I
Assunto e obbiettivo della tesi
Il marchio Fiorucci è cristallizzato nell’immaginario collettivo come una
realtà fatta di sensazioni, suoni, colori e immagini. Un mondo libero e
spensierato, nato e cresciuto sulle esperienze vissute sulla propria pelle da
Elio Fiorucci, il fondatore dell’azienda, e da tutte le persone che hanno
lavorato e collaborato con il marchio. Un mondo aperto alle influenze più
originali e diverse che, cucite insieme dalla leggerezza di un folto gruppo di
giovani creativi, sono state in grado di portare alla ribalta la creatività
Italiana nel mondo, ma soprattutto di lasciare un segno indelebile nell’
universo della creatività. Una costante osservazione, carica di entusiasmo e
curiosità, di tutte le nuove espressioni creative che il mondo proponeva:
merci, comportamenti, musica, design, architettura ma soprattutto arte.
Proprio questa curiosità, la continua predisposizione alla ricerca del nuovo
che si manifesta nella capacità di guardare altrove, alla costante
osservazione di esperienze e sensazioni inedite, si è trasformata ben presto
nel motore trainante delle mie ricerche.
Inizialmente il principale obbiettivo che avevo prefissato con la realizzazione
di questa tesi era una ricostruzione, il più fedele possibile, della performance
realizzata da Keith Haring e LA ΙΙ all’interno del negozio Fiorucci di via
Passarella a Milano. Un’idea nata dall’associazione di due input acquisiti in
tempi e modalità differenti, riguardanti la performance di Keith Haring e
LAΙΙ, ma che presentavano evidenti divergenze:
Il primo contatto con la performance ideata da Elio Fiorucci e il suo
staff è stato grazie alla mostra “ANNI SETTANTA, il decennio lungo del
secolo breve”, svoltasi al palazzo della triennale di Milano nel 2008. La
mostra ripercorreva e raccontava uno dei periodi più complessi e
contraddittori della storia italiana. Attraversando l’intero decennio, gli
anni ’70, veniva messo in mostra quel periodo così fortemente vitale e
allo stesso tempo così tragico. Anni difficili, anni di conflitti sociali e
politici, anni di piombo, contrapposti ai sogni e alla voglia di
II
cambiamento che imperversava in quel periodo. Alla fine del percorso
della mostra era allestito uno spazio dedicato al mondo Fiorucci,
“Fiorucci Land”. Uno spazio vivo colorato, carico di oggetti, immagini e
luci al neon, che ricreando la vivacità e le sensazioni dello spazio
commerciale affacciato su piazza San Babila, si poneva agli occhi dei
fruitori della mostra come un emblematico passaggio di testimone tra
la gravezza degli anni ’70 e lo spirito leggero degli anni ’80. Attraverso i
prodotti, i vestiti e gli accessori venivano mostrati i momenti più
significativi dell’epoca Fiorucci. Sequenze di immagini e oggetti che
percorrevano gli avvenimenti, le collaborazioni e i legami che avevano
segnato l’intera storia dell’azienda, rendendo indelebile il segno
lasciato sul panorama del costume mondiale e nell’immaginario di
milioni di giovani. In questa ondata di inaspettate storie, una mi colpì
in modo particolare: le immagini appartenenti al vocabolario figurativo
dell’artista Keith Haring che si stagliavano sulle pareti dell’intera
installazione. Riproduzioni fotografiche dei tratti netti e decisi
dell’artista, tracciati con decise pennellate di colore nero che andavano
ad invadere le pareti bianche dell’intero spazio, creando un evidente
rimando al “POP shop” newyorkese, nato per volontà dell’artista.
