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Introduzione
Il presente lavoro si propone di studiare il ruolo delle donne salentine
durante gli anni della Grande Guerra. La ricerca è divisa in due parti: la
prima parte, più generale, riassume gli avvenimenti storico-sociali del primo
conflitto mondiale, con particolare riferimento al panorama italiano. La se-
conda parte restringe il campo d’analisi in una realtà geografica ancora poco
esplorata, il territorio salentino.
Nel dettaglio, il primo capitolo osserva i mutamenti intercorsi negli
anni della prima guerra mondiale, considerati decisivi per stabilire un punto
di rottura con il mondo precedente, al punto che importanti storici come
Hobsbawm, fanno coincidere l’inizio del Novecento proprio con lo scoppio
della guerra nel 1914, attribuendo dunque un carattere periodizzante
all’evento bellico, per la storia del Novecento e della nostra contemporanei-
tà.
Tale ponte di passaggio coinvolge anche le relazioni di genere e i
modelli di comportamento femminili, che rivelano un carattere più libero e
più consapevole, in forza del ruolo centrale assunto nel primo conflitto. Le
donne, infatti, sono chiamate a sostituire gli uomini nei più vasti settori
dell’attività economica, si provano in ruoli mai assunti come spazzine,
tramviere, operaie in fabbriche di munizioni e si offrono come volontarie in
associazioni assistenziali come la Croce Rossa. Tutto ciò ha contribuito alla
creazione di un “homefront” quasi esclusivamente femminile in supporto al
“battlefront” costituito dai soldati combattenti al fronte.
Con la mobilitazione civile, il popolo italiano affrontava la prima ve-
ra esperienza collettiva e nell’aspettativa di uno scontro di breve durata, ne
sposò la causa interventista. Ma non tutti nutrivano gli stessi sentimenti: le
3
classi contadine ad esempio subirono solo un aggravio di lavoro, mentre per
le classi medio-alte la guerra rappresentava un’occasione per sfuggire ai ri-
gidi controlli familiari, realizzare ideali patriottici e sentirsi socialmente uti-
li, attraverso l’attività assistenziale e la creazione di numerosi comitati di
sostegno civile sorti in ogni regione d’Italia, che contribuirono a renderle
icone del fronte interno.
Il secondo capitolo ricostruisce, quindi, la situazione femminile nel
territorio salentino, poiché lo spirito di solidarietà si stava diffondendo da
Nord a Sud e focalizza l’attenzione su campi di analisi specifici: istruzione,
propaganda patriottica e assistenza. Lo strumento di indagine di cui ci si è
serviti è la stampa locale e, nello specifico, un periodico settimanale consul-
tato in relazione ai numeri apparsi dal maggio 1915 alla fine dell’anno 1918.
La testata giornalistica scelta è il «Corriere Meridionale», un settimanale e-
dito a Lecce, consultabile presso la Biblioteca Provinciale «N. Bernardini».
Questo tipo di fonte si è rivelata particolarmente fruttuosa nel tracciare un
profilo regionale delle trasformazioni avvenute in questo lasso di tempo,
perché l’interesse verso la storia sociale è recente e gli studi fin qui condotti
si soffermano principalmente nel Nord del Paese.
Dagli articoli consultati emerge un nuovo orizzonte con il quale le
salentine iniziavano gradualmente a confrontarsi, cioè la conquista di titoli
di studio più elevati, acquisiti spesso lontano da casa e l’accesso a profes-
sioni come l’insegnante di scuola (spesso di lingua francese) o il consegui-
mento di diplomi musicali, dimostrando abilità artistiche oltre che domesti-
che.
L’impegno intellettuale femminile inizia ad essere valutato positi-
vamente e ad essere utilizzato nei discorsi patriottici rivolti alla popolazione.
I discorsi interventisti sono stati pronunciati a Lecce e nei paesi della pro-
vincia, e teatro delle manifestazioni spesso sono state proprio le Scuole.
A pochi mesi dall’entrata in guerra, un numero crescente di donne di
ceto borghese prontamente risponde alle esigenze richieste dallo sforzo bel-
4
lico, accogliendo immediatamente le campagne nazionali lanciate dal Go-
verno, come la campagna “La lana per il soldato”, che consisteva nella rac-
colta di lana per confezionare indumenti invernali da destinare ai combat-
tenti impiegati al fronte. Un’altra attività fondamentale per la quale è stata
richiesta la presenza femminile, ha riguardato la costituzione di Asili Infan-
tili per i figli dei richiamati , spesso diretti da associazioni cattoliche, e di
Uffici notizie per i militari di terra e di mare, a favore delle famiglie che
chiedevano informazioni sulle sorti dei loro cari.
