Ancora oggi però, l’accesso delle donne all’informazione e alla creazione
di conoscenza, così come la loro partecipazione nel sistema globale della
comunicazione è limitato, soprattutto per le donne del Sud del mondo, delle
regioni meno sviluppate e dei settori più ai margini della società. A livello
mondiale le donne rappresentano il 64 per cento degli adulti analfabeti
2
e i
tassi di analfabetismo più alti tra le donne nel mondo sono quelli di tredici
paesi africani (Nazioni Unite, 2000). Non solo: le bambine sono il 60 per
cento dei cento milioni di giovani in età scolare dei paesi in via di sviluppo
che non hanno accesso all’istruzione di base (Primo, 2003). Qualsiasi serio
discorso sull’informazione e sulla comunicazione dovrebbe quindi partire
dalle donne.
Se i più recenti sviluppi tecnologici nel campo dell’informatica e della
tecnologia delle comunicazioni hanno ampliato enormemente le possibilità
di accedere ad un’informazione rilevante per le necessità di sviluppo e di
emancipazione delle donne, bisogna tuttavia tener conto della presenza
critica di una dimensione di genere all’interno di un ampio divario digitale,
e del fatto che le donne continuano a non ricevere una rappresentazione
adeguata, tanto nei media tradizionali quanto nei nuovi media. Il risultato
maggiore è che, nelle società emergenti costruite attorno all’informazione e
alla conoscenza, la voce delle donne rimane ancora assente o invisibile.
Questo è reso ancora più problematico dai processi di
commercializzazione dell’informazione e della conoscenza e di
concentrazione della proprietà delle industrie dei media: questi rilevanti
processi ostacolano una democratizzazione della comunicazione e tolgono
spazio alla voci di chi ha già in partenza un minore accesso all’espressione
e alla partecipazione nei media, comprese le donne.
2
Due terzi degli 876 milioni di analfabeti al mondo sono donne (Primo, 2003).
8
In questa tesi ho approfondito l’evoluzione del dibattito circa il rapporto
fra donne e media, a partire da come questo prende forma ed è oggetto di
analisi negli anni ‘60-‘70 del Novecento all’interno del movimento delle
donne, e subito dopo nel contesto internazionale, nell’ambito delle
Conferenze del Decennio delle Nazioni Unite per le Donne.
Il primo capitolo prende in considerazione gli studi e le ricerche su
donne e mezzi di comunicazione di massa che si sviluppano nei primi anni
Settanta: la critica rivolta alle istituzioni dei media e al loro “output” da
parte del movimento delle donne stimola infatti un approfondimento in
ambito accademico/teorico, dove vengono svolte le prime indagini su donne
e media. A questi studi si affiancano poi le rassegne di portata
internazionale condotte dall’UNESCO e legate al dibattito che si sviluppa
nelle Conferenze delle Nazioni Unite per le Donne. A partire dalla fine
degli anni Settanta emergono due principali tematiche attorno cui si
focalizzano gli studi su donne e mezzi di comunicazione di massa:
un’analisi delle immagini della donna nei media, affiancata dalle ricerche
sulla partecipazione delle donne nelle organizzazioni dei media
(Gallagher, 1992). Le due tematiche sono strettamente legate, dal momento
che i limiti riscontrati nel contenuto venivano collegati alla
sottorappresentazione femminile nelle organizzazioni dei media. Il concetto
di “annullamento simbolico” (Tuchman, 1978)
3
diventa negli anni Settanta
una metafora ampiamente usata per fare riferimento alle modalità con cui le
immagini dei media contribuivano all’invisibilità delle donne e dei loro
punti di vista. Questo avveniva per mezzo di una sottorappresentazione
numerica alla quale si legava una rappresentazione altamente stereotipata.
3
Gaye Tuchman (1978) riprende questo concetto da George Gerbner (1972) in uno dei primi
manuali su donne e media: Tuchman G., Kaplan A. D., Benét J. (eds), 1978, Hearth and Home:
Images of Women in the Mass Media, New York: Oxford University Press.
