4
rilevanza che sembrano poter offrire una certa continuità alla sua
evoluzione teoretica nel corso dei decenni: l’importanza della teoria e della
pratica dell’insegnamento educativo (education), in particolar modo rivolte
ai giovani «perché non sono mai stato ottimista circa le possibilità
dell’insegnamento superiore quando è costruito su fondamenta deboli e
deformate (upon warped and weak foundations)»
5
; lo stimolo suscitato in
Dewey dallo «scandalo intellettuale» di un diffuso atteggiamento dualistico
«fra il punto di vista logico e un metodo che si appoggia da una parte a
qualcosa chiamato ‘scienza’ (science) e dall’altra a qualcosa chiamato
Logical Theory [1903], in J. Dewey, The Middle Works, 1899-1924. Ed. by Jo Ann
Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1976-1983
[d’ora in poi MW], vol. 2: 1902-1903, pp. 293-378; in seguito inserito tra gli Essays in
Experimental Logic del 1916); 4. «della maturità, dal 1903 in avanti, in cui il Dewey,
sotto lo stimolo della filosofia dei pragmatisti, del comportamentismo del dott. Watson,
della sua vasta conoscenza del pensiero moderno e di tutta la storia della filosofia e
delle esperienze di vita, andò sempre meglio precisando la sua concezione pedagogica e
filosofica, ponendo l’accento sul problema dei valori» (F. Brancatisano, Sulla
formazione di John Dewey, in Mario Dal Pra (a cura di), Il pensiero di John Dewey,
Fratelli Bocca, Milano 1952, p. 159). Di diverso avviso è Teodora Pezzano, la quale (in
L’assoluto in John Dewey. Alle origini della comunità democratica educante, Armando
editore, Roma 2007) non riscontra una tendenza ‘evoluzionistica’ nel pensiero
deweyano, anzi sottolinea già nelle prime pagine del suo studio quanto in realtà siano
«proprio i primi scritti a rappresentare in nuce la filosofia del Dewey maturo, in cui si
avverte una maggiore raffinatezza di argomentazioni» (ivi, p. 22). Inoltre, la Pezzano
non accoglie il tradizionale orientamento storiografico (americano ed anche europeo)
che giunge ad isolare una ‘fase idealistica’ nella riflessione deweyana giovanile; da
parte sua, la studiosa rileva sì quella «ricerca di unità» caratteristica di Dewey, ma in
realtà tale spinta non sarebbe altro che il segno di «una semplice tensione verso
l’hegelismo» (ivi, p. 16), del quale egli avrebbe ravvisato molto presto i limiti
strutturali: vede come «la dialettica hegeliana si immerge in una sorta di latenza astratta
della quale la realtà non fa parte. Non c’è rapporto, non c’è scambio tra l’individuale e
l’universale. […] Non vi è alcuna induzione diretta tra la realtà psichica e fisica, ma
frammentarietà, astrazione» (ivi, p. 22). Sulla controversa lettura del rapporto tra
Dewey, Hegel e, più in generale, il pensiero idealistico nella storiografia italiana dei
primi decenni del novecento, cfr. L. Bellatalla, John Dewey e la cultura italiana del
Novecento, Ets, Pisa 1999; e Id., John Dewey nella spirale idealistica, in P. Colonnello
e G. Spadafora (a cura di), Croce e Dewey. Cinquanta anni dopo, Bibliopolis, Napoli
2002, pp. 151-162; cfr. anche F. Cafaro, John Dewey e la critica italiana, in M. Dal Pra,
Il pensiero di John Dewey, cit., pp. 176-190.
4
From Absolutism to Experimentalism, in J. Dewey, LW, vol. 5, cit., p. 156 [tr. it.: p.
128].
5
Ibidem
5
‘morale’ (morals)»
6
, orientamento di pensiero che lo ha spinto verso la
successiva fase ‘strumentalistica’; l’influenza di William James, legata
principalmente alla sua concezione biologistica del rapporto esperienza-
pensiero; infine, la presa di coscienza della centralità di «certe categorie
sociali distintive, soprattutto quelle concernenti la ‘comunicazione’
(communication) e la ‘partecipazione’ (participation)»
7
, che possano
condurre a una filosofia più prossima alle richieste della scienza moderna e
alle esigenze espresse «nell’educazione, nella morale e nella religione»
attraverso «un totale rifacimento (a great deal)»
8
del nostro modo di
filosofare, predisposto al confronto con i principali temi offerti dalla vita e
dalla dialettica sociale.
