6
Introduzione
“Tutto può confluire all’interno di una colonna sonora, ma a una sola condizione: musica e
immagini devono amarsi, anche se il loro amore talvolta può esprimersi per contrasto”
1
. L a
musica cinematografia è indefinibile, si presenta come “un caleidoscopio dove il sinfonismo di
stampo ottocentesco tende la mano a momenti che suggeriscono le atmosfere della musica da
camera del XX secolo e dove la musica elettronica si alterna a pagine del repertorio classico, in
un gioco di rimandi, citazio ni e parodie”
2
. Sono passati più di cento anni da quando l’orchestra
accompagnava dal vivo le immagini del cinema muto. Nel frattempo la musica e le tecnologie si
sono enormemente evolute, ed insieme a loro si è evoluto il modo di comporre per l’immagine.
Lo scopo principale della tesi è di studiare come oggi si arrivi alla scelta di una determinata
musica per una determinata sequenza.
Obiettivo della tesi è rispondere ad alcune domande quali: perché in questa sequenza c’è questa
musica e non quest’altra? In base a che cosa il regista seleziona una musica o produce un suono?
Perché parliamo di musica “triste”, “commovente”, “allegra”, “divertente”? Cosa cambia d a un
cinema senza colonna musicale ad un film quasi completamente accompagnato da musica? In che
modo questa interagisce con l’immagine? A cosa serve realmente la colonna sonora?
Nel primo capitolo, Problemi specifici, verranno analizzati i problemi sollevati da Chion e
Ramaglia sul suono legato all’immagine. Come il suono si presenta: se è esterno o interno alla
narrazione, se è sincronizzato, se segue la dimensione visuale (parallelismo) o se la contrasta
(contrappunto), se partecipa all’emozione dei personaggi. Vedremo poi come in una tesi sul
1
Piovani Nicola, Concerto fotogramma, Milano, Bur, 2005, p.19.
2
Calabretto Roberto, Lo schermo sonoro, Venezia, Marsilio, 2010, pp.11-12.
7
sonoro sia di vitale importanza analizzare il silenzio in tutte le sue forme, a partire dal caso
Mulholland Drive di David Lynch.
Nel secondo capitolo, Musica nel cinema, vi si potranno trovare indicazioni storiche, avvenimenti
chiave nello sviluppo della colonna sonora, dal cinema muto ai giorni nostri. Maggior importanza
verrà data al pensiero del regista sovietico Ejzenštejn e alle sue teorie rivoluzionarie soprattutto
grazie alla collaborazione con compositori di musica classica come Prokofiev. Seguirà un
sottocapitolo sul cinema di fantascienza, sui suoni dell’orribile, sui dialoghi, particolarmente utile
ai nostri fini per alcune somiglianze con il cinema vansantiano e per l’unicità del genere. Non
potevamo poi ignorare Kubrick in una tesi sulla colonna sonora, soprattutto in film come 2001: A
Space Odyssey e A Clockwork Orange, dove non sembra tanto ciò che vediamo ma ciò che
sentiamo a possedere la chiave risolutiva delle pellicole. Sarà analizzato anche il film Amadeus
come caso nel caso, un film strutturato attraverso la musica che parla di musica.
Nel capitolo tre, Aperture teoriche, il problema del sonoro verrà analizzato anche dal punto di
vista di veri e propri filosofi come Deleuze e Žižek, mentre i sottocapitoli sul problema della
musica nel cinema (Pier Luigi Basso) e sulla figuratività sonora (Spaziante) daranno il la per
l’analisi audiovisiva che seguirà al capitolo quattro, Il Cinema di Gus Van Sant.
Il regista statunitense sarà preso in esame come esempio di caso particolare di sperimentazione
sonora e filmica. Non sono molte le analisi audiovisive del cinema vansantiano, che attualmente
risulta ancora poco considerato in Italia, mentre è estremamente noto in America e in Francia. Le
conoscenze acquisite nei capitoli precedenti ritorneranno a descrivere le strategie comunicative
sonore del regista.
