legati all’attività manuale e artigianale, come le opere di Luciano Caruso, fino ai
moderni progetti di grafica che vedono coinvolte tutte le potenzialità oltre che
dell’intelletto e della creatività umana, anche delle moderne innovazioni tecnologiche,
quali computer e software sempre più all’avanguardia. Particolarmente interessante,
infine, è stato vedere come il design industriale e la grafica abbiano iniziato negli anni
Ottanta e continuano ancor oggi a penetrare e a diffondersi sempre più nel mondo
universitario, grazie soprattutto a esperti di queste materie, come Pino Grimaldi o
Gelsomino D’Ambrosio, fondatori e/o docenti spesso di corsi di grafica e disegno
industriale all’interno delle facoltà di “Scienze della comunicazione” e “Lettere e
Filosofia”, oltreché nell’ambito privato.
2
Capitolo 1
1.1 Design in Italia nella seconda metà del 900
Le denominazioni anglosassoni “design” e “industrial design” vengono ormai
comunemente identificate e tradotte in italiano con quella di "disegno industriale",
sebbene il termine design indichi in senso più ampio la "progettazione attraverso una
rappresentazione obbiettiva con mezzi grafici o plastici"
1
. Tuttavia, per non limitare il
contenuto originario, si preferisce in molti casi mantenere il vocabolo inglese e
chiamare designer il progettista legato al disegno industriale. Per disegno industriale
non si deve intendere né il semplice disegno o schizzo, né il disegno esecutivo, cioè
quell’elaborato grafico contenente tutte le informazioni necessarie per la realizzazione
dell'opera rappresentata; in senso più ampio e complesso, il disegno industriale va
identificato con la progettazione che precede la produzione in serie di oggetti attraverso
un sistema industrializzato, che comprende sia gli aspetti tecnici che quelli estetici e
che prevede gli aspetti propriamente produttivi dell'opera . In particolare è insita nel
concetto di disegno industriale l'idea che l'oggetto progettato dal designer contenga già,
accanto alle qualità tecniche e funzionali, determinate caratteristiche formali e che,
soprattutto, queste ultime individuino la sua unicità rispetto ad altri oggetti simili per
funzione e tecnologia. È nell'aspetto progettuale, appunto, che la qualità del prodotto
industriale si distingue da quella dei manufatti artistici o artigianali. Questi ultimi,
infatti, sono caratterizzati da un lato dall'unicità dell'oggetto, dall'altro dal fatto che le
1
A. SILIPO, Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, Roma 1968, vedi voce “design”.
3
loro caratteristiche estetiche, dovute all'azione dell'artista, sono visibili solo una volta
terminata l'opera. La difficoltà di definire con precisione gli ambiti del design, nonché i
rapporti tra questo e altri settori dell'arte ha determinato notevoli problemi nel proporre
una storia del design. Inoltre, gli innumerevoli settori merceologici in cui si manifesta
il design hanno portato molti autori a frammentare la materia e a proporre tante
differenti storie del design che ne impediscono una visione unitaria. Per ovviare a
queste difficoltà Renato De Fusco ha proposto di utilizzare un "artificio storiografico"
2
che si basi sulla sola fenomenologia del design, scindendolo dalle definizioni teoriche
che lo legano ad arte e architettura. De Fusco individua quattro fattori invarianti che
rendono unitario il processo del design, qualunque sia l'angolazione teorica con cui si
voglia affrontare l'analisi del fenomeno: il "progetto", la "produzione", la "vendita" e il
"consumo". In questo modo, alla fase progettuale e di produzione, già compresa in
quasi tutte le teorie del design, si affiancano quella della vendita del prodotto e della
sua utilizzazione. Viene quindi incluso nel lungo processo che caratterizza il prodotto
industriale il ruolo del pubblico acquirente, che, con la sua adesione o meno per gusto,
convenienza o motivi di prestigio, determina il successo o il fallimento di un prodotto.
È proprio la coesistenza, con uguale peso, di progettisti, produttori, venditori e
consumatori che agiscono in diversi momenti sulla storia dell'oggetto di produzione
industriale a determinare, secondo De Fusco, la differenza tra il processo storico del
design e quello dell'arte e dell'architettura, nei quali i protagonisti sono gli artefici e le
loro opere. Questo tipo di angolazione storiografica ha il limite di trascurare alcuni
aspetti comuni ai diversi processi storici, come ad esempio la committenza, che spesso
assume, sia nel campo delle arti figurative e dell'architettura che in quello del design,
un ruolo fondamentale nelle scelte progettuali: tuttavia, ha il pregio di proporre un
metodo di analisi semplice, che allo stesso tempo comprende fenomeni molto diversi
tra loro ma che discrimina quegli oggetti che non rispondono a tutti i quattro parametri
2
Cfr. R. DE FUSCO, Storia del design, Bari 1985, pp. 7‐10.
