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Introduzione
Il contesto economico attuale, ancora caratterizzato dalle turbolenze
conseguenti alla crisi finanziaria globale e da squilibri strutturali tra le principali
economie mondiali, è contraddistinto da previsioni di crescita, per i prossimi
anni, differenziate in base alle varie aree geografiche. In base ai dati del Fondo
Monetario Internazionale
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, la crescita del PIL nel 2013 è stimata pari al 3,5% a
livello mondiale, mentre risulta negativa sia per l’Area Euro (-0,2%) sia per
l’Italia (-1%), con la ripresa prevista solo nel 2014.
L’Italia, come noto, sta attraverso uno dei periodi più tumultuosi dal
dopoguerra, impegnata in una difficile operazione di risanamento dei conti
pubblici, resa ancora più complicata dalle mai sopite tensioni sullo spread del
debito sovrano e dalla ripresa economica che pare ancora lontana nel tempo. Al
rispetto dei parametri imposti dal trattato di Maastricht si affiancano altre “sfide”
per recuperare il ritardo strutturale che il nostro paese ha accumulato rispetto ai
partner europei più virtuosi, affinché si inneschi un processo di ripresa
economica, si abbia maggiore stabilità finanziaria e si riacquisti credibilità
internazionale.
Le riforme devono interessare tutti i settori istituzionali: il mercato del lavoro e
la previdenza, le opere pubbliche e i trasporti, la sanità, la pubblica
amministrazione, la giustizia e hanno l’obiettivo di colmare il gap con i principali
paesi europei, recuperare competitività e produttività e rendere le finanze del
nostro paese maggiormente sostenibili.
La ripresa economica deve basarsi sul rilancio dell’economia reale per evitare
le bolle speculative che creano ricchezza “effimera”. Il tessuto imprenditoriale
italiano è costituito in prevalenza da piccole e medie imprese, solitamente a
conduzione familiare: a livello nazionale le PMI rappresentano la quasi totalità
delle imprese (99,9%) e il 95% di esse presenta un numero di addetti inferiore a
dieci
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. Le aziende di maggiori dimensioni quotate in Borsa, invece, presentano
caratteristiche relative alla struttura proprietaria che le discostano molto dal
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http://www.imf.org, World Economic Outlook, Update January 2013.
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http://www.confcommercio.it/home/SALA-STAMP/Iniziative/2009/Roadshow-P/scheda-PMI-
ITALIA.doc_cvt.htm
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modello di public company tipico dei mercati anglosassoni e il mercato
borsistico italiano risulta ancora poco attraente e sviluppato.
Data la difficile situazione congiunturale, gli economisti e le associazioni degli
imprenditori sono spesso concordi nell’individuare i problemi che affliggono le
aziende italiane: risulta necessario recuperare competitività in tempi brevi,
raggiungere parametri dimensionali tali da poter operare su scala
internazionale, superare le soglie critiche per poter investire in attività di ricerca
e sviluppo. L’imperativo per le imprese è la crescita
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e uno dei mezzi per
raggiungere tale obiettivo in tempi brevi è rappresentato dalle operazioni di
fusione e acquisizione (M&A).
Vari fattori di tipo economico, finanziario e culturale ostacolano l’affermarsi di
tali operazioni sia tra le imprese quotate che tra quelle di minori dimensioni,
sebbene esse rappresentino un’ottima alternativa alla crescita per linee interne;
la ricerca dei benefici privati del controllo pare essere una delle cause principali
che ostacolano lo sviluppo delle concentrazioni. Nel prosieguo verranno
affrontati i temi legati alla crescita aziendale attraverso fusioni e acquisizioni,
sviluppando l’analisi dei fattori scatenanti e delle relative conseguenze.
L’approfondimento di questi temi non può prescindere dal riferimento al
contesto statunitense - dove sono nate le scuole di management - che può
vantare i modelli più avanzati di mercati mobiliari; si tratteranno e metteranno in
evidenza, ove possibile, le peculiarità del mercato italiano.
