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Introduzione
«If there is not a product, you are the product», scrive Paolo Benanti, teologo e professore della
Pontificia Università Gregoriana. Esiste un modo tramite il quale la comunicazione di prodotto può
influenzare gli individui, modificando e condizionando soprattutto i comportamenti d’acquisto: ciò
che può creare comunità può essere utilizzato per plasmare la comunità stessa
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.
Ai nostri giorni le persone si collegano alle informazioni, ai brand e tra di loro sempre e ovunque:
siamo nell’era dell’Internet of Things (IOT), che ha mutato profondamente i concetti di comodità,
velocità, prezzo, informazioni sui prodotti e interazioni con le aziende.
La pubblicità non può che adattarsi a questa nuova realtà. Parole come digital advertising, digital
word-of-mouth, social network marketing, influencer marketing caratterizzano un ecosistema fatto di
touch point interconnessi, nel quale consumatori e brand interagiscono.
«Sta cambiando il modo di fruire i contenuti e stanno cambiando le abitudini dei consumatori – dice
Matteo Esposito, fondatore dell’agenzia di comunicazione Imille – oggi il target dell’advertising è
composto principalmente dai millennials e dalle successive generazioni di nativi digitali. La
pubblicità non solo deve rivoluzionare la sua semiotica ma ha a disposizione media diversi che ne
caratterizzano in modo sorprendentemente nuovo il messaggio».
Ed ecco che si può parlare di Advertising of Things: un nuovo modello di pubblicità personalizzata,
interattiva, geolocalizzata, programmatica, che propone contenuti fruibili sui social e sul mobile e che
mira a fornire prodotti e servizi a consumatori di cui analizza e conosce sempre di più intenzioni e
pratiche
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.
Il digital advertising è in grado di raggiungere uno specifico consumatore in un preciso momento,
basandosi su dati che indicano il suo interesse per il prodotto o la sua propensione all’acquisto.
Gli strumenti di digital advertising permettono di evitare la dispersione causata dalla pubblicità
tradizionale, perché i messaggi pubblicitari possono modificarsi e diventare su misura.
Se nell’approccio tradizionale all’advertising l’azienda è protagonista con le sue azioni per
convincere gli utenti ad acquistare un prodotto, nel nuovo scenario delineato dai digital media assume
un ruolo centrale l’esperienza del prodotto sperimentata dal consumatore.
Oggi l’utente di un prodotto non all’altezza delle aspettative non solo non lo compra, ma esprime le
proprie lamentele in un passaparola digitale che può avere risonanza mondiale.
1
Benanti, 2019
2
Mardegan, 2016
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Ciò che il digital advertising può proporre è qualcosa di più della pubblicità in senso tradizionale;
ovvero la possibilità per il consumatore di interagire direttamente con chi il prodotto lo crea e lo
comunica. In quest’ottica le aziende devono porre al centro dell’attenzione le persone: l’ascolto e la
soddisfazione dei desideri da un lato, la partecipazione e la creazione di bisogni indotti dall’altro.
In uno scenario contaminato, caratterizzato dalla mancanza di confini netti tra esperienza online ed
esperienza offline, comprendere quali siano gli strumenti del digital advertising in una logica di
marketing di valore diventa prioritario, sia nel settore Business to Consumer che Business to
Business.
L’obiettivo del paper è quindi quello di offrire molteplici spunti di discussione integrando la
prospettiva di aziende che investono in spazi pubblicitari digitali con quella dei publisher e dei
soggetti mediatori, stimolando una riflessione critica sul tema, in modo da mappare lo stato dell’arte
dell’advertising digitale a livello multisettoriale indentificandone best practices, trend e strumenti.
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1. Gli strumenti per il digital advertising
Gli elementi chiave dell'advertising 3.0 sono la capacità di segnalare opportunità (affordance) e di
produrre emozioni positive in grado di coinvolgere gli utenti (engagement), di mettere il soggetto al
centro dell'esperienza (interazione e co-creazione) e di permettergli di condividerla con altri
(condivisione).
Per raggiungere questi obiettivi un ruolo cruciale viene giocato da strumenti multimediali e connessi,
grazie ai quali è possibile monitorare le intenzioni e i comportamenti dei consumatori e offrire
esperienze interattive e sociali in grado di dare valore a prodotti e servizi.
1.1 Search advertising
Con il suo miliardo di visitatori al mese, Google è il primo motore di ricerca del mondo – ne consegue
che il principale strumento per fare search advertising è proprio Google AdWords.
Il search advertising si basa su piattaforme che permettono all’advertiser di pagare per ogni singolo
clic che la sua pagina riceve grazie agli annunci. Concretamente, è la pubblicità che compare nella
parte superiore della pagina dei risultati quando un utente effettua una ricerca utilizzando un motore
di ricerca.