8
Capitolo 1
PROBLEMI SPECIFICI
La musica non esprime nessuna idea, e ne fa nascere a migliaia.
(Alessandro Manzoni)
10
1.1 L’audiovisione
Fino a pochi anni fa le teorie del cinema, nel loro insieme, hanno più o meno eluso la questione
del suono. Accadeva quindi che il suono venisse totalmente ignorato o analizzato come un ambito
specifico e minore. Eppure, come sostiene Chion attorno agli anni Novanta, i film, la televisione,
i media audiovisivi in generale non si rivolgono solo all’occhio. Essi suscitano nel loro spettatore
una specifica disposizione percettiva che chiameremo audiovisione.
Si continua a parlare di “vedere” un film o una trasmissione, trascurando la modificazione
introdotta dalla colonna audio. […] Assistere a uno spettacolo audiovisivo consisterebbe insomma
nel vedere delle immagini più sentire dei suoni, e ciascuna delle due percezioni resterebbe
saggiamente circoscritta al proprio ambito. […] In realtà della combinazione audiovisiva, una
percezione influenza l’altra e la trasforma. Non si “vede” la stessa cosa quando si sente; non si
“sente” la stessa cosa quando si vede.
3
Come primo esempio di “illusione audiovisiva”, Chion prende il prologo del film Persona (1966)
di Ingmar Bergman. Persona si apre con una sequenza di i mmagini dissociate e inquietanti: un
chiodo è infilzato nella mano di qualcuno, un animale viene macellato, delle persone giacciono
morte in quello che sembra un obitorio, un ragazzo è seduto di fronte alla gigantesca proiezione
del volto di una donna. Se eliminiamo il suono e proviamo a rivedere il film, ciò che vediamo è
tutt’altro. Ci accorgiamo di come ad esempio la sequenza della mano sia fatta di tre inquadrature,
mentre il sonoro (il rumore del martello sul chiodo) ce ne aveva fatta “vedere” solo una, legando
l’una con l’altra. Ci accorgiamo anche di come la mano sia astratta, mentre sonorizzata - con un
colpo d’orchestra a sottolineare il primo colpo di martello - essa è terrificante e reale. Anche le
immagini dell’obitorio ci sembrano isolate, i corpi umani sono privi di spazio e tempo. Con
l’aggiunta del sonoro (sgocciolio d’ac qua) le immagini si collegano. La scena del bambino che
trascina la mano non ha scopo, non ha ritmo. Il sonoro - una nota vibrante sempre più intensa –
3
Chion Michel, L’audiovisione, suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2009, introduzione p. 7.
11
da senso alla scena e la accompagna. Chion dimostra quindi come la comprensione del film sia
diversa con e senza sonoro. Il cinema, arte dell’immagine: un’illusione? Un’illusione che si trova
nel cuore della più importante tra le relazioni suono-immagine: quella del valore aggiunto.
Con l’espressione valore aggiunto designamo il valore espressivo informativo di cui un suono
arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione immediata che se ne ha o nel
ricordo che se ne conserva, che quell’informazione o quell’espressione derivino “naturalmente” da
ciò che si vede, e siano già contenute nella semplice immagine.
4
Un’altra importante relazione è il movimento: il suono presuppone, diversamente dal visivo, il
movimento come prima condizione. Mentre nell’immagine cinematografica molte cose si
muovono ma possono anche restare ferme, nel suono uno s postamento, una azione sono
necessari. Raro è il caso del suono immobile, cioè del suono senza alcuna variazione, come i
suoni artificiali del telefono o il rumore di fondo di un amplificatore.
E’ importante notare, dice Chion, che l’orecchio analizza, lavora e sintetizza più velocemente
dell’occhio. Per coloro che ascoltano, il suono è il veicolo del linguaggio, e una frase detta fa
lavorare molto più in fretta l’orecchio rispetto alla lettura della medesima frase con l’occhio.