Il presente lavoro tenta di raccogliere e catalogare le evidenze scientifiche
maggiormente rilevanti in merito alle determinanti delle M&A e ai loro effetti. Si
proverà ad approfondire gli aspetti meno sviluppati in letteratura, quali gli impatti
sull’occupazione e sulle attività di ricerca e sviluppo, anche attraverso due casi
di studio.
La parte teorica viene delineata nei primi quattro capitoli:
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Tale affermazione riprende il titolo di un convegno organizzato a giugno 2012 per illustrare
una ricerca congiunta realizzata dal Cresv (il centro ricerche sulla sostenibilità e valore
dell’Università Bocconi) in collaborazione con Ernst & Young, dal titolo “L’imperativo della
crescita per le aziende italiane: come si crea valore in tempo di crisi?”. Il lavoro è stato
presentato dal Prof. Maurizio Dallocchio, titolare della cattedra di corporate finance alla Bocconi
il quale sostiene che “le operazioni di M&A dovrebbero essere favorite e non osteggiate,
perché la crescita organica è difficile da perseguire in un contesto in cui l’economia è fondata
su settori a non forte crescita. L’obiettivo dell’incremento dimensionale rimane irrinunciabile
per affrontare le sfide dei nuovi grandi mercati, delle nuove tecnologie e delle nuove idee”.
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- Il primo introduce il tema della crescita aziendale e della creazione di
valore, confrontando le varie opzioni strategiche a disposizione delle
aziende: la crescita interna, esterna e le soluzioni intermedie; si mettono
in evidenza i vantaggi e gli svantaggi delle diverse soluzioni.
- Il secondo si focalizza sulle determinanti delle operazioni di M&A, sia
secondo i canoni delle teorie neoclassiche basate sulla razionalità degli
operatori e sull’efficienza dei mercati, sia secondo le ultime teorie
comportamentali. La produzione scientifica sul tema è ampia: si
analizzeranno le motivazioni endogene ed esogene alle imprese, che
favoriscono o talvolta costringono le aziende ad intraprendere operazioni
straordinarie, tentando di individuare i relativi fattori critici di successo.
- Il terzo capitolo indaga gli effetti delle M&A dal punto di vista economico,
cercando di rispondere alla domanda: “le M&A creano o distruggono
valore per gli azionisti?”. Una risposta sintetica non è né semplice né
immediata e risulta emblematica la conclusione a cui giungono due
autorevoli studiosi: “Finally, knowledge of the source of takeover gains
still eludes us” (Jensen e Ruback 1983). In seconda battuta si sofferma
sugli effetti delle M&A su ricerca e sviluppo, sul livello di occupazione e
sulle retribuzioni dei dipendenti, sulla concorrenza e sui consumatori,
sull’integrazione delle strutture coinvolte.
- Il quarto capitolo è incentrato sull’operatività degli intermediari finanziari
legata alle operazioni di M&A; fornisce una panoramica sulle banche
d'investimento, sulle aree di intervento e analizza le differenze nell’offerta
di advisory tra le banche e gli altri operatori del mercato.
La parte empirica è sviluppata nei successivi capitoli:
- Il quinto fornisce un quadro statistico delle operazioni di M&A negli ultimi
anni, sia a livello mondiale ed europeo, ma con particolare profondità in
riferimento al mercato italiano; per quest’ultimo verranno evidenziate le
tendenze in atto, le tipologie di operazioni, gli attori interessati e
l’operatività cross-border.
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- Il sesto riporta il primo caso studio: è una M&A di successo a livello
italiano nel settore delle multi-utilities, la fusione Iride-Enìa che ha dato
origine a IREN.
- Il settimo analizza un caso d’insuccesso a livello europeo: la mancata
fusione Renault-Volvo; dal punto di vista sinergico poteva risultare
un'operazione perfetta, ma i manager delle società non hanno tenuto in
considerazione altri aspetti, quali la cultura aziendale e i sentimenti
nazionalistici degli investitori.
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Capitolo 1 – Le M&A come alternativa alla crescita
interna
SOMMARIO: 1.1 La crescita e la creazione di valore, 1.2 La crescita per linee interne, 1.3 Le
“soluzioni contrattuali”, 1.4 La crescita per linee esterne, 1.5 La struttura proprietaria delle
imprese nel contesto economico italiano.
