3
Introduzione
La fenomenologia della Gestalt di Hans Urs von Balthasar
Quando Hans Urs von Balthasar pubblicò nel 1961 il primo volume di Gloria – Un’estetica
teologica
1
si capì subito che egli non introduceva nel panorama teologico un’ennesima teologia del
genitivo, una teologia della bellezza, ma compiva una svolta estetica in teologia
2
, una rifondazione
della teologia nell’estetica, che si contrapponeva alla svolta antropologica di Karl Rahner
3
. Tale
svolta era già stata anticipata dal libretto programmatico Solo l’amore è credibile
4
, ma soprattutto a
lungo preparata dagli studi filosofici giovanili
5
fino alla sua opera più importante di carattere
filosofico, Verità del mondo
6
, in cui Balthasar espone in modo compiuto la sua estetica filosofica. I
sette volumi di Gloria sono solamente la prima parte della summa teologica di Balthasar composta
anche dalla Teodrammatica in cinque volumi, e dalla Teologica in tre volumi. Questa trilogia è
strutturata in base ai tre trascendentali dell’essere, pulchrum, bonum e verum, messi «secondo un
ordine di serie insolito»
7
per la tradizione teologica. L’originalità di questa trilogia teologica
consiste proprio nel porre il pulchrum come trascendentale iniziale su cui fondare la teologia.
La rifondazione estetica della teologia è svolta in modo particolare dal primo volume di Gloria.
Questo primo volume, La percezione della forma (Schau der Gestalt), affronta e imposta il metodo
per una teologia fondamentale che ponga la percezione della rivelazione oggettiva di Dio come
centro di tutta l’estetica teologica.
Dio si fa conoscere anzitutto come il ‘glorioso’ (Gloria Dei). La gloria (Herrlichkeit) è quel divinissimum
di Dio (Kabòd, doxa) che si irradia con la creazione del cosmo e che discende all’uomo con la rivelazione
divina, e che dall’uomo si lascia percepire, vedere, contemplare. Questa epifania può essere percepita
soltanto nella luce stessa di Dio, ossia nella fede, e induce l’uomo a rispondere con libertà e con amore
all’Amore che si dona trinitariamente in Gesù Cristo.
8
Il secondo e il terzo volume di Gloria sono intitolati Ventaglio di stili
9
(Fächer der Stile), e sono
dedicati agli «Stili ecclesiali» (Ireneo, Agostino, Dionigi l’Areopagita, Anselmo e Bonaventura), e
agli «Stili laicali» (Dante, Giovanni della croce, Pascal, Hamman, Solov’ev, Hopkins e Peguy).
1
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. I: La percezione della forma, Jaca Book, Milano, 1994. I
volumi della trilogia (Gloria, Teodrammatica, Teologica, Epilogo) e i tre volumi dell’Apocalisse dell’anima tedesca
verranno citati, dopo la prima ricorrenza, seguendo le abbreviazioni riportate a p. 134 di questa tesi.
2
Cfr. Desideri F., Cantelli C., Storia dell’estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze, Carocci, Roma 2008,
pp.452-454. Ritengo degno di nota il fatto che Balthasar venga inserito da Desideri – Castelli a pieno titolo in una
«Storia dell’estetica occidentale» come uno, anzi «forse l’unico» teologo che pone «la dimensione estetica come
costitutiva della sostanza del suo pensiero teologico» (p. 453).
3
La svolta estetica di von Balthasar e quella antropologica di Rahner nella teologia del XX sec. oggi non sono più
considerate come antitetiche ma complementari. Cfr. M. Schulz, Incontro con Hans Urs von Balthasar, Eupress,
Lugano 2003.
4
H. U. von Balthasar, Solo l’amore è credibile, Borla, Roma 1982.
5
H. U. von Balthasar, Apokalypse der deutschen Seele. Studien zu einer Leher von letzten Haltungen, A, Pustet, 3 voll. ;
vol. 1: Der deutsche Idealismus, Salzburg 1937; vol. 2: Im Zeichen Nietzsches, Salzburg 1939; vol. 3: Die
Vergottlichung des Todes, Salzburg 1939.
6
H. U. von Balthasar Teologica, vol. I: Verità del mondo, Jaca Book, Milano 1989.
7
H. U. von Balthasar, La mia opera ed Epilogo, Jaca Book, Milano 1994, p. 117.
8
G. Marchesi, La cristologia trinitaria di Hans Urs von Balthasar. Gesù Cristo pienezza della rivelazione e della
salvezza, Queriniana, Brescia 1997, p. 303.
9
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. II: Stili ecclesiastici, 1985; Gloria. Un’estetica teologica, vol.
III: Stili laicali, 1986.
4
Questi dodici stili teologici hanno saputo mettere al centro il mistero della gloria di Dio nella sua
rivelazione al mondo. Balthasar con questi due volumi afferma che la proposta di un’estetica
teologica nel ventesimo secolo del cristianesimo di fatto non rappresenta una novità, ma
semplicemente un mettere in luce il vero cuore pulsante della teologia cattolica di tutti i secoli, che
nell’epoca moderna rischia di perdersi completamente
10
. I due volumi dedicati alla storia della
metafisica e dell’estetica che questo studio vuole prendere in considerazione, si inseriscono proprio
in questo punto della summa teologica di Balthasar.