La comunicazione, sostiene enfaticamente Dewey in Experience and
Nature
9
, è «di tutte le faccende umane […] quella che suscita più
meraviglia (the most wonderful)»
10
; e che «il frutto della comunicazione»
risulti essere la partecipazione (participation), o una più profonda
esperienza condivisa (sharing), appare ai suoi occhi un tale miracolo «a
confronto del quale quello della transustanziazione impallidisce (pales)»
11
.
Il processo comunicativo sembra attirare l’attenzione di John Dewey il
quale non giungerà mai a definire una sistematica e compiuta ‘teoria
dell’agire comunicativo’ à la Habermas, ma disseminerà i suoi scritti
d’argomento prevalentemente pedagogico-sociale del periodo giovanile di
riferimenti a tale fenomeno di natura interazionale: dall’analisi dettagliata
di estratti di tali opere, emerge quanto la comunicazione costituisca
essenzialmente la natura umana, poiché introduce nella relazione tra due o
6
Ibid. [tr. it.: p. 129].
7
Ivi, p. 159 [tr. it.: p. 132].
8
Ibidem
9
Experience and Nature [1925, 1929²], in J. Dewey, LW, vol. 1: 1925 [trad. it: J.
Dewey, Esperienza e natura, a c. di P. Bairati, Mursia, Milano 1990].
10
Ivi, p. 132 [tr. it.: p. 131].
11
Ibidem
6
più persone un elemento intenzionale di avvicinamento, di partecipazione e
condivisione (rispettivamente, secondo la usuale terminologia deweyana,
participation e sharing) della situazione emotiva degli interlocutori
coinvolti che viene a mancare in tutte le altre forme esperibili di ‘contatto’
tra esseri umani.
Questo movente primo dell’uno verso l’altro individuo favorisce la
formazione di un’intesa societaria (o, per meglio dire, in prima istanza,
comunitaria), la quale nasce proprio, secondo Dewey, dal «libero gioco
delle forze della comunità che s’intrecciano nel quotidiano relazionarsi
(intercourse) e nel contatto tra gli uomini in una indefinita varietà di
modi»
12
, immediatamente precedente al momento politico-istituzionale. A
tale fase di incontro-confronto orizzontale-frontale, eminentemente
egualitario, tra differenti personalità sociali, che rappresenta per Dewey
«anche un immediato abbellimento della vita (an immediate enhancement
of life), goduta in quanto tale»
13
, esso dedica alcune pagine interessanti dei
suoi scritti giovanili soffermandosi con grande attenzione sul ruolo del
medium linguistico nella dinamica comunicativa (da My Pedagogic Creed
14
e The School and Society
15
a Democracy and Education
16
) e trovando poi
una formulazione esauriente e definita sul tema in questione in Experience
and Nature, in cui introduce il concetto-cardine di ‘significato’ (meaning),
elemento che costituisce, secondo Hickman, «ciò che è importante
12
The School as Social Centre [1902], in J. Dewey, MW, vol. 2, p. 81.
13
Experience and Nature, in J. Dewey, LW, vol. 1: 1925, p. 144 [trad. it.: p. 143].
14
My Pedagogic Creed [1897], in J. Dewey, The Early Works, 1882-1898. Ed. by Jo
Ann Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1969-
1972 [d’ora in poi EW], vol. 5: 1895-1898 [trad. it: Il mio credo pedagogico, in J.
Dewey, Il mio credo pedagogico (antologia di scritti sull’educazione), a c. di L. Borghi,
La Nuova Italia, Firenze 1954].
15
The School and Society [1899], in J. Dewey, MW, vol. 1: 1899-1901 [trad. it: J.
Dewey, Scuola e società, a c. di E. Codignola e L. Borghi, La Nuova Italia, Firenze
1949].
16
Democracy and Education [1916], in J. Dewey, MW, vol. 9: 1916 [trad. it: J. Dewey,
Democrazia e educazione, a c. di E. E. Agnoletti e P. Paduano, RCS Libri-Sansoni,
Milano 2004].
7
nell’esperienza umana»
17
, ulteriore e rilevante complemento nell’analisi
dell’impianto comunicativo, strumento irrinunciabile per favorire una
comprensione interindividuale a livello semantico-simbolico e un
conseguente coinvolgimento simpatetico tra i vari interlocutori coinvolti.
Piuttosto che il momento eminentemente politico che viene a
caratterizzare il consorzio umano, Dewey sembra interessato ad analizzare
quella fase precedente dell’incontro tra soggetti umani che prende avvio
all’interno delle piccole comunità pre-industriali, nelle quali si percepisce
vividamente la forza del dialogo, si verifica una fluida e generalizzata
circolazione delle idee, si coglie il piacere della condivisione associativa
d’intenti e desideri, la preminenza e l’efficacia del momento educativo-
pedagogico e dell’apparato scolastico, in quanto primitivo nucleo
d’incontro tra individualità differenti, e la sua capacità precipua di formare
individui pronti ad affrontare gli impegni e i doveri richiesti dal vivere
civile.
