II
Con Giordano Bruno viene meno la strutturazione assolutistica di un cosmo regolato
dalla gradazione ontologica tra esseri superiori ed esseri inferiori, mondo sopralunare e
mondo sublunare; viene meno la teoria della “localizzazione degli spazi”, adottata da
Aristotele per predeterminare la posizione dei corpi nello spazio secondo la “teoria dei
luoghi naturali”; ed infine, svanisce il progetto aristotelico in vista di un universo
regolato dal semplice manifestarsi del “movimento” in riferimento all’immobilità
perfetta dell’Essere immoto.
Nell’individuazione del desiderio e dell’immaginazione infinita, concretizzazione
della produzione divina universale, che avviene mediante il movimento estensivo ed
intensivo di Dio, Giordano Bruno si spinge oltre le imminenti teorie copernicane,
aprendo la strada ad una nuova prospettiva cosmica che avrebbe procurato non pochi
sconvolgimenti in ambito etico-religioso. Egli incrementa la visione copernicana in
vista dell’infinito. Promuovere l’infinità del divino (propulsione intensiva), origine del
tutto, ed insieme l’infinità del suo effetto immediato, l’universo (propulsione estensiva),
voleva dire difendere il movimento desiderativo mediante il quale Dio si rivela nella
natura. Movimento desiderativo che interviene sottoforma di soffio vitale globale che
dall’interno della materia, principio costitutivo divino ed universale, concreta la
presenza di Dio nell’attuazione materialistica globale.
Mediante il desiderio creativo divino, Bruno, introduce il concetto di “mutazione
vicissitudinale” che investe il percorso vitale della materia. Se, da un lato, Aristotele è
considerato da tutta la tradizione filosofica, come il pensatore della “FORMA”; Bruno,
di contro, si presenta come il pensatore della “MATERIA”. Egli realizza nella materia il
principio fondamentale costitutivo che s’identifica con Dio, sottoforma di materia
attiva, e con l’esecuzione universale, sottoforma di materia passiva, eliminando il
predominio aristotelico che esigeva la superiorità della forma sulla materia, dell’atto
sulla potenza, della necessità sulla contingenza.
III
Dio, materialità infinita, è considerato, nella speculazione filosofica del Nolano, nella
sua duplice unità potenziale: capacità estensiva della realizzazione universale, e forza
intensiva del desiderio e dell’immaginazione che si propugna sottoforma di Spirito che
dona vita e vigorosità sociale al mondo bruniano.
Gli esseri bruniani rivivono la socialità sottratta agli enti aristotelici, necessitati ad un
principio visualizzante ma non agente. Rimuovendo la trascendenza e l’assolutismo
aristotelico, il Nolano prepara il percorso che lo condurrà, mediante una nuova
prospettiva cosmologica, all’accettazione in ambito morale del “libero arbitrio”(o
libertà), come attitudine umana nell’evoluzione del suo percorso etico-religioso e del
proprio cammino verso il ricongiungimento con l’Origine.
Lo slancio verso l’infinito e la materializzazione del desiderio divino consentono a
Giordano Bruno di elaborare un nuovo concetto di Trinità, disfacendo e superando il
dogma dottrinale trinitario della Cristianità. La figura del Padre, del Figlio e dello
Spirito, si riuniscono in una sola forza vitale e realizzatrice, per donare uguaglianza,
libertà e socialità al mondo bruniano, concretizzandosi nell’azione dello Spirito.
L’attività incessante di questa “Unità Infinita” sottoforma di desiderio di creazione che
risiede nell’Immaginazione divina, si evolve in una dialettica natural-razionale
spontanea che consente la pluralità, la molteplicità, la diversità del manifestarsi
dell’esistenza.
Lo Spirito, di conseguenza, si rivela come il desiderio divino di concretizzazione
materiale, che investe dall’interno la materia, e la rende così come essa si presenta,
senza bisogno di nessun riferimento “necessario” ad un essere trascendente. La materia,
in Bruno, è incaricata, dunque, di una propria autodeterminazione ed in tal modo,
introducendo come principio cosmico, etico-politico e religioso governante l’universo il
suo nuovo concetto di spiritualità agente, viene eliminata la pianificazione dominante ed
egemonica del motore immobile aristotelico.