Dalla scia luminosa che questi dodici raggi hanno tracciato e lasciato nella storia del pensiero cristiano, la
riflessione di Hans Urs von Balthasar è entrata nel campo che a lui era particolarmente congeniale, fin
dagli studi giovanili sull’idealismo tedesco: la meditazione della metafisica occidentale sotto la specificità
del trascendentale pulchrum. Tale meditazione parte dal mito greco di Omero, in quell’unità mito-
filosofia-religione, fino all’autoglorificazione dello spirito umano nell’epoca moderna.
11
Il compito del quarto e quinto volume di Gloria, L’antichità
12
e L’epoca moderna
13
, consiste nel
ripercorrere la storia della metafisica e dell’estetica per far emergere con chiarezza qual è stata la
complessa evoluzione della metafisica in relazione al pulchrum, e quanto questa abbia favorito o
ostacolato lungo i secoli l’elaborazione di un’autentica estetica teologica. Gli ultimi due volumi di
Gloria, Antico patto
14
e Nuovo patto
15
, completano l’opera con una piena immersione nella
rivelazione biblica del Dio della gloria. In essi emerge ciò che la sola rivelazione biblica, senza
l’ostensorio della mediazione filosofica, intende per Gloria Dei, e dunque, anche per bellezza del
mondo.
Il compito che questo mio studio si propone è proprio quello di illustrare l’interessante e
originale interpretazione della storia dell’estetica che Balthasar espone nel IV e V volume di Gloria.
Prima di addentrarmi nella lunga esposizione degli spazi della metafisica antica e moderna
dell’estetica è necessario analizzare il particolare metodo di studio utilizzato da Balthasar.
L’enorme produzione letteraria dell’autore, che spazia dalla filosofia alla teologia, si fonda su un
metodo d’indagine unitario che potremmo definire in questi termini: una fenomenologia della
Gestalt. Il concetto di forma, cui Balthasar aderisce, è quello che s’impone nella storia della
filosofia a partire da Platone e Aristotele fino a Goethe, e che viene riproposto dalla psicologia della
Gestalt in epoca moderna.
Questo concetto ripreso da Platone e Aristotele (come “eidos” e “morphé”), stava al centro dell’ontologia
medioevale (come species e forma), e poi ancora al centro della teoria della natura di Herder (contro
Kant!) e di Goethe, e fu con trepidazione ma con discreto successo dissepolta di tra le rovine
dall’associazionismo atomistico da Christan von Ehrenfels e riportata in onore, anche se poi resa ancora
una volta pericolante dalla psicologia della Gestalt dei berlinesi (M. Wertheimer, W. Kohler, K. Lewin,
W. Metzger) dal momento che da parte di costoro, in nome della misurabilità “rigorosamente scientifica”,
la Gestalt viene considerata come “unità di correlazione” di “funzioni elementari” dello spirito, le quali
secondo la “teoria dell’isomorfismo” devono essere ancora di forma identica come i loro sostrati
10
Epilogo I, p. 68.
11
G. Marchesi, La cristologia trinitaria di Hans Urs von Balthasar, op.cit., p. 304.
12
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. IV: Nello spazio della metafisica: L’antichità, Jaca Book,
Milano 1977; 1986.
13
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. V: Nello spazio della metafisica: L’epoca moderna, Jaca
Book, Milano 1978; 1991.
14
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. VI: Antico Patto, 1991.
15
H. U. von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica, vol. VII: Nuovo Patto, 1991.
5
fisiologici e fisici. Ma in tal modo il concetto trascendentale del soggetto sussistente in cui sta l’essenza
del concetto di Gestalt va un’altra volta perduto.
16
Balthasar pur distanziandosi dai percoli della «psicologia della forma»
17
dei berlinesi fa proprio
il principio della priorità del tutto sulle parti, del tutto che è più della somma delle singole parti che
lo compongono. Per forma secondo Balthasar si deve «intendere una delimitata totalità, come tale
concepita, di parti e di elementi, e riposanti in se stessa, che però per la sua consistenza ha bisogno
non soltanto di un “ambiente” (Umwelt) ma dell’essere nel suo insieme e in questo bisogno essa è
una (come dice il Cusano) “contratta” rappresentazione dell’“assoluto” in quanto anche essa nel suo
piccolo campo trascende e domina le parti in cui si articola»
18
. I principi teorici su ci si fonda la
percezione della forma non derivano però da questa scuola di psicologia ma hanno la loro origine
teologica nella visione sintetica del «tutto» di Massimo il Confessore
19
, nella teoria della natura di
Herder e nell’estetica di Goethe. «Per rinnovare il senso di questa tradizione metafisica, che si
interrompe nel pensiero moderno e contemporaneo, occorre tornare a considerarla come un
“trascendentale” che istituisce un senso analogico dell’essere, secondo il quale ogni forma nel suo
puro apparire manifesta quanto la trascende, senza spezzare il legame con esso»
20
.
In modo del tutto speciale Goethe, e la sua concezione della forma, occupa una posizione di
notevole rilievo nell’intera opera di Balthasar. In un’intervista, in cui egli riporta il suo particolare
rapporto con il teologo Karl Rahner, Balthasar afferma esplicitamente la sua adesione al metodo di
Goethe
21
. «C’è un libro di Simmel che s’intitola “Kant e Goethe”. Rahner ha scelto Kant, o se lei
preferisce: Fichte, cioè l’impostazione trascendentale. Da germanista io ho scelto Goethe. La figura
(Gestalt), la figura indissolubilmente unica, organica, che si sviluppa – io penso a “Metamorfosi
delle piante” di Goethe -, questa figura con cui Kant anche nella sua estetica non riesce mai
davvero a venire a capo […]»
22
. Un’altra importante testimonianza in proposito si trova nello scritto
Quel che devo a Goethe, il discorso per il conferimento del premio Mozart, che è riportato
nell’appendice della biografia di E. Guerriero.