4
proposti. Proprio in Italia, come in nessun altro paese, risultano essere separate le
quattro componenti che rendono il design unitario da qualsiasi angolazione lo si voglia
studiare. Tutti i pregi e i difetti della produzione italiana sono da collegare al fatto che i
momenti del “progetto”, della “produzione”, della “vendita” e del “consumo” risultano
autonomi e separati
3
.
In Italia si inizia a parlare di vero design dopo la seconda guerra mondiale. Il
primo decennio post bellico è stato ormai catalogato come quello della
“ricostruzione”
4
e sembra privilegiare due settori d’intervento: l’industrializzazione
dell’edilizia, che è rimasto un problema irrisolto, tranne qualche rara eccezione, e
l’arredamento della casa popolare. Sono anche gli anni in cui si gettano le premesse del
boom economico e di quel benessere che è testimoniato dalla nascita dell’ industria dei
consumi, dall’apparizione e quindi dalla feroce diffusione, degli elettrodomestici e
della televisione. Il disegno industriale italiano nell’affermarsi e dilatarsi proprio in
questi anni, si renderà sempre più originale, superando con maturità da una parte la
ricerca del Bauhaus, dall’altro la specificità del design nordico, attraverso soprattutto la
sperimentazione resa possibile dall’industria. In questo primo decennio del secondo
dopoguerra operano designer che si sono formati ma che hanno anche esordito negli
anni Trenta.
Il punto sulla situazione dell’ “arte nella produzione industriale” si deve, in
questi anni,al “Manifesto per il disegno industriale”, pubblicato nel 1952
5
, dove veniva
sottolineato come la situazione italiana fosse specialissima, stranissima, paradossale,
perché se da un lato non esiste la professione ufficiale del “disegnatore industriale”, vi
è, accanto alle grandi produzioni di magnifica coerenza estetica e di carattere, la
presenza di personalità che proprio nel disegno industriale sono noti nel mondo. Venne
3
Cfr. A. PANSERA, Storia del disegno industriale italiano, Bari 1993.
4
Cfr. ivi, capitolo secondo e R. DE FUSCO, op.cit., p. 258.
5
Si veda: «Domus», n.269, 1952.
5
realizzato e pubblicato dalla rivista specialistica «Domus» un elenco con nome e
cognome di queste personalità che proprio nel disegno industriale “si impongono al
mondo”, tra i quali troviamo soprattutto progettisti nel settore automobilistico, come
Pinin Farina e Revelli, i disegnatori della Piaggio, progettisti di autoveicoli come il
modenese Orlandi e il torinese Viberti, ma anche protagonisti di altri settori, come
industrie attente ai temi del disegno industriale, Visetta impegnata nella realizzazione
di macchine per cucire o Pavoni
6
.
Un’importante funzione divulgativa nei confronti del pubblico, ma anche di
progettisti e produttori è stata svolta in questi anni dalle riviste di settore. Queste
offrivano spazi per confrontarsi, incitavano a non soffermarsi sui successi ottenuti, a
perfezionare le metodologie acquisite. Importante per la sua storicità e autorevolezza in
questo campo è la rivista «Domus», fondata dal padre barnabita Semeria e
dall’architetto e designer Giò Ponti nel 1928. Dopo alcuni avvicendamenti ai vertici,
dal 1948 torna nelle mani del fondatore Ponti (fig.1). In seguito si affiancheranno altre
riviste sempre più settoriali, pubblicate anche da industrie piccole, medie e grandi che
chiameranno intellettuali di chiara fama, come Leonardo Sinisgalli
7
, autore di saggi
puntuali sul rapporto tra produzione e design.
Ancora poco noto è il contributo che ha dato il MAC(Movimento Arte
Concreta)
8
allo sviluppo del disegno industriale. Il MAC si impegnò chiaramente a far
sì che si realizzasse quel progetto di “sintesi delle arti”, tra architettura, scultura, pittura
e industria, come asseriva Gillo Dorfles, il principale teorizzatore del movimento
9
.
Interessante risulta essere l’adesione di Bruno Munari, figura polivalente, che ben
6
Cfr. A. PANSERA, op.cit., cap.5.
7
Singolare figura di ingegnere, scrittore, poeta, manager. Per un approfondimento sulla sua figura cfr. Le muse
irrequiete di Leonardo Sinisgalli, 1908‐1981, a cura di Giuseppe Appella, Roma 1988.
8
Fondato nel dicembre 1948. Per una storia del movimento, cfr. L. CARAMEL, M.A.C. Movimento Arte Concreta,
Milano 1984 o M. MENEGUZZO, Il Mac, Ascoli Piceno 1981.
9
Cfr. M. MENEGUZZO, ivi, p.14.