Il secondo spunto per la realizzazione della tesi è venuto dalla lettura
del libro di Keith Haring: “Diari”, editi da Mondadori. Approfondendo
la conoscenza della storia dell’artista per interessi personali, sono
rimasto colpito da un passo del libro in cui veniva ricordato il
passaggio dell’artista nel capoluogo lombardo, riportando la presenza
di LAΙΙ, un giovane artista, che collaborò per diversi anni con Keith
Haring: ‘La nostra prima visita a Milano nel 1983 fu per dipingere
completamente con lo spray il negozio Fiorucci. Lo dipingemmo in
tredici ore
1
’. Le memorie dell’artista portavano due evidenti divergenze
con i tratti visti sulle pareti della triennale di Milano: la totale assenza
dei tratti e delle tag del giovane graffitaro LA ΙΙ, da sommarsi al
differente strumento pittorico utilizzato per la realizzazione dell’opera,
1
K. Haring, Diari, Arnoldo Mondadori Editore, Cles(TN),2010, p. 107
III
il risultato dei segni neri e marcati tracciati da un pennello differivano
completamente da quello che si sarebbe ottenuto con la colorata
leggerezza delle bombolette spray, strumento tipico della scena
graffitara newyorkese.
Partendo quindi con l’intento di ricostruire la performance di Keith Haring e
LAΙΙ nel modo più completo possibile, con l’obbiettivo di fare luce sulle
incongruenze sopra evidenziate, ho cominciato ad indagare la storia
dell’artista e i confini dell’evento milanese coinvolgendo inevitabilmente
l’ideatore e “mecenate” di quella performance, Elio Fiorucci. Dopo aver
trovato in questo assoluto protagonista del costume nazionale, la più
disponibile e diretta testimonianza di quegli avvenimenti, la ricerca ha
cominciato ad assumere connotati più ampi, allargando il suo raggio
d’interesse. I racconti di Elio Fiorucci ponevano alla mia attenzione storie ed
esperienze che mi erano prima di allora sconosciute, e che non potevano
essere tralasciate. La scoperta di rapporti, avvenimenti e opere, a volte
insospettabili, legavano il mondo dell’arte e la scena di New York con la
vulcanica creatività di Elio Fiorucci e i suoi collaboratori in maniera
indissolubile, dando nuova linfa alle mie ricerche.
Da qui la volontà di ripercorrere, attraverso la storia della Fiorucci, i
momenti artistici più significativi che hanno coinvolto l’azienda, guardando
con particolare attenzione i rapporti umani e artistici creati nella città di New
York, e rivolgendo comunque un occhio di riguardo a un importantissimo
evento artistico che ha trovato ispirazione nella grande mela manifestando
tutta la sua forza espressiva nella città di Milano. Una ricerca ben lontana
da una ambiziosa ricostruzione filologica del negozio Fiorucci, ma che si
pone come obbiettivo una definizione il più completa possibile delle
caratteristiche fondamentali di quell’evento.
1
1-Elio Fiorucci
La storia di Elio Fiorucci e della sua azienda è stata uno dei percorsi più
importanti e significativi nel processo di affermazione della moda italiana nel
mondo. Un percorso che ha delineato e caratterizzato un’epoca. Definito
dalla stampa ‘l’uomo che ha distrutto la moda
2
’, è riuscito, grazie ai suoi look
sconvolgenti e diversi dal mondo mainstream, a liberare il mondo della moda
dai circuiti chiusi degli atelier e degli stilisti, contaminandola con tutto ciò
che accadeva nel mondo. Un processo di democratizzazione in grado di
creare le linee guida che condizionarono le fondamenta del “pianeta moda”.
Un personaggio unico e singolare che grazie alla sua curiosità, al suo
coraggio e ad un’ incredibile e creativa squadra di collaboratori, è stato in
grado di creare un universo in cui arte e moda si incontrano. Le creazioni
della Fiorucci sono divenute fenomeni di costume, feticci, icone di stile. Gli
avvenimenti creati in collaborazione con il mondo dell’arte sono diventati
momenti indimenticabili che hanno lasciato un segno indelebile e
indimenticabile nel panorama artistico.
Attraverso questo capitolo vengono fissati alcuni punti fondamentali della
sua storia, con la definizione di alcuni significativi eventi si mette in evidenza
la natura di Elio Fiorucci quale “cacciatore” e “collezionista” di esperienze,
immagini, e tendenze. Caratteristiche utili a comprendere e spiegare i
meccanismi e la formula del successo che fecero crescere la Fiorucci e la
portarono ad essere una delle aziende più rilevanti del panorama culturale di
quegli anni.
