2
Oggi la formazione a distanza si sta consolidando nel panorama delle strategie formative per la sua
capacità di rispondere a situazioni anche diverse da quelle che l’avevano originata. Essa si inserisce in
un necessario sistema di formazione continua che permetta all’utente di fruire, quando e come meglio
ritiene opportuno, di occasioni di apprendimento, anche con l’uso di tecnologie didattiche innovative,
lungo tutto l’arco della propria esperienza culturale e professionale.
La formazione a distanza (FaD) consente, infatti, di partecipare ad un insieme di attività formative
strutturate in modo da favorire occasioni di apprendimento autonomo e personalizzato.
Negli anni ‘70 è andata emergendo la considerazione della formazione a distanza come termine
istituzionale per descrivere la struttura organizzativa e gestionale comprendente l’utenza, l’erogatore,
il sistema di comunicazione ed i contenuti formativi durante un intero processo di apprendimento.
L’e-learning (electronic learning) rappresenta, invece, l’evoluzione della classica FaD in quanto
con questo termine ci si riferisce esclusivamente all’uso del computer e delle reti telematiche a
supporto dell’insegnamento/apprendimento.
Il tema centrale della tesi riguarda il rapporto formazione/tecnologia e in particolare come la
tecnologia sia riuscita a cambiare le modalità di erogazione e di fruizione della formazione
professionale. Lo scopo è dimostrare come, in questi ultimi anni, le aziende preferiscano investire in
corsi di formazione a distanza, in quanto permettono ai lavoratori di raggiungere alti livelli di
apprendimento, a tempi e costi unitari più contenuti rispetto alla tradizionale formazione in aula.
A tal fine all’interno della tesi ho analizzato i concetti di formazione professionale e formazione
continua, le origini storiche della formazione a distanza, il suo quadro teorico di riferimento, le nuove
figure professionali e infine il mercato dell’e-learning con i suoi trend di crescita in Italia e all’estero.
Il lavoro si conclude con l’approfondimento concreto delle metodologie e il lavoro di tre società che
producono ed erogano corsi e-learning che sono Didagroup s.p.a., Eductra e Sfera del Gruppo Enel.
Nel capitolo 1 viene fornita la definizione di formazione professionale, intesa come attività volta a
favorire un cambiamento del comportamento lavorativo e professionale degli individui attraverso
l’acquisizione di saperi in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti (il sapere, il saper fare e il
saper essere). Tuttavia l’attenzione di questo capitolo è concentrata sugli aspetti economici,
organizzativi e normativi della formazione continua che comprende tutta la formazione ulteriore a
quella iniziale e che si riferisce quindi ad un processo che accompagna gli individui per tutta la vita
attiva.
Nel capitolo 2 viene analizzato l’impatto delle nuove tecnologie nella formazione continua e la
conseguente ridefinizione dei concetti di tempo e di spazio nella realtà virtuale. Inoltre, si prendono in
considerazione le tipologie comunicative del processo formativo (comunicazione in presenza, a
distanza e Computer Mediated Communication CMC), si ripercorrono le fasi di sviluppo delle tre
generazioni in cui si suddivide l’evoluzione della formazione a distanza, si individua il quadro teorico
di riferimento che va dal comportamentismo affermatosi nel dopoguerra alle più recenti teorie
3
costruttivistiche e infine vengono esaminati i tre modelli di insegnamento/apprendimento nella FaD: il
tele-learning, il self-learning e il cooperative learning.
Il capitolo 3 guarda più nello specifico alle differenze tra l’online learning e l’off-line learning
applicati secondo i casi per rispondere ai vari tipi di bisogni formativi che emergono nelle aziende.
Successivamente l’attenzione si focalizza sulle nuove figure professionali che si vanno delineando
sempre più nettamente nei diversi step della filiera progettuale, produttiva, erogativa e valutativa
dell’e-learning. Infine, è stato analizzato prima il mercato globale dell’e-learning e poi quello specifico
italiano. L’offerta è divisibile in tre macrocategorie principali: i fornitori di contenuti, i fornitori di
tecnologia e i fornitori di servizi o consulenza. Dai dati analizzati è stato possibile constatare che i
contenuti, insieme ai servizi, hanno e avranno sempre più peso sul mercato rispetto alla tecnologia.
Nel capitolo 4 vengono infine verificate le reali applicazioni teoriche dell’e-learning da parte di tre
aziende che operano nel campo della formazione a distanza, Didagroup s.p.a., il primo Global
Learning Service Provider in Italia, Eductra, Learning Company nata nel novembre 2002 e Sfera, la
Learning Company del Gruppo Enel. Lo studio di queste tre società è focalizzato sulla tipologia di
approccio didattico, sul target di riferimento, sulle strategie competitive, sul mercato e le prospettive di
crescita di queste aziende. La rilevazione diretta delle informazioni è avvenuta tramite lo strumento
dell’intervista semi-strutturata e focalizzata rivolta ad esperti. Nella fattispecie ho intervistato Oliviero
Vittori
2
, socio fondatore e amministratore della Didagroup s.p.a. e responsabile della società Eco,
Franco Landriscina
3
, che, oltre ad essere socio fondatore della società Eductra, è anche instructional
designer, e Valerio Eletti
4
, che svolge la funzione di e-learning chief editor presso Sfera.
