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casi si traduceva in una vera e propria ostentazione del lusso di cui alcuni
personaggi godevano. Ma bisogna nettamente distinguere il lusso dall’eleganza,
cioè dalla ricerca estetica. Il lusso infatti consiste non soltanto nella ostentazione
di ornamenti generalmente inutili a qualsiasi fine pratico, ma nel dare una
preferenza ben determinata alle cose rare e di maggior prezzo. Inoltre, mentre il
lusso cerca di imporsi sulla massa come insegna di una classe superiore, quasi
volendo sopraffare le classi più modeste con l’ostentazione dello sfarzo, il
cosiddetto buon gusto ha una raffinatezza sua propria e raggiunge l’eleganza, che
consiste nell’evitare di attirare l’attenzione o di farsi notare a prima vista. Si può
aggiungere che l’eleganza spesso coincide con un’essenziale semplicità e sembra
lasciarsi andare a una sfumatura di noncuranza.
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Ma stabilire il carattere saliente dell’ abbigliamento risulta essere molto difficile.
Gli aspetti che si riscontrano indagando il costume si possono paragonare a quelli
delle molteplici sfaccettature di un brillante che, pur essendo distinte tra loro,
contribuiscono tutte a farlo splendere. Così, le caratteristiche del costume possono
avere moventi diversi, ma esse tutte confluiscono a determinare l’importanza
dell’aspetto esteriore. Per stabilire il carattere d’insieme del costume si è notato
infatti che esso è un mezzo collettivo di espressione; ma si deve aggiungere che
esso è nello stesso tempo individuale e come tale si impone quale importantissimo
mezzo di comunicazione, di muta presentazione, tanto di un popolo, quanto di un
singolo. Il mondo dell’arte, cui è strettamente legato quello della moda, ne è
testimonianza. Certe opere d’arte non sono soltanto espressioni estetiche ma
documenti del costume ed esercitano sul nostro animo un fascino vivissimo per il
loro carattere di testimonianza di un ambiente e di un’ epoca, anche al di fuori del
puro valore artistico. Basti pensare al ritratto e all’importanza che il pittore dava
in esso alla riproduzione della veste che veniva scelta con cura da chi la
indossava. Il ritratto di Eleonora di Toledo, opera di Agnolo Bronzino, o I coniugi
Arnolfini, di Jan Van Eych, sono solo alcuni dei tanti esempi che si possono fare.
Anche gli scrittori non sono insensibili al fascino dell’abbigliamento. Nel
rievocare il primo incontro con Beatrice bambina, Dante nella Vita Nova dà
3
R. Pisetzky-Levi, op. cit. pp. 17-30.
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rilievo al vestire della fanciulla, che evidentemente l’ha colpito. Oppure
D’Annunzio, che volendo far risaltare la bellezza di una donna, ne descrive le
vesti: “ […] Ella stava ancóra in piedi, nel mezzo della stanza; un po' titubante e
preoccupata, sebbene parlasse rapida e leggera. Un mantello di panno Carmélite,
con maniche nello stile dell'Impero tagliate dall'alto in larghi sgonfi, spianate e
abbottonate al polso, con un immenso bavero di volpe azzurra per unica
guarnitura, le copriva tutta la persona senza toglierle la grazia della snellezza.
[…] Ella saliva d'innanzi a lui, lentamente, mollemente, con una specie di misura.
Il mantello foderato d'una pelliccia nivea come la piuma de' cigni, non più retto
dal fermaglio, le si abbandonava intorno al busto lasciando scoperte le spalle. Le
spalle emergevano pallide come l'avorio polito, divise da un solco morbido, con le
scapule che nel perdersi dentro i merletti del busto avevano non so qual curva
fuggevole, quale dolce declinazione di ali; e su dalle spalle svolgevasi agile e
tondo il collo; e dalla nuca i capelli, come ravvolti in una spira, piegavano al
sommo della testa e vi formavano un nodo, sotto il morso delle forcine gemmate.
Quell'armoniosa ascensione della dama sconosciuta dava agli occhi d'Andrea un
diletto così vivo ch'egli si fermò un istante, sul primo pianerottolo, ad ammirare.
[…] E la signora, investita da quel chiaror tra biondo e roseo, nel mantello
magnifico che scendeva con poche pieghe diritte e quasi simmetriche, era
bellissima.
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Oggi la moda è divenuta un fenomeno sociale di portata vastissima, in grado di
condizionare gusti, scelte e comportamenti dei consumatori di mezzo mondo. La
presenza della moda nella società è efficacemente testimoniata dall’attenzione che
le dedicano i media, i quali non perdono occasione per documentare sfilate, novità
stagionali, stranezze, particolarità uscite dalla virtuosa matita dei creatori. Ma
spazio altrettanto significativo è quello conquistato dalla moda nelle pagine
economiche di quotidiani e settimanali, nonché nei periodici specializzati
nell’analisi dell’economia. E se c’è un paese che ha fatto della moda uno dei
settori più vitali dell’economia quello è proprio l’Italia che si è imposta, in questo
campo, come la patria del buon gusto e della creatività, raggiungendo e superando
4
G. D’annunzio, Il Piacere, Libro I, 1889.
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un competitore temibile quale la Francia. Abbagliati da tale e tanta visibilità
conferita dagli innumerevoli riflettori mediatici costantemente puntati sul mondo
della moda, si fatica ad immaginare che non si tratta di un fenomeno nuovo, ma
del punto di arrivo di una evoluzione plurisecolare fatta di innovazioni e di
mutamenti, ma anche di continui e frequenti ritorni.
