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Introduzione
All’inizio del novecento nasce, grazie all’industrializzazione, un
nuovo soggetto sociale: le masse. Edward Bernays, nipote di
Freud, emigrato negli Stati Uniti, ispirandosi ai lavori di
Gustave Le Bon sulle folle, è uno dei primi ad avanzare la tesi
secondo cui "la manipolazione consapevole e intelligente delle
opinioni e delle abitudini delle masse, svolgerà un ruolo
importante in una societ{ democratica”. Nasce così il concetto -
caro alla propaganda politica - secondo il quale chi è in grado di
padroneggiare le masse può disporre del potere capace di
dirigere una nazione.
Numerosi saranno i sistemi politici occidentali, democratici o
totalitari, che non esiteranno a far propria la tesi di Edward
Bernays.
Nello stesso periodo nasce un nuovo sistema di comunicazione
e di intrattenimento: il cinema. Nell’arco di pochi decenni anni
aumenta in modo significativo il numero delle sale
cinematografiche mentre cresce e si sviluppa la fortuna del
genere documentario. I politici ne intuiscono subito le
potenzialit{ per la manipolazione dell’opinione pubblica.
Il documentario, grazie al suo modo di rappresentare la realtà,
ha la capacit{ di trasmettere allo spettatore l’impressione che
ciò che sta guardando è vero ed oggettivo, dunque credibile e
non discutibile.
I documentari vengono proiettati nelle prime sale
cinematografiche su “grandi schermi”: la popolazione,
8
attraverso la visione delle immagini in movimento, percepisce
una nuova realtà. Essendo anche una novità tecnologica,
questa crea un doppio effetto sullo spettatore: emozionale e
psicologico.
Si deve considerare l’alto tasso di analfabetismo di quell’epoca.
I film, oltre ad avere un ruolo di intrattenimento, al contrario di
libri o giornali, sono recepiti e capiti da tutti.
Sono caratteristiche che il sistema politico non può non
considerare perfetto per la diffusione di ideali e di consenso.
Questa tesi, nella prima parte, analizzerà quali siano gli
elementi che caratterizzano il genere documentario, chi siano
stati i suoi pionieri e di come esso si sia distinto dagli altri
generi cinematografici. Nella seconda parte verrà evidenziata
la complessità della relazione tra realtà e finzione, una
caratteristica che appartiene a tutto il cinema ma che sembra
propria del genere del documentario. In questa parte della tesi
sarà approfondito anche il rapporto tra documentario e
propaganda politica .
Seguir{ quindi l’esame delle relazioni tra politica e
documentario nei diversi paesi occidentali che sono stati i
maggiori attori politici del XX secolo, quali: l’Unione Sovietica,
la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Germania ed infine l’Italia.
Nell’ultima parte si intende analizzare il “trend” attuale del
documentario di propaganda politica. Si è deciso di prendere in
esame, fra i tanti possibili, un documentario che ha
caratteristiche emblematiche. Si tratta del film “An
inconvenient truth” realizzato nel 2006 da Davis Guggenheim, e
che ha, come protagonista e testimonial, l’ex vicepresidente
USA Al Gore.
9
Attraverso l’analisi sinottica di alcuni dettagli del film, verr{
messo in luce come i contenuti esposti da Al Gore, che sono
apparentemente focalizzati sulle problematiche climatiche, in
realtà nascondano una ben definita posizione politica.
11
1 Genere documentario e
propaganda
1.1 Il Genere documentario
1.1.1 ”Nascita di un nuovo termine”
E’ a partire dagli anni trenta che
comincerà ad essere usato in
modo diffuso il termine
"documentario". Il primo ad
avere usato questo termine è
stato John Grierson in un articolo
del New York Sun del 8 Febbraio
1926 dedicato al secondo film di
Robert Flaherty, “Moana”.
