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2. La comunicazione
2.1. Ruolo e responsabilità dei Mass Media
Per Mass Media s’intendono tutti gli strumenti tecnologici finalizzati alla
trasmissione comunicativa di un messaggio su larga scala. Per la loro natura
organizzativa, derivata dalle forme dell’industrializzazione, essi non si limitano
a fungere da veicoli di messaggi, ma si propongono come agenzia di conoscenza
e culturalizzazione (Fausto Colombo, Mass Media, La Comunicazione, 1).
Quella che stiamo vivendo sulla nostra pelle rappresenta fino ad oggi il modello
di società mediatizzata per eccellenza, data la preponderante e capillare
presenza dei mezzi di comunicazione che permettono a chiunque di diffondere
informazioni in maniera pressoché istantanea secondo un meccanismo di
unidirezionalità: da un’unica fonte verso un pubblico più o meno ampio. Nella
prima metà del ‘900 alcune teorie catastrofiche attribuivano a questi sistemi un
ruolo essenziale nella trasformazione degli individui in una massa di passivi
consumatori “senza speranza”, facilmente governabili attraverso la propaganda
e la pubblicità.
Oggi i principali mezzi di comunicazione sono la stampa, i manifesti
pubblicitari, la televisione e, da qualche anno, internet e rappresentano lo
sviluppo più significativo nel mondo dei media della seconda metà del XX
secolo; la televisione oggi è accessibile a chiunque, diversamente dal periodo
della sua nascita, ed è un media verticale come lo sono anche radio, stampa
e cinema. Internet è invece il ‘mass media’ più recente, disponibile dalla
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seconda metà del ‘900, che ha completamente rivoluzionato questo mondo,
permettendo di ricavare ogni sorta di informazione desiderata tramite una
semplice ricerca.
Da un lato, si può dire che i mezzi di comunicazione abbiano il merito di
suscitare riflessioni su se stessi e curiosità nei confronti delle culture altrui,
promuovendo una notevole apertura mentale. Dall’altra parte questi sistemi
sono riusciti a sostituire la necessità di un’esperienza diretta e vissuta in
prima persona, proponendo al suo posto la conoscenza di un mondo mediato,
catalizzando completamente
l’attenzione di “grandi e piccini”
sugli schermi di televisione prima e
computer, cellulari e tablet poi,
fornendo in questo modo un bagaglio
di conoscenze ottenute in modo
alternativo e virtuale. La rapidità con
cui si ottengono le informazioni desiderate purtroppo, però, non è sempre
sinonimo di affidabilità e veridicità delle fonti, in quanto ormai molte volte i
media vengono usati senza professionalità e responsabilità, e l’unico obiettivo
di chi scrive è far notizia a qualunque costo, spesso a discapito della verità e
rischiando conseguenze sconvenienti per lettori e spettatori. Da qualche
anno, poi, essi sfruttano abbondantemente tecniche studiate di comunicazione
e persuasione, mirando a dare una falsa immagine della realtà per proteggere
interessi privati o influenzare l’opinione pubblica. Tale situazione di
sovrabbondanza d’informazioni e verità distorte è molto pericolosa se si
considera l’influenza che queste hanno su bambini e adolescenti, per il
semplice motivo che passano davvero molto tempo esposti a tutto questo.
Fonte: Questo.comunico
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Negli ultimi anni ci si è domandato se la rappresentazione di modelli estetici
irrealistici potesse costituire un ostacolo alla formazione dell’identità corporea
degli adolescenti. Se da una parte, infatti, molte adolescenti tendono a ritenere
che l’ideale di magrezza sia normativo e un requisito base per poter essere felici
(reputando la quantità di corpi mediatici magrissimi un riflesso della realtà)
(G. Lopez-Guimera et al, 2010), dall’altra i giovani sembrano essere consapevoli
del fatto che nei media la percentuale di corpi filiformi non rappresenti la realtà
(G. Fouts & K. Burggraf, 2000) (Redazione, Il ruolo delle immagini mediatiche
del corpo nell’insorgenza dei disturbi alimentari degli adolescenti, State of
Mind, 2015).
Ormai molti elementi sembrano costatare che i media abbiano un effetto
diretto nel condizionare gli atteggiamenti e le credenze del loro pubblico,
soprattutto quando si tratta di influenzare l’opinione sul proprio aspetto, e di
conseguenza l’autostima, mostrando quotidianamente immagini di bellissime
donne snelle e toniche senza l’ombra di rughe, smagliature o cellulite. Per
questo motivo, sfortunatamente, i mass media possono essere considerati delle
vere e proprie ‘trappole’, che drogano i telespettatori a ogni ora del giorno
con idee e stereotipi malsani, definibili tramite la teoria dell’Oggettivazione
(B. L. Fredrickson & T. Roberts, 1997): vi è oggettivazione quando un
individuo viene de-umanizzato e trasformato metaforicamente in oggetto,
divenendo merce e strumento. Questa porta a una “frammentazione strumentale
nella percezione sociale, una divisione della persona in parti che servono scopi e funzioni
specifiche dell’osservatore” (D.H. Gruenfeld et al, 2008). È facile immaginare il
motivo per cui le fasce più giovani siano quelle più vulnerabili, a causa della
delicata fase evolutiva che stanno attraversando: il corpo e la sua percezione
sono strettamente legate all’autostima. Quando questa viene a mancare,
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l’adolescente tende a interiorizzare la prospettiva che gli viene proposta da
internet o dalla televisione per comprendere cosa sia giusto e sbagliato, e
quali sono i valori condivisi dalla società di cui vuole far parte. Molte ricerche
hanno provato il legame fra esposizione ai media, come anche riviste di
moda, e preoccupazioni per il proprio aspetto e disordini alimentari (Grabe
et al, 2008) (Redazione, I media & l’insorgenza dei disturbi alimentari negli
adolescenti, State of Mind, 2015).
