1
INTRODUZIONE
L'espressione “diritti di proprietà intellettuale” si riferisce all'insieme di strumenti
giuridici nazionali o internazionali posti a tutela di una serie di prodotti dell'ingegno umano, ai cui
creatori vengono assicurati diritti esclusivi, creando di fatto dei monopoli.
Tali prodotti possono essere i vario tipo, a partire da lavori letterari, musicali, artistici, di
progettazione o industriali, modelli di utilità, design, marchi; l'utilità dei diritti garantiti viene dal
possibile sfruttamento da parte degli autori di tutte le transazioni commerciali e di utilizzo finale
legate a tali prodotti.
Il principio ispiratore di tale forma di tutela è l'individuazione e l'apprezzamento
della componente immateriale che sottostà ad un'invenzione, rendendola unica ed innovativa, al di
la del suo mero valore materiale e fisico; tale attenzione deriva dal ruolo vitale dell'innovazione
all'interno della società moderna e poi contemporanea, caratterizzate da un alto tasso di progresso
umano e sociale. Questa particolare caratteristica di immaterialità della componente inventiva
induce ad uno studio più approfondito ed attento nel momento dell'approntamento dello strumento
legale, a causa della facile trasferibilità ed appropriazione e della problematica individuazione
dell'autore e del tasso di innovatività.
Le forme che la protezione giuridica assume sono divise nei tre campi del diritto
d'autore, dei brevetti, dei marchi.
Nel primo caso le opere protette sono riconducibili alle categorie della letteratura, della musica,
delle arti figurative, dell'architettura, del teatro e della cinematografia, dei programmi per
elaboratore(PC) e le banche dati.
Per quanto riguarda i brevetti , si può citare il Codice Civile italiano, che all'art. 2585 dice:
"Possono costituire oggetto di brevetto le nuove invenzioni atte ad avere un'applicazione
industriale, quali un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina, uno
strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale e
l'applicazione tecnica di un principio scientifico, purché essa dia immediati risultati industriali.
[…]". Tuttavia, come si dirà più avanti, la disciplina in materia brevettuale è stata recentemente
fatta confluire nel D.Lgs. 10 febbraio 2005, il Codice della Proprietà Industriale.
Il marchio, infine, è un segno rappresentabile graficamente idoneo a distinguere i prodotti o servizi
di un'impresa da quelli delle altre. Esso deve presentare caratteristiche di capacità distintiva o
originalità, rappresentabilità grafica, novità estrinseca: una volta soddisfatti questi requisiti, è
registrabile a norma di legge.
2
Una panoramica storica apre questo lavoro e, ripercorrendo l'evoluzione della tutela
dei diritti di proprietà intellettuale attraverso il periodo della modernità e della contemporaneità, si
configura come strumento per cogliere le linee guida, gli obiettivi e gli eventuali punti irrisolti
all'interno delle politiche e delle prassi che si sono via via affermate.
Importante sarà sottolineare e cogliere come i legami con lo sviluppo della scienza e della tecnica e
la maturazione di talune forme all'interno della società e delle istituzioni influenzino direttamente il
più rapido cammino delle legge e dei regolamenti man mano che ci si avvicina al XX secolo.
È doveroso operare da ora in avanti un necessario distinguo quando si parla di
legislazioni, stato dell'evoluzione del diritto e sue fattispecie concrete: va infatti sempre specificato
a quale ambito ci si riferisce, se nazionale od internazionale. La ragione è la generale disomogeneità
delle discipline statali per quanto riguarda questa materia: benché a partire dalla fine dell'Ottocento
sforzi successivi si siano assommati per rendere quanto più uniforme possibile le regole, ancora
oggi norme nazionali ed internazionali convivono, accavallandosi in taluni casi, impedendo così
un'informazione chiara ed un'applicazione certa. Nei capitoli successivi un'analisi degli sviluppi
recenti permetterà un raffronto tra le due tendenze, con particolare riferimento all'Italia, ed illustrerà
i nodi problematici dell'eterogeneità di regolamenti, dal punto di vista applicativo e della
convenienza dei cittadini. Verranno presi in considerazione il testo dell'accordo TRIPS (trade-
related aspects of intellectual property rights) e i recenti negoziati del Doha Round in ambito WTO
per la parte internazionale, e il D.Lgs. 10 febbraio 2005, “Codice della Proprietà Industriale” per la
parte italiana.