2
intervistato il giorno 19 novembre 2002
3
intervistato il giorno 23 dicembre 2002
4
intervistato il giorno 20 novembre 2002
4
CAPITOLO 1
I nuovi scenari della formazione professionale
5
1.1 Formazione e “cultura” d’impresa: un legame inscindibile
L’uomo è un accumulatore ed un generatore di risorse invisibili
5
, cioè di competenze costituite da
specifiche capacità, abilità, esperienze, credenziali e convinzioni accumulate dai soggetti tramite
istruzione, formazione professionale, apprendimento sul lavoro e pratiche informali. Gli uomini
costituiscono oggi la principale fonte di vantaggio competitivo superando, come importanza e come
peso, quelle possibilità di successo derivanti dalla differenziazione e dalla leadership di costo che
Porter desume ed individua dall’analisi della catena del valore
6
.
Uno degli strumenti più idonei a far sì che le persone “accumulino” e soprattutto “generino” le
risorse invisibili è proprio la formazione del personale, che è quell’attività mediante la quale la risorsa
umana si adatta alla specificità dell’impresa.
La trasformazione è specifica quando implica l’acquisizione di caratteristiche professionali
strettamente legate al contesto tecnico, organizzativo e culturale di una data impresa. Tali
caratteristiche non possono essere trasferite, attraverso il mercato, ad altre imprese perché sono
specifiche dell’organizzazione che le ha prodotte.
La trasformazione è generale quando implica l’acquisizione di caratteristiche professionali che
mantengono il loro valore in diversi contesti organizzativi e che sono quindi trasferibili attraverso il
mercato senza deprezzarsi.
Pertanto, da una parte l’addestramento tende a trasferire, sia attraverso strumenti didattici sia
attraverso l’esperienza operativa (learning by doing), abilità già definite e controllabili, e dall’altra la
formazione tende a sviluppare capacità di dominare situazioni nuove e di creare abilità appropriate.
L’addestramento attiene più alla trasformazione specifica, mentre la formazione più a quella generale
7
.
In passato si riteneva di dover coinvolgere il management, cioè dirigenti e quadri, in processi di
formazione e gli operatori, cioè impiegati e operai, in processi di addestramento. Tuttavia oggi le
nuove tecnologie hanno aumentato per tutti il fabbisogno di formazione che trasforma i processi
tecnici e organizzativi adottati dall’impresa in conoscenze, comportamenti, abilità, atteggiamenti,
valori di riferimento (in una parola, competenze) dei singoli lavoratori.
L’investimento che l’impresa, attraverso la formazione, opera in “capitale umano” può essere fonte
di vantaggi competitivi, in quanto genera competenze distintive non trasferibili attraverso il mercato.
Queste competenze, insieme ai valori di riferimento, alle abilità del management e del personale e
all’immagine dell’azienda, costituiscono la “cultura” dell’impresa, che è l’input e l’output delle attività
di formazione. In questo senso è possibile ravvisare uno stretto legame tra le attività di formazione e le
strategie dell’impresa, che così vengono comunicate e fatte assimilare a tutti i livelli. Dopo aver
individuato gli obiettivi dell’organizzazione e tutte le azioni necessarie per conseguirli, il vertice deve
5
Itami H., Le risorse invisibili, Isedi, Torino, 1993.
6
Porter M. E., La strategia competitiva, Tipografia Compositori, Bologna, 1982.
7
Becker G. S., Human Capital, N. B. E. R., New York, 1964 e Vanecloo N., Théorie de la trasformazion de la
main d’oeuvre, Economica, Parigi, 1982.
6
rivolgersi all’azienda realizzando quella che Itami definisce la sintonia organizzativa: ciascun
individuo che fa parte dell’azienda, dall’operaio al presidente, deve essere consapevole del piano
strategico, sia pure a diversi livelli, in modo che l’organizzazione si muova tutta e coerentemente nella
stessa direzione. Tanto più la strategia è ben conosciuta e gli obiettivi finali sono chiari ed espliciti,
tanto più probabile è la loro accettazione da parte di tutti i dipendenti. Questo punto dovrebbe essere
tenuto presente non solo dal direttore responsabile del personale, ma anche dal vertice aziendale
perché i vantaggi che esso può produrre sono numerosi.
Primo fra tutti vi è la possibilità di evitare i traumi e le incertezze che possono derivare da più o
meno intensi processi di cambiamento che l’azienda deve realizzare per mantenersi sempre sull’onda
del successo.