9
La presenza di ricerche contemporanee sulle rappresentazioni di genere
nei media mi permette infine di tracciare un’evoluzione del dibattito, che
lega idealmente le prime iniziative del movimento delle donne condotte
negli anni Settanta alle attività di monitoraggio più attuali. Tra gli studi più
recenti che ho preso in esame vi è il progetto del Global Media Monitoring
Project (GMMP), iniziativa che si è svolta nel 1995, nel 2000 e nel febbraio
di quest’anno. Il GMMP rappresenta attualmente la più estesa ricerca
quantitativa internazionale ad aver preso in considerazione la quantità e la
qualità della rappresentazione femminile nei giornali, in radio e nella
televisione
4
. La partecipazione al gruppo di lavoro italiano del GMMP del
2005 mi ha inoltre permesso di entrare nel vivo dell’iniziativa del
monitoraggio e di rendermi conto di tutte le potenzialità offerte da simili
progetti.
Nella seconda parte dell’indagine affronto la riflessione su donne e
media che si sviluppa negli incontri delle Nazioni Unite per le Donne, a
partire dalla prima Conferenza mondiale sulle Donne di Città del Messico
del 1975, passando per le conferenze di Copenaghen del 1980 e di Nairobi
del 1985, per terminare con la Quarta Conferenza Mondiale di Pechino del
1995. Ognuna di queste Conferenze ha preso in considerazione, nei suoi
documenti ufficiali conclusivi, la tematica dei mezzi di comunicazione, ma
è a partire da Nairobi che la riflessione su donne e media cresce in termini
di una maggiore complessità. Il tema è oggetto di incontri nazionali,
regionali e internazionali, tanto a livello governativo quanto a quello non
governativo, all’interno del processo che porta alla Quarta Conferenza
Mondiale di Pechino. Qui la riflessione su donne e media ottiene uno status
qualitativamente e quantitativamente differente. Il tema viene infatti
4
In particolare nella stampa quotidiana, nelle notizie radiofoniche e in quelle televisive.
10
designato come una delle dodici aree di crisi rispetto alle quali si riteneva
necessario stabilire misure urgenti ed immediate in vista dell’avanzamento
e dell’“empowerment” delle donne. Nella sezione J (quella su donne e
media) della Piattaforma di Azione approvata a Pechino troviamo molti
degli argomenti presi in considerazione durante le precedenti Conferenze,
ma sono soprattutto i progressi tecnologici nel campo dell’informatica e
della tecnologia delle comunicazioni, assieme alle spinte messe in atto dalle
organizzazioni delle donne rispetto agli stessi progressi, ad introdurre nuove
tematiche. La sezione J mette in luce l’urgenza di contrastare un accesso
diseguale da parte delle donne alle tecnologie emergenti e di includere le
stesse come beneficiarie della rivoluzione che stava avvenendo nel campo
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICTs).
Nella terza e ultima parte mi occupo del ruolo del movimento delle
donne, non più in quanto voce critica rispetto alle immagini o all’assenza
delle donne nei media mainstream, ma in quanto promotore di mezzi di
comunicazione alternativi gestiti da sole donne. A partire dai primi anni
Settanta si assiste allo sviluppo di un “women’s movement media”
(Smith, 1989), di una pluralità di progetti di comunicazione portati avanti
dai gruppi di donne: dai periodici alle trasmissioni radiofoniche, dai
materiali audiovisivi alle case editrici. Questi gruppi stabiliscono dei propri
spazi di informazione e comunicazione per mezzo dei quali sostenere le
proprie rivendicazioni, diffondere informazioni rilevanti, sviluppare analisi
e dibattiti e sostenere i gruppi di donne di base nei processi di sviluppo a
livello comunitario e personale.
