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Introduzione
Il presente lavoro nasce da un personale interesse per la traduzione, in particolar modo
per la traduzione di sceneggiature cinematografiche e delle problematiche che la
circondano.
La traduzione è sicuramente diventata un aspetto fondamentale della nostra vita, così
parte integrante della nostra quotidianità da risultare a volte quasi invisibile da non farci
rendere conto della sua presenza e della sua importanza. La maggior parte di ciò che
leggiamo, vediamo e con cui interagiamo è frutto di un’opera di traduzione, più o meno
esplicita.
Nata da esigenze puramente commerciali e di primaria necessità, essa si è evoluta nel
tempo e si è adattata a compensare tutte le esigenze dell’essere umano, andando di pari
passo con l’evolversi della società, della cultura e della tecnologia; è proprio infatti con
l’avvento dei mass media che ha accresciuto le sue potenzialità e la sua capacità di
adattarsi a ogni contesto.
Per compensare a tutte le necessità ha raggiunto livelli così elevati da portare alla nascita
di nuove figure professionali specializzate: si parla infatti di traduttori specializzati che si
sono formati in campi applicativi diversi, ciascuno dei quali è caratterizzato da una lingua
speciale, ricca di termini tecnici, adatti ad esprimerne i concetti.
Lo scopo di questa tesi è dunque quello di delineare un percorso che, a partire da concetti
puramente teorici arriva ad analizzare dal punto di vista pratico il doppiaggio, mettendo
a confronto i dialoghi originali e doppiati di due dei maggiori prodotti di successo degli
ultimi anni: la serie TV Sherlock, una serie prodotta dalla BBC e il film recentemente
trasmesso da Netflix Enola Holmes.
In un mondo in cui tutto è a portata di mano, ritengo sia degno di nota sottolineare come
le possibilità di avere a disposizione prodotti audiovisivi in lingua originale sia molto
cresciuta negli ultimi anni, grazie soprattutto alle nuove piattaforme a disposizione degli
utenti come Netflix, Amazon Prime Video o Sky e soprattutto quanto questa diffusione
abbia portato a un generale accrescimento culturale, soprattutto da un punto di vista
linguistico. È innegabile che vedere una serie TV o un film in lingua originale favorisca
la diffusione e l’apprendimento delle lingue, senza inoltre trascurare l’importanza che
ricopre nell’apertura a culture diverse che possono invece essere filtrate attraverso il
doppiaggio o la traduzione in generale.
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Questo percorso verrà articolato in tre capitoli.
Nel primo capitolo verrà presentata una dettagliata analisi sul tema della traduzione che
includerà un breve excursus sullo studio e sulle teorie più importanti della storia della
traduzione, sottolineando come la traduzione abbia origini molto antiche che risalgono
sino all’epoca degli antichi greci e romani. Particolare attenzione verrà posta sul concetto
dei Translation Studies e sull’importanza che essi ricoprono all’interno degli studi sulla
traduzione; questi studi, nati verso la fine del ’900 sono stati fondamentali soprattutto per
l’affermarsi della traduzione come disciplina empirica e autonoma e soprattutto per la
nascita di figure professionali specializzate. In questo capitolo verrà inoltre analizzato il
concetto stesso di traduzione e quelle che sono le problematiche che emergono a livello
culturale in quanto la traduzione è un passaggio di valori socio-culturali che possono
presentare un ostacolo al momento della traduzione. Nell’ultimo paragrafo verrà
sottolineata l’importanza che la traduzione ha nel mondo contemporaneo.
Il secondo capitolo sarà interamente dedicato alla traduzione audiovisiva e al doppiaggio
nello specifico; verranno inizialmente analizzate le principali modalità di traduzione
utilizzate in Europa come per esempio il voice over o la sottotitolazione per arrivare ad
analizzare nel dettaglio il processo di doppiaggio e tutte le figure che ne sono coinvolte.
Verrà inoltre presentata la storia del doppiaggio, a partire dalla sua nascita fino ad arrivare
a spiegare e motivare anche dal punto di vista storico l’importanza che questa modalità
di traduzione ha ottenuto negli anni. In particolar modo è stato analizzato il caso Italia,
considerata la “culla” del doppiaggio, nel quale esso ha raggiunto un perfezionamento
notevole in confronto agli altri Paesi europei evidenziandone le motivazioni storiche e
politiche che hanno portato a questo successo.