Quest’ultimo è più lento perché deve lavorare contemporaneamente nello spazio che esplora e nel
tempo che segue. L’orecchio isola una linea, un punto appartenente al suo campo d’ascolto, e
segue quel punto, quella linea nello spazio. Se l’orecchio è dunque più abile temporalmente,
l’occhio è più abile spazialmente. Lo spettatore audiovisivo non coglie queste differenze a causa
del valore aggiunto, ne consegue che non siamo confusi da immagini e movimenti molto rapidi
ad esempio in un film di kung -fu, siccome il disordine è accompagnato da suoni come fischi,
grida, colpi che marcano percettivamente determinati momenti e imprimono nella memoria una
traccia audiovisiva forte.
4
Chion Michel, L’audiovisione, suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2009, p. 14.
12
Per capire meglio seguiamo l’esempio riportato da Chion:
E’ l’esempio assai eloquente del lavoro dell’ingegnere del suono Ben Burtt nella saga di Guerre
stellari: egli aveva inventato, come effetto sonoro per l’apertura automatica di una porta (si tratta
di quelle porte automatiche a losanga o esagonali dei film di fantascienza), un sibilo pneumatico
assai dinamico e convincente. Tanto convincente che, a più riprese, il regista Irving Kershner,
girando L’impero colpisce ancora, poté limitarsi, quando doveva girare un effetto di chiusura di
porta, a montare un piano della porta chiusa con un piano della porta aperta. In montaggio, con il
“pschtt” di Ben Burtt, lo spettatore, che aveva davanti agli occhi soltanto un raccordo “cut”,
vedeva la porta scorrere!
Il valore aggiunto funzionava in questo caso perfettamente, a partire da un fenomeno proprio del
cinema sonoro, e c he si potrebbe chiamare il più -veloce-dell’occhio.
5
Un altro aspetto derivante
dal valore aggiunto è la percezione del tempo dell’immagine, spesso influenzata dal sonoro.
Citando Chion, la temporalizzazione può presentare tre aspetti:
- Animazione temporale dell’immagine: la percezione del tempo dell’immagine è resa dal
suono più o meno fine, dettagliata, immediata, concreta – o al contrario vaga, fluttuante e
generale.
- Linearizzazione temporale dei piani che, nel cinema muto, non sempre corrispondono ad
una durata lineare nella quale il contenuto del piano n. 2 s egue obbligatoriamente a ciò
che mostra il piano n. 1, e così via … Mentre il suono sincrono impone un’idea di
successione. Chion porta l’esempio di una qualsiasi scena di una reazione collettiva,
costruita come montaggio di primi piani di volti ridenti: senza il suono, non vi è alcuna
necessità che i piani che si succedono sullo schermo designino azioni concatenate nella
realtà. Se però alle immagini aggiungiamo suoni di urla o risa collettive, esse s i ordinano
5
Chion Michel, L’audiovisione, suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2009, p. 21.
13
in un tempo lineare: il piano n. 2 mostra qualcuno che ride o urla dopo il personaggio del
piano n. 1, e così via.
- Vettorializzazione, o dr ammatizzazione dei piani, orientamento verso un futuro, uno
scopo, e creazione di un sentimento di imminenza e di attesa. Il piano va in qualche
direzione ed è orientato nel tempo. Questo effetto è ravvisabile nella sua forma pura nel
prologo di Persona: la più piccola delle goccioline d’acqua del prologo impone un tempo
reale, irreversibile, perché presenta una curva orientata nel tempo che si accorda alla
logica della gravità e del ritorno all’inerzia. Le goccioline d’acqua, oltre alla funzione di
linearizzazione temporale, svolgono una funzione drammatica: connettono le scene
creando un crescendo temporale e di conseguenza una tensione nello spettatore.
