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Prefazione
Questo lavoro deriva proprio dalla mia personale esperienza professionale iniziata
nel 2001 in Adecco: una multinazionale franco-svizzera leader in Italia per la
fornitura di soluzioni HR (Human Resources) con 31.000 dipendenti e 5.500 uffici
sparsi in più di 60 Paesi. Inizialmente sono entrata a far parte del team con un
contratto a tempo determinato di sei mesi come Responsabile Commerciale.
Durante questo periodo ho avuto modo di far emergere le mie doti di serietà e
affidabilità e ciò mi ha permesso di essere riconfermata a tempo indeterminato e
promossa a Direttore di Filiale.
Lavorare in quest’azienda ha significato per me far parte di un gruppo di persone
dinamiche, dove il lavoro di squadra era tenuto in grande considerazione e la
convinzione che dal confronto delle idee si potevano generare le soluzioni
migliori, era una realtà sostenuta e promossa quotidianamente. Di fatto, si trattava
di condizioni di lavoro assolutamente sane e favorevoli per lo sviluppo di
relazioni solide e durature tra dipendenti e management, per il mantenimento di
un buon equilibrio psico-fisico, per il raggiungimento di un generale benessere
personale e per l’intera organizzazione. La realtà aziendale in questione era
innovativa, possedeva un codice di condotta ancorato a valori e principi di
operosità, etica, legalità, sviluppo di ambienti lavorativi positivi, presenza di
policies aziendali che guidavano le azioni e le decisioni di ciascun lavoratore.
Tuttavia, nel 2008 Adecco ha assistito a una flessione nelle assunzioni da parte
delle aziende clienti che si è consolidata nell’arco del 2009, momento in cui la
dirigenza della Società ha deciso di giocare d’anticipo riorganizzando la struttura
aziendale per meglio gestire il cambiamento che il mercato stava richiedendo.
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A Novembre 2008 l’azienda ha comunicato ai lavoratori un esubero del personale
di 240 unità e la razionalizzazione di alcune filiali presenti sul territorio nazionale.
Da quel momento ho incominciato a riflettere sul significato che potevo e dovevo
attribuire a questa decisione. Poteva voler dire che la crisi in atto aveva senza
dubbio determinato un crollo delle assunzioni, ma l'eccedenza dichiarata era
molto importante: oltre il 10% dell'intera forza lavoro a fronte di una riduzione del
fatturato non così rilevante; oppure, poteva preannunciare che i manager
dell’azienda stavano prendendo una decisione convinti di agire in modo
razionale, misurato e con consapevolezza ma ignorando, tuttavia, che le persone
coinvolte in questo piano strategico avevano sentimenti, emozioni, atteggiamenti,
opinioni. Le persone avevano improvvisamente perso il loro valore, ma anche la
passione per il lavoro, l’entusiasmo e l’impegno dispensato fino a quel momento;
tutti aspetti diventati trascurabili di fronte al rischio di incorrere in una riduzione
degli utili. Nonostante la dirigenza perseverava nel voler comunicare e
sottolineare l’importanza del gruppo e l’interesse che Adecco avvertiva per
ognuno dei propri dipendenti, le azioni che stava intraprendendo andavano nella
direzione opposta. Quest’incongruenza tra comunicazione e comportamento, a
tratti schizofrenica, ha generato nei lavoratori disorientamento e perplessità, con
un conseguente calo di fiducia nei confronti dei vertici aziendali e sentimenti di
frustrazione.
E’ evidente che affrontare e gestire i cambiamenti risulta spesso un processo
complesso e stressante che genera nelle persone diverse emozioni, che spaziano
dal supporto alla resistenza. Quest’ultima rappresenta il motivo prioritario del
fallimento di un processo di rinnovo e spesso, apprendere la notizia di un
cambiamento organizzativo, provoca insofferenza ed elevati livelli di stress, effetto
dell’incertezza riguardo agli obiettivi e le soluzioni future. Essermi imbattuta nel
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ruolo giocato dall’emozionalità in una situazione di questo tipo, mi ha spinto a
spiegare, per quanto possibile, la relazione che lega gli individui ai luoghi di
lavoro e il nesso tra emozioni e organizzazioni. Da qui, la necessità di interrogarmi
sul perché di fronte alla proposta di incentivo economico all’esodo volontario
prospettata dalla Società, i lavoratori che hanno aderito sono stati il doppio di
quelli richiesti.