Gli aspetti economici legati alla tematica in oggetto sono da considerarsi centrali, in
quanto è proprio da un bisogno di regolamentazione legato alla profittabilità delle transazioni
economiche che si origina l'intero processo storico e giuridico presentato.
I calcoli di benessere di sistema, ripartito tra gli attori del commercio, della produzione e del
consumo all'interno di determinati ambiti del mercato determinano la convenienza o meno di
particolari forme di protezione, della ripartizione dei compensi e delle royalty, dello sviluppo o della
creazione di particolari tutele.
Alla stessa maniera, è legittimo filtrare ed analizzare il corpus di regole ed i principi
ispiratori delle politiche utilizzando i criteri, il linguaggio ed i modelli dell'economia. Così facendo,
vari studiosi hanno assunto una posizione critica verso il sistema di protezione dei diritti di
proprietà intellettuale oggi vigente, evidenziandone incongruenze, malfunzionamenti, pregiudizi
etici e formali.
Il processo di critica sfocia talvolta nella formulazione di ipotesi alternative, soluzioni innovative
3
spesso tracciate per rispondere ad esigenze contestuali: è questo il caso del lavoro del prof. Ugo
Pagano, che rivede i presupposti della “knowledge economy” alla luce dei pesanti strascichi
economici della crisi finanziaria iniziata nell'estate del 2008.
La corretta comprensione del funzionamento economico del brevetto industriale
permetterà, ai fini dello svolgimento del testo, un'analisi dell'ipotesi del prof. Pagano e la
discussione di un possibile scenario futuro che ne vedesse applicati i presupposti. La simulazione di
uno scenario è possibile prendendo in considerazione i modelli economici di oligopolio, monopolio,
teorie dei giochi formulate tra gli anni 70 e il nuovo millennio.
Quindi, si illustrerà lo stato di avanzamento attuale dell'open sience, ovvero la realtà
di Creative Commons e dell'Open Source, il progressivo affidarsi di aziende private e pubbliche a
programmi e tecnologie libere da copyrights, le prospettive e le linee di sviluppo in questo settore.
Infine, la formulazione di uno scenario istituzionale possibile, e la conclusione con
una proposta di policy regionale completano il quadro di questa trattazione. Lo scopo e la
prospettiva di questo lavoro sono infatti, oltre che l’informazione e l’analisi, l’applicazione delle
conoscenze al contesto presente, con intento propositivo.
4
PARTE PRIMA: STORIA E DIRITTO
1) EVOLUZIONE STORICA
Le primissime tracce di incentivi all'innovazione e proto-brevetti risalgono agli
antichi greci, i quali nel V secolo a.C. presso la città di Sibari, nella Magna Grecia, incoraggiavano
con l'esclusività dei profitti per un anno l'invenzione e l'avanzamento nel campo del lusso, settore
apprezzato e lautamente sostenuto dalla ricca aristocrazia terriera che reggeva le polis.
1.1) Gran Bretagna
Successivamente, si ha testimonianza dell'uso diffuso delle “lettere patenti”,
soprattutto all'interno del mondo anglosassone: una particolare versione di questi strumenti
legislativi, di natura e scopo amministrativi, veniva utilizzata per garantire all'inventore i diritti
esclusivi sulle sue creazioni. I primi esempi risalgono al XIV secolo, anche se l'usanza si consolidò
con Enrico VI, a metà del XV secolo.