Un ruolo cruciale viene svolto dalle reti di donne per un’informazione e
una comunicazione alternativa: sono questi network che, basandosi su una
struttura di comunicazione aperta ed orizzontale, riescono a legare fra loro
le diverse articolazioni del movimento delle donne e a fornire alle stesse
11
uno spazio di analisi e di dibattito indipendente, dove condividere
esperienze, sviluppare dibattiti e costruire azioni comuni. Queste reti
forniscono inoltre un canale di comunicazione grazie al quale mantenere e
rafforzare quei legami che le donne e le loro organizzazioni instauravano in
occasione dei Forum delle organizzazioni non governative (Ong)
organizzati parallelamente alle conferenze intergovernative del Decennio
delle Nazioni Unite.
È un’attività di networking (lavoro in rete) crescente che riceve un
nuovo impulso dall’avvento delle nuove tecnologie: queste ampliano
notevolmente l’impatto del lavoro delle organizzazioni delle donne e
rafforzano le loro capacità di “fare rete”. In questo senso i progressi
tecnologici rendono possibili azioni di advocacy e lobby, di scambio e
diffusione di informazioni in una maniera prima non immaginabile;
determinano nuovi modi di operare e di organizzarsi; offrono enormi
potenzialità per scambiare informazioni e costruire legami di solidarietà e
interazioni Nord – Sud.
In vista di Pechino i gruppi di donne attive nel campo dei media
reputavano urgente introdurre all’interno dell’agenda internazionale le sfide
poste dalle nuove tecnologie rispetto all’empowerment femminile, dal tema
dell’accesso alle ICTs (e i relativi ostacoli) a quello della partecipazione a
come queste tecnologie sono progettate e vengono utilizzate. La sezione J
(quella su donne e media) della Piattaforma di Pechino ha dato un nuovo
slancio al lavoro di queste organizzazioni: si tratta di un’attività di analisi,
valutazione, monitoraggio e lobby che si rafforza nel tempo, e che arriva
fino ai dibattiti più recenti relativi alla definizione di una visione globale
per affrontare le sfide poste dalla Società dell’Informazione.
12
La riflessione su donne e media è all’interno dell’agenda internazionale da
circa trent’anni
5
: quale è stata l’evoluzione del dibattito, quali sono i temi
principali allora e oggi, il ruolo e le spinte del movimento delle donne
nell’influenzare la discussione internazionale?
E soprattutto: quali sono le tematiche che le Ong delle donne ritengono
oggi prioritarie rispetto al dibattito donne/media/ICTs, quali sono le sfide
poste dalla società dell’informazione emergente e dalle nuove tecnologie
rispetto all’empowerment delle donne e al raggiungimento della parità di
genere? Che spazio riserva l’attuale sistema della comunicazione globale
alla voce delle donne? Sono queste le domande principali che mi sono posta
e a cui ho cercato di dare risposta con la mia tesi.
5
Trent’anni esatti se prendiamo come punti di riferimento la Conferenza di Città del Messico del
1975 e il processo di valutazione del “Pechino+10” che si è svolto nel marzo di quest’anno.
13
I. DONNE E MEDIA: APPROCCI, STUDI, ATTUALITÀ
Introduzione
È all’interno del movimento delle donne che si sviluppa nei paesi
occidentali (Nord America e Europa occidentale) a partire dagli anni
Sessanta del Novecento che prende forma una riflessione specifica su donne
e media. Nel contesto di una più generale messa in discussione degli assetti
sociali che regolano le relazioni uomo - donna, nonché della richiesta di
mutamenti culturali e sociali, trova spazio una critica femminista rivolta alle
istituzioni dei media e al loro “output”.
