RIASSUNTO
Le esigenze sempre maggiori di studiare le risposte dell’organismo umano all’introduzione dei
diversi alimenti, hanno spinto allo sviluppo di sistemi di digestione in vitro, in grado di simulare
l’ambiente gastrointestinale dell’uomo.
Attraverso l’utilizzo di tali sistemi è possibile mimare il processo digestivo e ottenere così
informazioni utili sul comportamento dei nutrienti durante la digestione.
Il frumento, nonostante sia il costituente principale della dieta mediterranea, è considerato tra gli
alimenti allergenici, in grado di causare diverse patologie in seguito ad ingestione. È per tale motivo
che lo studio della digestione gastrointestinale del frumento, ricopre un ruolo chiave nel campo
della nutrizione umana.
Fino ad oggi la digeribilità dei prodotti derivati da frumento è stata studiata attraverso semplici
modelli di digestione statica in vitro, che si basano sull’azione di enzimi proteolitici.
Tuttavia, la digeribilità delle proteine può essere influenzata dalla presenza di grassi alimentari
(aggiunti come condimento o intrinseci dell’alimento), che già a livello dello stomaco formano
un’emulsione e altresì dalla presenza di surfactanti.
L’obiettivo di questo studio mira valutare la digeribilità delle proteine di frumento e l’effetto di un’
emulsione olio/acqua in presenza e in assenza di surfactanti (fosfatidilcolina). A questo scopo è
stato messo a punto un modello statico di digestione in vitro che considera oltre l’azione degli
enzimi proteolitici anche la presenza di emulsionanti.
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1 INTRODUZIONE
1.1 LA DIGESTIONE
Per definizione la degradazione dei componenti degli alimenti in molecole più semplici è chiamata
digestione, mentre l’assorbimento comporta il passaggio delle molecole derivanti dalla digestione,
attraverso l’epitelio intestinale, all’interno della circolo sanguigno (A. Hinsberger et al., 2004) .
La digestione avviene grazie a due processi uno meccanico ed uno chimico.
La digestione meccanica include la masticazione, la deglutizione, la peristalsi e l’espulsione dal
corpo delle scorie.
La digestione chimica invece include l’attacco enzimatico dei cibi in bocca, nello stomaco ed infine
nell’intestino (K.K. Reed et al. 2009). La funzione primaria del tratto gastrointestinale è quella di
trasformare i cibi ingeriti, contenti carboidrati, proteine, grassi e macronutrienti, in componenti più
piccoli e assorbire questi nutrienti. Il primo step di questo processo è un azione meccanica di
masticazione che riduce la taglia e rimescola i cibi. Mangiando, molti fluidi contenti enzimi
vengono secreti all’interno del GIT (tratto gastrointestinale) e danno inizio all’idrolisi delle
proteine, dei carboidrati e dei grassi.
Il GIT può essere considerato come un tubo che comincia dalla bocca e termina principalmente con
l’ano, composto dalla faringe, esofago, stomaco, piccolo intestino, colon e dal retto. Per semplicità
si può riassumere che la principale funzione della bocca e dell’esofago è quella del trasporto, lo
stomaco e il colon sono importanti aree di stoccaggio mentre la maggior parte della digestione ha
luogo nel piccolo intestino. All’interno di questo sistema vi sono diverse ghiandole secretorie:
ghiandole salivari, pancreas e sistema biliare. Le cellule dei villi presenti nel piccolo intestino sono
responsabili del processo di digestione e di assorbimento mentre le cellule intestinali sono
principalmente secretive (A. Hinsberger et al.,2004). Inoltre il tratto gastrointestinale è regolato da
ormoni secreti principalmente dallo stomaco e dal duodeno che vengono rilasciati o inibiti in base
alla necessità (K.K. Reed et al. 2009).