Dopo aver analizzato le motivazioni per cui si fa ricorso a questa modalità di traduzione
si procederà con un’analisi del doppiaggese, quella lingua artificiale nata dalla traduzione
dei dialoghi dello script originale. Questo capitolo terminerà con un’analisi dei vantaggi
e degli svantaggi del doppiaggio e su quelle che sono le preferenze del popolo italiano
per la visione dei prodotti audiovisivi.
Nel terzo e ultimo capitolo verrà mostrata la pratica di doppiaggio vera e propria,
attraverso l’analisi contrastiva degli script originali e dei rispettivi adattamenti italiani, al
fine di evidenziare le pratiche di adattamento seguite e le modalità di traduzione adottate.
Per questa analisi sono stati presi in esame due casi: la sceneggiatura del primo episodio
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della serie TV Sherlock – Uno studio in rosa e del film trasmesso da Netflix, Enola
Holmes.
Dopo aver contestualizzato i due prodotti e fornito le informazioni di base sul doppiaggio
italiano, saranno presi in esame alcuni dialoghi presenti nei due prodotti analizzati al fine
di fare un’analisi contrastiva che evidenzi le scelte traduttive e le problematiche
riscontrate che hanno forzato e costretto alcune traduzioni. A completamento del lavoro
saranno esposte le conclusioni e le riflessioni generate da questo lavoro di analisi.
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Capitolo 1
1.1. Introduzione
Non ci si rende spesso conto dell’importanza della traduzione nella vita quotidiana, negli
scambi culturali e nelle relazioni internazionali, eppure nonostante spesso passi
inosservata, essa è un’attività costante della nostra vita, un’attività a cui siamo
volontariamente o involontariamente sottoposti tutti i giorni, spinti da esigenze e motivi
di diversa natura. Nella società in cui viviamo, la cosiddetta “società dell’informazione”
la traduzione ha inevitabilmente assunto un ruolo di fondamentale importanza per
permettere la comunicazione e la trasmissione delle informazioni e delle notizie da
contesti culturali e linguistici diversi dal proprio.
All’interno di questo contesto un ruolo fondamentale per l’espansione e il successo della
traduzione lo ha avuto la globalizzazione, questo processo ha infatti consentito
l’abbattimento delle barriere che ha facilitato il passaggio dai mercati nazionali a quelli
mondiali permettendo l’omogeneizzazione di territori nazionali e internazionali e il
conseguente scambio culturale tra i popoli. Grazie al progresso tecnologico degli ultimi
decenni e l’esigenza di raggiungere il maggior numero possibile di utenti ha portato il
settore della traduzione ad occupare una fascia di mercato sempre più consistente.
Questo crescente interesse per la traduzione e il suo conseguente sviluppo ha portato a
un’epoca nella quale i prodotti della traduzione sono ovunque e fanno così parte della
nostra quotidianità da passare inosservati, da sembrare parte della nostra cultura e
tradizione. I prodotti della traduzione sono ormai insiti nella nostra quotidianità, a partire
dagli slogan pubblicitari delle multinazionali, alle letterature, al mercato cinematografico
comprendente film e serie tv, o addirittura ai vari siti web internazionali, tutto così
sapientemente tradotto da darci l’illusione di trovarsi di fronte a un prodotto concepito e
nato nel nostro contesto socio-culturale e non a una traduzione di un testo nato in un’altra
lingua e in altre circostanze.
Il XX secolo è stato infatti definito da Newmark come The Age of Translation, vista la
diffusione talmente estesa da ricoprire gli ambiti più disparati: dal campo letterario a
quello cinematografico a quello artistico, pittorico o musicale. Di conseguenza il ruolo
del traduttore è peculiare importanza in quanto permette il passaggio da una società di
partenza a una società di arrivo, e anche il suo ruolo risentirà del ruolo della traduzione
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nella nostra società portandolo a ricoprire un ruolo di professionista nella disciplina che
si specializza a seconda dell’ambito in cui opera, acquisendo un linguaggio specifico e
tecnico. Ma se ci si ferma a riflettere sull’etimologia e sulla storia del termine tradurre ci
si potrà rendere conto che la traduzione è una delle attività più antiche del mondo,
presente fin dagli albori della civiltà occidentale, quando per i greci era un’attività nata
da un’esigenza pratica come gli scambi commerciali e i rapporti politici, dove l’esigenza
necessaria era quella di comunicare con qualcuno che utilizzava un codice linguistico
diverso dal loro. La traduzione ha quindi origini antiche e radicate nella storia e necessita
di uno studio metodico per avvicinarsi alla materia e capirne l’importanza che ha avuto
nei secoli.