Tuttavia il termine era già usato
da una quindicina di anni in
Francia.Il termine documentario proverrebbe dal francese,
“documentaire”, a sua volta etimologicamente derivato dal
latino docere :"far vedere-istruire". Va però rilevato che era
usato in modo aleatorio e che non aveva ancora una sua
specifica connotazione di differenziazione di genere legata al
mezzo cinematografico. La maggior parte dei film di quegli
anni era chiamata film di actualités o travelogues. John
Grierson ha pertanto il merito di aver coniato il termine
"documentario" associandolo ad una nuova specifica categoria
di "opera cinematografica" e di essere stato "fra i primi a
12
sviluppare una riflessione teorica sul film documentario"
1
, una
riflessione che viene sviluppata nei suoi scritti “I Principi
fondamentali del documentario”.
E’ interessante notare che sebbene il termine sia stato
utilizzato per la prima volta da Grierson nell’ambito di una
recensione critica del secondo film di Robert Flaherty, è
proprio il primo film di Flaherty stesso, intitolato “Nanook of
the North” (“Nanook l'eschimese”), realizzato tra il 1920 e
1922, ad essere considerato il primo documentario della storia
del cinema.
1.1.2 Definire il genere documentario
Dare una definizione precisa del genere documentario non è
possibile e da sempre i teorici del cinema cercano di tracciare i
confini di questo genere.
Si usa generalmente definire il documentario solo nella sua
contrapposizione al film di finzione e per il suo contenuto
socio-politico o per la sua finalità didattica. Il documentario
normalmente, anche se non sempre, non viene allestito su un
set scenografico, non ha una sceneggiatura (così come viene
intesa nel cinema di finzione), e restituisce l’impressione di
essere stato filmato in modo oggettivo, con persone reali e non
con attori.
Tuttavia sono numerosi i documentari che invece hanno fatto
uso di sceneggiature vere e proprie, di messe in scena (a partire
1 Giannarelli
&
Savorelli: “Il film documentario”; pag. 23
13
dallo stesso Robert Flaherty che fece costruire un altro igloo
per filmare Nanook e la sua famiglia), così come sono numerosi
i film di finzione ad avere fatto ricorso all'uso di attori non
professionisti, all'improvvisazione e all'integrazione di filmati
di archivio.
Perciò queste caratteristiche non bastano per definire questo
genere e a distinguerlo dal film di finzione.
Ciò che differenzia realmente il documentario dal film di
finzione, è l'importanza della relazione di fiducia che si crea tra
il regista e lo spettatore. Contrariamente a quanto accede con la
“fiction dove lo spettatore può accontentarsi di sospendere
l'incredulità"
2
. In occasione della visione di un documentario
lo spettatore si pone in una posizione per cui è pronto ad
accettare per "vero" ciò che gli è mostrato e raccontato.
Si tratta di un sentimento di fiducia che nasce grazie alla
sensazione di autenticità e di verosimiglianza, che sono proprie
del documentario. Come Francesco Casetti spiega bene: “il
valore ‘realista’ o al contrario ‘fictionnelle’ dell'immagine e del
suono non dipende da una vocazione ontologica o da fatti
stilistici, ma da una vocazione pragmatica. In altre parole, la
dimensione del documentario, o al contrario della finzione,
dipende dal confronto proprio tra un fare emissivo e un fare
ricettivo"
3
.
2 B. Nichols: “Introduzione al documentario”; pag. 14
3 F. Casetti: “Cinémas et Réalités”; pag. 241
14
1.1.3 Realtà e rappresentazione
E’ comune tra gli spettatori avere l’impressione che il
documentario sia una riproduzione fedele della realtà, che non
nasconda nulla e che presenti le cose come sono, provocando
quindi il sentimento e la convinzione che il suo contenuto sia
oggettivo.
Com’è stato per la fotografia in un primo tempo, così il cinema è
considerato come una riproduzione fedele della realtà,
oggettiva e in qualche modo indiscutibile. Contrariamente ad
altre arti figurative, come ad esempio la pittura dove l'opera del
pittore "sar{ sempre ipotecata da una soggettivit{ inevitabile”
4
, nel caso della fotografia e del cinema cambia l’atteggiamento
ricettivo del pubblico; sono visione che nascono da "una
riproduzione meccanica da cui l'uomo è escluso"
5
. Inoltre è
interessante notare che "il gruppo di lenti che costituiscono
l'occhio fotografico, sostituito dell'occhio umano, si chiama
appunto ‘obiettivo’ "
6
. Se il documentario fosse effettivamente
una semplice riproduzione della realtà, ogni problema legato
alla sua definizione non sussisterebbe. Le cose invece sono
molto più complesse ed articolate.