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1.2 IL SISTEMA DIGERENTE
La digestione quindi avviene nel sistema digerente; il cibo introdotto dalla bocca viene triturato e
impastato con la saliva e prende il nome di bolo alimentare; una volta deglutito, il bolo attraversa la
faringe per giungere all’esofago e subito dopo allo stomaco. Qui si svolge la parte più laboriosa
della digestione; successivamente il cibo passa attraverso lo sfintere pilorico giungendo
all’intestino. Esso è suddiviso in due parti: l’intestino tenue (circa 6,80 m) e l’intestino crasso (circa
1,80 m). A sua volta, l’intestino tenue è suddiviso in tre parti: duodeno, all’interno del quale si
riversano il succo pancreatico e la bile prodotta dal fegato, il digiuno e l’ileo, che comunica con
l’intestino crasso attraverso la valvola ileo-cecale.
Anche l’intestino crasso si suddivide in tre parti: il colon ascendente, il colon discendente e il retto,
che si apre all’esterno con lo sfintere anale. Se il colon ha poca importanza dal punto di vista
digestivo, ne ha di più dal punto di vista della produzione di vitamine, grazie alla flora batterica che
lo popola, e nel riassorbimento dei liquidi (Atlante di anatomia, 2000) .
1.3 DIGESTIONE E ASSORBIMENTO DELLE PROTEINE: FASE GASTRICA
Un apporto medio adeguato di proteine deve soddisfare approssimativamente il 10-15%
dell’energia complessiva all’interno di una dieta occidentale normale. Questo corrisponde a circa
70-100 g di proteine al giorno per un adulto.
Il primo step nella digestione delle proteine avviene nello stomaco. Al suo interno si accumula il
cibo di tutto un pasto, che vi resta per un certo periodo di tempo, durante il quale viene sottoposto
all’azione digestiva dei succhi gastrici; questi sono caratterizzati da un pH fortemente acido per la
presenza di acido cloridrico secreto dalle ghiandole gastriche. Occorrono 3-4 ore per digerire un
pasto medio, e se i grassi sono molti, la digestione è ancora più lenta.
Come tutte le secrezioni gastrointestinali, il succo gastrico è formato soprattutto da acqua (circa il
90%). L’abbondante presenza di liquidi si rende necessaria per diluire il bolo, che da massa
semisolida diventa un brodo denso che prende il nome di chimo.
Oltre all’acqua e all’acido cloridrico nel succo gastrico sono presenti enzimi digestivi che,
ricoprendo tutti la medesima funzione, vengono chiamati pepsinogeno. L’acido cloridrico è in grado
di attivare il pepsinogeno a pepsina staccando dal pepsinogeno una catena di 40 amminoacidi. La
funzione della pepsina è quella di iniziare la digestione delle proteine.
L’acido cloridrico svolge anche altre importanti funzioni quali la difesa contro i germi introdotti con
gli alimenti e la digestione di tessuti particolarmente resistenti come il tessuto connettivo.
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La pepsina, attivata dall’acido cloridrico, favorisce la formazione di altra pepsina agendo
direttamente sul pepsinogeno. In condizioni di temperatura di 37°C e pH pari a 1,5-2 la pepsina è in
grado di idrolizzare una quantità di proteine pari a 1000 volte il suo peso. A pH superiori a 3,5 la
pepsina perde buona parte della sua attività proteolitica, fino a denaturarsi a valori di pH superiori a
5. Per azione della pepsina le proteine alimentari sono ridotte a peptoni, frammenti più piccoli ma
con dimensioni ancora eccessive per essere assorbiti (fig. 1). La digestione proteica viene quindi
completata nei primi tratti dell’intestino tenue grazie all’intervento delle proteasi pancreatiche ed
intestinali (Tab. 1).