Ma a Vienna non studiai musica, bensì soprattutto germanistica e quanto vi appresi è ciò che più tardi
posi al centro della mia opera teologica: la possibilità di vedere, valutare e interpretare una figura;
diciamo pure lo sguardo sintetico (in contrapposizione a quello critico di Kant e a quello analitico delle
scienze naturali). Di questa attenzione alla figura io sono debitore a Goethe che, emergendo dal caos dello
Sturm und Drang, non smise di vedere, creare e valorizzare figure viventi.
23
16
Gloria IV, pp. 34-35.
17
Il concetto di Gestalt, forma, è stato ripreso in modo particolare in epoca contemporanea dalla scuola psicologica
delle forme (Gestaltpsychologie). La psicologia delle forme è nata in Germania nel 1912. I suoi fondatori sono M.
Wertheimer, K. Kofka, K. Lewin e W. Köhler. Questa psicologia si basa sull’idea che l’esperienza della percezione sia
costituita da processi dinamici di organizzazione secondo principi strutturati e autonomi. Questa scuola afferma la
priorità dell’insieme sulle parti. Quindi la Gestalt è una configurazione nella quale il ruolo delle parti è determinata
dalla struttura del tutto di un essere. Il tutto non è la semplice somma delle parti che lo costituiscono.
18
Gloria IV, pp. 34-35.
19
Cfr. H. U. von Balthasar, Massimo il confessore. Liturgia cosmica, Jaca Book, Milano 2001, pp. 119-151.
20
Desideri F., Cantelli C., Storia dell’estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze, op.cit., p.454.
21
Cfr. L. Artusi, Hans Urs von Balthasar. Un’anima per la bellezza. Origine dell’estetica teologica nell’“Apocalisse
dell’anima tedesca”, Feeria, Firenze 2006, pp. 114-115. Artusi approfondisce l’incidenza che il saggio di Simmel su
Kant e Goethe ebbe su von Balthasar.
22
M. Albus, Geist und Feuer. Ein Gesprach mit Hans Urs von Balthasar, in “Herderekorrsepondenz”, 30, (1976), p. 75.
23
E. Guerriero, Hans Urs Von Balthasar, Edizioni Paoline, Milano 1991, p. 396.
6
Qualunque fenomeno culturale e storico, sia esso l’opera intera di un autore, la sua vita, un’opera
d’arte, oppure un periodo della storia, viene da lui interpretato da un punto di vista estetico che
consiste nel cogliere la globalità della sua forma inserita nell’ambiente che la circonda. Questo è il
metodo che lui ha sempre adottato in modo particolare per vedere e interpretare l’opera e la vita
degli autori, teologi, filosofi, letterati di vario genere, dei quali ci ha lasciato magistrali monografie,
basti citare quelle su Karl Barth
24
e Henri De Lubac
25
. Egli inizia a collaudare questo metodo con
la sua prima grande opera di carattere storico filosofico, ossia nei tre poderosi volumi che diedero
completamento alla sua tesi di laurea in germanistica, Apocalisse dell’anima tedesca
26
. All’inizio di
quest’opera giovanile egli descrive il suo metodo avvicinandolo a quello oramai «impreteribile»
27
della fenomenologia
28
. «Nella percezione della forma il metodo filosofico di Balthasar non si può
chiamare né sintetico (né tanto meno concettuale-analitico o concettuale-costruttivo), né
propriamente storico; è più prossimo, a detta di lui stesso, alla fenomenologia, ove confluisce anche
però una buona parte di critica della letteratura»
29
. Il metodo di Balthasar non si lascia facilmente
catturare però neppure dalla sola fenomenologia, poiché alle sue figure egli conferisce sempre uno
sguardo dinamico, storico, mai statico, e soprattutto mai isolato dal contesto delle altre figure prese
in esame. Questo metodo può esser definito storico-fenomenologico, come propone P. Henrici.
Solamente si lasciano scorgere e mettere in evidenza le figure da lui guardate. Tuttavia anche questo è
insoddisfacente: una figura vive della sua concreta ricchezza; ogni delineazione riproduttiva in termini di
semplificazione è un impoverimento, anzi una falsificazione. La difficoltà aumenta di fronte alla concreta
forma tipica del suo pensiero storico-fenomenologico. Le singole figure di pensatori non sono mai
significative per Balthasar in se stesse; ciò che egli scorge e descrive è piuttosto un movimento storico-
spirituale, che come tale, nel suo traguardo, nelle sue peripezie ed evoluzioni, soprattutto nelle sue
decisioni, è una figura significativa.
30
Egli, dunque, unisce la percezione della forma di stampo goethiano con un’analisi storico-
fenomenologica delle forme. Questo metodo si fonda su una metafisica della forma che a mio
avviso egli riassume efficacemente quando descrive la «struttura triadica della logica mondana»
31
nel secondo volume della Teologica. Qui egli riporta il pensiero di uno degli autori da lui prediletti
proprio per il metodo goethiano da lui adottato, si tratta di Paul Claudel, e in modo particolare della
sua opera programmatica, Art Poétique.