Nel 1963 viene pubblicato “The Feminine Mystique”, per molti il testo
ispiratore della seconda ondata del movimento femminista occidentale
6
. Il
saggio di Betty Friedan (1963) può essere considerato il punto di partenza
della riflessione e critica femminista dei mass media. Friedan accusa infatti
la stampa periodica femminile, televisione, cinema e pubblicità, assieme ad
esperti a vario titolo come medici, sociologici e psicologici
7
, di proporre e
sostenere nei loro discorsi il modello culturale della “mistica della
femminilità” (Friedan, 1964: 9), ovvero della donna di casa orientata al
ruolo di moglie e madre. I media si renderebbero in questo modo
responsabili di instaurare un senso di insicurezza, paura e frustrazione nelle
donne americane (bianche, di classe media) che non riescono a realizzare
l’ideale della casalinga felice. L’autrice intervista un numero consistente di
6
È a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento che si colloca la seconda ondata del
femminismo occidentale, distinta dal primo femminismo (1848-1918) il quale era caratterizzato
dalla lotta per i diritti civili e legali (accesso all’istruzione superiore, alle libere professioni, diritto
al voto e alla proprietà privata, per fare alcuni esempi). Per approfondimenti si rimanda a Restaino,
Cavarero, (2002).
7
“Questo ideale creato dalle riviste femminili […] dai libri scritti dagli esperti di problemi
matrimoniali e familiari, di psicologia infantile […] e dai volgarizzatori della sociologia e della
psicanalisi plasma la vita delle donne e ne riflette i sogni” (Friedan, 1964: 29).
15
ex compagne di studi (circa 200) a quindici anni dalla fine degli stessi e
arricchisce le sue ricerche facendo indagini dirette sulla condizione della
donna americana che ha accettato l’immagine della “mistica della
femminilità” abbandonando studi e carriera per realizzarsi come donna di
casa. Le interviste e le ricerche smentiscono però l’immagine che di questa
donna offrono tutti i media e tutti gli esperti. Friedan arriva quindi a parlare
del “problema inespresso, senza nome” (Friedan, 1964: 55), ovvero del
profondo senso di disagio e malessere presente nelle donne americane, dato
non solo dall’incapacità di adeguarsi al modello ideale della “mistica”, ma
soprattutto dall’impossibilità di trovare soddisfazione e realizzazione
personale nel seguirlo.
Betty Friedan è tra le prime a mettere in luce il divario esistente tra i
messaggi veicolati dai media e le esperienze reali delle donne
8
, basando le
sue osservazioni su un’analisi delle immagini e degli articoli dei periodici
femminili, oltre che sul questionario inviato alle ex compagne e su altre
interviste da lei compiute. Il saggio prende anche in considerazione i diversi
modi con cui la “mistica” viene imposta non solo alle donne, ma a tutta
l’opinione pubblica, le legittimazioni falsamente scientifiche di essa (molto
dure le critiche alle teorie freudiane e all’antropologa Margaret Mead) e
l’ampiezza di mezzi utilizzata per renderla popolare a tutti i livelli. Le
proposte di emancipazione dalla condizione nella quale la “mistica” aveva
cacciato le donne sono però abbastanza modeste; secondo Friedan la donna
doveva rifiutare lo stereotipo della casalinga, trovare un lavoro fuori casa,
senza però rinnegare la famiglia. Doveva cercare cioè di coniugare carriera
e famiglia, dedicando a quest’ultima il minimo indispensabile. La questione
riguardante il ruolo dell’uomo non viene affrontata in maniera significativa,
8
“C’era una curiosa discrepanza tra la realtà delle nostre vite di donne e l’immagine a cui
cercavamo di conformarci, quell’immagine che a un certo punto ho deciso di chiamare la mistica
della femminilità” (Friedan, 1964: 9).
16
né viene messa in discussione l’ottica tradizionale su tale problema.
L’autrice si limita a descrivere la situazione di disagio, non intravede
condizioni di lotta collettiva per risolvere il problema, ma pensa piuttosto a
vie di uscita individuali. Le condizioni sarebbero mutate pochi anni dopo.
Durante gli anni Settanta e i primi anni Ottanta esponenti della National
Organization for Women (NOW)
9
, una delle prime organizzazioni
femministe occidentali, danno vita ad azioni dimostrative, come
l’occupazione di alcune redazioni di periodici femminili (celebre quella del
“Ladies Home Journal”) e intraprendono anche la strada legale delle “sfide
alle licenze di trasmissione”: gruppi di volontari monitoravano i programmi
delle stazioni televisive locali e i dati raccolti venivano usati per
documentare e sostenere le “petitions to deny”
10
presso la Federal
Communication Commission (FCC)
11
. Si chiedeva alla Commissione di
non rinnovare la licenza a quelle stazioni i cui programmi rivelassero
contenuti discriminatori nei confronti delle donne. In quegli anni almeno
quindici stazioni hanno visto la loro licenza minacciata dalle varie
“istanze”; negli anni Settanta la via legale era infatti considerata lo
strumento più potente per influenzare i media televisivi (Cantor, 1988).