Dialogo
18
, costante e costruttivo scambio intercomunicativo (anche a
livello di speculazione scientifica), centralità della ‘comunità locale’ e di
una relazionalità di tipo prevalentemente amicale tra gli individui,
educazione e pedagogia
19
in vista dell’accurata formazione di individualità
17
L. A. Hickman, La tecnologia pragmatica di John Dewey, trad. a c. di G. e M.
Spadafora, Armando Editore, Roma 2000, p. 55.
18
N. Urbinati ha riassunto in poche parole, a mio parere perfettamente rispetto alla
‘lettera’ dei testi deweyani, le molteplici sfumature inerenti al concetto di ‘dialogo’ e la
sua reale possibilità di espansione a livello territoriale, così definendolo: «Il dialogo,
come relazione simmetrica tra interlocutori che si riconoscono eguali e come scambio
reciproco dell’esprimere e del recepire, è una condizione attuabile solo nelle piccole
società, non in larghe associazioni e tanto meno nelle assemblee politiche»
(Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana,
Donzelli, Roma 1997, p. 111). Cfr. su questo tema una posizione prossima a queste
conclusioni, che analizzeremo più avanti, è quella espressa da Cornel West all’interno
del suo La filosofia americana. Una genealogia del pragmatismo, Editori Riuniti, Roma
1997.
19
F. Cambi sottolinea quanto «la tensione politica (nel senso aristotelico di fondazione
della polis) dell’educazione e della pedagogia» si presenti in Dewey come «fattore-
chiave di quella società democratica che reclama, per sussistere e svilupparsi,
8
autonome e ben integrate in ambito societario, divengono, nella riflessione
deweyana, aspetti irrinunciabilmente interconnessi al fine di portare a
compimento quel progetto di ‘democrazia sociale e quindi morale’
20
così
lungamente inseguito da Dewey, proposto fin dai primi scritti di fine
ottocento, il quale prevede in ultima istanza «un’ampia e varia
distribuzione delle opportunità, mobilità sociale e delle conoscenze,
interessi e progetti comuni e infine una disponibilità al mutuo sostegno»
21
;
in altri termini, la configurazione di uno Stato moderno, «a un tempo Stato
di diritto e Stato sociale, […] che possa costituire l’espressione più verace
della collettività, ed essere in grado, nelle forme di volta in volta consentite
dall’ordinamento giuridico, di non far prevalere gli assurdi particolarismi
l’esistenza di individui capaci di rivivere già in se stessi le tensioni etico-politiche della
societas e le disposizioni di cooperazione e di accordo, oltre che le articolazioni della
cultura che dà corpo e supporta quel patrimonio comune di saperi e di valori»
(L’educazione per la democrazia e la democrazia nell’educazione. Itinerari politico-
pedagogici di Dewey – prima e dopo il New Deal -, in G. Spadafora (a cura di), John
Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, Anicia, Roma 2003, pp. 168-169).
Cfr. G. Spadafora, La relazione filosofia-educazione-politica: il nodo cruciale della
filosofia deweyana, in G. Spadafora (a cura di), John Dewey, cit., p. 77: «Senza
l’educazione la filosofia deweyana, il ‘metodo dell’intelligenza’ che si pone in modo
‘transazionale’ nella situazione individuo-mondo non potrebbero auto fondarsi.
L’educazione non è quindi elemento occasionale nel pensiero deweyano, o un
corollario applicativo della sua concezione della democrazia, ma è il principio teorico
che regola, per così dire, la specificità del processo filosofico deweyano» (corsivo del
testo originale).
20
In uno scritto del 1916, Dewey sottolinea come in realtà «la democrazia politica non
sia l’intera democrazia (the whole of democracy)», ma bensì possa efficacemente
sussistere soltanto laddove «la democrazia è sociale – dove, cioè, è morale» (‘sociale’ e
‘morale’ considerati qui come semanticamente equivalenti): vedi The Need of an
Industrial Education in an Industrial Democracy [1916], in J. Dewey, MW, vol. 10:
1916-1917, p. 138.
21
N. Urbinati, Individualismo democratico, cit., p. 162. Cfr. The Need of an Industrial
Education, cit., in J. Dewey, MW, vol. 10, p. 138: «A social democracy signifies, most
obviously, a state of social life where there is a wide and varied distribution of
opportunities; where there is social mobility or scope for change of position and station;
where there is free circulation of experiences and ideas, making for a wide recognition
of common interests and purposes, and where utility of social and political organization
to its members is so obvious as to enlist their warm and constant support in its behalf».