2
E. Biagi, L’uomo che ha distrutto la moda, “ Corriere della sera”, 5 ottobre 1976
2
1.1-I primi passi nel mondo del commercio
‘Elio Fiorucci nasce a Milano il 10 giugno del 1935
3
’ e molto precocemente
sul palcoscenico commerciale meneghino muove i suoi primi passi. Infatti,
‘essendo dei 5 figli il meno incline allo studio, all’età di 17 anni il padre lo
indirizza verso l’attività paterna. La famiglia Fiorucci era proprietaria di un
piccolo negozio di calzature nel centro di Milano, in corso Buenos Aires
4
’. Un
negozio particolare, cresciuto negli anni ’30 grazie alla produzione artigianale
di pantofole, per quei tempi un prodotto geniale in termini di comfort, sulla
quale era stata costruita una fortunata attività imprenditoriale, ma
soprattutto un segnale in grado di dimostrare come il senso di libertà e le
capacità commerciali siano sempre state parte del patrimonio della famiglia.
Attraverso l’attività svolta con il padre, il giovane si distingue per la dedizione
al lavoro ma soprattutto per il suo intuito e l’innata capacità di percepire le
novità e i segnali di mutamento che in quegl’anni la società stava mandando.
In un periodo di crescente boom economico le necessità della gente stavano
assumendo connotazioni sempre nuove, questo lo porta alla ricerca di modi e
mondi nuovi da proporre al mercato calzaturiero, raggiungendo un buon
successo sulla scena commerciale Milanese.
‘Nel 1962, visto il successo che i nuovi prodotti proposti dal negozio di
calzature stavano riscuotendo nella città di Milano, Elio Fiorucci, a quel
tempo ventisettenne, con una mossa piuttosto coraggiosa, decide di mettersi
in gioco muovendo i primi passi nel circuito della moda nazionale. Si arma di
tre paia di galosce di plastica colorata, mille lire per il tassì e si presenta alla
redazione di ‘Amica’, noto settimanale di moda femminile. La scelta può
sembrare audace, perché prima di allora le galosce erano un indumento utile
e pratico ma esteticamente brutto. La loro forma semplice e il materiale
plastico di cui erano fatte non potevano certo trovare spazio sulle pagine di
un settimanale femminile. Il modello proposto da Elio Fiorucci però ne
3
Cfr.http://www.eliofiorucci.it/pags/bioLI.html
4
Cfr: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-541e4216-37b7-4108-
87bd-6aac88df3fd1.html?refresh_ce
3
sovvertiva il solito utilizzo grazie ad un decisivo particolare, il colore.
L’introduzione del dettaglio della plastica lucida e colorata fecero la
differenza. Il colore pastello delle galosce, la luce gioiosa che ogni ragazza
poteva portare ai piedi, ribaltarono completamente la prospettiva di quello
che era considerato da sempre un pratico indumento da lavoro. Un oggetto
semplice e utile trasformato in un capo d’abbigliamento nuovo e vivace
5
’. Si
trattava di ‘un’associazione mentale fulminea, un anticipare un desiderio che
altri non riescono nemmeno a formulare ma di cui abbracciano la passione
appena la toccano
6
’. Il prodotto era una novità assoluta per il panorama
Italiano, Fiorucci era riuscito a proporre delle calzature dal costo di
produzione basso in grado di soddisfare l’esigenza delle ragazze di qualsiasi
estrazione sociale. Probabilmente non si può parlare di un prodotto studiato
per il mercato, un progetto di ‘buon design’ dietro al quale si trovano
accurate ricerche, ma di una scelta istintiva guidata dallo spirito di quel
fervente periodo. Un prodotto industriale nel senso stretto del termine,
ridisegnato dallo slancio inventivo di un giovane imprenditore che cercava di
ritagliarsi uno spazio nel settore della moda.