Ogni cosa viene, dall’“in-flusso” di ogni altra, destinata a ciò che tutte le altre non sono, ma destinata
anche essa stessa mediante in-flusso o e-flusso su e da tutte le altre. Di qui il doppio senso di
24
H. U. von Balthasar, La teologia di Karl Barth, Jaca Book, Milano 1985.
25
H. U. von Balthasar, Il padre Henri De Lubac. La tradizione fonte di rinnovamento, Jaca Book, Milano 1978.
26
H. U. von Balthasar, Apokalipse der deutschen Seele. Studien zu einer Leher von letzen Haltungen, A, Pustet, 3 voll.;
vol. 1: Der deutsche Idealismus, Salzburg 1937; vol. 2: Im Zeichen Nietzsches, Salzburg 1939; vol. 3: Die
Vergottlichung des Todes, Salzburg 1939.
27
H. U. von Balthasar, Apokalipse der deutschen Seele. Studien zu einer Leher von letzen Haltungen, A, Pustet, 3 voll.
1: Der deutsche Idealismus, Salzburg 1937, p.10.
28
Cfr. L. Artusi, Hans Urs von Balthasar. Un’anima per la bellezza. Origine dell’estetica teologica nell’ “Apocalisse
dell’anima tedesca”, Feeria, Firenze 2006, pp. 133-234. Il testo di Artusi mostra in modo approfondito come il metodo
adottato da von Balthasar nella sua estetica teologica abbia origine già nella sua prima grande opera di carattere
filosofico.
29
P. Henrici, La filosofia di Hans Urs von Balthasar, in Karl Lehmann e Walter Kasper (a cura di), Hans Urs von
Balthasar. Figura e Opera, Piemme, Casale Monferrato 1991, pp. 313-314.
30
Ivi, pp. 314-315.
31
Teologica II, pp. 25-27.
7
“informazione”: essa mi insegna che io sono e che cosa sono mediante ciò che non sono; “io sono”
significa: io non sono le varie cose che mi circondano in quanto sono delimitato da esse e sperimento
questa esperienza e ricevo così la mia “informazione”, “nella mia forma vengo delimitato da tutto”, ma in
questo modo condetermino tutto l’altro da me.
32
La farfalla, come ripete spesso e in vari modi Claudel, non è comprensibile senza il fiore su cui si
posa, e la stella più lontana è indispensabile per essere ciò che sono. Pertanto la verità del mondo è
paragonabile a una magnifica sinfonia
33
mozartiana, in cui ogni singolo suono è mirabilmente e
armonicamente collegato agli altri. La forma, dunque, è «il tutto nel frammento», come recita il
titolo di una delle sue più famose opere, ma anche il frammento nel tutto, inscindibilmente legato al
tutto. In modo particolare la figura di un’opera d’arte, di letteratura o di filosofia, deve essere
inserita secondo Balthasar in quel tutto che è l’intero corpus delle opere di quell’autore, così come
la figura di quello stesso autore deve essere collocata nel tutto che è un’epoca di cui egli fa parte, e
che per la sua parte contribuisce a formare e «informare».
Questa fenomenologia della Gestalt sta al centro dell’intera trilogia teologica di Balthasar.
Tramite essa egli compie una vera svolta estetica in teologia fondando la possibilità della
rivelazione sul pensiero estetico intuitivo del soggetto capace di cogliere nella Gestalt il tutto,
l’infinito, e per tanto costitutivamente aperto ad una possibile teofania. Per Balthasar le forme del
mondo nello scorrere della sua storia sono, dunque, ciò di cui Dio si serve per rivelarsi. «L’essere
assoluto si serve per manifestarsi nella sua abissale personale profondità della forma del mondo
nella sua duplice lingua: ineliminabile finitezza della forma singola e rimando incondizionato e
trascendente di questa forma singola all’essere in generale»
34
. Balthasar utilizza la simbologia
musicale della sinfonia per descrivere la rivelazione di Dio nella storia tramite l’armonico
intrecciarsi delle forme del mondo.
Dio «sta eseguendo una sinfonia, della quale non è possibile dire cosa sia più maestoso, se l’ispirazione
unitaria della composizione oppure l’orchestra polifonica della creazione, che egli si è preparato a questo
scopo. […] Non sono previsti altri spettatori all’infuori di coloro che suonano: eseguendo la sinfonia
divina - la cui composizione non può essere in alcun modo ricavata dagli strumenti e neppure dal loro
insieme -, tutti conoscono per quale scopo sono radunati. All’inizio siedono, estranei e nemici, l’uno
accanto all’altro. Improvvisamente, quando l’opera comincia, comprendono perfettamente come tutti si
integrano a vicenda. Non all’unisono, ma – cosa molto più bella – in una sinfonia»
35
.
Se Dio si rivela tramite la sinfonia delle forme del mondo, ciò significa che in esse Egli lascia e
imprime in modo profondo e misterioso la sua immagine, la sua bellezza, la sua gloria. Quali
teologie hanno saputo vedere questa fondamentale rivelazione estetica di Dio nel mondo? A questa
domanda Balthasar risponde mostrando nel secondo e nel terzo volume di Gloria gli stili teologici
di dodici eminenti figure che nell’arco della storia bimillenaria del cristianesimo hanno saputo porre
al centro delle loro teologie la rivelazione gloriosa di Dio nel mondo
36
. Queste dodici figure
teologiche rappresentano come una sintesi della storia dell’estetica teologica. Quali metafisiche
lungo la storia del pensiero occidentale hanno saputo vedere e mantenere la relazione estetica tra
soggetto e oggetto nella meravigliosa e spontanea accordatura ontologica, e quindi nella possibilità
32
Teologica II, p. 26.
33
H. U. von Balthasar, La verità è sinfonica, Jaca Book, Milano 1991.
34
Gloria IV, p. 36.