La prassi degenerò presto (anche grazie alla condotta lassista di Elisabetta I), facendo diventare il
sistema delle lettere patenti un mercato clientelare e un canale atipico di afflusso di denaro alla
Corona, cosicché ci si trovò resto in Inghilterra con un eccesso di invenzioni tutelate, spesso
immeritevoli, che impedivano l'emergere del vero progresso tecnologico. Questa situazione generò
un diffuso malcontento che spinse Giacomo I ad intervenire, revocando tutti i brevetti concessi e
promulgando lo “Statue of Monopolies” (25 maggio 1624), introdotto dal Parlamento e preparato da
Sir Edward Coke, insigne giurista e parlamentare dell'epoca.
Il testo dello “Statute of Monopolies” (diviso per argomenti in nove sezioni) invalida tutti i brevetti
precedentemente concessi, stabilendo una disciplina innovativa e codificata, basata sulla common
law e non sul potere regio, e stabilisce criteri chiari e tempi ben definiti:
“New manufacture must have seven properties. First, it must be for twenty-one years or under.
Secondly, it must be granted to the first and true inventor. Thirdly, it must be of such manufactures,
which any other at the making of such letters patent did not use... Fourthly, the privilege must not
be contrary to law... Fifthly, nor mischievous to the state, by raising the prices of commodities at
home. In every such new manufacture that deserves a privilege, there must be urgens necessitas et
5
evidens utilitas. Sixthly, nor to the hurt of trade... Seventhly, nor generally inconvenient.”
1
Un ulteriore sviluppo della dottrina si ebbe durante il regno della Regina Anna, al principio del
secolo XVIII, con l'obbligo della presentazione di una descrizione scritta delle invenzioni; lo
Statuto, questa ed altre regole stabilite nel periodo coloniale confluirono conseguentemente negli
ordinamenti statunitensi, neozelandesi, australiani, tramite esplicito riferimento o rielaborazione.
Pareri autorevoli sono stati espressi tra il XVIII e il XX secolo da studiosi inglesi, a partire da
quello di Adam Smith (scozzese, per la verità) nel suo “An Inquiry into the Nature and Causes of
the Wealth of Nations”, del 1776:
“To take an example, therefore, from a very trifling manufacture; but one in which the
division of labour has been very often taken notice of, the trade of the pin-maker; a
workman not educated to this business . . . nor acquainted with the use of the machinery
employed in it (to the invention of which the same division of labour has probably given
occasion), could scarce, perhaps, with his utmost industry, make one pin in a day, and
certainly could not make twenty. But in the way in which this business is now carried on, not
only the whole work is a peculiar trade, but it is divided into a number of branches, of which
the greater part are likewise peculiar trades. One man draws out the wire, another straights
it, a third cuts it, a fourth points it, a fifth grinds it at the top for receiving the head; to make
the head requires two or three distinct operations; to put it on, is a peculiar business, to
whiten the pins is another; it is even a trade by itself to put them into the paper; and the
important business of making a pin is, in this manner, divided into about eighteen distinct
operations, which, in some manufactories, are all performed by distinct hands, though in
others the same man will sometimes perform two or three of them.”
Smith considera la divisione del lavoro come principio regolante anche l’attività di invenzione; è
oggi possibile riprendere, rielaborare ed effettivamente trovare riscontro a queste parole dell’illustre
filosofo: ad esempio, laddove si parlerà di diversi stadi della ricerca, o prendendo in considerazione
l’outsourcing per la ricerca aziendale, e le attività di ricerca all’interno dell’accademia. Si tratta, in
tutti questi casi, proprio di divisione del lavoro, delimitando i vari passaggi che dal teorico portano
al commerciale, passando per la ricerca, la sperimentazione, lo sviluppo, la produzione.
Anche Jeremy Bentham si espresse a riguardo, parlando nel suo “A manual of
1 Parte della corposa giurisprudenza interpretativa, nello specifico tratta da “Institutes of the Lawes of England”, di
Sir Edward Coke, sulla sezione VI
6
political economy” (pubblicato nel 1843) di brevetti giusti, i quali danno all’inventore n profitto
“exactly proportioned to the merit of the invention”. In più, il filosofoe giurista utilitarista asserisce
che tramite i meccanismi del mercato ogni invenzione “paga” il suo creatore nella misura della
propria utilità, c’è così uno stimolo a concentrarsi su invenzioni utili, risultante in un maggiore
beneficio per la società nel complesso. Sostenitore della funzione incentivante dei brevetti, egli
giudica negativamente gli alti costi di registrazione, definendoli “tax levied upon ingenuity”.