Il movimento di emancipazione delle donne (ma non è l’unico, dato che
anche diverse minoranze sociali danno vita ad azioni simili) faceva sua una
critica delle immagini della donna presentate dai media (donne stereotipate
e banalizzate, presentate in ruoli domestici, sottorappresentate, assenza di
tematiche femminili) e delle pratiche di discriminazione alle quali erano
sottoposte le donne nell’industria dei media (sistema radio-televisivo e
9
NOW è il primo movimento organizzato di donne formatosi negli Stati Uniti nel 1966, di
orientamento liberale, promotore di importanti iniziative dirette alla modifica della legislazione al
fine di abbattere le disparità derivanti dalla differenza sessuale, www.now.org.
10
Istanze di diniego.
11
Commissione Federale della Comunicazione.
17
stampa). Le azioni legali miravano a ottenere contenuti più diversificati e
una maggior presenza di donne ai livelli decisionali.
La strategia delle “petitions to deny” non si rivelò vincente visto che
nessuna delle stazioni televisive, al momento del rinnovo, perse la sua
licenza, ma contribuì a dare rilevanza al tema e a far crescere la
consapevolezza degli operatori della comunicazione circa l’importanza
della rappresentazione della donna
12
; spinse inoltre il mondo accademico a
documentare e a sostenere le rivendicazioni del movimento
13
.
Deluse dall’insuccesso delle azioni dimostrative condotte durante gli
anni Settanta, nel 1988 Betty Friedan e Nancy Woodhull (direttore
fondatore di USA Today), danno vita al “Women, Men and Media”
14
:
l’intento era quello di creare una struttura in grado di riunire giornalisti,
media attivisti, ricercatori, dirigenti delle organizzazioni dei media,
pubblicitari e produttori radiotelevisivi per discutere delle modalità di
rappresentazione della donna nei media (nelle riviste, in pubblicità e
soprattutto nelle notizie). L’organizzazione si impegnava a portare avanti
studi regolari per tracciare eventuali progressi nel modo in cui i media
ritraevano le donne; organizzava inoltre incontri e simposi per illustrare i
risultati delle ricerche e dare vita a più ampi dibattiti su come migliorare il
trattamento che i media riservavano alle donne. Rispetto al contesto del
tempo quello del “Women, Men and Media” era sicuramente un progetto
innovativo e sotto certi aspetti pionieristico: sette anni più tardi, il 18
gennaio del 1995, si è svolta la più estesa iniziativa di monitoraggio a
12
Numerose reti televisive nordamericane, sotto l’impulso delle rivendicazioni del movimento
delle donne e di diverse minoranze etniche, crearono gli “Standards Broadcast Departements” con
il compito di monitorare i propri prodotti e la rappresentazione della donna negli stessi.
13
Anche a livello politico le stesse rivendicazioni suscitarono qualche effetto: è per esempio tra il
1977 e il 1979 che la Commissione dei diritti civili del Senato americano decide di svolgere due
indagini (gli studi “Window Dressing on the Set” e “Window Dressing on the Set: an Update”)
relative alla sottorappresentazione delle donne e di altre minoranze etniche e razziali nei contenuti
televisivi e sulla partecipazione delle donne nelle industrie della comunicazione (Cantor, 1988: 78-
79).
14
L’esperienza del “Women, Men and Media” si è conclusa nel 2000 (Gallagher, 2001).
18
livello internazionale dell’immagine e della presenza della donna nei media
informativi, progetto che ha coinvolto 71 paesi. Si tratta del Global Media
Monitoring Project, iniziativa ripetuta nel 2000 e anche nel 2005.