1.2. Excursus sulla storia della traduzione
Quando si parla di traduzione, non si può non fare riferimento alle diverse culture che, di
volta in volta, se ne sono servite e che spesso racchiudono concezioni diverse dell’attività
stessa e del ruolo di chi la svolge. Da un punto di vista strettamente diacronico, il ruolo e
la funzione della traduzione sono cambiate nel corso dei secoli, portando quindi a
numerosi e vari studi sulla traduzione che avevano e hanno lo scopo di classificare e
ricostruire i diversi approcci metodologici e i numerosi dibattiti teorici ad essa legati.
Per collocare e organizzare tali materiali si è soliti fare una distinzione in due periodi: il
periodo pre-scientifico, di lunga durata e il periodo scientifico, molto più breve del
precedente. Per periodo pre-scientifico si intende quella fase di riflessione sulla
traduzione che ha inizio nell’epoca classico-romana e arriva alla prima metà del
Novecento, un periodo in cui non sono stati elaborati veri e propri studi sulla traduzione
come materia specifica e le osservazioni legate ad essa sono state perlopiù occasionali.
Le teorie elaborate in questo periodo, attraverso saggi e trattati, sono state diretta
conseguenza dell’atto pratico del tradurre, riflessioni nate dalle problematiche riscontrate
durante la traduzione stessa; prevalgono dunque metodi prescrittivi, principalmente legati
alla difficoltà della prassi, che hanno lo scopo di dire al traduttore cosa deve e cosa non
deve fare. Queste teorie non hanno vita autonoma e vengono collocate come introduzione
o epilogo di un’opera, vengono quindi viste semplicemente come parte aggiuntiva delle
opere tradotte.
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Il periodo pre-scientifico può a sua volta essere diviso in due ulteriori fasi: la fase che va
dall’età di Cicerone all’inizio del diciannovesimo secolo e la fase che va dagli inizi del
diciannovesimo secolo agli anni quaranta del Novecento. Il periodo scientifico è invece
caratterizzato da una svolta fondamentale per la storia della traduzione. Questo periodo,
che va dal 1940 a oggi, è infatti caratterizzato da veri e propri studi che formano la
disciplina della traduzione (Translation Studies); diversamente dal periodo pre-
scientifico, durante il quale le riflessioni e le teorie sulle traduzione non erano parte di un
campo autonomo della disciplina, in questo periodo gli studi che vengono elaborati sono
alla base della nuova disciplina emergente, con un approccio sempre più teorico nei
confronti della materia analizzata e con criteri sempre più consapevoli e rigorosi.
Primo grande problema caratterizzante questo periodo fu proprio la denominazione di
questa nuova disciplina: molti sono stati infatti i nomi attribuiti a questa disciplina a
seconda della diversa impostazione teorica; si cercava un nome che potesse definire sia il
processo che il prodotto.
Questa disciplina fu identificata inizialmente negli anni Cinquanta e Sessanta del
Novecento come “Scienza della Traduzione” (ted. Übersetzungswissenschaft), poi
“Teorie della Traduzione” e “Traduttologia” sul modello francese Traductologie, solo
alla fine degli anni Novanta fu identificata a livello internazionale come Translation
Studies; questa denominazione è stata proposta nel 1978 dallo studioso belga André
Lefevere per indicare la disciplina che “tratta i problemi derivanti dalla produzione e dalla
descrizione delle traduzioni”.
1
Possiamo dunque dire che la traduzione è un’attività molto antica; i greci legarono questa
attività a fini pratici come quelli commerciali e quelli dei rapporti politici, e vista la
considerazione dell’altissimo livello di civiltà che avevano raggiunto, apparivano
scarsamente interessati alla cultura e alle lingue dei popoli con cui entravano in contatto,
che chiamavano “barbaroi” (barbari). Sulla base di queste informazioni ci rendiamo conto
di quanto sia normale che la terminologia della traduzione a quei tempi non fosse né
precisa né tecnicamente elaborata da richiamare una consapevole operazione culturale,
ma nonostante questo si può comunque individuare la presenza di alcuni termini che
evidenziano la già esistente bipartizione tra traduzione orale (ermeneuo ed ermeneus) e
traduzione scritta (metafero, metafrazo, metagrafo).
1
Susan Bassnett, La traduzione: teorie e pratica, Milano, Bompiani, 2009, p. 13.