6
mostra l’interesse della cultura futurista per la “civiltà delle macchine”attraverso il
“Manifesto del Macchinismo”, firmato nel 1952, in cui Munari incita gli artisti ad un
interesse piu’concreto nei confronti del linguaggio meccanico, dell’anatomia
meccanica, della natura delle macchine a discapito dei pennelli, della tavolozza, dei
colori a olio ecc.
10
Le concretizzazioni di questo modo di pensare furono poche e il
MAC riuscì a produrre soltanto alcune mostre e bollettini mensili del gruppo.
Nel 1954 la X edizione della Triennale di Milano sancisce la nascita definitiva
del disegno industriale. Significativi sono stati: la Mostra Internazionale dedicata a
questo tema e un contributo teorico, con il Convegno Internazionale di design. In tre
animati giorni non solo si diede una definizione variegata e precisa del concetto di
disegno industriale, ma vennero affrontate anche valenze sociali della problematica.
Tra i relatori troviamo G. C. Argan che intitolò la sua relazione “Industrial design e
cultura”, mentre i relatori stranieri, come Konrad Wachsmann, sottolinearono la genesi
materialistica di questa disciplina. Grande risalto fu data a questa iniziativa dagli
organi di stampa di grande diffusione, dove personaggi come Sinisgalli
11
divulgarono
la mostra dell’industrial design tenutasi alla X Triennale e parlarono ampiamente del
Convegno che vi si era organizzato.
Gli anni Sessanta vengono ricordati in Italia come gli “anni del trionfo”, anni di
forte crescita economica e culturale e che annoverano tra gli attori principali del
cambiamento di usi e costumi, il disegno industriale. Tra gli elementi che
maggiormente agiscono come propulsori del disegno italiano, ricordiamo L’Adi
12
, la
Triennale, il premio Compasso d’Oro, le riviste di settore e i cosidetti maestri della
10
Si veda M. MENEGUZZO, Munari designer, Roma‐Bari 1993.
11
Vedi nota 7.
12
Preannunciata sulle pagine di «Domus», all’inizio del 1956 prende corpo l’idea di Ponti di un’Associazione per il
disegno industriale. Il suo scopo è promuovere e contribuire ad attuare, senza fini di lucro, le condizioni più
appropriate per la progettazione di beni e servizi, attraverso il dibattito culturale, l’intervento presso le istituzioni, la
fornitura di servizi. Per una cronaca dell’Adi, cfr. A. GRASSI, A. PANSERA, L’Italia del design, Casale Monferrato 1986.
7
“seconda generazione”
13
: Zanuso, Castiglioni, Bellini, Sottsass jr., Mari, che lavorano
per aziende allora alla testa di un modo nuovo di pensare al prodotto, qualunque esso
sia. Molto successo ricevono in questo decennio le aziende del mobile, che scelgono
progettisti a firmare i loro prodotti e li pubblicizzano sulle riviste di settore. Il car
design, insieme al settore degli elettrodomestici scende in campo e si rivolge agli
industrial designer.
Ormai è generalizzato, come si vede,il rivolgersi da parte delle industrie, ad
artisti, architetti progettisti per mettere a punto i prodotti, ma anche l’immagine
coordinata dell’azienda. Un ruolo significativo per l’affermazione del disegno
industriale è stato ricoperto dal premio Compasso d’oro, istituito nel 1954, per
iniziativa dei grandi magazzini La Rinascente e da un’idea di Giò Ponti e Marco
Zanuso; il premio doveva promuovere il design italiano di qualità, in forte espansione
nell’epoca della ricostruzione industriale postbellica. Dal 1962 il premio verrà
assegnato con cadenza discontinua; sempre in quest’anno muteranno i criteri selettivi e
organizzativi; verranno infatti aboliti il premio in denaro e il bando di concorso, inoltre
ogni anno verrà affrontato un tema diverso. Dal 1964 la sola Adi gestirà le edizioni del
premio e oltre ad organizzare la manifestazione, effettuerà controlli culturali dei
modelli pervenuti. I prodotti premiati o segnalati entrano a far parte della collezione
storica del premio Compasso d’oro, conservata presso la Galleria del design e
dell’arredamento di Cantù. Fra i designer che hanno ricevuto il Compasso d’oro negli
anni figurano Marcello Nizzoli, Bruno Munari, Franco Albini, Achille e Pier Gacomo
Castiglioni, Ettore Sottsass Jr, Luigi Caccia Dominioni, Rodolfo Bonetto.
Tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70 si sviluppa in Italia una corrente
del design e dell’architettura, chiamata Radical Design
14
. E' stato un movimento che ha
contribuito a rivoluzionare il modo di progettare e pensare oggetti, arredi e ambienti
13
Cfr. A. PANSERA, op.cit., 1993, p. 147.
14
Cfr. P. NAVONE, B. ORLANDONI, Architettura radicale, Milano 1974 e S. DE STEFANO, Il design radicale, Napoli
1986.
8