espressi, associando in
genere l’immagine di un certo popolo a determinati elementi che si presume
(spesso secondo luoghi comuni) siano caratteristici di esso; non mancano esempi
di tali associazioni: Messico=sombrero, Sicilia=carretto, e così via (ci
occuperemo dell’argomento più diffusamente nel cap. 3 del presente testo).