9
individuali e gli esasperati antagonismi classisti, ma il rispetto delle altrui
libertà»
22
.
Ma le vicende politiche internazionali che coinvolgono gli Stati Uniti a
cavallo degli anni venti (dapprima l’intervento nel 1917 nel primo conflitto
mondiale, in seguito la cocente delusione per la mancata adesione alla
‘Società delle Nazioni’ fortemente voluta e tenacemente promossa dal
presidente Wilson) e il parallelo precipitare della situazione interna in cui
sembra profilarsi una svolta drastica verso un orientamento di politica
economica spiccatamente individualistico-capitalistica, convincono John
Dewey a rivolgere parte dei propri interessi teorici anche a tale ambito di
riflessione (rimasto in secondo piano per qualche decennio) per affrontare,
tra i vari temi di scottante attualità, la vexata quaestio dei rapporti
intercorrenti all’interno del sistema democratico americano tra ‘società-
pubblico’ e potere politico in alcuni scritti capitali come The Public and Its
Problems
23
, l’unico scritto deweyano di ‘filosofia politica’, e Individualism,
Old and New
24
.
Il rischio di una deriva anti-democratica si sta minacciosamente
palesando nel sistema americano, agli occhi di Dewey, evidenziata in
particolar modo dalla netta frattura venutasi a creare tra i due soggetti
principali della vita sociale e politica del paese e ancor di più accentuata
(oltrechè da una innegabile, costitutiva debolezza propria delle masse) dalla
notevole importanza acquisita in tempi recenti dai nuovi media, i quali
ormai rivestono il ruolo di intermediari di riferimento, di depositari delle
‘verità’ custodite all’interno delle ‘notizie’ (news), nelle operazioni
22
P. Beraldi, John Dewey. Ragione filosofica e storicità dell’uomo, Edizioni Giuseppe
Laterza, Bari 2007, p. 143.
23
The Public and Its Problems [1927], in J. Dewey, LW, vol. 2: 1925-1927 [trad. it.:
Comunità e potere, a c. di P. Vittorelli e P. Paduano, La Nuova Italia, Firenze 1971].
24
Individualism, Old and New [1930], in J. Dewey, LW, vol. 5: 1929-1930 [trad. it.: J.
Dewey, Individualismo vecchio e nuovo, a c. di F. Villani, La Nuova Italia, Firenze
1948].
10
comunicative tra governanti e governati. Il fondato timore di un’alleanza
‘ideologica’ tra gli oligarchi detentori del potere economico-politico e i
nuovi padroni del cosiddetto ‘mondo dell’informazione’, il sensibile
modificarsi delle modalità interazionali della politica oggi orientate al
pieno controllo da parte dei governanti degli apparati semantico-simbolici a
fondamento della società (lucidamente prospettato dal Dewey in Liberalism
and Social Action
25
), apre scenari inquietanti per le prospettive dell’attuale
assetto democratico del paese e costringe Dewey, anche sulla scia dei
dirompenti saggi dei primi anni Venti, Public Opinion (1922) e The
Phantom Public (1925)
26
, scritti da Walter Lippmann, «l’enfant prodige
(the wunderkind) del progressismo pre-bellico, ora uno dei più influenti
giornalisti della nazione»
27
, a riconsiderare le dinamiche interattive interne
ad esso (analizzate brillantemente una prima volta nello scritto giovanile
The Ethics of Democracy
28
) tra ‘Stato-governo’ e ‘società-opinione
pubblica’, oramai pericolosamente orientate verso una ‘verticalità’
25
Liberalism and Social Action, in J. Dewey, LW, vol. 11: 1935-1937 [trad. it.: J.
Dewey, Liberalismo e azione sociale, a c. di R. Cresti, La Nuova Italia, Firenze 1974].
26
Particolare attenzione sarà dedicata, nella seconda parte dello scritto, a Public
Opinion, il saggio di W. Lippmann al quale John Dewey si dichiara maggiormente
debitore in The Public and Its Problems (1927).
27
R. B. Westbrook, John Dewey and American Democracy, Cornell University Press,
Ithaca and London, New York 1991, p. 294: riguardo ai legami e alle divergenze
teoretiche tra W. Lippmann e J. Dewey sul concetto di ‘pubblico’ e sull’impostazione di
un sistema democratico di governo, cfr. il capitolo 9, The Phantom Public (pp. 275-
318), con particolare attenzione alle pp. 293 sgg.; cfr. anche C. Lasch, Il paradiso in
terra. Il progresso e la sua critica, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 343-346, 346-348; e
anche G. Cavallari, Introduzione a J. Dewey, Scritti politici (1888-1942), a cura di G.