Un’ idea tanto frivola quanto innovativa che soddisfaceva i gusti delle ragazze
di quel tempo e che impressionò a tal punto la redazione del settimanale che,
colpita da questa novità tanto semplice quanto inaspettata, pubblicò la foto
delle tre galosce colorate accanto all’indirizzo dove comprarle. Fu l’inizio del
successo del giovane Elio Fiorucci, e di una tacita collaborazione tra
l’imprenditore e la stampa del settore. Un reciproco scambio in cui le riviste
di moda, alla ricerca di novità, interpellavano Fiorucci, che grazie alla sua
intraprendenza proponeva a getto continuo prodotti nuovi e stravaganti, che
gli permettevano di trovare visibilità sulle riviste senza dover investire soldi
nella pubblicizzazione dei suoi prodotti. Una formula che diventerà una delle
chiavi del futuro successo del marchio.
5
Cfr. E. Babitz, FIORUCCI The Book, HARLIN QUIST, New York, 1980
6
L. Valeriani, Elio Fiorucci: quarant’anni di arte, design, moda e spettacolo, MELTEMI
editore, Roma, 2007, p.17
4
1.2-La rivoluzione dello stile
Negli anni sessanta il mondo occidentale si trovò ad attraversare un periodo
di forti mutamenti, i quali trovano le radici nella crescita economica
cominciata negli anni cinquanta. Il boom-economico che aveva
accompagnato la ricostruzione post-bellica aveva portato un benessere
diffuso a tutta la società e con esso ‘sintomi dell’intolleranza giovanile per il
mondo adulto e il suo stile di vita
7
’, che si trasforma in una vera e propria
rottura con i ruoli e gli stili di vita tradizionali. ‘Fino a quel momento, i
desideri dei giovani non erano riconosciuti come autonomi, e il mercato non
si interessava, se non in modo occasionale, ai giovani. Essi erano invitati a
seguire, anche nelle scelte di consumo come in tutte le altre, una struttura
familiare accentrata all'economia dei genitori
8
’. La maggiore disponibilità
economica che venne a crearsi grazie all’avvento di una società prettamente
industriale, portò con sé l’effimera necessità al consumo, e la ricerca di una
migliore condizione sociale. Per i giovani, categoria che ci interessa per l’
analisi del lavoro di Elio Fiorucci, questo si traduceva in un aumento del
tasso di scolarità e la conseguente creazione di una propria realtà
identitaria. Per moltissimi nuclei familiari non era più necessario che i figli
contribuissero fin da giovanissimi ai bilanci della famiglia. Si verificò una
dilatazione del passaggio dall’età dell’infanzia all’età adulta, andando così ad
affermare l’esistenza di quella categoria turbolenta, chiamata adolescenza.
I giovani divennero una nuova ed importante categoria sociale, che, grazie
alla maggiore scolarizzazione e la crescita di una cultura “autonoma”,
divenne in grado di affermare propri gusti e propri comportamenti, cosa che
fino a qualche anno prima era impensabile. Infatti, non potendo individuare
una vera categoria giovane, questa non veniva nemmeno presa in
considerazione dalla società, se non in sporadici casi. Essendo esclusi dagli
7
G. Malossi, LIBERI TUTTI: 20 anni di moda e spettacolo, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano, 1987, pp. 17,18
8
Fiorucci Dxing, Note per l’analisi dell’immagine Fiorucci, Milano, 1978, p.5
5
interessi di mercato, che non si interessava minimamente alle necessità
giovanili ritenendola una categoria economicamente poco appetibile, i giovani
erano invitati a seguire, nelle scelte di consumo come in tutte le altre, una
struttura familiare, senza avere la possibilità di distinguersi da essa. ‘Il
modello di comportamento era il padre per i maschi e la madre per le
ragazze, senza una grande differenza nelle stratificazioni delle classi
9
’.
Le prime istanze giovanilistiche si presentarono negli Stati Uniti, dove
l’industrializzazione e il rapido sviluppo economico post-bellico di un sistema
basato sull’adesione incondizionata al capitalismo, erano riusciti ad
influenzare la struttura sociale in tempi precedenti rispetto al vecchio
continente. Le possibilità commerciali create dall’entusiasmo che seguiva la
conclusione della seconda guerra mondiale permisero di individuare e creare
nuove necessità di consumo, ponendo anticipatamente le basi per la nascita
di un solido modello giovanile. Quest’ultimo veniva sollecitato da sempre più
incisive manifestazioni culturali che andavano a creare una netta distinzione
rispetto al modello sociale patriarcale da sempre seguito, segnali forti e
distintivi di indipendenza dal mondo adulto.