Un secondo vantaggio è quello di incoraggiare la visione di lungo termine, cioè la capacità di saper
sacrificare il raggiungimento immediato di un ottimo risultato per favorire lo sviluppo e la crescita di
programmi diretti ad arricchire e potenziare l’intera azienda nel lungo periodo.
La consapevolezza strategica degli individui costituisce inoltre un aiuto per tenere alto il morale in
azienda e per creare uno spirito di gruppo che contribuisca a compattare l’organizzazione.
È chiaro che una formazione professionale di questo tipo, in un momento economico in cui la fonte
di vantaggio competitivo è sempre più costituita dalle risorse immateriali, rappresenta un’auspicabile
meta per ogni organizzazione. Tale esigenza si inserisce in una situazione in cui i mercati del lavoro
stanno attraversando un momento di accentuato dinamismo. Per rispondere in modo coerente alla
rapida evoluzione dell’ambiente, le imprese sono costrette a introdurre continui e importanti
cambiamenti organizzativi. La deregulation, l’apertura dei mercati nazionali, la dinamica continua
delle economie mondiali, insieme ad una domanda crescente di prodotti e servizi sofisticati da parte
della clientela hanno posto le aziende di fronte ad una drammatica alternativa: trarre vantaggio dalle
nuove opportunità e quindi dotarsi di nuove strategie, di strutture organizzative adeguate ed efficienti,
di sistemi operativi idonei a gestire in modo vincente il cambiamento, ovvero ridimensionare il loro
ruolo per soccombere alla sfida competitiva. Il cambiamento non può più essere considerato un
semplice disturbo ambientale, non richiede pertanto un mero adattamento secondo uno schema
stimolo/risposta. Esso deve essere invece il risultato di scelte strategiche specifiche e di
comportamenti che possono non limitarsi ad aggiustamenti formali o passivi, ma richiedere
programmi d’azione specifici.
I cambiamenti tecnologici e strategici comportano la necessità di risorse umane più preparate,
capaci di affrontare e risolvere direttamente le situazioni di produzione o di erogazione di servizi,
senza attendere che si metta in moto la linea gerarchica. Dirigere operatori di questo tipo, che
assumono sempre più le caratteristiche di professional
8
, richiede capacità polivalenti, inserite in
organizzazioni con pochi livelli gerarchici. Per questa ragione le posizioni direzionali, così come sono
state finora intese, assorbiranno in futuro un numero minore di persone. Una parte di queste funzioni si
8
Butera F., Failla A., Professionisti in azienda, Etas Libri, Milano, 1992.
7
trasferisce negli stessi operatori, che così svolgono un lavoro più qualificato e soddisfacente. Essi
devono essere capaci di autosviluppo, autocontrollo e di condivisione degli obiettivi aziendali. In
questo modo, una parte della piramide aziendale si eleva e un’altra parte si abbassa o comunque si
trasforma.
La posizione di lavoro e la qualifica non costituiscono più il referente forte di tutte le scelte in
ordine alle politiche del personale. Si fa sempre più spesso uso dell’approccio per competenze
9
.
Queste ultime sono definite come un insieme di saperi (saper fare, saper essere, saper pensare) che una
persona è in grado di applicare a una situazione professionale. Tali saperi, uniti a certe abilità e
attitudini proprie dell’individuo, spiegano prestazioni superiori in una determinata situazione
lavorativa. Saperi e caratteristiche dovrebbero essere radicati e permanenti, così da poter prevedere il
comportamento della persona in una certa varietà di situazioni oltre che misurare le conseguenze di
tale comportamento secondo un criterio di performance predefinito. Il riferimento ai risultati, alla
capacità di risolvere i problemi in una specifica situazione rende tuttavia talune competenze mutabili e
diversamente apprezzabili nel tempo e nello spazio. Certe competenze non sono qualcosa da fissare
una volta per tutte. Sarebbe un errore, in un’epoca post-fordista, sostituire the one best way tayloriana
con the one best competence. Le competenze traducono a livello di caratteristiche professionali la
dinamicità dell’ambiente competitivo, tecnologico e sociale. Questo implica una gestione dinamica
degli skills e l’accettazione dell’idea dell’esistenza di un ciclo di vita delle competenze che non può
essere lasciato a se stesso, ma non può nemmeno essere irrigidito in schemi predefiniti di carriera. Ne
discende un forte ruolo della formazione lungo tutto l’arco di vita della risorsa umana, e una sua
integrazione con capacità diagnostiche e progettuali e con altre strumentazioni gestionali, alla fine di
prevenire o, comunque, pilotare situazioni di crisi o di obsolescenza.
Le competenze sono l’esito di un processo di apprendimento continuamente mutevole, esse devono
essere scoperte, stimolate, indirizzate, conservate e difese dall’obsolescenza.