Cavallari, Donzelli, Roma 2003, pp. XL-XLI; il recentissimo saggio di G. Cavallari e G.
Dessì, L’altro potere. Opinione pubblica e democrazia in America, Donzelli, Roma
2008 (con particolare riferimento alle pp. 5-45, 101-120); G. Dessì, Walter Lippmann.
Informazione/Consenso/ Democrazia, Edizioni Studium, Roma 2004 (soprattutto le pp.
96-110); sulla figura di Walter Lippmann e in particolare sul concetto di ‘stereotipo’,
che più avanti prenderemo in esame, cfr. E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio.
Per una teoria dell’opinione pubblica, Meltemi, Roma 2002, pp. 235-247.
28
The Ethics of Democracy [1888], in J. Dewey, EW, vol. 1: 1882-1888 [trad. it.: J.
Dewey, Etica della democrazia, in Scritti politici (1888-1942), cit., pp. 3-22].
11
dialogica che si rivela dannosa per il ‘popolo’ ridotto a mero spettatore-
fruitore delle vicende d’interesse pubblico.
Il tono aspro e, allo stesso tempo, allarmato di John Dewey, percepibile
anche nel successivo e cruciale Freedom and Culture
29
, evidenzia quanto,
secondo esso, si giochi soprattutto sul piano del ripristino di una sana
dialettica comunicativa, orizzontalmente regimentata, tra ‘Stato’-media-
‘società’ il futuro prossimo della democrazia americana: soltanto un
procedere comunicativo che riscopra le sue nobili radici comunitarie e il
rispetto e lo sviluppo delle intelligenze soggettive (in vista della
costruzione e attuazione di una ‘grande comunità’), ispirata alle sane
modalità, rinvenibili in contesti locali, d’interazione interpersonale, capace
di modificare radicalmente le relazioni individuali e istituzionali nella
società, può porre rimedio, secondo Dewey, alla crisi culturale e morale
che affligge l’America e il portante modello democratico in quanto ideale
veicolo di «comunicazione, collaborazione, partecipazione in finalità
congiunte», ma soprattutto di «discussione pienamente libera, dibattito
ininterrotto»
30
.
29
Freedom and Culture [1939], in J. Dewey, LW, vol. 13: 1938-1939 [trad. it: J. Dewey,
Libertà e cultura, a c. di E. E. Agnoletti, La Nuova Italia, Firenze 1967].
30
A. Visalberghi, John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 3. Cfr. What Is
Democracy? [ca. 1946?], in J. Dewey, LW, vol. 17: 1885-1953, p. 474: «nothing is
more certain than unless its movement is attended by scrupulous attentive observance of
the principle of freedom of intelligence in action it will rapidly degenerate into the rule
of a small section, maintained by use of force, in its own special interest. It is for this
reason that it is so peculiarly, almost uniquely, important at the present time not to be
distracted into allowing any issue, no matter how useful in itself, to displace freedom of
intelligence in public communication by means of speech, publication in daily and
weekly press, in books, in public assemblies, in scientific inquiry, as the centre and
burning focus of democracy. Nothing will be more fatal in the end than surrender and
compromise on this point. Now, more than ever, it is urgently necessary to hold it in
steady view as the heart from which flows the life-blood of democracy».
12
1. LA COMUNICAZIONE ORIZZONTALE
1.1 THE ETHICS OF DEMOCRACY
L’interesse teorico-politico di John Dewey si palesa fin dal 1888, durante
l’anno di permanenza nell’Università del Minnesota, con lo scritto The
Ethics of Democracy, saggio che rappresenta soltanto un’escursione
episodica in un ambito speculativo che rimarrà per qualche decennio poco
esplorato
31
a tutto vantaggio delle numerose pubblicazioni di carattere
etico, pedagogico e psicologico-sociale. Tutto ciò non toglie importanza a
questo testo sì cronologicamente giovanile, ma in cui emerge chiara la
posizione di Dewey riguardo al suo convincimento sulla «vera natura (the
fundamental nature) della democrazia»
32
e che traccia le coordinate
politiche delle future riflessioni su tale questione; sullo sfondo, si staglia la
democrazia americana di fine ottocento che sta vivendo in questi decenni,
dalla seconda metà del secolo in corso, «un processo di sviluppo e di
trasformazione rapido come pochi altri nella storia dell’Occidente,
passando da un’economia prevalentemente agricola a un’economia
industriale e da forme di vita pressoché patriarcali alle grandi
concentrazioni urbanistiche»
33
.