L’intero territorio è stato animato da Dame volontarie incaricate del-
la cura dei feriti ricoverati negli ospedali, dell’allestimento di punti di risto-
ro nelle stazioni ferroviarie e dell’organizzazione di serate di beneficenza
per raccogliere offerte da destinare agli orfani. Un compito particolarmente
diffuso è stato quello dell’infermiera: spesso, dopo aver seguito appositi
corsi, le salentine sono state inviate nelle immediate retrovie o nei treni-
ospedale.
Le soggettività femminili che più prontamente hanno condiviso
l’impegno nazional-patriottico appartengono per la maggior parte al mondo
della scuola (insegnanti e studentesse) e al ceto medio alto di provenienza
borghese e aristocratico. Si tratta di volti più o meno noti nell’ambiente lo-
cale, che rompevano i limiti imposti dalla società sfruttando le proprie com-
petenze culturali o artistiche, aiutate dalla loro estrazione sociale, ma anche
dalla loro determinazione.
La seconda parte del presente lavoro propone i risultati dello spoglio
sistematico del «Corriere meridionale». La sua utilità sta nel mettere a di-
sposizione e rendere fruibile in vista di ulteriori sviluppi di ricerca, una rete
a maglie strette di eventi minuti che si sono prodotti sul territorio negli anni
della guerra. Giova ricordare che questo è il passaggio primario per accre-
scere la conoscenza e per aprire nuove piste esplorative, tanto più produttive
perché relative ad una realtà geografica ancora troppo sottovalutata.
5
1. La “Grande guerra” delle donne
1.1. Uomini e donne: revisione dei ruoli
La Grande guerra è stata considerata, per molti versi, un evento cesu-
ra della storia del ‘900, poiché ha dato inizio ad un periodo ricco di cam-
biamenti, conquiste e trasformazioni socio-economiche
1
. Tutto ciò che av-
viene dall’inizio della guerra in poi, assume forme radicali e irreversibili e
segna un punto di rottura con un mondo diverso dal precedente. Lo storico
Hobsbawm, sostiene che l’Ottocento non sia finito con l’inizio del nuovo
secolo, ma con lo scoppio della prima guerra mondiale. Egli introduce nel
lessico storiografico il termine “Secolo breve”
2
, facendone coincidere
l’inizio con il 1914 e la fine con il 1989, anno della caduta del Muro di Ber-
lino e del crollo dei comunismi. Il primo conflitto mondiale assume, quindi,
un valore periodizzante e tutti gli effetti susseguitisi, anche a livello di vita e
di pensiero, sono il frutto di quest’epoca che incide, in maniera notevole,
anche nella ridefinizione delle relazioni di genere.
La grande guerra infatti è stata fondamentale anche per le donne, le
quali riescono a sottolineare per la prima volta la loro soggettività e a conso-
lidare quel lento processo di emancipazione che si stava sviluppando a parti-
re dalla fine del XIX secolo, con il riconoscimento dei primi diritti politici
3
.
Tale conquista di un ruolo per quanto possibile decisionale e non passivo,
avviene in un momento storico nel quale la società è ancora di tipo patriar-
cale. Gli uomini, frustrati dal lavoro nelle fabbriche e nei campi, non accet-
1
Cfr. E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, CDE, Milano, 1997.
2
Ivi, p. 7.
3
Cfr. P. Willson, Italiane: biografia del Novecento Roma; Bari, Laterza, 2011, pp.
39-107.
6
tavano di perdere quel predominio che gli era da sempre proprio e che gli
consentiva di compensare con la sottomissione obbligatoria alle macchine e
ai capi.
Anche il panorama italiano, agli inizi del secolo, era pervaso ancora
da netti segni di arretratezza femminile, ma con l’entrata dell’Italia in guerra
si diffonde inevitabilmente un largo impiego di manodopera femminile in
vasti settori della società (senza tuttavia rinunciare ai compiti di cura della
casa e dei figli), nonostante la disapprovazione da parte della maggioranza
degli uomini per questioni di concorrenza, poiché le donne eseguivano i la-
vori per un salario più basso, e per ragioni maschiliste e moraliste che ren-
devano impossibile il pensiero della donna lontano dal focolare domestico
4
.