Questi tre effetti dipendono dal rapporto tra immagine e suono. Il primo caso è quello di
un’immagine fissa, o il cui movimento non è altro che una globale fluttuazione che non lascia
attendere alcuna risoluzi one: per esempio un riflesso nell’acqua. In questo caso, il suono è in
grado di inserire l’immagine in una temporalità che esso introduce e crea. Nel secondo caso la
temporalità del suono si combina con quella, già esistente, dell’immagine: sia per andare nello
stesso senso, sia per distaccarsene leggermente – allo stesso modo di due strumenti che suonano
contemporaneamente. Nel primo caso, conclude Chion, l’immagine non ha di per se stessa
alcuna animazione temporale né alcuna vettorializzazione. Nel secon do caso, l’immagine
comporta un’animazione temporale propria. (spostamento di personaggi, di oggetti, movimento
di fumo, di luci, variazioni di inquadratura) La temporalizzazione dipende anche dal tipo dei
suoni: un suono può più o meno animare temporalmente un’immagine, con un ritmo più o meno
battente e serrato. Un suono dal mantenimento uniforme e continuo è meno animatore di un
suono dal mantenimento accidentato e oscillante. Se si prova, di volta in volta, per accompagnare
una medesima immagine, a utilizzare una nota tenuta e prolungata di violino, poi la stessa nota
eseguita in tremolo con delle vibrazioni dell’archetto, la seconda creerà sull’immagine
14
un’attenzione più tesa e immediata della prima. Oppure un ritmo regolarmente scandito nel
suono, come un basso continuo musicale o un ticchettio meccanico, dunque prevedibile, tende a
creare un’animazione temporale inferiore a q uella creata da un suono dallo svolgimento
irregolare, dunque imprevedibile, che pone l’orecchio e l’insieme dell’attenzione in c ostante
allarme. Le gocce d’acqua di Persona ne sono un esempio: esse catturano l’attenzione con il loro
ritmo sottilmente o fortemente irregolare. Un ritmo troppo regolarmente ciclico però può anche
creare effetto di tensione, perché si individua, propri o in quella regolarità meccanica, la
possibilità di una fluttuazione. Chion sostiene che una musica più rapida non accelera
necessariamente la percezione di un’immagine. La temporalizzazione dipende in realtà più dalla
regolarità o dall’irregolarità del flusso sonoro che dal tempo nel senso musicale della parola. Ad
esempio, se il f lusso delle note della musica è instabile, ma l’andamento è moderato,
l’animazione temporale sarà maggiore che nel caso in cui l’andatura sia rapida ma regolare.
Chion dimostra anche come un suono ricco di frequenze acute genererà una percezione più in
allarme. Ne sono un esempio Alfred Hitchcock e la scelta musicale di Bernard Herrmann per la
celebre scena della doccia di Psycho (1960). Perché il suono influenzi temporalmente l’immagine
sono dunque necessarie alcune condizioni: l’immagine deve prestarsi sia per la fissità e sia per la
sua propria attività al flusso sonoro.
Per concludere questo quadro iniziale sull’audiovisione, rimane da dire che il valore aggiunto
sopra descritto è reciproco: se il suono rende l’immagine differente da come sarebbe senza di
esso, l’immagine fa sentire il suono diverso da come risuonerebbe se risuonasse nel buio.