31
Mario Alcaro, nel suo John Dewey. Scienza prassi democrazia, ci dice che «dopo il
1888 e sino alla prima guerra mondiale non si può certo dire che i problemi politici
rientrino a pieno titolo fra i principali interessi del filosofo americano. Episodici, spesso
brevi, e collaterali all’approfondimento delle tematiche pedagogiche, filosofiche ed
etiche, sono i non numerosi scritti teorico-politici. Fra il 1888 e il 1914 (dunque, in un
periodo tutt’altro che breve) troviamo una nota, Christianity and Democracy del 1893,
un saggio, nell’anno successivo, sulla teoria della sovranità in Austin, poi, nel 1903, uno
scritto su Emerson, seguito da Democracy in Education e da Industrial Education and
Democracy» (Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 112-113); cfr. anche M. Alcaro, Dewey e la
democrazia (1888-1927), in M. Alcaro e R. Bufalo, John Dewey oggi, Abramo,
Catanzaro 1996, pp. 107-123.
32
The Ethics of Democracy, in J. Dewey, EW, vol. 1, p. 228 [trad. it. cit.: p. 4].
33
A. Granese, Il giovane Dewey. Dallo spiritualismo al naturalismo, La Nuova Italia,
Firenze 1966, p. 1. Sulla rapidissima «crisi e trasformazione di una società agricola»,
13
Punctum originis di The Ethics of Democracy è l’analisi critica del libro
di Henry Maine Popular Government (1886)
34
, che offre a Dewey la
possibilità di esporre la propria idea di ‘democrazia’, concetto che permarrà
stabile nelle linee-guida qui presentate attraverso l’intero percorso
speculativo del filosofo americano. Secondo la lettura di Dewey, la tesi
centrale dello scritto di Maine sarebbe la seguente: «la democrazia è solo
una forma di governo (democracy is only a form of government)»
35
, una tra
le molteplici tipologie di regime politico, nella quale la relazione di base tra
governo e cittadino si presenta verticalizzata; in altri termini, verrebbe a
configurarsi all’interno di tale rapporto una posizione dominante del primo
termine (il «sovrano», nel testo originale deweyano sovereign) sul secondo
(subject, il «soggetto»
36
, appunto), una superiorità che altrimenti dovrebbe
essere esercitata dalla massa dei cittadini (l’indistinta e caotica multitude).
Il regime democratico si manifesta, di conseguenza, come «governo dei
molti (the Many), della massa»
37
, in qualità di mera «aggregazione
numerica, […] conglomerato di unità (a conglomeration of units)» e, in
virtù di questa ineliminabile componente atomistica e per la difficoltà che
ad essa si accompagna di plasmare una solida «common will», una ‘volontà
comune’ che garantisca una reale governabilità al paese di riferimento, si
rivela inequivocabilmente come «la forma più difficile di governo (the
most difficult form of government)». In conseguenza di ciò, secondo il
Maine, «la sovranità o il potere politico sono ridotti in briciole (is minced
into morsels) e la porzione che tocca ad ognuno è infinitamente piccola
cfr. O. Barié, Gli Stati Uniti nel secolo XX. Tra leadership e guerra fredda, Marzorati,
Milano 1983, pp. 19 sgg.
34
Cfr. R. B. Westbrook, John Dewey and American Democracy, cit., pp. 38-39; Maine
rappresenta, secondo Westbrook, «the first of several liberal realists with whom Dewey
would contend in his career» (ivi, p. 38).
35
The Ethics of Democracy, in J. Dewey, EW, vol. 1, p. 229 [tr. it. cit.: p. 4].
36
Ibidem [tr. it.: p. 5].
37
Ibid.
14
(almost infinitesimally small)»
38
; inoltre, i cittadini divengono meri
«frammenti di potere politico»
39
, singole unità-monadi sciolte da qualsiasi
legame sociale e soltanto in seguito artificialmente composte insieme.
A fronte di un tale quadro istituzionale composito e diversificato, in cui
il regime democratico si configuri come risultante di un procedimento
meramente aggregativo-sommatorio di singole unità individualmente
determinate,
«la moltitudine, nonostante sia governante e sovrana (the ruler and the master), è
obbligata a delegare i suoi poteri al cosiddetto organo di governo, poiché, essendo una
moltitudine, non può esercitarli direttamente. In breve, nella democrazia il governo è un
potere esterno basato sul principio di delega (by a process of delegation)»
40
.
Secondo Maine, a causa delle sue costitutive debolezze e aporie, il regime
democratico tende a sfociare in un assetto più solidamente aristocratico (o
monarchico), all’interno del quale il controllo politico è riposto nelle mani
di una ristretta minoranza di persone: infatti, prosegue tenendo fede al
proprio principio assiologico quantitativo-numerico (quantitative or
numerical),
«se chi esercita il potere è uno o sono pochi (one or few), e il suddito una
moltitudine, abbiamo l’aristocrazia o la monarchia. Se ad esercitare il potere è una
moltitudine, e il suddito è costituito da poche unità (a small number), abbiamo la
democrazia. Poiché è una caratteristica della democrazia che il governante apparente sia
in realtà il servo (the apparent ruler is in reality the servant), allora l’apparente suddito
è il vero governante»
41
.