La formazione ha un grande ruolo nella costruzione e nel mantenimento della relazione tra
organizzazione e risorsa umana. Essa diventa una modalità di individuazione e di sviluppo di valori
professionali, calati nella concreta organizzazione del lavoro e nel rapporto con il cliente. È uno
strumento indispensabile per gestire il cambiamento in funzione delle specifiche esigenze del mercato.
9
Camuffo A., La gestione delle risorse umane basata sulle competenze: moda o rivoluzione?, “Cuoa Notizie.
Temi e proposte di formazione”, 2, Padova, 1995.
8
1.2 La formazione continua: una questione terminologica
Servizio di interesse pubblico e strumento della politica attiva del lavoro, la formazione
professionale collega questo mondo con quello dello studio, in particolare
10
:
ξ prepara i giovani a svolgere consapevolmente una professione;
ξ fornisce l’indispensabile cultura per orientare il lavoratore nella realtà della vita associata;
ξ migliora la preparazione professionale dei lavoratori già occupati, favorisce il loro
aggiornamento e la riqualificazione;
ξ prepara a professioni richieste in ogni specifico territorio e a professioni nuove originate dallo
sviluppo tecnico e dall’organizzazione del lavoro;
ξ persegue la piena occupazione, il diritto allo studio e al lavoro in un piano di sviluppo della
società che armonizzi risorse, lavoro, produzione e sviluppo tecnico;
ξ contribuisce alla crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura
professionale e a rendere effettivo l’esercizio del diritto al lavoro favorendo l’occupazione, la
produzione e l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro.
Mentre la scuola media superiore tende a privilegiare la cultura generale e tecnico-professionale di
lunga durata i corsi di formazione professionale perseguono prioritariamente la cultura del lavoro e
quella professionale. Rispetto alle scuole tradizionali i corsi di formazione professionale hanno anche
una diversa impostazione di metodo e di didattica basandosi su:
ξ conoscenze teoriche essenziali;
ξ sviluppo dell’apprendere attraverso attività di laboratorio e di simulazione della situazione
lavorativa (learning by doing);
ξ diffuso utilizzo di strumenti informatici e tecnologici;
ξ stage con tirocinio lavorativo seguito direttamente da un tutore dell’azienda ospitante e dagli
insegnanti del corso.
I percorsi formativi si articolano in cicli e in tipologie di utenza, ognuno dei quali attribuisce abilità
lavorative disposte in sequenza di complessità crescente. Ciò consente l’accesso a cicli avanzati per
chi dimostri di avere crediti formativi e l’utilizzo nel lavoro delle abilità acquisite per coloro che
interrompono il percorso formativo
11
.
Nello specifico, la formazione professionale comprende principalmente due accezioni: formazione
iniziale e formazione continua.
Nella letteratura, sul tema della formazione continua si è sottolineata spesso la difficoltà di trovare
una definizione condivisa. La difficoltà nasce dal fatto che non esiste univocità di significati intorno al
termine formazione continua. Tale stato di cose si spiega in parte per la scarsa chiarezza dei testi
10
Isfol, Istat, La formazione del personale nelle imprese, Franco Angeli, Milano, 1995.
11
Ibidem.
9
normativi che disciplinano questo ambito delle politiche formative nazionali, in parte per l’assenza nel
nostro paese di una “tradizione” e di una prassi consolidata in materia.
Nel dibattito, tutto sommato terminologico, su cosa si debba intendere per formazione continua si
possono riscontrare due tendenze. La prima, più estensiva, ricomprende in questa categoria qualsiasi
tipo di formazione che si collochi lungo l’intero arco della vita lavorativa di una persona e che ha
quindi come destinatari sia soggetti occupati che disoccupati. Ci si riferisce dunque a una fruizione di
servizi formativi che si situa dopo l’istruzione e la formazione e dopo l’accesso al lavoro. Restano
dunque escluse dalla formazione continua solo le attività di formazione iniziale, laddove la prima si
caratterizza come intervento che può assumere connotazioni di riconversione, specializzazione,
aggiornamento, riqualificazione, perfezionamento ecc.
Una seconda accezione di formazione continua assume invece un significato più restrittivo,
limitandosi a comprendere solo gli interventi che prevedono il coinvolgimento di lavoratori occupati,
ovvero dipendenti di imprese inseriti in un processo produttivo. Questa tendenza rimanda ad
un’accezione più ampia di formazione continua che ruota intorno al concetto di formazione
permanente, formalizzato di recente in alcuni documenti comunitari come formazione lungo tutto
l’arco della vita. La formazione continua è dunque un percorso formativo sicuramente distinto dalla
formazione di base o iniziale, i cui destinatari sono però individuati in quei soggetti inseriti in azienda,
i cui fabbisogni formativi trovano espressione nell’azienda (e attraverso l’azienda) d’appartenenza
12
.