Ogni advertiser ha la possibilità di definire i propri annunci tramite keywords, ovvero parole legate
al suo annuncio che potrebbero essere cercate dagli utenti del motore di ricerca. L’advertiser definisce
un prezzo per ogni keyword, ovvero dice quanto è disposto a pagare per ogni clic sull’annuncio
all’interno di una ricerca effettuata da un utente utilizzando la keyword in questione. Questo processo
avviene tramite asta ed è chiamato “real-time bidding”. Ciò che l’advertiser utilizza è una Demand
Site Platform (DSP), un tool che permette di selezionare gli elementi di una campagna, come i target
di interesse ed i limiti di budget. La DSP si interfaccia con una Supply Side Platform (SSP), utilizzata
dai publisher – come Google – per gestire i loro spazi disponibili per la pubblicità. Quando la
campagna viene avviata, un software online si occupa di mediare tra DSP e SSP e di piazzare
automaticamente le puntate.
La scelta delle keywords è un processo delicato. Prendiamo il caso di un locale che prepara panini
vicino alla stazione ferroviaria di Milano. Una keyword ottimale potrebbe essere “mangiare stazione
Milano”: queste parole permettono di intercettare il bisogno di utenti che stanno cercando un posto
dove mangiare in zona. Al contrario, la keyword “panini” è sconsigliata, perché troppo generica:
potrebbe attirare utenti che cercano ricette, immagini o informazioni, ma non un ristorante. AdWords
permette anche di escludere delle keywords. Per esempio, “mangiare pizza stazione Milano” potrebbe
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essere esclusa in quanto verrebbe digitata da un consumatore che ha già scelto di mangiare un cibo
diverso da quello disponibile nel ristorante.
In ogni caso, AdWords fornisce anche un “search terms report”, ovvero un documento che informa
l’advertiser di quali keywords sono state cercate dagli utenti che hanno effettivamente fatto clic
sull’annuncio: questo permette di eliminare le parole chiave non performanti.
Una strategia differente è costituita dal Search Engine Optimization (SEO). Mentre il search
advertising riguarda l’acquisto di annunci che compaiono sulle Search Engine Results Page (SERP),
il SEO si riferisce all’ottimizzazione di un sito internet allo scopo di acquisire una maggiore
probabilità che esso compaia tra i primi risultati non-pubblicitari di una ricerca, chiamati risultati
organici. A (quasi) monopolizzare il mondo SEO è Yoast, plug-in gratuito di Wordpress in grado di
stabilire quanto una pagina è SEO friendly utilizzando un segnale semaforico e analizzando densità
di parole chiave, attributi alt, descrizioni Meta, slug.
Il search advertising ha i suoi limiti. Spesso accade che persone o programmi automatizzati, chiamati
bot, imitino il comportamento di un normale utente, cliccando gli annunci pubblicitari per generare
finti risultati di efficacia.
I casi di click-fraud ed impression-fraud sono sempre più frequenti e i players della pubblicità digitale
stanno rispondendo con nuovi modelli di pricing. Le nuove frontiere del search advertising sono
parole come programmatic advertising e retargeting.
Nel programmatic advertising l’incontro tra domanda e offerta di spazi pubblicitari avviene in
modalità automatizzata in base al target tipo, permettendo di identificare la pubblicità perfetta per
l’utente perfetto. «Il programmatic comprende una serie di tecnologie che automatizzano l’acquisto,
il posizionamento e l'ottimizzazione degli spazi pubblicitari a livello multimediale e multischermo,
sostituendosi a metodi basati su sole capacità umane – spiega Giovanna Loi, Chief Marketing Officer
della media investment company Group M – Tutto questo ha cambiato la meccanica delle transazioni
media in un modo impensabile prima: si parla di “Learn Then Buy” piuttosto che di “Buy Then
Learn”. Il programmatic consente di utilizzare la tecnologia per personalizzare i messaggi per un
particolare utente, in un particolare momento, in un contesto specifico. Lo storytelling della
comunicazione può seguire l’utente nei diversi momenti del suo customer journey. Non c’è più la
logica del one-fits-all, ma messaggi ad hoc per singoli utenti».
Il retargeting, invece, permette di raggiungere gli utenti che hanno visitato un certo sito in precedenza,
mentre ne stanno visitando un altro, assicurandosi di inviare il messaggio pubblicitario ad un utente
che ha già pianificato delle attività nei confronti dei prodotti pubblicizzati.
Recentemente Google ha riferito che negli Stati Uniti vengono eseguite più ricerche sui dispositivi
mobili rispetto ai PC e questa tendenza è assimilabile anche all’Europa. Poiché sempre più utenti