35
Ivi, pp. 8-9.
36
Cfr. Gloria II e III.
8
di poter cogliere da parte del soggetto il tutto nel frammento, la gloria infinita di Dio nella bellezza
finita della Gestalt? A questa domanda Balthasar risponde ripercorrendo gli «spazi della metafisica»
antica, medievale e moderna, nel quarto e quinto volume di Gloria. In questi due volumi, dunque,
egli propone la sua interpretazione della storia dell’estetica dal punto di vista prospettico
dell’estetica teologica, a partire cioè dal concetto analogico della Gloria Dei, «dall’irradiarsi
assolutamente libero e affascinante della Signoria di Dio sull’essere, su ogni essere; una Gloria da
cui sprigiona una bellezza che sa rapire chi la percepisce»
37
. Balthasar applica, da questo
«altissimo» punto di vista, la sua fenomenologia storica alla Gestalt ai moltissimi filosofi, teologi,
poeti presi in considerazione, collocando la loro opera nella complessiva evoluzione del pensiero
metafisico dell’Occidente.
Il quadro che emerge dell’intera storia dell’estetica occidentale raffigura e narra una drammatica
bellezza
38
: una bellezza in azione sul palcoscenico della storia del mondo, la cui luce nell’antichità e
fino al medioevo si diffonde ovunque, perché l’essere è bello e il tutto è glorioso. In epoca moderna,
però, la luce di questa trascendentale bellezza si vede o concentrarsi completamente sul soggetto,
nella contemplazione della sua stessa bellezza e gloria, oppure si vede impallidire posandosi qua e
là su ciò che il soggetto ritiene di suo gusto, fin anche a spegnersi tragicamente nell’epoca
contemporanea, in cui l’estetica, ormai divenuta una scienza particolare, può permettersi di
confondere e identificare il bello con il brutto.
L’interpretazione che Balthasar propone deve essere considerata del tutto originale, poiché non
trova alcun paragone con altre opere di carattere storico sull’estetica. E proprio per questo motivo
va ritenuta di somma importanza per uno sguardo diverso e alternativo sull’intero arco della storia
dell’estetica occidentale. Questo mio studio, pertanto, si propone di rendere evidenti i punti più
originali e rilevanti di questa interpretazione della storia dell’estetica.
L’indice del IV e del V volume di Gloria è decisivo per cogliere la suddivisione che Balthasar
propone della storia della metafisica-estetica. La prima grande suddivisione è quella tra i
«Fondamenti» dell’estetica e le loro «Esplicitazioni» lungo la storia. I «Fondamenti» che
comprendono l’intera epoca antica-classica, sono tre: il «Mito», da Omero ai Tragici; la «Filosofia»,
dai Presocratici a Platone; la «Religione» dei greci e dei romani fino a Virgilio e Plotino.
Nella sua ricognizione attraverso la storia della metafisica occidentale, lungo il filo conduttore dell’idea
della “gloria”, Balthasar scopre negli inizi della filosofia in Grecia i fondamenti dell’estetica
trascendentale ancora valida nel mondo di oggi. Da questa prospettiva, Balthasar attribuisce alla filosofia
greca un grande ruolo, come mediazione, strumento e base umana per la teologia odierna della “gloria”.
39
37
A. Scola, Hans Urs von Balthasar. Uno stile teologico, Jaca Book, Milano 1991, p.13.
38
«Drammatica bellezza» è anche il titolo che ho voluto dare a questo studio, ed è bene chiarire subito il significato di
«drammatica». Balthasar utilizza questa parola, che compone il titolo della sua più originale opera teologica, la
Teodrammatica appunto, rivestendola di tutti i suoi molteplici significati. Dramma, innanzitutto, nel senso etimologico
di azione (dal greco drao, agire). Dramma, poi, nel senso di un componimento letterario destinato alla rappresentazione
teatrale, il quale sviluppa e narra una vicenda triste, che nasce da un conflitto o contrasto che giunge, in crescendo, a un
massimo di tensione. Dramma, infine, con riferimento alla vita reale, come storia dolorosa che suscita timore per la sua
gravità e per la possibilità di volgersi verso il peggio. Una vicenda complessa, dunque, i cui esiti non sono ancora
definitivi, e la cui conclusione rimane aperta al meglio e al successo, ma anche al peggio e all’insuccesso. In tal senso,
dramma, si avvicina e allo stesso tempo si oppone al significato di «tragedia» come storia che finisce definitivamente
male.
39
I. Murillo,“In dialogo con i greci. La comprensione balthasariana della filosofia antica in Gloria”, in K. Lehemann e
W. Kasper (a cura di), Hans Urs von Balthasar. Figura e opera, Piemme, Casale Monferrato 1991, p. 282.
9
Le «Esplicitazioni», che riguardano l’intera storia dell’estetica fino ad oggi, si suddividono in
due grandi epoche (e suddividono anche i due volumi: in «Epoca antica» e «Epoca moderna») in
base alla loro caratteristica di fondo di essere la prima una «Estetica trascendentale», che
comprende l’intera antichità fino al suo apice in Tommaso; e la seconda una «Estetica della ragione
trascendentale» che copre l’ampio arco di secoli da Scoto ad Heidegger. Nell’illustrazione dello
svolgimento di questa storia dell’estetica mi atterrò a questa suddivisione essendo essa stessa
fondamentale. I due volumi sono, inoltre, inclusi tra un’ampia introduzione che colloca l’opera
all’interno della vasta trilogia (Gloria, Teodrammatica, Teologica), e presenta i temi fondamentali e
il metodo utilizzato; e un’ampia conclusione nella quale Balthasar propone in modo sintetico le
linee fondamentali di un’ontologia estetica dell’amore come compito «metafisico» dei cristiani nel
mondo d’oggi.