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La prima civiltà a rivolgersi alle culture e lingue altrui, come fonti di conoscenza e
arricchimento, fu la civiltà latina, i cui principi si fondavano su concetti di annessione e
simbiosi tra culture; la traduzione per i latini diventa uno degli strumenti più importanti
per facilitare il processo di assimilazione di altre culture, legata a un’ottica di stretta
necessità culturale e politica. Gli scambi commerciali con le altre popolazioni, dovuti
anche alla sempre più crescente espansione dell’impero romano, favorirono riflessioni sul
processo traduttivo in un’ottica di arricchimento della lingua e della letteratura, ma lo
scopo principale della traduzione a quell’epoca, era comunque quello di romanizzare
quanto più possibile il testo prodotto dalla traduzione. Tra i nomi più influenti nell’ambito
della traduzione possiamo ricordare Livio Andronico, Plauto e Ennio. La traduzione in
epoca romana ha lo scopo di raffinare ed arricchire la lingua latina attraverso l’imitazione
dei modelli greci; per ottenere un buon risultato ci si affidava a una rielaborazione molto
libera in cui l’originale è solo lo spunto iniziale e le traduzioni diventano opere
completamente nuove. È importante evidenziare che l’attività traduttiva non aveva solo
l’obiettivo di divulgare dei testi, ma era considerata principalmente un esercizio
pedagogico e retorico, cosicché l’attenzione del traduttore si sposta dalla mera traduzione
strumentale delle parole all’attenzione dell’intera struttura del testo, con particolare
attenzione allo stile; da un’operazione prevalentemente concentrata sul piano
dell’elocutio, ovvero scelta delle parole, si passava al piano della dispositio, ovvero
l’ordine e la combinazione più opportuna dei termini. Questo slittamento di prospettiva
consentiva di arrivare a un testo che, oltre ad essere portatore di contenuti, era anche
accurato dal punto di vista stilistico. Di conseguenza, la terminologia latina per quanto
riguarda il concetto del tradurre, risulta ben più ricca e complessa; sul lato della traduzione
orale si trovano interpres, interpretatio ed interpretor.
Dal punto di vista terminologico un contributo fondamentale sarà dato da Cicerone nel
suo De optimo genere oratorum composto intorno al 46 a.C., una prefazione ad alcune
traduzioni dal greco non pervenuteci, considerato un manifesto alla traduzione artistica,
nel quale l’autore sostiene il valore della traduzione libera e nel quale attua una netta
distinzione tra convertere ut interpres e convertere ut orator; mentre l’interpres è colui
che traduce alla lettera, quindi parola per parola, l’orator è colui che traduce secondo il
senso, attività che prevede una certa libertà e creatività, sia nella elocutio che nella
dispositio. Cicerone delinea in questo testo il profilo del perfetto oratore, colui che fa
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della parola lo strumento per persuadere, dilettare e commuovere i suoi ascoltatori e
prende ad esempio i sommi oratori greci: «…ho tradotto da oratore, non già da interprete
di un testo, con le espressioni stesse del pensiero, con gli stessi modi di rendere questo,
con un lessico appropriato all’indole della nostra lingua. In essi non ho creduto di rendere
parola con parola, ma ho mantenuto ogni carattere e efficacia espressiva delle parole
stesse»
2
.
Per Cicerone l’importante non è quindi rendere l’equivalenza numerica perfetta delle
parole ma il senso e l’efficacia comunicativa di cui sono dotate le parole. Inoltre è stato
proprio lui il primo nella storia della riflessione sul tradurre a porre attenzione sulla
differenza tra “lettera” e “spirito” del testo, riferendosi a quella dicotomia che rimarrà una
costante in tutta la storia della traduzione tra i due diversi approcci alla traduzione: la
traduzione letterale che procede “parola per parola” e la traduzione libera che ha lo scopo
di rendere il senso mantenendo la stessa efficacia espressiva delle parole.
Un altro esponente di punta della cultura latina, che si è occupato del problema della
traduzione, è stato Quinto Orazio Flacco, che ha ripreso qualche anno dopo le parole e le
idee di Cicerone. Nel suo testo Ars poetica del 17 a.C., egli riconosce il valore di opera
d’arte ad una traduzione che sia capace di cogliere il senso del testo, di arricchire la lingua
di arrivo e che venga compresa nel contesto culturale al quale è destinata, confermando
l’orientamento di Cicerone: “non ti sforzerai di rendere fedelmente parola per parola il
tuo testo”.