Le vistose trasformazioni derivate da questo scontro, diffusero l’idea
tra i movimenti femministi europei che il rapporto tra i sessi si fosse modifi-
cato per sempre e fosse giunta l’ora per le donne di entrare nella vita nazio-
nale, nonostante la rassegnazione di alcune circa il carattere provvisorio del-
la loro partecipazione. A ben guardare però, la memoria comune inizialmen-
te aveva impresso solo gli eroi del fronte e la quasi totalità dei numerosi
studi relativi alla guerra, affrontava il tema politico ed economico del con-
flitto, riferendo di un coinvolgimento maschile e considerando prevalente-
mente i campi di battaglia.
Solo di recente, con lo sviluppo e l’interesse verso la storia sociale,
si è iniziato ad analizzare la situazione dei territori lontani dal fronte di
combattimento, quelli sostanzialmente industriali e operativi, che nessuno
nell’estate 1914, con la guerra ormai alle porte, avrebbe pensato di coinvol-
gere. Tutti immaginavano una belligeranza breve: per i soldati, la chiamata
alle armi era un modo per dimostrare il loro valore morale, e le femministe
riconoscevano un’occasione per dimostrarsi degne di cittadinanza. Solo
nell’autunno 1914, in Europa si iniziò a prender coscienza del fatto che la
4
Cfr. A. Gibelli, La grande guerra degli italiani:1915-1918, Milano, Sansoni,
1998, pp. 171-245.
7
guerra non sarebbe stata come ci si era aspettato e ciascuno stato belligeran-
te abbandonò l’idea di una vittoria rapida, riconoscendo l’esigenza del sup-
porto dei civili e l’importanza dell’ appoggio delle donne
5
, che iniziarono ad
essere impiegate nei più svariati settori in sostituzione dei richiamati.
A parere di molti storici, questo capovolgimento di ruoli costituì solo
una parentesi prima di un ritorno alla normalità con la cessazione delle osti-
lità nel 1918, quando il processo di emancipazione subì una battuta d’arresto
e uomini e donne ripresero a svolgere i loro compiti originari
6
.
1.2. Italiane al lavoro
L’Italia entrò nel primo conflitto mondiale in seguito alla dichiara-
zione di guerra all’Austria nel maggio 1915. Questa fase fu preceduta da un
lungo dibattito sulla questione dell’interventismo italiano, che divise in due
la nazione
7
. All’inizio il conflitto coinvolse largamente i militari dilaniati
5
Cfr. F. Thebaud, La Grande Guerra: età della donna o trionfo della differenza
sessuale?, G. Duby e M. Perrot (a cura di) Storia delle donne in Occidente: il Novecento,
Roma, Laterza, 1992, v. 5, pp. 25-90.
6
Cfr. P. Willson, Italiane, cit.
7
Quando giunse la notizia dell’attentato dello studente irredentista Gravilo Princip
ai danni dell’erede al trono dell’Impero austro-ungarico Francesco Ferdinando, l’Italia era
reduce da una tornata elettorale che aveva visto trionfare i socialisti in città come Milano e
Bologna. La stampa affrontò la notizia, ma nessuno si sentiva ancora talmente coinvolto da
analizzare le ripercussioni che questo gesto avrebbe avuto sulla nazione. Con il coinvolgi-
mento dei paesi europei a seguito dello scoppio della guerra, l’Italia, ancora legata alla Tri-
plice Intesa, il 2 agosto 1914 dichiarò la propria neutralità. Il governo Salandra iniziò a va-
lutare le possibili azioni e contemporaneamente, la stampa e l’opinione pubblica si schiera-
rono a favore della rottura con la Triplice Alleanza e di un intervento a fianco dell’Intesa.
Tra le ragioni pro schieramento vi erano gli ideali risorgimentali del compimento dell’Italia
unita con l’annessione di Trento e Trieste, portati avanti dagli studenti e dalla borghesia,
dagli interventisti democratici, che volevano la guerra contro gli imperi autoritari per creare
un’Europa democratica, e dagli anarco-sindacalisti che speravano nella formazione di un
nuovo mondo dopo la rivoluzione. Questi ultimi raggiunsero la maggioranza dei consensi a
Parma e a Milano e fondarono i Fasci interventisti. Il 20 maggio 1915 la Camera, chiamata
a scegliere tra l’adesione alla guerra e un voto contrario, approvò i pieni poteri al governo,
con i soli voti sfavorevoli dei socialisti, e il 23 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Cfr. M.
Isnenghi, G. Rochat, La Grande guerra 1914-1918, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 87-162.
8
psicologicamente e fisicamente mentre i civili lontani dal fronte non aveva-
no la percezione reale di quanto stesse accadendo nei territori di combatti-
mento
8
. Con il perdurare della guerra, analogamente a quanto accadde negli
altri stati europei
9
, anche l’intero sistema produttivo italiano fu riorganizzato
e trasformato, in particolare nella struttura economica e della forza-lavoro
poiché gli uomini vennero richiamati tutti a combattere e si rese necessario
rimpiazzarli nelle loro funzioni.