L’esempio classico di tale reciprocità è quello dei suoni orribili o impressionanti; il cinema
sonoro classico evitava di mostrare determinate scene, chiamando il suono alla riscossa del
proprio divieto, affinché suggerisse uno spettacolo molto più impressionante di quanto sarebbe
stato se lo si avesse avuto davanti agli occhi. Ne abbiamo un esempio nella scena iniziale di Kiss
Me Deadly (1955) di Robert Aldrich, dove la fuggitiva viene catturata dai suoi inseguitori e
15
torturata. Lo spettatore però non vede una vera e propria tortura, ma solo due gambe nude che si
dibattono, e nel frattempo sente le grida della sventurata. Un esempio diverso è tratto dal film di
Liliana Cavani del 1981: La pelle, in cui un carro armato schiaccia inavvertitamente un
ragazzino, con un suono spaventoso che ricorda quello di un’anguria schiacciata. Lo spettatore
raramente ha sentito con le proprie orecchie il suono reale di un c orpo umano in quella
situazione, ma può immaginarsi che abbia quel qualcosa di umido e vischioso. Uno stesso suono
può dunque, a seconda del contesto drammatico e visivo, raccontare cose assai diverse, poiché,
per lo spettatore cinematografico, più che il realismo acustico saranno innanzi tutto il criterio del
sincronismo, e in secondo luogo il criterio della verosimiglianza globale – così che il suono possa
sostituire un’immagine, sopprimer la o neutralizzarla -, a condurlo ad applicare un suono a un
evento o a un fenomeno. Il medesimo suono potrà dunque sonorizzare in modo convincente un
frutto schiacciato in una commedia, e un cranio ridotto in poltiglia in un film di guerra. Nel primo
caso sarà divertente, nel secondo insostenibile. Un rumore di gargarismi potrebbe essere emesso
da Peter Sellers in una commedia di Blake Edwards in una scena spassosa, o anche in una scena
di tortura dove dell’olio bollente viene versato in gola. (scena dell’ Andrej Rublëv di Andrej
Tarkovskij, 1966)
16
1.2 Sincresi
La sonorità nel film è un intreccio di musica, rumori e voci. Senza la colonna sonora le immagini
non arriverebbero direttamente al cuore degli spettatori, suscitando sentimenti forti e
coinvolgenti. Ma come si ottengono queste emozioni audiovisive? Quali sono le caratteristiche
della colonna sonora? Quale il rapporto tra musica e immagine?
Gli storici non sanno spiegarsi perché la musica ha fatto il suo ingresso nel cinema. Secondo
alcuni è per coprire il rumore fastidioso del proiettore, secondo altri per divertire gli spettatori che
altrimenti si annoiavano o si inquietavano a guardare immagini senza suoni. Il cinema diventa
sonoro nel 1927. Charlie Chaplin è uno dei registi che più di altri si è opposto al parlato. In Tempi
Moderni del 1936, utilizza il suono sincronizzato in maniera ironica e parodistica. I personaggi
parlano solo attraverso dei futuris tici mezzi di comunicazione. L’av versione al cinema parlato di
tanti autori ci sembra oggi incomprensibile, e del resto film come The invisible man (1933) - la
scoperta dell'invisibilità rende esaltato uno scienziato che viene subito colto da manie di
onnipotenza - prodotto pochi anni dopo The jazz Singer (Alan Crosland, 1927) non sarebbe stato
realizzabile senza l’invenzione del sonoro. Nel film è infatti possibile sentire la voce di un attore
che non c’è, che è invisibile. In The man who knew too much del 1956, diretto Alfred Hitchcock,
si organizza un attentato con la complicità della musica. Questa scandisce tutto il finale del film,
dal suono delle campane, agitate da Ben che si arrampica sulle corde per uscire dal luogo di culto
ove è stato rinchiuso, all'incombente musica di Arthur Benjamin che dovrebbe, con l'intervento
dei piatti, indicare al killer il momento esatto in cui sparare alla vittima designata. Ed infine è il
leitmotiv del film, la canzone Que sera, sera, che dà lo spunto ai genitori per portare a
compimento la liberazione del figlio rapito. La musica ha qui una funzione narrativa
fondamentale: sul colpo di cimbali si struttura il tempo del racconto. Viene annunciato, aspettato,
e poi arriva: il punto audiovisivo verso cui tutto converge, nella scena dell’attentato organizzato
17
dai Drayton contro un primo ministro in visita a Londra, che avrebbe dovuto aver luogo durante il
concerto alla Royal Albert Hall. Il colpo dei cimbali segnerà inoltre l’incontro molto ac centuato
tra immagine e sonoro.