Nel complesso, questo lavoro si prefigge di riconoscere al modo in cui sentiamo o
mostriamo agli altri ciò che proviamo, un’influenza rilevante sul criterio che
seguiremo per svolgere la nostra attività e per stare con gli altri. Ne deriva, che lo
scopo è di riflettere sull’importanza di operare in un tipo di società nella quale
predomini l’attenzione alla qualità della vita, alla soggettività, all’emotività e al
benessere individuale e del gruppo di lavoro.
Il caso Adecco, al contrario, è emblematico di come la logica del mercato sia
inaggirabile e di come l’oggettività economica si scontri spesso con la soggettività
psicologica, generando correnti emotive distruttive e ingovernabili. In quest’ottica,
è utile superare il punto di vista esclusivamente strumentale con cui si guardava e
si guarda, ancora in alcune realtà, al lavoro, per mettere in primo piano il
benessere e la felicità dell’individuo, da cui scaturisce certamente una buona
salute organizzativa.
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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è di rivalutare aspetti importanti della componente
emotiva e di approfondire la relazione che quest’ultima riveste sul benessere
psicologico del lavoratore.
Con il termine organizzazioni s’intende far riferimento a tutte quelle realtà
lavorative caratterizzate dalla presenza di un gruppo di persone unite
formalmente per raggiungere obiettivi comuni che da sole difficilmente sarebbero
in grado di conseguire.
Si tratta di un ambito di studio relativamente nuovo con una letteratura di
riferimento prevalentemente straniera. Sono stati soprattutto i lavori di
Hochschild (1983) e di Fineman (1993) a fornire i migliori contributi in materia.
Altri stimoli allo studio delle emozioni nel luogo di lavoro si ritrovano in alcuni
testi che hanno dato grande importanza al concetto di intelligenza emozionale
(Salovey e Mayer, 1990). Anche Goleman (1996) ha contribuito, con la sua teoria
dell’intelligenza emotiva, a orientare l’attenzione degli studiosi
dell’organizzazione verso questo tema.
Parlare di emozioni nelle organizzazioni è diventata un’esigenza. L’emozionalità
dev’essere inserita come principio organizzativo riconoscendole lo spazio che
merita, senza cercare di manipolarla. Si trova ovunque nella vita organizzativa,
quindi, dovremmo forse chiederci com’è stato possibile trascurare quest’aspetto
per tanto tempo. Tale noncuranza potrebbe essere attribuita alla tradizione classica
dei modelli organizzativi che ha riconosciuto alle emozioni un ruolo pressoché
marginale in quanto orientata soprattutto verso criteri razionalistici e burocratici.
In quelle condizioni erano sufficienti pochi soggetti per decidere e per innovare,
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oggi, è sempre più richiesto a tutte le persone che lavorano in un’impresa, ai vari
livelli e nelle varie mansioni, di sapere, decidere, essere creativi.
È solo dagli anni Ottanta che il dibattito sulle emozioni, intese come principi
importanti di comprensione del comportamento delle persone nel luogo di lavoro,
ha iniziato a essere oggetto di approfondimento per gli specialisti del settore.