La sintesi proposta nella prima parte di questo studio dei due volumi dedicati da Balthasar alla
storia dell’estetica negli spazi della metafisica non ha lo scopo e l’ambizione di riassumere nei
dettagli le lunghe e sottili analisi svolte sui testi dei vari autori in più di 900 pagine. Lo scopo di
questo studio consiste invece semplicemente nel rilevare l’evoluzione del cammino che porta
tramite degli snodi fondamentali dall’estetica trascendentale dell’antichità e del medioevo
all’estetica della ragion trascendentale dell’epoca moderna. In modo particolare cercherò di rilevare
nell’interpretazione, che Balthasar offre dell’estetica dei vari autori, due temi che ritengo degni di
nota.
Innanzi tutto il primo tema da rilevare sarà quello della relazione tra ontologia ed estetica, tra la
concezione dell’essere e l’idea della bellezza dei diversi autori presi in esame. Balthasar analizza
tutti gli autori presi in esame dal punto di vista della quadruplice differenza ontologica, che egli
espone in modo compiuto nella conclusione dei due volumi
40
. In modo sintetico le quattro
differenze si possono così riassumere
41
. Prima differenza: esserci / essere. Seconda differenza: enti
/ essere. Terza differenza: essenze /essere (non sussistente). Quarta differenza: essere (non
sussistente) / Essere (Dio).
Come si può subito notare l’essere non sussistente è l’elemento comune che determina le quattro
differenze. Infatti, si potrebbe riassumere facilmente queste quattro differenze dicendo che l’essere
si differenzia dall’io cosciente, da tutti gli enti messi assieme, dall’essenza di ogni ente e per ultimo
dall’Essere sussistente, da Dio. Balthasar si preoccupa di evidenziare in ogni pensatore preso in
considerazione quanto questa quadruplice differenza ontologica sia rispettata, quanto siano
identificati, confusi o ignorati i gradi di differenza. Dal rispetto o meno di questa quadruplice
differenza dipende l’affermazione della bellezza come trascendentale dell’essere. Nella conclusione
dei due volumi, inoltre, è ripercorsa da Balthasar in modo sintetico tutta la storia dell’estetica da
Omero alla filosofia del Novecento come «una storia dell’amore metafisico»
42
, mettendo in luce la
relazione tra la quadruplice differenza ontologica e l’amore
43
.
Il secondo tema da rilevare lungo il percorso sarà quello della relazione tra estetica e storia.
Quest’ultimo tema sarà sviluppato nella seconda parte di questo studio. L’analisi di come Balthasar
affronta l’estetica dei vari autori sarà utile per comprendere non solo il suo particolare punto di vista
estetico, ma anche per cogliere quali siano stati i suoi punti di riferimento, gli autori più importanti
dai quali ha attinto le idee fondamentali per la sua stessa estetica drammatica. Lungo questo
40
Cfr. Gloria V, pp. 547-560.
41
Cfr. A. Brugnoli, La spontaneità delle cose, op. cit., pp. 142-143.
42
Gloria V, p. 571.
43
Cfr. Ivi, pp. 571-577.
10
percorso non ho confrontato l’interpretazione di Balthasar con quella di altri storici e filosofi
dell’estetica, in quanto ciò non rientra nelle finalità di questo studio. Ciò nonostante ho ritenuto
opportuno confrontare su alcuni punti rilevanti del cammino storico le interpretazioni di Balthasar
con quelle del grande storico e filosofo W. Tatarkiewicz, per far emergere sia la profondità di
analisi del nostro autore riguardo alla storia dell’estetica, sia, soprattutto, l’originalità della sua
interpretazione.
Nella seconda parte di questo studio, infine, cercherò non solo di riassumere l’interpretazione
della storia dell’estetica di Balthasar, ma anche ciò che da essa egli stesso ne ha ricavato per una sua
particolare e originale estetica drammatica della e nella storia, la quale a mio avviso è uno dei più
pregnanti contributi che questo teologo e filosofo ha lasciato in eredità alla teologia e alla filosofia.
Un’estetica drammatica nella storia perché, come si evince proprio da questi due volumi, essa è
pienamente in azione nella storia, in un cammino che, come si è già anticipato, fino ad ora si è
dimostrato «più che drammatico» tragico per le sorti della bellezza. Un’estetica drammatica nella
storia anche perché rivela l’essenza drammatica della bellezza nella sua intrinseca e inscindibile
relazione con il bene e il vero.