Oggi giorno la stragrande maggioranza della popolazione mondiale passa gran
parte del suo tempo a contatto con i mass media e non potrebbe più farne a
meno. Uno studio condotto dalla Dott.ssa Anne Becker alle isole Fiji negli
anni ‘90 dimostra il loro effetto nella costruzione dell’immagine del corpo
degli adolescenti: la ricercatrice scoprì che i vari disturbi alimentari e le
preoccupazioni verso il proprio aspetto fecero la loro comparsa con l’avvento
della televisione nel 1995. Bastarono 3 anni per cambiare gli standard della
cultura tradizionale che prediligeva fisici morbidi e fondava l’identità degli
individui sul loro suolo nella società. In quest’ottica, si pensi al ruolo chiave
che assumono nel campo pubblicitario: i nostri occhi e le nostre orecchie ne
sono costantemente attirati e negli ultimi anni sono riusciti a introdurre una
serie di bisogni che vanno oltre i beni di prima necessità, invertendo quasi
l’ordine di priorità. Per comprenderne l’efficacia è necessario tenere presente
il ruolo fondamentale rivestito dalla sfera affettiva e delle emozioni. Queste
giocano un ruolo cruciale nel modo in cui funziona la mente e su questa base
viene focalizzata l’attenzione; una buona pubblicità sviluppa nel consumatore
il desiderio di provare un prodotto nuovo creandone un’immagine positiva. Le
varie agenzie sono capaci di selezionare il pubblico al quale rivolgersi filtrando
i consumatori per età, appartenenza sociale e tendenze del momento, creando
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slogan appositi composti da frasi brevi e spesso accompagnate da una melodia,
con lo scopo di essere facilmente ricordati e ricondotti al relativo prodotto.
(Marine Troufleau, Mass Media, tra informazione e manipolazione, Questo.
comunico 2012).
Numerose ricerche condotte negli Stati Uniti hanno indagato gli effetti dei
modelli proposti dai media sui comportamenti delle persone. Solitamente
i soggetti tendono a imitare i comportamenti di coloro che ammirano in
televisione. Tale tendenza nel migliore dei casi può condurre ad assumere
comportamenti pro-sociali, ma può talvolta produrre effetti negativi e
distruttivi, e ciò è particolarmente visibile con i bambini che tendono a
imitare soprattutto quelli aggressivi (Bandura 1973). Sembra che sia persino
sufficiente avvertire anticipatamente i soggetti del fatto che assisteranno a un
film violento affinché si manifesti in loro una propensione all’aggressività.
La televisione propone modelli che vengono imitati per tre motivi principali:
per prima cosa, fornisce informazioni dettagliate riguardo a un determinato
comportamento e ai risultati a cui questo può condurre; in secondo luogo,
induce a credere che i vantaggi che la persona “modello” ottiene attraverso
determinati comportamenti, possano essere raggiunti da chiunque agisca
nello stesso modo. E terzo, suggerisce che certi comportamenti siano legittimi
(Chiara Carlucci, Gli effetti dei mass media su di noi: danno o beneficio?,
State of Mind, 2015)
Un altro aspetto fondamentale riguarda il ruolo dei social network nella
costruzione della propria identità corporea; un recente studio condotto da
Meier nel 2013 ha indagato la relazione tra le attività delle adolescenti sui
social e quest’ultima. I risultati hanno rivelato che un’elevata esposizione
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a determinati contenuti sull’aspetto estetico è direttamente correlata con un
incremento dei disturbi della body shape fra le ragazze, e l’associazione è
particolarmente forte nel caso di Facebook e Instagram. Nel dettaglio, si
è rivelato determinante il tempo trascorso guardando e postando foto sulle
piattaforme piuttosto che l’uso del social in sé. Nel 2015, sulla scia di una
petizione online firmata da migliaia di persone, la piattaforma digitale
Facebook ha annunciato che avrebbe rimosso feeling fat (mi sento grasso) dalla
sua lista di emoticon degli aggiornamenti di stato. Come si può immaginare, la
petizione sosteneva che questa “faccina con guance paffute e doppio mento”
rafforzasse il sentimento di vergogna per il proprio aspetto, e il fondatore
Zuckerberg è sembrato essere pienamente d’accordo (Renee Engeln, The
problem with Fat Talk, New York Times, 2015). L’uso dei social in Europa è
molto diffuso tra gli adolescenti: circa il 70% tra i 14 e i 17 anni ne fa uso, e
di questi il 40% trascorre almeno 2 ore al giorno online (Tsitsika et al., 2014).
Le piattaforme ospitano i profili degli utenti che vengono “personalizzati”
tramite descrizioni e foto; inoltre si possono guardare voyeuristicamente
e commentare le presentazioni degli altri iscritti, e a loro volta leggere i
commenti degli amici virtuali sulla propria pagina. Nel 2016, in uno studio
longitudinale su un campione di adolescenti olandesi di età compresa tra gli
11 e i 18 anni, è stata approfondita la relazione tra l’uso dei social network e
l’insoddisfazione corporea, suggerendo che questi costituiscano un ulteriore
canale socioculturale di influenza negli adolescenti; infatti maggiore è il suo
utilizzo, maggiore sarà la frustrazione, sia nei maschi che nelle femmine.
Tra i meccanismi attraverso cui i social hanno un tale impatto su queste
preoccupazioni vi è il confronto sociale, come emerge da uno studio svolto
nel 2013. I ricercatori hanno evidenziato come un uso disadattivo, inteso