L’ipotesi principale di questi nuovi studi è che le emozioni espresse dai lavoratori
possano essere usate strategicamente per raggiungere i risultati attesi
dall’organizzazione e aumentarne, in questo modo, l’efficacia produttiva. Il
management governa questa nuova risorsa attribuendo ai lavoratori una carica di
membro organizzativo che presuppone, oltre alle classiche abilità tecniche e
teoriche, anche le emozioni. Il leader, dunque, gestisce e controlla anche la
performance emotiva dei propri dipendenti: da un lato sopprimendo sentimenti
indesiderati, dall’altro sollecitando, controllando e normalizzando le emozioni da
manifestare. L’idea è, dunque, che le organizzazioni possiedano delle regole
proprie per il comportamento emotivo e alcuni lavori, più di altri, esigano un
maggior controllo emozionale. In merito, Fineman (2009) considera
l’organizzazione una vera e propria “arena emotiva”, che influenza gli individui e
al cui interno si vivono le più intense esperienze e si sviluppano importanti
legami.
Questo lavoro si articola in quattro capitoli che, anche se autonomi tra loro, hanno
come filo conduttore la riflessione sull’importanza della dimensione emozionale
nell’analisi dell’ambiente organizzativo, con maggiore attenzione a quello attuale.
Il primo capitolo ripercorre l’excursus storico dello studio delle emozioni
prendendo in esame le teorie più rilevanti. Questo schema concettuale e teorico è
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stato utile per creare una sorta di mappa stradale e, dunque, per muoversi meglio
in uno spazio poco conosciuto a livello storico.
Segue poi un’analisi che affronta gli aspetti di esclusione e di regolazione delle
emozioni in determinati contesti; la presenza di norme che ne regolano
l’espressione; la loro influenza nei vari ambiti della vita sia privata sia
professionale.
Nel secondo capitolo è rimarcata l’importanza delle emozioni in ambito
organizzativo: mentre in passato erano spesso considerate elementi nocivi o
dannosi per i processi decisionali, oggi invece, sono riconosciute a pieno titolo
come elementi caratteristici dell’organizzazione, capaci d’influenzare le decisioni e
d’intervenire nella gestione di un cambiamento. Ne consegue che l’azienda ha
finalmente riconosciuto ai fattori emotivi un certo livello d’influenza nel
raggiungimento dei propri obiettivi.
Nel terzo capitolo si è indagato l’aspetto comunicativo delle emozioni, in
particolare riferito alle espressioni del volto e, più in generale del corpo, capaci di
trasmettere l’emotività degli individui attraverso la comunicazione non-verbale.
L’ultimo capitolo è dedicato allo stress, emozione tra le più frequenti e intense nei
luoghi di lavoro; sono inoltre descritte le strategie di coping maggiormente
utilizzate dalle organizzazioni per tentare di limitarne gli effetti, migliorando in tal
modo, il benessere dei propri membri.
Il punto di arrivo è una considerazione del lavoro come condizione che favorisce
la realizzazione individuale e che tenta di favorire la partecipazione e il
coinvolgimento del soggetto. L’attenzione del management non è più solo rivolta
alle condizioni di salute fisica del lavoratore, ma anche al suo benessere mentale e
sociale. Tutto ciò presuppone un interesse diretto non solo esclusivamente verso
aspetti di tipo tecnico, economico, organizzativo e strategico, ma anche verso una
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gestione più efficace delle risorse umane, poiché è proprio dal loro contributo e
dalla loro motivazione che dipende in buona parte il successo delle imprese. Per
garantire questa condizione s’indagano gli aspetti in grado di favorirla, sia
individuali sia organizzativi e le strategie necessarie per migliorare la qualità e le
prestazioni di lavoro.
L’intero lavoro parte dalla convinzione che l’essere umano non può essere
paragonato a una “macchina”, nonostante egli tenda, secondo un criterio
economico e razionale, a ottenere il meglio concedendo il minimo. E’ necessario
tener presente che l’individuo è innanzitutto mosso da emozioni, da paure, da
bisogni di sicurezza e di stabilità. Non è dunque pensabile ignorare l’aspetto
emotivo emarginandolo da qualsiasi attività che egli intraprenda nella propria
vita. Tenteremo, quindi, di entrare nella dimensione psico-emozionale dei singoli
che svolgono un lavoro all’interno di un’organizzazione, provando a comprendere
quali siano le aree emotive su cui lavorare per realizzare una nuova concezione
delle future realtà organizzative.