Nell’ambito della formazione iniziale ci sono due tipi di formazione, la prima è destinata ai soggetti
in uscita dalla scuola dell’obbligo (senza limiti di età) e dura in genere due anni, il primo di base e il
secondo di qualifica. In questo ambito esistono opportunità anche per i giovani che interrompono la
scuola media superiore, i cosiddetti drop out, e per i licenziati dalla terza media con un giudizio
incerto, con corsi di qualifica di un anno. Al sistema della formazione professionale viene quindi
attribuito anche il delicato compito del recupero della motivazione all’apprendimento e dell’offerta
degli strumenti conoscitivi minimi per consentire l’orientamento in un settore produttivo.
La seconda formazione è destinata ai già qualificati e ai diplomati. Attribuisce una specializzazione
o fornisce ai diplomati specifiche competenze operative attraverso corsi diurni o serali della durata
compresa tra 300 e 1.100 ore. Tradizionalmente minoritaria rispetto a quella post-obbligo, la
formazione post-diploma ha assunto negli anni consistenza crescente sia dal punto di vista numerico
(dei corsi e dei partecipanti) sia da quello della diversificazione delle proposte formative
13
.
In questo lavoro riserverò particolare attenzione all’evoluzione economico-normativa della
formazione continua, prescindendo da quella iniziale, in quanto secondo la mia teoria di riferimento il
lavoratore può conservare il proprio valore competitivo all’interno dell’azienda grazie a processi
continui di formazione.
12
Isfol, Rapporto 1996, Franco Angeli, Milano, 1996.
13
Isfol, Istat, La formazione del personale nelle imprese, Franco Angeli, Milano, 1995.
10
1.3 La formazione continua: l’evoluzione normativa
L’assenza di una “tradizione” di formazione continua non ha impedito che si realizzassero nel
nostro paese esperienze significative in questo segmento formativo.
L’offerta di formazione continua, in quanto formazione destinata ai lavoratori, si è realizzata
normalmente a livello delle imprese, generalmente di grandi dimensioni, e si è caratterizzata come
prassi occasionale e non come strategia di medio periodo sulle risorse umane, spesso in funzione di
ammortizzazione sociale, o destinata alla formazione di nuovi assunti.
Si può tuttavia sostenere che i recenti sviluppi normativi, nazionali e comunitari in tema di
formazione continua hanno aiutato a fare chiarezza sull’argomento, innescando un processo di
cambiamento che, se pur lentamente, sta prendendo piede nel nostro paese. L’aspetto finanziario, vale
a dire l’esistenza di risorse pubbliche, ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale in questo
processo.
In particolare un contributo decisivo non solo a livello terminologico, ma anche di processo, è stato
dato dai regolamenti comunitari relativi al Fondo Sociale Europeo, ma anche alla legge 236/93 e dalla
successiva Circolare attuativa 176/96.
In ambito comunitario la riforma dei Fondi strutturali del 1993 ha prodotto un’importante modifica
negli ambiti di intervento del Fondo Sociale Europeo, introducendo il “nuovo” obiettivo 4
14
, destinato
ad “agevolare l’adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali e all’evoluzione
dei sistemi di produzione” (Reg. CEE n. 2081/93).
A livello nazionale la normativa emanata nel 1993, ovvero la Legge 236, individua per la prima
volta tra gli strumenti delle politiche del lavoro la formazione, l’orientamento e l’informazione. In
particolare, rispetto alla formazione continua la legge stabilisce all’art. 9 comma 3 e 3-bis che il
Ministero del lavoro, le Regioni e le Province possano finanziare attività di formazione destinate a:
formazione continua, aggiornamento e riqualificazione per operatori della formazione professionale;
lavoratori in cassa integrazione guadagni; lavoratori dipendenti di imprese che contribuiscano in
misura non inferiore al 20% del costo delle attività; lavoratori iscritti alle liste di mobilità e soggetti
che abbiano partecipato alle attività socialmente utili.
Oltre a definire l’ambito d’intervento della formazione continua la legge stabilisce anche l’utilizzo
di 1/3 del gettito dello 0.30% proveniente dal prelievo sul monte salari, ovvero crea una fonte di
finanziamento pubblico per la formazione continua.
La Circolare attuativa della 236, la 174/96
15
, precisa che per formazione professionale continua si
debbono intendere le “attività formative rivolte ai soggetti adulti, occupati o disoccupati, con
particolare riferimento alle attività a cui il lavoratore partecipa per autonoma scelta, al fine di adeguare
14
Nel precedente periodo di programmazione esisteva già l’obiettivo 4, ma l’utenza di riferimento era
rappresentata dai giovani (formazione di base, II livello, inserimento lavorativo, categorie svantaggiate).
15
Circolare n. 174 del 23 dicembre 1996.
11
o di elevare il proprio livello professionale, e gli interventi formativi promossi dalle aziende in stretta
connessione con l’innovazione tecnologica e organizzativa del processo produttivo”.