IV
Ribadendo, di continuo, l’impossibilità dei mezzi conoscitivi dell’uomo, rispetto a
Dio, l’individuo possiede la possibilità di coglierlo, sebbene in modo limitato mediante
la sua manifestazione nella Natura, ove il desiderio e l’immaginazione divina,
sottoforma di Spirito (e mediante il suo incessante movimento), producono le
“mutazioni vicissitudinali”, in cui l’uomo è avviluppato. Il movimento incessante dello
Spirito, di conseguenza, non si risolve, unicamente, come principio fisico di vita
universale (in ambito cosmico), ma soprattutto come principio etico che dimostra
l’apertura alla diversità, alla molteplicità, come critica al sistema occidentale di matrice
aristotelica.
La negazione di una potenza trascendente ed ordinante consente a Bruno di ribadire
l’esistenza divina come principio immanente e panteistico. Nello stesso tempo,
l’ideazione della figura dello Spirito, o l’anima mundi, consente a Bruno di
riconfermare che la manifestazione amorosa di Dio, nella Natura, è continua, illimitata
ed infinita. L’Infinito è costantemente pervaso dal suo stesso desiderio di creazione
tanto da renderlo concreto nell’attuazione della molteplicità universale, compresi i
mondi innumerabili. Si assiste, dunque, ad un amore divino di tipo discendente, che si
dispiega nella diversificazione materiale universale.
Il filosofo Nolano combina la nuova prospettiva cosmologica con l’originale
ideazione dello Spirito, elemento preponderante dell’Unità Infinita e riduce ad unità
Dio, Spirito e Materia. L’amore divino infinito ed il suo incessante desiderio di
creazione rappresentano l’inizio di un processo che si completerà, quando Giordano
Bruno, mediante la trattazione dell’eroico furore, sarà capace di risalire, attraverso le
ombre universali, ed ascendere misticamente all’Assoluto per ricongiungersi con esso.
1
Capitolo primo: Paragrafo primo
Finalismo dell’universo aristotelico e visione teologico-pratica dell’universo di
Giordano Bruno.
La compiutezza e la disposizione ordinata dell’opera che Aristotele ha consegnato
alla storia della filosofia, ambiva a stabilire per lo scibile umano un universalismo
scientifico indubitabile ed incontestabile, scevro da ogni inattendibilità
1
. La precisione
metodologica dell’opera aristotelica si correla con il metodo adoperato per elaborare la
propria visione cosmica, in vista di un universo finito e risoluto
2
. Per comprendere in
che modo il filosofo stagirita ha dispensato alla storia della filosofia occidentale tutta la
sua evoluzione successiva, basta rivolgersi non solo alla disposizione razionale dei suoi
scritti riordinati da Immanuel Bekker per l’Accademia di Berlino
3
, ma anche alla
distinzione che Aristotele stabilisce tra le diverse scienze
4
, ribadendo la superiorità della
1
«Innanzitutto egli aspirava realmente a sviluppare una filosofia sistematica e onnicomprensiva e a
trovare soluzioni correte e definitive alle varie questoni prese in esame. Molto spesso faceva uso delle
conclusioni di una indagine precedente nella successiva, e altrettanto spesso avanzava quelle sue
conclusioni con sicurezza. [...] In secondo luogo, poi, bisogna dire che la sua opera venne studiata per
secoli come se effettivamente contenesse una serie di dottrine dogmatiche. Era nei suoi trattati che si
andava a cercare l’insegnamento risolutivo su ogni questione, e lo studio della filosofia di Aristotele non
si basava certo su un approccio critico, ma sul mero apprendimento e sull’accettazione delle verità che le
sue opere indiscutibilmente contenevano». John Lloyd Ackrill, Aristotele, traduzione a cura di Paolo
Crivelli, Bologna, 1993, p. 19.
2
Aristotele definisce l’universo come una totalità al di fuori della quale non esiste nulla, di conseguenza,
è sottinteso che per lo stagirita l’universo è una totalità finita e risoluta. «Ma, se si prescinde dall’intero
universo, non c’è alcuna altra cosa al di fuori del tutto, e perciò tutte le cose sono nel cielo: chè il cielo,
s’intende è il tutto! Il luogo, invece, non è il cielo, ma, per così dire, l’estremità del cielo, ed è [immobile
limite] contiguo al corpo mobile: e per questo la terra è nell’acqua, questa nell’aria, questa, a sua volta,
nell’etere, l’etere nel cielo: ma il cielo non è affatto in un’altra cosa». Aristotele, Fisica, in Opere, a cura
di Antonio Russo e Oddone Longo, Bari, 2005, volume III, libro quarto (∆), 5, 212b (15 – 25), p. 85.