In contrasto con una visione atomistico-contrattualistica come quella
appena delineata e sostenuta da Maine
42
, Dewey propone una teoria
38
Ivi, pp. 229-230 [tr. it.: ibid.].
39
Ivi, p. 230 [tr. it.: ibid.].
40
Ibidem [tr. it.: p. 6].
41
Ivi, p. 229 [tr. it.: p. 5].
42
Dewey riformula tale teorizzazione anche con le seguenti parole, attraversate da una
coloritura metaforico-retorica, al fine di sottolineare con maggiore forza l’evidente
discontinuità di tale visione da un orientamento ‘organicista’ come quello da lui ritenuto
15
organicistica (the theory of the ‘social organism’
43
) come elemento
d’origine dell’incontro politico, secondo la quale «gli uomini non sono
atomi isolati non sociali, ma sono uomini nel dispiegarsi dei rapporti tra
uomini (men are not isolated non-social atoms, are men only when in
intrinsic relations to men)»
44
: punto fermo di tale teoria, è la componente
sociale intrinseca a ogni essere umano che precede e, anzi, in qualche modo
giustifica l’individualità e l’unicità-irripetibilità di ciascun consociato;
come conferma anche Granese, infatti,
«se si considera la società come un aggregato numerico l’individuo ne diviene una
particella atomica, il cui significato risiede soltanto nella sua quantità e nella possibilità
di sommarsi ad altre quantità, mentre in una concezione organicistica l’individuo è un
essere essenzialmente sociale, incarnazione finita di un principio infinito che è presente
a titolo intrinseco così nel tutto come in ciascuna delle parti»
45
.
Dewey giunge così a un sovvertimento dell’assunto di Maine e ribadisce
che
più idoneo: «la teoria dell’uomo come aggregato (an aggregate), un granello di sabbia
che deve trasformarsi in malta per ottenere una parvenza di ordine (semblance of
order)» (ivi, p. 231; tr. it.: p. 7). Cfr. N. Urbinati, Individualismo democratico.
Emerson, Dewey e la cultura politica americana, cit., pp. 14-15: «Per l’individualista
democratico, diceva Dewey, la democrazia non è un sistema ‘puramente quantitativo o
numerico’ e nemmeno equivale a civiltà del consumo o ‘democrazia commerciale’,
come aveva scritto Emerson. La fragilità della democrazia sta precisamente in questa
sua dimensione non-solo-politica, nel fatto cioè che essa non abbia altro fondamento se
non la credenza morale e la pratica di vita. Ma si tratta di una fragilità apparente,
perché, […], qui sta anche la sua forza (a volte perfino esuberante e fastidiosa), in
questa fede nella sua superiorità morale e nella capacità di infiltrarsi nel vivere
quotidiano, di essere più-che-politica»; sul concetto di ‘individualismo etico’ nel
pensiero di Dewey (con particolare riferimento a Ethics of Democracy), cfr. R. A.
Putnam, La democrazia come modo di vita, in G. Spadafora (a cura di), John Dewey.
Una nuova democrazia per il XXI secolo, cit., pp. 177-192.
43
Cfr. The Ethics of Democracy, in J. Dewey, EW, vol. 1, p. 237 [tr. it. cit.: p. 12]: «La
società umana (human society) […] rappresenta un organismo perfettamente compiuto.
L’insieme vive davvero in ogni singolo componente e non c’è più l’apparenza di
un’aggregazione fisica o di una continuità. L’organismo si manifesta com’è davvero, un
fenomeno ideale o spirituale, un’unità di volontà».
44
Ibidem
45
A. Granese, Il giovane Dewey. Dallo spiritualismo al naturalismo, cit., pp.140-141.
16
«Se partiamo dall’idea di un organismo sociale, la sua fondatezza è immediatamente
evidente. Infatti, in una massa, in un’aggregazione numerica, la realtà ultima è l’unità
individuale e gli atomi isolati sono ‘fatti casuali’ (the fact of the case); come parte di un
organismo, invece, l’uomo è essenzialmente un essere sociale. […] La società, come
insieme (whole) reale, è il dato storico (the normal order), mentre la massa come
aggregato di unità isolate è la finzione (the fiction). Se è davvero così e se la democrazia
è una forma della società, deve necessariamente avere (must have) una volontà comune;
perché è questa unità della volontà (this unity of will) che la rende un organismo. Uno
Stato rappresenta gli uomini in quanto essi sono organicamente correlati gli uni agli altri
(organically related one another), o sono mossi da una forte unità di scopi o di interessi.