Poco dopo, anche JS Mill nel suo “Principles of Political Economy” (1848), al
capitolo X “Of Interferences of Government grounded on Erroneous Theories” del libro V “On the
Influence of Government” si esprime a riguardo:
“The condemnation of monopolies ought not to extend to patents, by which the originator of
an improved process is allowed to enjoy, for a limited period, the exclusive privilege of using
his own improvement. This is not making the commodity dear for his benefit, but merely
postponing a part of the increased cheapness which the public owe to the inventor, in order
to compensate and reward him for the service. That he ought to be both compensated and
rewarded for it, will not be denied, and also that if all were at once allowed to avail
themselves of his ingenuity, without having shared the labours or the expenses which he had
to incur in bringing his idea into a practical shape, either such expenses and labours would
be undergone by nobody except very opulent and very public-spirited persons, or the state
must put a value on the service rendered by an inventor, and make him a pecuniary grant.”
Ancora, nello stesso capitolo:
It is generally admitted that the present Patent Laws need much improvement; but in this
case, as well as in the closely analogous one of Copyright, it would be a gross immorality in
the law to set everybody free to use a person's work with. out his consent, and without giving
him an equivalent. I have seen with real alarm several recent attempts, in quarters carrying
some authority, to impugn the principle of patents altogether; attempts which, if practically
successful, would enthrone free stealing under the prostituted name of free trade, and make
the men of brains, still more than at present, the needy retainers and dependents of the men
of money-bags.
Dalle poche righe considerate traspare una decisa fiducia nel sistema dei brevetti, per quanto
migliorabile.
7
Benché formalmente abrogato dal “Patents Act” del 1977, col quale la Gran Bretagna si allineava
alle regole vigenti nelle Comunità Europee
2
, il testo dello “Statute of Monopolies”rimane
tecnicamente in vigore poiché molte parti della sua sezione VI sono di fatto riprese dalla
legislazione vigente.
Le regole in materia di brevetti sono quindi oggi un ibrido tra la tradizione europea e quella inglese,
di cui alcuni aspetti sono stati conservati, come ad esempio la durata ventennale della tutela (già
istituita da Enrico VI).
1.2 Stati Uniti d'America
Per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, la prima legge sui brevetti fu il “An Act to promote
the progress on useful Arts” dell'aprile 1790, che affidava il giudizio di conformità ad una
Commissione,che nella sua prima composizione ospitava l'allora segretario di Stato Thomas
Jefferson. Col moltiplicarsi delle richieste e l'evolversi della prassi venne creato nel 1802 un “Patent
Office”, poi divenuto USPTO (United States Patents and Trademarks Office), la cui ultima riforma
in ordine di tempo è stata approvata nel 2009 (Patent Reform Act of 2009).
Abramo Licoln si espresse in merito ai monopoli nel 1859, periodo in cui si
plasmava il nucleo forte della disciplina, in occasione di una lezione presso Jacksonville, Illinois, su
scoperte e invenzioni:
"Next came the Patent laws. These began in England in 1624; and, in this country, with the
adoption of our constitution. Before then, any man might instantly use what another had
invented; so that the inventor had no special advantage from his own invention. The patent
system changed this; secured to the inventor, for a limited time, the exclusive use of his
invention; and thereby added the fuel of interest to the fire of genius, in the discovery and
production of new and useful things."
Si registra quindi anche per lo storico presidente USA il supporto e la convinzione sulla funzione
incentivante dei brevetti.