Tab. 1 Proteasi di origine gastrica, pancreatica e intestinale
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Fig. 1 Fasi principali della digestione delle proteine
1.4 VALUTAZIONE DELLA DIGERIBILITA’
Le esigenze sempre maggiori di studiare le risposte dell’organismo umano all’introduzione dei
diversi alimenti, hanno spinto allo sviluppo di sistemi in grado di simulare in maniera soddisfacente
l’ambiente gastrointestinale dell’uomo, superando così i problemi legati all’etica e alla difficoltà
delle analisi su volontari umani.
Focalizzando l'attenzione sul valore proteico degli alimenti, esso corrisponde alla sua capacità di
fornire la quantità di azoto e di amminoacidi necessaria ad assicurare la crescita e/o il
mantenimento dell'organismo. Lo studio di questo parametro è estremamente complesso e procede
per livelli di approssimazione successivi. In prima approssimazione è importante valutare il
contenuto proteico. Alimenti con un contenuto proteico inferiore al 3 % (verdure ed ortaggi tranne
poche eccezioni) non possono essere considerati fonti proteiche e, in linea di massima, approfondire
lo studio risulterebbe di scarsa utilità. Per gli alimenti più ricchi, l'informazione sul contenuto in
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proteine è solo un punto di partenza. Per uno studio nutrizionale è importante conoscere la
composizione in amminoacidi della proteina in esame. Le metodologie analitiche più comunemente
utilizzate in questi due primi livelli di approssimazione sono ben note: il metodo Kjeldhal per il
contenuto proteico totale e la cromatografia ionica sull'idrolizzato per il dosaggio dei singoli
amminoacidi.
La valutazione che viene fatta sulle proteine con i metodi fin qui indicati non è per ora ancora
completa. Infatti la quantità di amminoacidi valutata con metodi chimici non corrisponde sempre
alla quantità effettivamente disponibile per l'utilizzazione da parte dell'organismo. La ridotta
biodisponibilità a seguito del processo digestivo può dipendere da fattori legati alla conformazione
stessa delle proteine, ai legami tra queste ed altri costituenti dell'alimento che ne limitano l’attacco
enzimatico, alla presenza di fattori antinutrizionali come inibitori della tripsina, ai trattamenti
industriali o casalinghi cui l'alimento viene sottoposto prima del consumo oltre che a differenze
biologiche tra gli individui.
Le metodologie utilizzate per questo tipo di studi sono estremamente complesse e vanno dai
tradizionali metodi biologici che si basano su misure di crescita o di bilancio di azoto in funzione
dell'intake (consumo) proteico in animali da esperimento, ai metodi microbiologici che studiano la
crescita sulla proteina in esame di microrganismi (es. Tetrahymena pyriformis) che presentano una
richiesta amminoacidica simile a quella umana.
Particolarmente attuali sono i metodi enzimatici che si basano sulla misura del rilascio di
amminoacidi per azione di enzimi proteolitici in vitro ed in condizioni standard. La messa a punto
di sistemi modello per la predizione in vitro della biodisponibilità delle proteine è un lavoro di
estremo interesse.
Una stima della digeribilità proteica in vitro che rivesta validità assoluta potrebbe derivare
solamente da una idrolisi enzimatica completa irrealizzabile in pratica per la possibilità dì
autodigestione o di digestione crociata degli stessi enzimi e la necessità di adottare metodiche e
condizioni spesso del tutto arbitrarie ed assolutamente svincolate dalla reale situazione in vivo.
I dati reperibili in letteratura si riferiscono quasi esclusivamente a studi di biodisponibilità relativa,
valida cioè solo come confronto tra campioni analizzati con la stessa metodica oppure validatà in
vivo da opportuni esperimenti condotti in parallelo.
In letteratura sono stati descritti vari metodi di digestione in vitro che differiscono sostanzialmente
per il tipo e la quantità, di enzimi usati; per il tempo e le modalità di digestione e per il sistema di
frazionamento ed analisi dei prodotti di digestione. Alcuni metodi non valutano la digeribilità
direttamente dal dosaggio dei prodotti digeriti, ma vi risalgono valutando parametri ad essa
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