3
«Le opere di Aristotele sono raggruppate in modo sistematico [...] Questo ordinamento compare
nell’edizione del corpus aristotelico che è postuma. Aristotele, infatti, non aveva scritto i trattati in
quell’ordine [...]». John Lloyd, Aristotele, cit., p. 22.
4
Aristotele, infatti, critica il riconoscimento di una scienza universale a favore della differenza tra i
saperi: «L’insistenza con cui Aristotele, negli Analitici posteriori combatte l’ammissione di una scienza
universale, nella quale si risolvano tutte le altre, fa pensare che egli abbia di mira un bersaglio
storicamente determinato. Questo è facilmente identificabile, non appena si confrontino i passi già
considerati degli Analitici posteriori con altri, delle Etiche e della Metafisica, esprimenti il medesimo
punto di vista ed appartenenti alla polemica condotta da Aristotele contro le dottrine professate
nell’Accademia. I passi in cui esplicitamente rifiuta una scienza universale, sono contenuti
rispettivamente nel I libro dell’Etica Eudomea e nel I libro della Metafisica». Enrico Berti, L’unità del
sapere in Aristotele, Padova, 1965, p. 49.
2
filosofia prima o metafisica
5
(scienza contemplativa), sugli altri ambiti della conoscenza
umana, come la geometria, la matematica o la musica
6
. La compiutezza dell’opera
aristotelica è sostenuta, inoltre, dal sistema tramite il quale ha “pianificato” le regole
della fissità del discorso, mediante l’ideazione delle dieci categorie, essenze universali
ed eterne, oltre le quali non è possibile pensare altre universalità
7
. La veridicità del
discorso logico, che risulta dall’uso e dall’ausilio delle categorie, non ammette, però,
l’alienazione dal mondo reale; al contrario, in Aristotele, si ribadisce la dilazione
all’universo fisico, introducendo, di conseguenza, l’importanza, seppure non prioritaria,
della conoscenza sensibile
8
. È rilevante, dunque, nella filosofia aristotelica il confronto
con il reale, e la comparazione dell’indagine sensibile con il discorso logico mediante i
principi fondamentali di esso (identità o non contraddizione
9
e terzo escluso) che
agiscono nella mente, al fine di garantire la correttezza delle conclusioni discorsive.
L’assetto organico con il quale Aristotele ha sviluppato la scienza logica è
corrispondente al criterio mediante il quale ha edificato la sua visione cosmica in vista
di un universo finito e finalizzato. L’esposizione strutturale dell’universo aristotelico è
5
«C’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale.
Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera
l’essere in quanto essere in universale, ma, dopo aver eliminato una parte di esso, ciascuna studia le
caratteristiche di questa parte. Così fanno, ad esempio, le matematiche. Orbene, poiché ricerchiamo le
cause ed i principi supremi, è evidente che questi devono essere cause e principi di una realtà che è per sé.
Se, dunque, anche coloro che ricercavano gli elementi degli esseri, ricercavano questi principi (supremi),
necessariamente quegli elementi non erano elementi dell’essere accidentale, ma dell’essere come essere.
Dunque, anche noi dobbiamo ricercare le cause prime dell’essere in quanto essere». Aristotele,
Metafisica, introduzione, traduzione e commento a cura di Giovanni Reale, Napoli, 1968, libro Γ , 1,
1003a ( 20- 30), p. 291.
6
Aristotele precisa l’importanza della Metafisica o “teologia” sulle altre scienze in Metafisica, cit., libro
sesto (E).
7
Cfr. Aristotele, Organon: Categorie, Dell’ espressione, Primi Analitici, Secondi Analitici, in Opere, a
cura di Marcello Gigante e Giorgio Colli, Roma-Bari, 2005, volume I.
8
«In certi campi d’indagine è necessario raccogliere direttamente una grande quantità di dati sperimentali
prima di passare all’elaborazione della teoria. Aristotele consiglia di dedicare un largo margine alla
ricerca diretta, secondo la sua stessa abitudine, prima di iniziare la fase di classificazione e
generalizzazione che sfocia nella costruzione teorica». John Lloyd Ackrill, Aristotele, cit., p. 34.