Secondo Grierson, il documentario "è un trattamento creativo
della realt{". Il documentario non è un’obiettiva e semplice
riproduzione della realtà ma bensì una rappresentazione del
mondo fatta da un osservatore. Questo necessariamente
comporta che l’obiettivo cinematografico mette in risalto il
4 A. Bazin: “Che cosa è il cinema”; pag. 6
5 Ibidem; pag. 6
6
Ibidem; pag. 7
15
punto di vista del regista del film, mostrandoci cose che forse
noi non avremmo visto o che non saremmo stati capaci di
cogliere.
Numerosi teorici preferiscono che si parli non di realtà, ma di
realismo. Il documentario ha la capacità, di cancellare "le tracce
del processo enunciativo” e di "includere nella propria
rappresentazione luoghi e avvenimenti riferibili alla più
comune esperienza”
7
. Quindi si parla di realismo e non di
realtà. "La teoria del cinema odierna, considera il principio di
non innocenza della tecnica: <… omissis …> ovvero veicolo di
scelte linguistiche, espressive, ideologiche da parte dell'istanza
rappresentativa responsabile del testo del documentario"
8
. La
forza del realismo è proprio quella di farci dimenticare la
soggettività che c'è in un documentario.
Il documentario nasce dunque per proporre e a volte imporre
un punto di vista: per influenzare e persuadere.
Il documentario non esita ha usare la retorica, che ha appunto
come scopo quello di convincere il pubblico attraverso
l'organizzazione del discorso. Compito della retorica è
muovere l’ascoltatore verso un predeterminato giudizio. La
retorica si serve in particolare della metafora, che aiuta a
spiegare argomenti che non possono essere definiti in modo
preciso come l'amore, la guerra, la politica. “Le metafore fanno
appello a forme basilari di esperienza personale e di
orientamento fisico per attribuire dei valori e dei concetti
sociali, la comprensione attraverso la metafora è spesso il
modo più significativo e persuasivo di convincerci del merito di
7 R. Nepoti: “Storia del documentario”; pag. 15
8 Ibidem; pag. 17
16
un opinione piuttosto di un'altra"
9
.
L'uso della retorica al fine di persuadere non è l'unico
"strumento" usato dai documentari per mostrare un punto di
vista. Ci sono anche altre tecniche, forse più subdole.
Importante, e molto usato, è il montaggio che Bazin definisce
come "la creazione di un senso che le immagini oggettivamente
non contengono e che deriva soltanto dal loro rapporto". "Il
senso non sta nell'immagine, ne è l'ombra proiettata, per mezzo
del montaggio, sul piano di coscienza dello spettatore". Nichols
parla di un "montaggio evidenziatore", in opposizione al
"montaggio di continuità" usato nei film di fiction: "invece di
organizzare i pezzi di una scena in modo da presentare un
insieme unificato di tempo e di spazio in cui seguire le azioni
dei personaggi principali, il ‘montaggio evidenziatore’ taglia
all'interno di una scena per presentare l'impressione di un solo
argomento convincente sostenuto dalla logica"
10
. Primo
grande documentarista ad avere capito l'importanza del
montaggio, è Dziga Vertov, uno dei padri fondatori del
documentario.
Ancor prima di arrivare al montaggio del documentario, sono le
scelte di regia e di scrittura ad orientare lo spettatore verso il
punto di vista del regista.
Altri elementi persuasivi sono la colonna sonora e il commento,
ovvero la voce fuori campo. Il commentatore è invisibile, quasi
fosse una voce "divina", percepita come una presenza
onnisciente. Voce "colta, professionale, maschile e profonda"
11
,
9 B. Nichols: “Introduzione al documentario”; pag.
81 e 82
10 Ibidem;pag. 40
11 Ibidem; pag. 112 e 113
17
"un tono ufficiale da commentatore professionista, con stile
autorevole che cerca di comunicare un senso di affidabilità"
12
così da dare la sensazione di non poter essere messa in
discussione.