La definizione a priori di democrazia di Maine, basata su una teoria errata della società
(an esploded theory of society), non è dunque sufficiente a condannare la democrazia,
come, all’inverso, una concezione che si basi su una teoria valida non sarebbe
sufficiente a giustificarla»
46
.
Connesso a tale convincimento, Dewey non nasconde quelle perplessità
che possono scaturire in prima istanza dall’analisi di alcuni strumenti di
base caratteristici del sistema democratico e ne possono minare la
credibilità, facendola apparire un mero ‘governo della moltitudine’: in
modo particolare il «suffragio individuale», da un lato, e la «regola della
maggioranza (majority rule)»
47
, dall’altro, secondo alcuni pensatori, si
rivelebbero strumenti di rilevazione del consenso popolare predisposti per
una valutazione riduttivamente aritmetico-quantitativa con la risultante di
confinare i cittadini elettori a «semplici unità numeriche, unità di voto
(reduce them into merely numerical individuals,into ballot-projecting
units)»
48
.
Ma il singolo cittadino che esercita il proprio diritto al voto, secondo il
parere deweyano, è accompagnato e mosso da quel coacervo di caratteri-
disposizioni interiori proprie del suo ‘essere sociale e culturale’ (abitudini,
convinzioni, interessi, orientamenti e desideri)
49
che ne influenzano la
46
The Ethics of Democracy, in J. Dewey, EW, vol.1, p. 232 [tr. it.: pp. 7-8].
47
Ibidem [tr. it.: p. 8].
48
Ivi, p. 233 [tr. it.: ibidem].
49
Cfr. The New Psychology, in J. Dewey, EW, vol. 1, p. 48-49: «We know that that life
of man […] is the most difficult and complicated subject which man can investigate.
We have some consciousness of its ramifications and of its connections. We see that
man is somewhat more than a neatly dovetailed psychical machine who may be taken as
17
decisione politica; egli giungerà quindi alla scelta risolutiva «non come
pura unità (mere unit) ma come rappresentante (a representative) del corpo
sociale»
50
. Il voto, quindi, non veicola l’orientamento del singolo sciolto
dai legami codificati e culturalmente accolti all’interno della comunità di
riferimento, bensì è la «manifestazione di alcune tendenze dell’organismo
sociale attraverso una sua componente (a member of that organism)»
51
,
«una deliberazione, un’opinione condivisa quasi dall’intero organismo (a
tentative opinion on the part of the whole organism)»
52
; e proprio dal
convergere di interessi e scopi comuni a una più o meno consistente fetta
della popolazione (e dalla vicinanza numerica e propositivo-argomentativa
alle esigenze della minoranza
53
) si forma, secondo Dewey, il principio-
cardine della ‘maggioranza’ in democrazia
54
.
an isolated individual, laid on the dissecting table of analysis and duly anatomized. We
know that his life is bound up with the life of society, of the nation in the ethos and
nomos; we know that he is closely connected with all the past by the lines of education,
tradition, and heredity; we know that man is indeed the microcosm who has gathered
into himself the riches of the world, both of space and of time, the world physical and
the world psychical. We know also of the complexities of the individual life».
50
The Ethics of Democracy, in J. Dewey, EW, vol. 1, p. 234 [tr. it.: p. 9].
51
Ibidem
52
Ivi, p. 235 [tr. it.: p. 10].
53
Dewey prende spunto dalle tesi dell’ex governatore S. J. Tilden per sottolineare,
ancora una volta contro le critiche dei cosiddetti ‘detrattori della democrazia’ (the
derider of democracy), come l’irrilevante divario che solitamente intercorre, in termini
di voti accumulati, tra maggioranza e minoranza permetta l’innescarsi di un
procedimento dialogico grazie al quale anche la parte minoritaria della comunità ha la
possibilità di partecipare attivamente tramite le proprie proposte all’agone politico. Di
qui, emerge quel processo di avvicinamento e di progressiva intersezione tra gli
schieramenti politici che coinvolge, in ultima analisi, la volontà di tutto il popolo: cfr.
ivi, p. 234 [tr. it.: p. 10].
54
Come suggerisce Granese, in ossequio a tale svolta argomentativa deweyana, «Ciò
che soprattutto importa non è il computo dei voti, ma il processo attraverso il quale si
forma la maggioranza. Il diritto di governare viene alla maggioranza non dalla sua
consistenza numerica, ma dal fatto che attraverso essa l’organismo sociale esprime la
propria volontà e i propri propositi» (in Il giovane Dewey, cit., p. 141).