In particolare, la circolare si articola in tre linee di intervento: all’interno dell’azione 1c è previsto il
finanziamento di azioni formative aziendali, ovvero di interventi promossi dalle imprese che si
caratterizzino come sperimentali ed esemplari in quanto a procedure e organizzazione, contenuti e
finalità. La circostanza specifica, ulteriormente, che i destinatari possono essere i lavoratori
dell’impresa o di più imprese. Le altre due tipologie di azioni finanziate dalla 174/96 sono la
formazione degli operatori degli Enti di cui la Legge 40/87
16
(azione 1b) e le azioni di sistema (azione
1°).
Di recente l’art. 17 della Legge 196/97
17
, attuativa del cosiddetto “Pacchetto Treu”, pone
l’obiettivo generale di “assicurare ai lavoratori opportunità di formazione ed elevazione
professionale”, precisando anche che nell’intervento di riordino del sistema formativo occorre
valorizzare la “formazione professionale quale strumento per elevare le capacità competitive del
sistema produttivo, in particolare con riferimento alle piccole e medie imprese (PMI) e alle imprese
artigiane”. In merito ai destinatari delle attività formative l’articolo individua non solo i lavoratori
occupati, ma anche i lavoratori in mobilità e i neo-assunti. La legge prefigura quindi per il nostro paese
un compiuto sistema di formazione continua, attraverso l’istituzione di Fondi gestiti con il concorso
delle parti sociali.
Quali sono state le logiche che hanno portato all’adozione di questa nuova strumentazione
normativa in tema di formazione continua?
A partire dal trattato di Maastricht si è stabilito che il Fondo Sociale Europeo dovesse perseguire
l’obiettivo “ (…) di facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei
sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale”
(all’articolo 123). La logica dell’intervento comunitario realizzato attraverso l’obiettivo 4 è nata dal
riconoscimento di quanto il contesto economico europeo e mondiale sia caratterizzato da una crescente
e rapida modifica dei sistemi di produzione. La rapidità dei cambiamenti unita al progressivo
invecchiamento, anche in termini di competenze, della forza lavoro determina la necessità di
intervenire sui lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della progressiva
obsolescenza delle loro qualifiche o, in molti casi, a causa di un’assenza della qualifica. Tuttavia,
l’intervento comunitario non risponde solo a una logica di “emergenza”, ma spinge nella direzione
della diffusione della formazione come strategia di sviluppo delle risorse umane all’interno delle
imprese per una maggiore competitività.
A partire da questo quadro di riferimento l’Italia ha elaborato una strategia mirata per lo sviluppo
della Formazione continua: il DOCUP italiano, ovvero il documento di programmazione nazionale
dell’obiettivo 4 ha colto l’occasione fornita dal nuovo strumento finanziario comunitario per poter dare
16
Legge n. 40 del 14 febbraio 1987.
17
Legge n. 196 del 24 giugno 1997, “Norme in materia di promozione dell’occupazione”.
12
avvio finalmente ad un intervento pubblico di formazione continua, sancendo come obiettivo del
sessennio di programmazione la “costruzione di un sistema di formazione continua”. Al di là della
complessità dei contenuti e di obiettivi proposti dal DOCUP, è importante sottolineare come nel 1994
per la prima volta in Italia si sia reso disponibile un fondo pubblico per la formazione degli occupati e,
più in generale, per le azioni di formazione continua.
DOCUP obiettivo 4 ha rappresentato nel nostro paese il volano per l’approvazione e la successiva
attuazione della Legge 236 (Circolare n. 174/96). E’ significativo, infatti, come la Legge 236 sia stata
approvata in concomitanza con il dibattito e la negoziazione per la commissione europea per il
DOCUP 1994-1999. La circolare attuativa, anche se a distanza di due anni rispetto al DOCUP,
riprende la filosofia comunitaria, ma la amplia e la specifica ulteriormente, contribuendo a definire
meglio obiettivi e campi di intervento della formazione continua.
L’origine di questo rinnovato interesse a livello nazionale è rintracciabile in una serie di eventi
18
,
verificatesi nel corso del 1993 e culminati con l’accordo del 24 settembre 1996 siglato dal Governo e
dalle Parti sociali, che, grazie all’avvio di una nuova fase nel dialogo sociale e nelle relazioni
industriali del nostro paese, hanno assunto una certa rilevanza per le politiche formative e in
particolare per la formazione continua.
Il documento del Settembre 1996, meglio noto come Patto per il lavoro, afferma che “la
formazione continua costituisce una nuova prospettiva strategica della formazione e l’affermazione del
diritto del cittadino alla qualificazione all’arricchimento della propria professionalità”. Nel “Patto” si
tengono però distinti i due ambiti di intervento rispettivamente della formazione continua e della
formazione permanente.
Rispetto ai diversi riferimenti normativi richiamati emerge una certa differenziazione nelle
strategie, che si evince anche dalla distribuzione delle risorse finanziarie: nel DOCUP la priorità è
stata data all’asse 2, che finanzia le attività di formazione, e che concentra la maggior quota di risorse
nel sessennio seguito, su volumi di molto inferiori all’asse 1 e all’asse 3.