1.1 La crescita e la creazione di valore
Lo scenario competitivo attuale è caratterizzato da una sempre maggiore
interrelazione tra i mercati e pone, per l'imprenditore, nuove opportunità ma
anche nuove sfide. Queste si sostanziano in una maggiore competizione a
livello globale e in una crescente concorrenza e turbolenza dell'ambiente in cui
opera l'impresa. Per sopravvivere le imprese non possono operare in condizioni
di stazionarietà e proseguire la loro attività in modo inerziale se non per periodi
di tempo contenuti.
La globalizzazione ha, da un lato, aperto nuove opportunità di vendita per le
imprese con la possibilità di servire mercati non ancora maturi ma, dall’altro, ha
esposto gli operatori ad una maggiore concorrenza e competizione, prima
sconosciuta grazie all’esistenza di barriere all’ingresso e limitazioni agli scambi
internazionali. Per capire le tendenze evolutive degli scenari economici e
produttivi è utile soffermarci brevemente sulle cause della globalizzazione:
Caroli (2008) individua quattro fattori principali che sono le cause ma anche gli
effetti di tale fenomeno. La prima motivazione riguarda la crescita di paesi - si fa
riferimento ai cosiddetti BRIC
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, Brasile, Russia, India, Cina - che in passato
avevano un peso economico-industriale limitato e alle loro tendenze
demografiche che ne sospingono lo sviluppo. La seconda riguarda lo sviluppo
delle tecnologie relative a trasporti e comunicazioni che hanno permesso
maggiore mobilità e la possibilità di ridistribuire su scala globale le attività
individuabili tramite la catena del valore di Porter. La terza è rappresentata dai
fenomeni geopolitici e istituzionali, con la maggiore integrazione economico-
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L’acronimo BRIC è stato coniato dal capo economista di Goldman Sachs Jim O’Neal, per
riunire sotto un'unica etichetta le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina.
Recentemente è stato aggiunto il Sudafrica, trasformando l’acronimo in BRICS.
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politica segnatamente a livello europeo. Infine un quarto motivo riguarda la
convergenza di modelli culturali e comportamentali delle persone, soprattutto in
determinati ambiti geografici e in particolari settori merceologici.
Le imprese per sopravvivere devono mantenere nel tempo il loro vantaggio
competitivo
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. Questo può essere espresso e creato dall’impresa sotto due
distinti profili (Pellicelli, 2010):
- La posizione nel settore rispetto ai concorrenti, detto anche strutturale,
secondo cui i vantaggi dell’impresa derivano dalla conquista di un
posizionamento rispetto ai rivali: si traduce in bassi costi o
differenziazione nei migliori segmenti all’interno di un settore ed è
riconducibile alle teorie di Porter sulle strategie generiche.
- L’approccio della resource based theory, secondo cui il vantaggio deriva
dal possesso di risorse e capacità superiori a quelle dei rivali e non
imitabili.
Facendo riferimento al primo punto giova ricordare che le strategie generiche
possono essere espresse in termini di target di clientela che si intende servire
(un intero settore o solo un segmento) e in termini di benefici attesi da parte dei
consumatori (bassi costi o unicità del prodotto). Dalla combinazione di questi
fattori si avranno le strategie riportate nella matrice di Porter:
Figura 1 – Le strategie generiche di Porter
Differenziazione Cost leadership
Focus
Target
Intero settore
Solo un segmento
Vantaggi competitivi
I clienti percepiscono
unicità
Posizione di bassi costi
Fonte: Porter M.E., Competitive Strategy, Free Press, Boston 1980.
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Esistono diverse definizioni di vantaggio competitivo: secondo Kay (1993) un’impresa ha un
vantaggio competitivo quando ha una redditività (misurata in termini di return on asset o return
on sales) superiore alla media del settore; nella letteratura del management invece è definito
come capacità di distinguersi positivamente rispetto ai concorrenti nella percezione dei
consumatori.