11
I. Storia drammatica dell’estetica
1. I fondamenti dell’estetica trascendentale nell’antichità
1.1 La fonte della gloria: il mito
Il lungo periodo che abbraccia sia l’antichità sia il medioevo vive, secondo l’interpretazione di
Balthasar, di un’unica intuizione fondamentale per l’estetica che permane inalterata: tutto l’essere è
bello, il bello è uno dei trascendentali dell’essere, anche se in diversi modi interpretato. Non solo
tutto l’essere è bello ma, ciò che più è importante, questa bellezza è il riflesso della bellezza di Dio
nel creato, della sua gloria. Balthasar nel IV volume di Gloria si pone l’obiettivo di dimostrare
questa tesi fondamentale. Egli individua tre fondamenti dell’estetica trascendentale: il mito, che
trova in Omero il suo inizio e già «miracolosamente» il suo vertice; la filosofia di Platone; e la
religione, così com’è pensata e vissuta al suo vertice da Virgilio e da Plotino. Per Balthasar
nell’antichità non si trova un avvio debole e incerto della riflessione estetica che poi va
perfezionandosi soprattutto con l’avvento del cristianesimo, e che trova poi il suo apice nella
Scolastica, e in essa nella filosofia di Tommaso, ma una fonte perenne e genuina dell’estetica
trascendentale, che la rivelazione cristiana e la filosofia medioevale sono riuscite a svelare in tutta la
sua pienezza e in tutta la sua forza
44
. Il dialogo di Balthasar con la filosofia greca poggia sulla
convinzione che l’estetica filosofica trascendentale deve giocare un ruolo importante nella teologia
cristiana
45
. A Balthasar interessano i greci, in primo luogo come cammino sperimentato e
transitabile per risalire alla fonte della bellezza dalle cose belle che esistono nel mondo sensibile
46
.
Per cogliere in profondità questo dialogo che Balthasar instaura con i greci è importante tener
presenti quattro presupposti fondamentali che lo condizionano, e che Ildefonso Murillo riassume
efficacemente.
In breve, riassumendo, quattro presupposti fondamentali condizionano il dialogo di Balthasar con la
filosofia greca: apprezzamento per la cultura come mediazione umana della fede cristiana, atteggiamento
recettivo nei confronti della tradizione, rifiuto di ogni riduzionismo, che snaturi il cristianesimo, e unità di
filosofia e cristianesimo. Non si tratta di presupposti indipendenti l’uno dall’altro. I primi tre acquistano
tutto il loro senso dal quarto.
47
Le pagine che Balthasar dedica al mito greco occupano un posto rilevante in tutta l’opera, in
quanto in esse vengono anticipati i temi fondamentali, filosofici e teologici, che maggiormente
stanno a cuore al nostro autore. Il punto di partenza dell’estetica trascendentale nell’antichità è
posto proprio lì dove arte e religione sono una cosa sola, in Omero, il quale getta, a dire del nostro
autore, le basi dell’Occidente
48
. «All’Occidente e solo all’Occidente è toccata la grazia di nascere
nel segno di un cosmo compiuto in cui arte e religione sono una cosa sola, nel cosmo delle epopee
44
Cfr. Gloria IV, p. 286.
45
Cfr. I. Murillo, In dialogo con i greci. La comprensione balthasariana della filosofia antica in Gloria, Messaggero di
S. Antonio, Padova 1998, p. 273.
46
I. Murillo, In dialogo con i greci, op. cit., p. 274.
47
Ivi, p. 279.
48
Cfr. G. Rognini, “Cristianesimo e mito in H. U. von Balthasar”, in Humanitas, 1, 2004, Morcelliana, Brescia, pp.
174-179.
12
di Omero»
49
. Omero riveste un ruolo importantissimo, egli stesso sembra essere il «fondamento»
stabile dell’intera cultura occidentale.
L’accesso alla ricostruzione storica delle tappe fondamentali della metafisica occidentale ha un preciso
punto di partenza: il mito greco. Esso rappresenta il “luogo di prospettiva” al quale tutte le visioni
teologico-filosofiche della gloria dell’essere sono intrinsecamente legate. Il culmine dell’epoca mitica per
von Balthasar è sicuramente identificabile nell’arte di Omero: la sua opera, nella quale si esprime “la
forma tardiva mirabilmente purificata” del mito, ha segnato profondamente e indelebilmente il cammino
della civiltà occidentale, a tal punto che ogni aspetto (filosofico, religioso e artistico) recepirà le proprie
forme base di espressione dall’arte omerica.
50
Omero è il punto di riferimento per l’arte classica successiva, la sua influenza si estende, secondo
Balthasar, con un’onda lunghissima che si estende oltre la cultura greca fino a quella romana per
rovesciarsi «su tutto il medioevo, sul romanticismo, sul barocco, e sul classicismo francese,
spagnolo, inglese e tedesco»
51
. Sotto il mantello di Omero insomma si copre tutta l’estetica
trascendentale e anche tutta l’arte. «Gloria del divino nel mondo era stata [in Omero] la prima
esperienza dell’Occidente pervenuto alla forma; e sarà evidente che l’arte viene generata dalle
radici e genererà a sua volta delle radici esattamente fino a quando le sue forme si plasmano nella
viva esperienza del mito»
52
. Il cuore della bellezza in Omero, per Balthasar, non si trova in ori che
brillano e neppure nella proporzione e nell’armonia ma solamente nella relazione intima con il
divino. La quarta differenza ontologica, infatti, «si staglia in forma elementare tra gli esseri che
brillano per se stessi (Dei) e gli esseri (uomini) che in questa luce stanno»
53
. La bellezza «è
l’immediata esperienza di una salva esistenza umana che può prendere rilievo, ma senza che l’una
cosa escluda l’altra, come radiosa grazia e come eroica grandezza d’animo, energia di amore o
interiore virtù come in Eumeo, l’omerico porcaio. Da questo centro irradia luminoso il bello e
splendente in tutto ciò che nel mondo è chiaro, brillante, sereno»
54
. All’origine del cosmo ordinato
di Omero vi è una struttura elementare ma precisa che prevede due articolazioni: anzitutto la netta
divisione tra Dio e uomo, quindi la trascendenza dell’uomo verso la sfera di Dio in cui trova la
salvezza, la grandezza e la gloria. In modo particolare nella figura dell’eroe si concentra tutta la
tensione dell’arte e dell’estetica di Omero.