Sul fronte finanziario occorre inoltre aggiungere che a partire dal 1994 si sono resi disponibili una
serie di altri canali finanziari di origine comunitaria: nell’ambito della formazione continua vanno,
infatti, citati anche gli obiettivi 2 e 5b del Fondo Sociale Europeo, l’iniziativa Adapt e le risorse
destinate alla formazione continua nella programmazione dell’obiettivo 1, che riguarda le Regioni del
Mezzogiorno.
Ben più determinante il successivo Decreto legislativo 31/3/1998 n. 112 che costituisce un primo
disegno organico dei nuovi assetti e competenze tra Stato e Regioni nella formazione professionale.
Anche questo provvedimento conferisce alle regioni tutti i compiti e le funzioni amministrative in
materia, elencando (all’art. 142) le funzioni residue dello Stato (con una tecnica legislativa per altro
18
Ci si riferisce al Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche
del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo siglato dalle parti sociali e dal Governo il 23 luglio 1993.
13
già adottata dalla legge-quadro, nella quale però l’art. 18, nello stabilire le competenze dello Stato,
individuava come Amministrazione nazionale soltanto il Ministero del Lavoro).
Assai importante è anche la definizione ben più attuale e “onnicomprensiva” della formazione
professionale, identificata con la “istruzione artigiana e professionale” in modo da evitare equivoci
sulla portata dell’art. 117 della Costituzione che fa esplicito riferimento testuale soltanto a
quest’ultima e non anche alla formazione (citata, invece, all’art. 35) e intesa come “il complesso degli
interventi volti al primo inserimento, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’orientamento
professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa per qualsiasi attività di lavoro e per
qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, la formazione continua,
permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive”.
Dopo una definizione generale così estesa, notevole è il tentativo di circoscrivere il complesso
tanto ampio di tali interventi (e riguardanti non soltanto il lavoro dipendente, ma anche quello
autonomo) ad una valenza prevalentemente operativa e ad attività formative rivolte al conseguimento
di una qualifica professionale o di un credito formativo, anche in situazioni di alternanza formazione-
lavoro, poiché ciò rappresenta un primo sforzo per ricondurre in questo ambito i contratti di lavoro a
causa mista (apprendistato e contratti di formazione lavoro). D’altro canto vi è il contestuale tentativo
di evitare la sovrapposizione con i percorsi di studio scolastici, universitari e post-universitari per i
quali, infatti, come sancisce l’ultimo periodo del primo comma dell’articolo 141, gli interventi di
formazione professionale normalmente non valgono ai fini del conseguimento dei relativi titoli di
studio, ma risultano comunque, in un’ottica di integrazione fra i percorsi formativi, certificabili ai fini
del conseguimento degli stessi. A tale regola generale, fanno esplicita eccezione i casi previsti dalla
legislazione comunitaria e dello Stato, il che costituisce una notevole deroga ed, implicitamente, il
riconoscimento della specificità e della supremazia comunitaria negli assetti così come determinati. Si
tratta di un’eccezione di non poco conto, considerata l’accresciuta rilevanza negli ultimi anni degli
interventi formativi finanziati attraverso il Fondo Sociale Europeo a titolarità della Pubblica Istruzione
e dell’Università.
14
1.4 La formazione continua: aspetti economici e organizzativi
La formazione costituisce un processo complesso, con valenze economiche e organizzative. In
termini economici, si tratta di un processo d’investimento in quanto implica il sostenimento di costi
per la valorizzazione di risorse a produttività ripetuta e differita. Come tutti gli investimenti, anche
questo comporta una certa dose di rischio, poiché il risultato è incerto e può diventare obsoleto prima
che i costi siano recuperati. Inoltre, presenta altri aspetti di rischio. Infatti
19
:
1. l’investimento è “materializzato” in un “sapere” che non è nella disponibilità assoluta
dell’impresa, ma è anche nella disponibilità di soggetti sociali che mantengono una relativa
autonomia e quindi un controllo individuale su una parte di questo asset;
2. si tratta quindi di un investimento che per erogare la sua utilità richiede un comportamento attivo
da parte di soggetti diversi dall’impresa;
3. i rendimenti di tale investimento non sono appropriabili totalmente ed esclusivamente dal
soggetto investitore, sia esso l’impresa o il singolo lavoratore.
In termini organizzativi, la formazione produce un cambiamento nei valori relativi e quindi nello
status delle diverse professionalità aziendali, coinvolgendo i rapporti di potere esistenti. Si tratta
quindi di un processo che può generare conflitti e squilibri che richiedono un’accorta gestione.