Quello della relazione donne-media è quindi un tema che parte da
lontano, ma che mantiene ancora valida una propria attualità. Ci sembra
quindi appropriato dedicare una prima parte della nostra indagine alla
riflessione teorica che si sviluppa a partire dalla fine degli anni Settanta,
mettendo in luce le principali tematiche attorno alle quali sono state svolte
le ricerche e accostando agli studi prodotti in ambito accademico quelli di
portata internazionale condotti dall’UNESCO
15
.
1.1. Riflessione teorica, studi e ricerche
È quindi l’azione del movimento delle donne a stimolare una serie di studi e
ricerche su donne e mezzi di comunicazione di massa in ambito
accademico/teorico. Inoltre, a livello globale, il Decennio delle Nazioni
Unite per le Donne
16
agisce come catalizzatore per molti degli studi e delle
attività su donne e media: è infatti in questo ambito che l’UNESCO
promuove le prime rassegne (delle numerose ricerche) di portata
internazionale su donne e mass media (Ceulemans, Fauconnier, 1979;
Gallagher, 1981, 1985 e 1987a). Se le prime analisi assumono un carattere
spontaneo, di movimento (come le azioni condotte da NOW), queste
rivendicazioni “dal basso” vengono di seguito affiancate da studi
accademici scientificamente più consistenti portati avanti da studiose e
studiosi che, sull’onda delle rivendicazioni del movimento, arrivano spesso
15
United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (Organizzazione delle Nazioni
Unite per l’educazione, la scienza e la cultura).
16
Si rimanda al secondo capitolo per la parte relativa al Decennio delle Nazioni Unite per le
Donne.
19
ad intrattenere con questo rapporti molto stretti, se non addirittura di forte
identificazione. Le rivendicazioni del movimento trovano sostegno e
stimolano quindi un approfondimento in ambito accademico, dove nello
stesso periodo inizia ad affermarsi una “scuola femminista” in diversi
campi di studio, tra cui quello dei “communication studies”
17
.
A partire dalla fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta gli studi sul
rapporto tra donne e media si focalizzano su due tematiche principali: le
ricerche sulle immagini della donna nei media (“images of women in the
media”) e quelle sulla presenza e partecipazione delle donne nelle industrie
dei media (“women in the profession”) (Gallagher, 1992: 2). Le due
tematiche sono strettamente legate, dal momento che i limiti riscontrati nei
contenuti dei media venivano collegati alla sottorappresentazione e alla
mancanza di potere delle donne nelle organizzazioni dei media. Le prime
ricerche provengono prevalentemente dagli Stati Uniti e in misura minore
dall’Europa occidentale.
L’assunto circa il potere e l’influenza dei media che è alla base di questi
primi studi considera i media fortemente implicati e strettamente legati alle
modalità di discriminazione operanti nella società nei confronti delle donne.
Si tratta, nel caso dei media, di una discriminazione legata all’assenza e alla
banalizzazione, per alcuni all’“annullamento simbolico” (Tuchman, 1978)
delle donne nel contenuto mediatico. È soprattutto negli studi UNESCO che
si sottolinea inoltre come i mezzi di comunicazione possano potenzialmente
svolgere un ruolo critico nel favorire il cambiamento delle attitudini e delle
percezioni, e nel configurarsi come utili strumenti per promuovere lo status
delle donne e rafforzare la parità tra donne e uomini.
17
Per approfondimenti su questo punto si rimanda a Dervin (1987); Press (1989); Rakow (1989a)
e (1992); Cirksena (1996).