La presenza di istituzioni come l’Archivio storico della Camera Nazionale della
moda italiana o la Galleria del Costume di Firenze, riduce notevolmente la
difficoltà di reperimento di materiali documentari – dagli oggetti alle informazioni
storiche che vi si collegano – nei confronti di un fenomeno, come la moda, di così
vasta portata per le sue implicazioni non soltanto economiche ma soprattutto per
le possibilità offerte alla lettura di vistose manifestazioni sociali e psicologiche del
nostro tempo. Bisogna promuovere l’oggetto di moda a materiale storico e
storico-artistico; a documento della storia del gusto e delle mentalità.
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Capitolo 1
Il legame consumismo-moda
1.1 Premessa
L’interesse verso i nuovi prodotti, le esigenze di status e l’aspirazione al
benessere costituiscono i tre motivi di fondo dell’agire di consumo. Tutti i tipi di
consumismi fino a oggi apparsi nelle società avanzate sono sempre stati sorretti da
pressioni e da motivazioni di questo genere. Si può pertanto parlare di un
consumismo della “novità” quando l’interesse per i prodotti nuovi ha un peso
maggiore rispetto alle preoccupazioni di status e alle aspirazioni al benessere; di
un consumismo della “distinzione” quando, invece sono i bisogni di status a
prevalere sugli altri due fattori; di un consumismo, infine della qualità quando è la
qualità del vivere quotidiano a dare una impronta precisa all’agire di consumo. La
moda risente di queste tipologie di consumo.
1.2 Il consumismo della novità
Se si escludono gli anni Cinquanta - caratterizzati dalla ricostruzione postbellica -
si può affermare che il primo impatto della società italiana con il consumismo è, a
un tempo, violento e traumatico: violento perché la penetrazione culturale del
“modo di vita americano” è rapida e globale, nel senso che essa non risparmia in
pratica nessun ambito della vita quotidiana; traumatica perché il nuovo stile di
vita proposto dalla società nordamericana rompeva di fatto antiche consuetudini e
radicate abitudini di vita, tanto è vero che non furono poche le “resistenze” che,
almeno in un primo momento, le famiglie italiane cercarono di opporre ai nuovi
consumi che si affacciavano sul mercato. Una volta superate le diffidenze e i
sospetti verso il nuovo mondo del consumo e del benessere, gli italiani si
affrettano a riconvertire il loro stile di vita e cominciano non solo ad acquistare
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con notevole interesse i nuovi prodotti del consumismo ma anche a rifiutare
l’impalcatura culturale che in precedenza aveva orientato i loro costumi e le loro
abitudini di vita. Ciò che stimola il desiderio dei nuovi consumatori in quegli anni
è soprattutto il “nuovo” prodotto, la novità commerciale, qualunque cosa si
presenti diversa rispetto ai vecchi beni di consumo e alle tradizionali abitudini di
vita. Ma ciò che è nuovo è anche desiderato perché consente l’integrazione nella
nuova società urbano-industriale. Purchè nuovi, insomma, i beni sono desiderati
ed acquistati, anche se non sono molto utili e anche se non assegnano alcun
prestigio al loro possessore. L’abbigliamento non sfugge a questa regola. Sia in
campo femminile che in campo maschile i nuovi capi e le nuove fogge hanno
anzitutto lo scopo di testimoniare il superamento definitivo della penuria bellica
postbellica. Ma i nuovi capi servono anche a testimoniare l’appartenenza alla
società urbano-industriale. Seguire la moda significa infatti, in questi anni,
rompere decisamente con la tradizione, per schierarsi dalla parte della società del
benessere. Ne è un segno eloquente il calo di interesse che, in campo femminile,
comincia a manifestarsi nei confronti dell’abbigliamento intimo, rispetto alle forti
preferenze per l’abbigliamento esterno. Si ha un rovesciamento di spesa tra
underwear e outwear, cioè, alla concentrazione tradizionale della spesa nel settore
della biancheria, subentra la concentrazione di essa nel settore dell’abbigliamento
pubblico, quello che si vede e permette identificazione e confronti.
1
1.3 Il consumismo della distinzione
È verso gli inizi degli anni Sessanta, però, che questo quadro comincia lentamente
a mutare, per la moda come per gli altri prodotti. Il consumatore è più maturo e
dispone anche di un maggior reddito discrezionale, ma soprattutto comincia a
selezionare i nuovi beni e a valutarne la convenienza in termini di prestigio
sociale e di classificazione nelle nuove gerarchie di status.
1
G. Ragone, “ I consumi in Italia tra Novità, Distinzione e Qualità, in La moda italiana. Dall’antimoda
allo stilismo, a cura di G. Butazzi, A. M. Molfino, Milano 1987, pp. 9-15.