L’esistenza dell’eroe omerico – che non ha nulla dell’aristocratico che gode privilegi, ma rappresenta il
modello dell’uomo in quanto tale – sta quindi totalmente nella continua protensione estatica verso la sfera
divina, senza però poter assolutamente penetrare oltre il confine che segna la finitezza dell’umana
condizione. Più radicalmente per von Balthasar il soggetto sperimenta la propria tensione a trascendere
nella sfera divina come una “libera inabitazione (in lui) di Dio” che innalza l’uomo nella luce della grazia
divina e lo salva.
55
Le opere omeriche sono l’inizio insuperabile di un cammino che segnerà la cultura occidentale
56
.
In Omero, dunque, si trova la sorgente dell’estetica trascendentale. «Nella tensione dell’esistenza
49
Gloria IV, p. 47.
50
N. Reali, La ragione e la forma. Il sacramento nella teologia di H. U. von Balthasar, Mursia, Pontificia Università
Lateranense, Roma 1999, pp. 221-222.
51
Gloria IV, p. 47.
52
Epilogo, p. 69.
53
Gloria V, p. 571.
54
Gloria IV, pp. 54-55.
55
N. Reali, La ragione e la forma, op. cit., p. 225.
56
Cfr. Ivi, p. 226.
13
mortale verso il Dio immortale viene sperimentato il favore, la grazia, la bellezza dell’essere
(charis), in un sentimento di stupore primordiale (taumazein), che apre gli occhi al carattere
miracoloso dell’essere, all’essere nella sua profondità e altezza si riconosce che appartiene quanto
esiste di luminoso, contemplativo, gioioso, eterno, anche quando l’esistenza mortale è pena ingrata
e terribile»
57
. In questa luce comune vi è spazio anche per le tenebre, la moira, per la quale tuttavia
non si dà spiegazione in Omero. S’imbocca così la via che porta ai tragici nei quali le tenebre
finiscono per prevalere sull’elemento ordinato del cosmo di Omero. Balthasar deve molto a questo
poeta antico, non solo l’insuperabile fonte rivelativa (naturale) del mito che sempre accompagnerà
la sua riflessione filosofica e teologica, ma soprattutto l’antidoto contro ogni tipo di velenoso
sistema razionale, come quello assoluto di Hegel, che tenda a oltrepassare il confine della
contingenza umana. «Infine a nessuno può sfuggire che il rifiuto di Omero, messo in evidenza da
Balthasar, di qualsiasi prospettiva razional-astratta di fondazione teologica dell’antropologia,
possiede numerose analogie con il rigetto balthasariano della forma di pensiero moderno»
58
.
Il giudizio di Balthasar sugli autori tragici, Eschilo, Sofocle ed Euripide
59
, che attingono ancora
immediatamente dalla limpida fonte omerica, è lapidario. «Nei tragici culmina l’arte greca e poi si
spegne»
60
. La tragedia nata dalla liturgia come azione di culto era rappresentata nelle feste di
primavera in onore del dio Dioniso, ma i veri princìpi restano inafferrabili
61
. «Il vero fondamento
dell’effetto elevante ed entusiasmante della tragedia deve trovarsi a una profondità assai maggiore
(del morale) di quanto Nietzsche ha creduto. Deve trovarsi nel fenomeno primordiale che il dolore
anche massimo, quando penetra nella luce dell’eterno, irradia una gloria quale neanche la gioia
possiede»
62
. La tragedia, che ha origini dalla liturgia, più che il mito e la filosofia, porta, secondo
Balthasar, alla comprensione del dramma di Cristo. Attraverso l’estremo dolore l’uomo si scava una
strada diretta «verso Dio e verso la rivelazione profonda dell’essere»
63
. Per Balthasar anche nei
Tragici, come in Omero, la differenza ontologica «viene affermata egualmente in forma radicale»
64
,
anche se l’esistenza dell’uomo deve essere accolta e affermata, nonostante l’oscurità e il rischio
tragico, con il totale sacrificio di sé.
In Eschilo il confluire reciproco della sfera umana e divina è al massimo intriso di pietà religiosa.
Alcune sue trilogie, l’Orestiade e la Prometiade, culminano in grandi conciliazioni cosmiche e
politiche, pagandone però secondo Balthasar il prezzo con il fatto che in tal modo la profondità del
dolore penetra nel mondo divino. L’arte di Eschilo è una pia festa di glorificazione proprio quando
approfondisce e divide gli abissi del mondo fino ai più oscuri contrari teologici «facendo in modo
che il dolore diventi il criterio dell’autenticità, il dolore di cuori umani, titanici, umano-divini»
65
. In
Sofocle l’uomo è diventato più solo, e Dio si rivela come lontano e nascosto.
La gloria in Sofocle è che, in mezzo alla morte da lui indicata, neppure per un istante egli dubita che è
notte di Dio e quindi “luce senza di Dio”. Il personaggio che egli costruisce regge soltanto in forza di
questa immensa affermazione: che la realtà è buona, che essa dalla parte di Dio è eternamente nel giusto,
57
Gloria IV, p. 69.
58
N. Reali, La ragione e la forma, op. cit., p. 226.
59
Gloria IV, pp. 97-143.
60
Ivi, p. 97.
61
Cfr. Ivi, p. 98.
62
Testo riportato da Balthasar in nota n. 3, da “Das Wort der Antike”, pp. 228-229.
63
Gloria IV, p. 99.
64
Gloria V, p. 571.
65
Gloria IV, p. 108.