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I sostenitori della resource based theory contestano l’approccio della struttura
di settore evidenziando il fatto che il vantaggio competitivo deve essere interno
all’impresa e non esterno e non può essere rappresentato dalla posizione
acquisita. Un’impresa, per prevalere sui rivali, deve quindi possedere risorse e
capacità superiori. Secondo questa scuola di pensiero
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le differenze tra le
prestazioni dei competitor devono essere ricondotte alle competenze e alle
risorse piuttosto che alle differenze nella struttura della competizione. Le ultime
tendenze in tema di strategie aziendali si basano sull’approccio delle value
disciplines secondo cui le fonti del vantaggio competitivo sono diverse a
seconda del segmento di clientela a cui si rivolge l’impresa
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; si privilegia la
flessibilità tentando di creare valore attraverso l’utilizzo congiunto di diverse
leve per raggiungere un vantaggio competitivo superiore. In base alle strategie
perseguibili è possibile denotare gli elementi generici del vantaggio competitivo:
l’efficienza sarà l’elemento centrale in una scelta di competizione basata sul
costo, la qualità sarà l’obiettivo principale per le imprese che puntano alla
differenziazione.
L’innovazione - ovvero la capacità di rinnovare processi e fornire al mercato
prodotti nuovi rispetto ai concorrenti - e l’attitudine a soddisfare le esigenze del
cliente, sia sotto il profilo delle caratteristiche dei beni e servizi sia come tempi
di risposta alle richieste del mercato, completano il “quadro” dei fattori
competitivi generici, ovvero che dovrebbero essere ricercati da ogni impresa, a
prescindere dalla strategia adottata. Le strategie brevemente delineate saranno
un tema ricorrente nel prosieguo dalla trattazione in quanto rappresentano sia i
fattori scatenanti delle M&A, sia i driver che, ex-post, possono essere utilizzati
per individuare quali tipologie di operazioni creano valore. L’impresa che, in
passato, era solita confrontarsi con i concorrenti domestici ora quanto meno
deve rapportarsi a imprese che operano sul mercato unico europeo, risultando
implicitamente più piccola rispetto all’accresciuta dimensione del mercato ed
essendo esposta a una concorrenza “allargata”. A titolo di esempio si riporta
una statistica realizzata dall’ EUROSTAT sulla competitività di costo delle
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Per approfondimenti si veda: Barney (1991) e Grant (2007).
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Day G., Reibstein D., Wharton On Dynamic Competitive Strategy, Wiley, New York, 2004.
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imprese UE
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. Come si evince dal grafico seguente l’Italia è al di sotto della
media europea e si posiziona in fondo alla classifica, precedendo solo la Grecia
e la Spagna; nel caso specifico il risultato è determinato dall’elevato costo del
lavoro presente nel nostro paese rispetto agli altri, ma si vuole evidenziare il
fatto che le nostre imprese non possono più beneficiare di svalutazioni
competitive della moneta per incrementare le esportazioni o ricevere
determinati aiuti pubblici e sono sottoposte a maggiori vincoli e pressioni
competitive a livello internazionale.
Figura 2 – Competitività di costo delle imprese nei paesi UE
Fonte: Eurostat Structural business statistics, valori percentuali.
a) Danimarca, Francia, Irlanda e Malta: dati non disponibili.
b) Anno 2001 non disponibile.
Le imprese, nei limiti dei vincoli imposti dall’ambiente esterno, devono
crescere e la crescita può essere spinta da esigenze oggettive ma anche da
motivazioni personali degli imprenditori e dei manager; queste riguardano
l'ambizione dei maggiori esponenti aziendali ad affrontare sfide sempre più
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Fonte Sito Istat: Noi Italia, Cento Statistiche per capire il paese in cui viviamo, Scheda 64 –
Competitività di costo.http://noi-italia.istat.it/index.php. Il livello di competitività delle imprese è
dato dal rapporto tra valore aggiunto per addetto, la cosiddetta produttività apparente del lavoro
(misura dell’incremento di valore che si verifica nell’ambito della produzione e distribuzione di
beni e di servizi grazie all’intervento dei fattori produttivi: capitale e lavoro) e costo del lavoro
per dipendente.