L’attività di formazione ha come obiettivo lo sviluppo di conoscenze, abilità e informazioni
possedute dal personale. Tale obiettivo può venire variamente interpretato e realizzato in funzione dei
diversi orientamenti e delle diverse politiche di gestione del personale a sostegno della strategia
aziendale. In presenza di un orientamento al breve periodo la formazione è finalizzata a incrementare
la produttività delle risorse umane. L’attività formativa assume un profilo operativo d’intervento in
risposta alle esigenze dell’organizzazione. È caratterizzato dalla prevalenza dell’addestramento, e
quindi è orientata a interventi separati sugli individui in funzione del miglioramento immediato della
prestazione lavorativa più che di sviluppo del potenziale.
Un orientamento di lungo periodo imprime alle attività di formazione un profilo diverso
caratterizzato dallo sviluppo e dalla capitalizzazione delle risorse invisibili dell’organizzazione
20
, al
miglioramento del processo di apprendimento dell’impresa nel suo complesso
21
, come risposta a un
ambiente molto differenziato che offre diverse opportunità dal punto di vista tecnologico e di mercato.
Nelle aziende più innovative la formazione assume i caratteri dell’interfunzionalità a supporto dei
processi di flessibilizzazione della struttura organizzativa, è rivolta soprattutto ai soggetti
19
Carducci P., La valutazione degli investimenti in formazione, Scuole superiori G. Reiss Romali, L’Aquila,
1995
20
Itami H., Le risorse invisibili, Isedi, Torino, 1993.
21
Warglien M., Sistemi operativi per l’apprendimento organizzativo, in Costa G., (a cura di), Manuale di
gestione del personale, Utet, Torino, 1992.
15
maggiormente coinvolti nei processi di innovazione, agendo sull’intera organizzazione e sulla sua
cultura
22
.
I compiti e gli obiettivi della formazione professionale sono:
1. gestire il processo di trasformazione delle caratteristiche professionali (abilità, conoscenze,
informazioni, atteggiamenti) delle risorse umane coerenti con gli obiettivi dell’impresa, le
tendenze del mercato del lavoro, le motivazioni del personale;
2. salvaguardare e incrementare il valore del capitale umano anche in senso prospettico
(employability);
3. rendere coerenti le politiche di addestramento e formazione con le altre politiche del personale
(in particolare con reclutamento e selezione, sistema di ricompensa, sviluppo del personale);
4. costruire coerenze, compatibilità e interazione tra i processi di apprendimento organizzativo
(organization learning), che presiedono le competenze distintive dell’impresa, e i processi di
apprendimento individuali;
5. presidiare i valori di riferimento (professionali, culturali ecc.) dell’impresa.
Il concetto di economia dell’apprendimento, o learning economy, è molto ampio e i suoi
presupposti partono dalla constatazione che, nelle moderne economie, la competitività degli individui,
delle imprese e dei sistemi innovativi è profondamente legata all’abilità di apprendere dal proprio
operare
23
. In particolare, le trasformazioni con cui attualmente si trovano a fare i conti le economie
avanzate hanno inevitabilmente avviato un processo di ristrutturazione del mercato del lavoro, sempre
più basato sul sapere come fattore di competitività. Basti osservare che, mentre da un lato cresce
sensibilmente la domanda di lavoro rivolta a persone qualificate e con elevati skills, dall’altro si riduce
drasticamente quella relativa a lavoratori scarsamente qualificati
24
.
Le conseguenze dei profondi mutamenti che stanno ancora oggi interessando i sistemi economici
moderni possono essere osservati anche da un altro punto di vista: infatti, essendo ormai l’interesse
delle imprese di qualunque settore produttivo rivolto sempre più esclusivamente al lavoro qualificato,
emerge chiaramente non soltanto la nascita di un comparto produttivo, quello che produce e offre
conoscenza a livello qualificato per soddisfare le esigenze delle imprese, ma anche un inequivocabile
incremento dell’occupazione in tale settore e, di conseguenza, della quantità di informazioni e
conoscenze prodotte e da gestire.
L’apprendimento, la formazione e, più in generale, la conoscenza sono beni del tutto particolari,
scambiati in mercati il cui funzionamento è difficilmente inquadrabile all’interno dell’economia
tradizionale.
22
Piccardo C., Empowerment, Cortina Editore, Milano, 1995.
23
Lundvall B. A., Technology Policy and Competitiveness, in “The Learning Economy”, October 1995.
24
Questa nuova realtà tende a contraddire le diffuse teorie sui cicli di ristrutturazione come acceleratori di
un’ipotetica “curva ad U” delle qualifiche, che moltiplicherebbero la domanda di lavoratori nelle fasce di più
bassa e più alta qualifica, assottigliando sempre pigli strati intermedi e polarizzando la manodopera rispetto al
valore del capitale umano. Cfr: Abbate C., La qualificazione culturale della forza di lavoro, in Ministero del
Lavoro – Fondazione Giacomo Brodolini, Rapporto 1991-’92. Lavoro e Politiche della Occupazione in Italia,
Poligrafico dello Stato, Roma, 1993.