La maggioranza dei civili era dunque costituita da donne, illuse dalla
propaganda interventista che si sarebbe trattato di un conflitto di breve dura-
ta e la maggior parte di esse accettò di buon grado il tempo di guerra. I loro
sentimenti nei confronti delle ostilità, però, cambiavano in base
all’estrazione sociale e geografica: per le classi popolari infatti, specie quel-
le contadine, la guerra costituiva solo un aggravio di lavoro poiché oltre ai
loro compiti si aggiungevano quelli più pesanti svolti di norma dagli uomi-
ni, come l’aratura, oltre a subire un aumento del tempo lavorativo. Le loro
abitudini stavano dunque cambiando: impararono a leggere per avere notizie
dei cari al fronte, iniziarono a relazionarsi con il mondo esterno e ad assu-
mersi la responsabilità dell’acquisto di bestiame
10
. Coloro che entravano in
fabbrica, invece, erano felici di vivere la loro prima esperienza di libertà
lontano dall’oppressione paterna e in cambio erano disposte a tollerare lavo-
ri faticosi. Solo per le classi medie il conflitto rappresentava un’ occasione
per realizzare i loro ideali patriottici e sentirsi socialmente utili, attraverso
l’attività assistenziale
11
.
Queste trasformazioni radicali andarono oltre i primi movimenti
femministi, poiché le donne divennero l’icona del fronte interno che si mo-
bilitava a sostegno dello sforzo bellico. L’etichetta “Fronte interno” nasce
8
Cfr. A. Gibelli, La grande guerra degli italiani cit.
9
Cfr. F. Thebaud, La Grande Guerra, cit.
10
Cfr. A. Bravo, Donne contadine e prima guerra mondiale, «Società e storia»,
III, 1980, n. 10, pp. 843-62.
11
Cfr. A. Gibelli, La grande guerra degli italiani, cit.
9
proprio con la Grande Guerra, dove la possibilità di una vittoria militare di-
pendeva molto dalla mobilitazione dei civili di tutto il paese, ai quali veniva
richiesto di avere lo stesso principio combattivo di chi era stato chiamato al-
le armi. Affinché ciò avvenisse era necessario un consenso popolare, ali-
mentato anche dalla campagna favorevole condotta dalla stampa, (come il
“Corriere della Sera” e “Il Secolo” entrambi portavoce della borghesia set-
tentrionale
12
) e opinioni contrarie non erano ammesse
13
.
Le iniziative di propaganda coinvolgevano tutti gli organismi di tipo
sociale, benefico, religioso, politico. La loro azione aveva come finalità
quella di mobilitare la società civile che improvvisamente si trovava a con-
fronto con abitudini lontane da loro in riferimento al tempo di pace.
1.3. L’impegno patriottico
In tutte le aree di Italia si diffusero dei comitati
14
costituiti da asso-
ciazioni prevalentemente femminili, incaricati di tutte le forme di assistenza
civile. Alcune di queste organizzazioni nacquero spontaneamente, altre su
richiesta dell’allora Presidente del Consiglio Salandra
15
, il quale invitò tutti i
cittadini ad osservare i loro doveri di beneficenza a sostegno delle famiglie
dei richiamati alle armi. Oltre agli istituti sorti dietro invito del presidente, vi
fu anche l’organizzazione delle femministe che partecipò in anticipo rispetto
12
Cfr. V. Castronovo, L. Giachieri Fossati, N. Tranfaglia (a cura di), La stampa
italiana nell’età liberale, Laterza, Bari, 1979.
13
Cfr. G. L. Gatti, Jusqu’au bout ! Il fronte interno, M. Isnenghi e D. Ceschin, (a
cura di), Gli italiani in guerra : conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai giorni no-
stri, vol. 3, Utet, Torino, 2008-2009, pp. 280-88.
14
Cfr. A. Fava, Assistenza e propaganda nel regime di guerra (1915-1918), «Sto-
ria e politica», XX, 1981, pp. 513-718 e 700-17.
15
Antonio Salandra (1853-1931) è stato Presidente del Consiglio dal 1914 al
1916, dopo la caduta del governo Giolitti e da subito schieratosi a favore dell’intervento
italiano in guerra. Cfr. M. M. Rizzo, Politica e amministrazione in Antonio Salandra, Gala-
tina, Congedo, 1989.