20
1.1.1. Le ricerche sulle immagini della donna nei media
Il tema dell’immagine femminile nei media e in linea più generale delle
immagini dei “ruoli sessuali”
18
costruite e diffuse dai mezzi di
comunicazione di massa è quindi centrale nei primi studi. È d’altronde un
argomento chiave dei primi testi femministi (Friedan, 1963) ed è soprattutto
a partire dalla fine degli anni Sessanta che i temi della condizione
femminile e del rapporto tra uomo e donna assumono un ruolo di primo
piano nel dibattito pubblico, nell’indagine scientifica e nella riflessione
individuale. Nello stesso periodo poi, si acquisisce la consapevolezza della
funzione centrale che i mass media occupano e svolgono nella società
occidentale moderna: presenze capillari e pervasive a livello della vita
quotidiana, i mass media si costituivano come delle moderne agenzie di
socializzazione in grado di veicolare messaggi, simboli, discorsi e
rappresentazioni del mondo reale. Ai mass media veniva accordato un
potere di influenza indiretto sulle cognizioni e percezioni collettive e sul
comportamento individuale: grazie a questo potere rendevano convincente
una data rappresentazione del mondo, dettavano i temi prioritari dei discorsi
collettivi e decretavano l’esistenza e il valore sociale di tutto ciò su cui
andava a cadere la loro attenzione. I media potevano legittimare o
delegittimare persone e eventi, dare e togliere visibilità, valorizzare e de-
valorizzare. Si colloca in questo periodo lo sviluppo di importanti teorie
19
che “riscoprono”
20
il potere dei mezzi di comunicazione di massa: si tratta
18
I primi studi parlano di ruoli sessuali (“sex-roles”) e di stereotipi dei ruoli sessuali (“sex-role
stereotypes”). Tuchman (1978: 5) li definisce come “set portrayals of sex-appropriate appearance,
interests, skills, behaviors, and self-perceptions”. Gli studi attuali parlano più propriamente di
rappresentazioni di genere.
19
Per esempio: la teoria della spirale del silenzio (Noelle-Neumann, 1974), della dipendenza dai
media (Ball Rokeach, De Fleur, 1976), quella dell’agenda setting (McCombs, Shaw 1972) e della
coltivazione (Gerbner, 1986).
20
“Riscoperta” del potere dei media rispetto alle ricerche svolte negli anni Cinquanta che avevano
rivalutato l’azione dei media in termini di effetti limitati.
21
di teorie legate agli studi sugli effetti a lungo termine dei media che
evidenziano il potere degli stessi nella società e la loro funzione di
socializzazione e di costruzione della realtà sociale.
Dato questo presunto potere si assumeva di conseguenza che esistesse
una forte probabilità che la definizione delle “identità sessuali” prodotta dai
mass media potesse assumere valore normativo e venire condivisa in
maniera diffusa. Buonanno (1983: 21) aggiunge che “il presupposto
condiviso (e condivisibile) di molte ricerche era il riconoscimento del
potere di influenza dei media sulla definizione sociale e l’auto-percezione
dell’identità sessuale; si alimentava da qui il timore che una
rappresentazione svalutativa della donna […] potesse far regredire i livelli
più avanzati della coscienza femminile”. In un periodo storico inoltre in cui
la tradizionale divisione dei ruoli veniva messa sotto accusa e in cui si
ridefiniva l’identità femminile, veniva considerato importante comprendere
in quale direzione si muovevano i mass media: in termini di resistenza ai
mutamenti sociali e culturali o invece come alimentatori delle innovazioni
che stavano avvenendo nella società?
Da un punto di vista metodologico queste prime ricerche poggiano
prevalentemente su analisi del contenuto di tipo quantitativo e in casi più
rari anche su analisi qualitative. Si indaga l’assenza e la presenza numerica
delle donne nel contenuto mediatico, quanti e quali tipi di immagini
vengono veicolate dai media (si cercava di prendere in esame i diversi ruoli
e stereotipi - a livello comportamentale e di personalità - assegnati a uomini
e donne), cosa rivelano queste immagini sulla posizione delle donne nella
società, quali sono gli effetti di tali immagini (si ipotizzava infatti un effetto
di socializzazione sui bambini). I diversi formati di contenuto mediatico
presi in esame sono i programmi televisivi (fiction, serial, altri tipi di
narrazione seriale, i programmi di informazione) e radiofonici, i messaggi
22