2 Si tratta della “Convenzione di Monaco”, o “Convenzione sul rilascio dei brevetti europei” del 5 ottobre 1973
8
1.3 Italia
In Italia fu, come in molti altri campi, la Serenissima ad essere precursore dei tempi: è infatti una
“parte” del Senato veneziano del 1474 che per prima garantiva una protezione decennale alle
invenzioni di cui fosse data comunicazione agli uffici della Repubblica di Venezia (si tratta di fatto
di un primato europeo):
«L’andarà parte che per auctorità de questo Conseio, chadaun che farà in questa Cità algun nuovo
et ingegnoso artificio, non facto per avanti nel dominio nostro, reducto chel sarà a perfection, siche
el se possi usar, et exercitar, sia tegnudo darlo in nota al officio di nostri provveditori de Comun.
Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad
immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X.»
3
Firenze arrivò in realtà cinquant'anni prima, anche se fu un caso isolato, concedendo al Brunelleschi
tutela triennale per un sistema di carico e trasporto fluviale del marmo.
La materia fu sempre soggetta a legislazione speciale e anche oggi è un decreto, il D.Lgs. 10
febbraio 2005, n. 30 (Codice della Proprietà Industriale), la normativa di riferimento, più
precisamente è dedicata al brevetto per invenzione la Sezione IV del Capo II del Codice. Le
invenzioni biotecnologiche sono separatamente disciplinate dal D.L. 10 gennaio 2006, n. 3
(convertito in legge con modificazioni dalla L. 22 febbraio 2006, n. 78) che ha attuato anche in
Italia la direttiva europea n. 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni
biotecnologiche.
1.4 Legislazione Internazionale
Se si parla in ottica storica di proprietà intellettuale a livello internazionale, l'origine della
trattazione è necessariamente collocato nella Svizzera di fine Ottocento.
Sono stati proprio gli elvetici a coniare per primi il termine, nel 1888, con la fondazione del
“Bureau fédéral de la propriété intellectuelle”, da cui presero poi il nome anche gli “United
International Bureaux for the Protection of Intellectual Property”, stabilitisi a Berna nel 1893.
Questi United Bureaux sono la fusione di due organismi preesistenti, ovvero i segretariati
amministrativi di due Convenzioni, la “Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà
intellettuale” (1883) e la “Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche”
3 Archivio di Stato di Venezia, Senato terra, registro 7, carta 32
9
(1886).
La Convenzione di Parigi, nata da una conferenza diplomatica del 1880, è volta a
semplificare la disponibilità dei brevetti sui territori degli Stati contraenti e a rendere al contempo
possibile per gli inventori una registrazione simultanea in più Paesi. Rimane valida ancora oggi e
con 173 membri è una delle convenzioni di più ampia partecipazione.
La Convenzione di Berna si occupa invece di diritti d'autore, garantendo pari
trattamento alle opere di produzione degli Stati membri, all'interno di ciascun Paese firmatario.
Viene stabilito che tutte le opere eccetto quelle fotografiche e cinematografiche devono beneficiare
di una protezione di almeno 50 anni dopo la morte dell'autore; per le fotografie il minimo è invece
25 anni dalla data di creazione, per quelle cinematografiche 50 dalla prima visione pubblica
dell'opera (o dalla creazione, se 50 dopo questa l'opera non è ancora stata pubblicamente mostrata).
Vige la regola (peraltro non globalmente accettata tra i firmatari) del “termine più breve”, per cui
non è possibile di beneficiare all'estero di una protezione più duratura di quella garantita in patria,
anche se le legislazioni straniere lo permetterebbero.
Così come per la Convenzione di Parigi, la grande innovazione fu quella di estendere
automaticamente la protezione a tutti i Paesi membri, evitando agli utenti registrazioni multiple e
successive, che comportavano il rischio di imitazione ed importazioni parallele. L'altra significativa
novità riguarda la non obbligatorietà della registrazione: non appena un lavoro viene ultimato, e
quindi impresso su carta, o registrato, su qualsiasi mezzo fisico, l'autore è titolare di tutti i diritti da
questo derivanti, a meno di rinunce esplicite o decorrenza del periodo di protezione. Le peculiarità
di questa Convenzione sono frutto dell'incontro delle diverse discipline del “droit d'auteur” di
matrice francese (propugnato dalla Association Litéraire et Artistique Internationale e dallo scrittore
Victor Hugo) e del “copyright” anglosassone.