I primi e più immediati segni distintivi di questa nuova categoria sociale
furono la nascita dei nuovi ritmi e delle nuove sonorità create dal Rock and
Roll, che con i suoi ritmi veloci e ballabili accompagna l’esplodere della scena
giovanile, diventandone subito l’inno e l’emblema della ribellione al mondo
dei “grandi”. La musica, essendo a quei tempi la manifestazione culturale
più nota e con la maggiore diffusione in tutti gli strati sociali, divenne subito
elemento di riconoscimento per i vari gruppi giovanili, che con essa si
identificarono modellando il loro look e i loro atteggiamenti. Galvanizzati da
questo nuovo genere musicale cercarono di creare nuovi miti e stili di vita
così da allontanarsi sempre di più dai canonici modelli proposti dalla società
e dal mondo degli adulti.
Si affermò così un look sfrontato e irriverente. ‘Lo stile della rivolta
prescriveva capelli lunghi, abbigliamento eccentrico, coltelli a serramanico in
tasca. Negli Stati Uniti, in particolare, l’abbigliamento tipico era quello da
9
Fiorucci Dxing, Note per l’analisi…, p.5
6
motociclista: giubbotto di cuoio, stivali, borchie e jeans. La stessa
motocicletta era un simbolo eloquente dei valori del dissenso espresso
dall’emarginazione giovanile
10
’. L’imporsi di questi nuovi immaginari e la
voglia giovanile di “combattere” il convenzionale mondo adulto, diede inizio a
un fenomeno importantissimo: la società si rese conto che la moda poteva
crescere e affermarsi in maniera del tutto indipendente, che poteva imporsi
anche grazie alla gente comune e non più solamente grazie alle linee guida
dettate dalle case sartoriali. Per la prima volta nella storia del costume le
masse erano in grado di affermare la propria opinione e di dettare nuove
tendenze. ‘Nuove tendenze che vennero subito recepite anche dall’industria
cinematografica e televisiva, che si trovarono ad alimentare e ad affermare la
forza del mondo giovane proponendo sul piccolo e sul grande schermo icone
cinematografiche come James Dean e Marlon Brandon nei panni di giovani
ribelli ed inquieti, amplificando sempre di più l’urlo di ribellione e la voglia di
distinguersi come identità autonoma da parte dei giovani
11
’.
L’enorme successo che questi nuovi modelli ottennero, fecero comprendere
presto all’industria della cultura popolare che il «disagio giovanile», se da un
lato creava un enorme spaccatura con il modello borghese e una eccessiva
ricerca di emancipazione da parte dei giovani, presentava dall’altro aspetti
positivi in termini di incassi. Questa contraddizione farà da sfondo, in tutti
gli anni successivi, alla creazione di tutta la musica, la moda, gli stili e
l’immaginario delle giovani generazioni.
Su queste note e su queste immagini il fenomeno giovanile emigrò presto nel
vecchio continente, dove trovò nelle basi militari americane sparse in Europa
dopo la seconda guerra mondiale delle solide basi d’appoggio. Da qui si
diffuse e si plasmò sulla cultura originaria dei vari paesi su cui venne
riversata, traducendosi in nuovi stimoli, immagini e sottoculture in continua
evoluzione. Nel Regno Unito, per esempio, grazie all’assonanza linguistica e
ai forti rapporti commerciali, l’importazione dei modelli culturali Americani
venne percepito e consumato in maniera più veloce rispetto agli altri paesi
Europei. ‘L’Inghilterra, aveva già vissuto la nascita di un personale fenomeno
10
G. Malossi, LIBERI TUTTI: 20 anni…, p.18
11
Cfr. G. Malossi, LIBERI TUTTI: 20 anni…, pp.18,19