Perché sia possibile tutto questo, il traduttore non deve essere troppo legato al testo di
partenza, poiché “[…] così muoiono i vocaboli della vecchia generazione e quelli che
sono nati di recente fioriscono”
3
.
Dunque, sia Cicerone che Orazio credono che il traduttore debba interpretare il testo di
partenza per arrivare a un testo di arrivo fondato sul principio che non si debba tradurre
parola per parola ma esprimendo il senso dell’originale.
Passo importante per la traduzione è la diffusione del Cristianesimo, nel quale trova
terreno fertile per lo sviluppo della teoria traduttiva, la versione tradotta della Bibbia e la
diffusione della parola di Cristo. Il traduttore assume un ruolo differente, si fa carico di
2
M. T. Cicerone, Libellus de optimo genere oratorum, in Tutte le opere di Cicerone, trad. it di G. Tissoni,
Milano, Mondadori, 1973, vol. 17, pp. 33-35, cit. in Siri Nergaard (a cura di) La teoria della traduzione
nella storia, Milano, Bompiani, 2002, pp 57-58.
3
Quinto Orazio Flacco, Ars poetica (17 o 13 a.C.), trad. it. a cura di A. Rostagni, Torino, Loescher, 1972.
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un compito che va oltre i vincoli linguistici e la traduzione della Bibbia assume una
connotazione evangelica. La traduzione del testo sacro contribuisce infatti alla diffusione
delle lingue volgari ed alla nascita e allo sviluppo dell’Ermeneutica (teoria
dell’interpretazione dei testi). Questo tipo di traduzione assumerà un ruolo centrale, oltre
per l’importanza dei criteri estetici anche, e soprattutto, per quelli evangelici.
In questo ambito è di grandissima importanza la riflessione sul tradurre di San Girolamo
che, nel 390 d.C. circa, traduce dall’ebraico e dal greco l’Antico Testamento, ma tenendo
conto anche della versione greca dei Settanta (o Septuaginta). Questo testo, conosciuto
come Vulgata, è la traduzione biblica più importante e verrà riconosciuto dal Concilio di
Trento, svoltosi tra il 1545 e il 1563, come testo ufficiale della Chiesa cattolica. San
Gerolamo dichiarò che aveva tradotto la Bibbia seguendo le idee di Cicerone prediligendo
il “senso” alla traduzione “parola per parola”. Per questa traduzione San Gerolamo fu
ampiamente criticato e poi accusato di eresia per aver realizzato una traduzione troppo
libera del testo sacro e diversa dalle versioni precedenti già in uso. In realtà gli “errori” di
San Gerolamo erano frutto di una consapevole rottura con la tradizione precedente.
Per difendersi dalle accuse San Gerolamo scrisse un’epistole, il De optimo genere
interpretandi intorno all’anno 390, un importante scritto di riflessione teorica sulla
traduzione. In questa lettera l’autore giustifica le sue scelte ed espone inoltre le proprie
idee sulla traduzione e sulle regole che ogni buon traduttore deve tener presenti. San
Gerolamo espone infatti i quattro principi fondamentali per una buona traduzione:
comprendere perfettamente il testo di partenza, non tradurre parola per parola, mantenere
i termini latini di uso corrente, curare l’estetica della lingua latina.
In sostanza San Gerolamo sosteneva che bisogna rimanere fedeli al testo di partenza, ma
avvalendosi al tempo stesso di una certa libertà necessaria a riprodurre il senso
dell’originale, senza tradurre parola per parola, seguendo l’esempio di Cicerone e Orazio.
Nelle mie traduzioni dal greco in latino non miro a rendere parola per parola, ma a riprodurre integralmente
il senso dell’originale (non verbum de verbo, sed sensum exprimere de sensu). E di questo mio metodo ho
a maestro Cicerone. Anche Orazio, uomo d’acuto ingegno e di profonda dottrina, nella sua Arte Poetica dà
questi precetti ad un traduttore erudito: Non ti sforzerai di rendere fedelmente parola per parola il tuo testo.
[...] È assai difficile, quando si segue il pensiero di un autore, non allontanarsene mai: è arduo conservare
nella traduzione tutta l’eleganza e la bellezza dell’originale […] Se traduco alla lettera, genero delle
assurdità, se, costretto dalla necessità, altero in qualche cosa l’ordine e lo stile, mi si dirà che manco al mio
dovere d’interprete.
4
4
San Gerolamo, Liber de optimo genere interpretandi, Epistola 57 a Pammacchio (390 ca.), in TTS, pp.
66-67.