Oggi per noi spettatori la sincresi, ovvero la saldatura inevitabile e spontanea che si produce t ra
un effetto sonoro e uno visivo, è talmente naturale da sembrare quasi priva d’interesse. Questo
perché al cinema un suono viene riconosciuto dallo spettatore come vero solo se ha un forte
rumore d’impatto. Ne Indiana Jones and the Last Crusade (Steven Spielberg, 1989) c’è una
scena esemplare di sincronizzazione: gli spettatori non vedono il colpo del notaio su alcuni vecchi
libri, per cui sentono quello che non hanno avuto il tempo di vedere, mentre infatti erano occupati
a vedere Harrison Ford sfondare il pavimento della biblioteca. I rumori nella vita reali non sono
così intensi, ma solo accentuati riescono a creare la giusta tensione drammatica nella scena. Per
altre esigenze narrative il punto di sincronizzazione viene talvolta amplificato e reso quas i
infinito, come fa Martin Scorsese nei combattimenti di Raging Bull (1980) con un efficacia
considerevole. Per ottenere effetti sempre più realistici e per dare maggior forza ad una scena, i
suoni vengono amplificati o moltiplicati, quindi anche i suoni r egistrati in presa diretta, vengono
poi rielaborati in fase di post produzione. Se il suono è importante per l’immagine, va anche
ricordato che l’immagine fa apparire il suono diverso da come sarebbe se risuonasse da solo o
fuori dal contesto narrativo cinematografico: il rumore di un osso fratturato, è così anche nella
vita reale?
18
1.3 Suono in, off, over
Il sonoro in un film narrativo è come un gioco di scatole cinesi. La scatola più grande è la
colonna sonora, ovvero l’insieme di tutti i suoni presenti in un film: r umori, voci, musica. Ma da
dove arrivano i suoni? Qual è la fonte che li emette? Sono direttamente in scena, o provengono da
un luogo misterioso?
Sono definiti acusmatici i suoni che vengono trasmessi s enza mostrare il loro emittente . Talvolta
un suono inizia come acusmatico per essere visualizzato solo in seguito, come una radio, un disco
oppure una telefonata . Ne è un esempio l’arpa del film Bananas (1971) di Woody Allen, che
prima sembra dare il via ad un s ogno nella mente del protagonista, per poi rivelarsi r eale
all’interno di un armadio.
Rispetto alla narrazione, occorre invece stabilire se un suono è diegetico o extradiegetico. Un
suono è diegetico quando appartiene all’universo narrativo del film e chi guarda la scena scorge
la sorgente sonora. Lo spettatore può vedere il suono anche attraverso le reazioni dei personaggi.
Un suono è extradiegetico quando è esterno alla narrazione. Questi suoni provengono da una
zona oscura e lontana dall’immaginazione degli spettatori. Come nell’opera lirica, l’orchestra nel
golfo mistico esegue una musica che paradossalmente i cantanti sul palcoscenico non sembrano
sentire. Utilizzando questo parallelo, nel cinema possiamo definire la zona extradiegetica come
un golfo mistico invisibile
6
. Solo gli spettatori ascoltano la musica, mentre i protagonisti del film
6
Definizione di Ramaglia Vincenzo ne Il suono e l'immagine. Musica, voce, rumore e silenzio nel film, Roma, Dino
Audino, 2011: Ramaglia definisce la zona del suono extradiegetico “golfo mistico invisibile ”. Nell'opera lirica
l'orchestra è quasi nascosta in quella fossa di fronte al palco. Protagonista dell'opera l'orchestra, con la sua musica, è
ignorata da attori e cantanti, che più che cantare, parlano come se la musica non ci fosse. Il golfo mistico, così si
chiama quel luogo ignorato dai lirici da cui provengono i suoni. Golfo mistico invisibile è quello del cinema,
invisibile agli spettatori, ignorato dagli attori. Si trascurano e si legano.