Entrambe le Convenzioni diedero vita a degli uffici, con sede a Berna, incaricati di
gestire le pratiche amministrative. Questi uffici si fusero nel 1893 creando il BIRPI (Bureaux
Internationaux Réunis pour la Protection de la Propriété Intellectuelle), organismo che venne
trasferito nel 1960 a Ginevra, per avvicinarsi alla sede delle altre organizzazioni internazionali.
Successivamente, nel 1967 il nome mutò in WIPO (World Intellectual Property Organization),
organismo che nel 1974 divenne una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite.
1.5 GATT
Una disciplina in materia di proprietà intellettuale si è sviluppata negli anni anche in seno
all'Organizzazione Mondiale del Commercio (oggi WTO), principalmente a partire dagli anni 90 del
secolo scorso.
10
A seguito della seconda Guerra Mondiale, nel contesto dell'istituzione di organismi
internazionali per una governance condivisa a livello globale, anche il commercio internazionale era
una delle aree da sottoporre al controllo congiunto degli Stati riuniti sotto l'egida delle Nazioni
Unite.
Per questo motivo alla Conferenza di Bretton Woods del 1944 si pensò di affiancare alle nascenti
IMF (International Monetary Fund) e WB (World Bank), tuttavia la presenza dei soli ministri delle
finanze e non di quelli del commercio fu già a questo stadio embrionale un decisivo impedimento.
Sulla scia di questa volontà, iniziarono nel dicembre 1945 per iniziativa del presidente degli Stati
Uniti d'America Truman i lavori preparatori per una conferenza tra i Paesi ex alleati incaricata,
anche dall' ECOSOC (Economic and Social Council delle Nazioni Unite), di stilare uno statuto per
la nascente ITO (International Trade Organization).
Parallelamente, si volgevano a Ginevra i lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sul
Commercio e l'Impiego che avrebbe poi prodotto quel documento (GATT 1947) unico risultato
delle volontà originarie espresse a Bretton Woods. Infatti, la Carta dell'ITO ultimata all'Avana nel
1948 e contente un regolamento per il commercio internazionale ed altre questioni economiche non
fu mai accettata dal Congresso statunitense, benché a tale giudizio sia stata più volte sottoposta.
Le motivazioni sottostanti il definitivo rifiuto opposto da Truman nel 1950 sono di ordine
prettamente economico: anche se si affermava che l'interesso leso fosse quello interno degli Stati
Uniti d'America, è probabile che invece altre considerazioni, verosimilmente più legate alla così
detta dottrina Monroe, siano state fatte.
Rimaneva così in campo solo il GATT il quale non era una Organizzazione
Internazionale vera e propria, bensì un semplice accordo. Il testo si poneva come obiettivo la
progressiva liberalizzazione del commercio mondiale e basava il perseguimento di tale scopo
anzitutto sulla regola della Nazione Più Favorita (Most Favoured Nation Rule), riportata all'art 1:
"1. Tutti i vantaggi, favori, privilegi o immunità, concessi da una Parte contraente a un prodotto
originario da ogni altro Paese, o a esso destinato, saranno estesi, immediatamente e senza
condizioni, a tutti i prodotti congeneri, originari del territorio di ogni altra Parte contraente, o a
esso destinati. [...]
A partire dal 1948, il GATT ha attraversato otto diverse sessioni di negoziati (dette rounds),
attraverso le quali le parti si sono accordate su concessione via via più ampie in materia di riduzione
delle tariffe, riduzione delle barriere non tariffarie al commercio, strategie concertate, operazioni in
favore dei PVS (Paesi in Via di Sviluppo); i membri sono andati aumentando, dai 23 iniziali ai 102
dell'ottavo round.