Un’altra funzione importante del commento, o dei sottotitoli, è
quella di guidare l’attenzione dello spettatore e indirizzarlo sui
significati e sulle possibili interpretazioni da dare alle
immagini. Lo spettatore dà fede al commento e accetta le
immagini come prova e dimostrazione di quanto affermato
dalla voce fuori campo.
13
Sembra giusto rilevare come il commento non sia presente in
tutti i documentari, ma lo sia, con particolare enfasi, nel caso
dei documentari di propaganda.
1.2 Propaganda e documentario: un destino comune?
1.2.1 Propaganda
In numerosi paesi occidentali la fine del XVIII secolo e tutto il
XIX secolo è un periodo contraddistinto
dall’industrializzazione. Si tratta di un fenomeno che ha
trasformato la societ{ da un’economia rurale, basata
essenzialmente sull'agricoltura, ad un’economia urbana,
concentrata nelle città. Comincia, in quasi tutta Europa,
l’emigrazione dalla campagna alle citt{. La concentrazione di
12 B. Nichols: “Introduzione al documentario”; pag. 112 e 113
13
Ibidem; pag. 113
18
abitanti raggiunge livelli mai visti prima e il fenomeno, sotto
certi aspetti, spaventa la classe al potere.
Uno dei primi teorici a rilevare questo fenomeno e a studiarlo,
in chiave psicologica, è Gustave Le Bon. Nel suo libro, intitolato
"Psicologia delle folle" pubblicato per la prima volta nel 1895,
egli dichiara "queste società dovranno fare i conti con una
potenza nuova, la più recente
sovrana nell'età moderna, la potenza
delle folle"
14
. Le Bon ha uno sguardo
dispregiativo verso questo nuovo
fenomeno, in quanto considera le
masse prive di capacità raziocinanti,
capaci di agire solo in funzione di
emozioni e di essere sempre
"dominate dall'inconscio"
15
.
Alcuni anni dopo Edward Bernays,
ispiratosi alle teorie di Le Bon, ma
anche di altri teorici quali Walter Lippmann e Wilfred Trotter,
riprende tale tesi. In particolare l'idea che l'industrializzazione
abbia portato alla nascita delle “masse”, e queste attraverso "il
suffragio universale" e una migliore istruzione abbiano
acquisito una consapevolezza nuova dell’importanza che il loro
consenso ha verso chi sta al potere. Avviene così una
trasformazione che pone la classe che governa in una nuova
posizione: "una volta, coloro che governavano orientavano il
corso della storia agendo in maniera indipendente dal consenso
dei sudditi. Gli attuali successori di quei personaggi e che
esercitano il potere in virtù della loro posizione, non possono
14 G. Le Bon: “Psicologia delle folle”; pag. 32
15 Ibidem; pag. 45
19
più agire senza il consenso delle masse"
16
. Bernays aggiunge
tuttavia: "Oggi si profila una reazione da parte della classe
dirigente, questa ha scoperto di poter influenzare la
maggioranza in funzione dei suoi interessi, ovvero è possibile
plasmare l'opinione delle masse per orientarle nella direzione
voluta"
17
. Questa soluzione per Bernays sta nella propaganda.
Il termine propaganda fu usato per la prima volta, dal Vaticano
nel XVI secolo, da Papa Urbano VIII, quando fu istituita la
Congregatio de Propaganda fide, un dipartimento preposto alla
diffusione della fede cattolica, con il compito di istruire i
missionari.
La definizione più "moderna" del termine, quella che Bernays
enuncia all'inizio del suo libro, intitolato proprio “Propaganda”,
è: "la manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e
delle idee delle masse".
La propaganda sembra la “soluzione” al problema della presa di
coscienza delle masse. Essa sembra lo strumento più efficace
per controllare questa "dinamica", che è anche chiamata,
riprendendo la teoria di Lippmann, "opinione pubblica".
Bernays arriva addirittura a considerarla come uno strumento
indispensabile, in quanto permette di mantenere un "ordine"
nelle società.
Il manipolare e persuadere attraverso strumenti che vanno a
formare o a sostituire ideologie e/o idee, deve avvenire in
modo celato, come sottolinea Jacques Ellul: "il propagandista
naturalmente non può rivelare le vere intenzioni del ‘principio’
16 E. Bernays: “Propaganda”; pag. 35
17 Ibidem; pag. 35