9
«[...] Aristotele discute gli assiomi fondamentali che si applicano a tutto ciò che esiste e sono
presupposti da tutte le scienze particolari. Egli si concentra sul principio di non contraddizione: la stessa
cosa non può essere vera e non vera allo stesso tempo. Non bisogna aspettarsi una dimostrazione di
questo principio, perché deve essere presupposto da ogni argomentazione razionale. Aristotele cerca però
di dimostrare, a chi pretende di dire qualcosa che sia dotato di significato, che non può fare a meno di
assumerlo». Ibid., pp. 185 – 186.
3
contenuta negli otto libri della “Fisica”, testo in cui il pensatore espone le sue teorie
cosmiche e le ricerche delle «[…] cause e dei principi della scienza della natura […]»
10
,
secondo un metodo di ricerca che discende dall’universale
11
al particolare.
Nell’esposizione delle sue teorie cosmiche il filosofo greco mette in discussione le
teorie fisiche dei suoi predecessori. Il “début” della sua opera s’identifica con la
disapprovazione del metodo applicato da Parmenide e Melisso e con la critica nei
riguardi del loro sistema di ricerca, in vista di un principio primo ed immobile; il
filosofo stagirita seguita ad ammonire i pensatori ionici ed il loro supporre, per la
scienza fisica, principi mobili e naturali, quali ad esempio l’aria o l’acqua
12
.
Analizzando criticamente l’esame sulla finitezza ed infinitezza dei principi (critica verso
Democrito), ed infine, schierandosi contro coloro i quali fanno confusione nello studio e
nell’applicazione dell’essere, in quanto “uno ed immobile” nell’ambito delle scienze
naturali, lo stagirita stabilisce il fondamento della sua dottrina metafisica dell’essere
13
.
10
«Poiché in ogni campo di ricerca di cui esistono i principi o cause o elementi, il sapere e la scienza
derivano dalla conoscenza di questi ultimi _ noi, infatti pensiamo di conoscere ciascuna cosa solo quando
ne abbiamo ben compreso le prime cause e i primi principi e, infine, gli elementi _ , è evidente che anche
nella scienza della natura si deve cercare di determinare anzitutto ciò che riguarda i principi». Aristotele,
Fisica, in Opere, a cura di Antonio Russo e Oddone Longo, Roma-Bari, 2005, volume III, libro primo
(A), 184a (11 – 15), p. 3.
11
«È naturale che si proceda da quello che è più conoscibile e chiaro per noi verso quello che è più chiaro
e conoscibile per natura: ché non sono la medesima cosa il conoscibile per noi e il conoscibile in senso
assoluto. Perciò è necessario procedere in questo modo: da ciò che è meno chiaro per natura ma più
chiaro per noi a ciò che è più chiaro e conoscibile per natura. A noi risultano dapprima chiare ed evidenti
le cose nel loro insieme; e solo in un secondo momento l’analisi ci consente di individuarne gli elementi e
i principi. Perciò bisogna procedere dall’universale al particolare: infatti alla sensazione si presenta come
più immediatamente come conoscibile l’intero, e l’universale è, in un certo senso, l’ intero, perché esso
contiene molte cose come parti. Ciò appunto avviene, per così dire, anche per i nomi rispetto alla loro
definizione: essi indicano, infatti, qualcosa nel suo insieme e in maniera indeterminata, come il nome
'cerchio': la definizione di esso, poi, lo determina nelle singole particolarità. Anche i bambini, del resto, in
una prima fase chiamano padri tutti gli uomini e mamme tutte le donne, e solo in una seconda fase
distinguono ciascuna di tali cose in particolare». Aristotele, Fisica, cit., p. 3.
12
Aristotele nella Fisica si riferisce ad Anassimene ed a Diogene di Apollonia, a Talete di Mileto ed ad
Ippone. «Necessariamente o vi è un solo principio o ve ne sono più. E se ve ne è uno, esso è o immobile,
come vogliono Parmenide e Melisso, o mobile, come vogliono i naturalisti, dei quali alcuni sostengono
che il primo principio è l’aria, altri l’acqua». Ibid., p. 4.
13
Per uno studio approfondito della Metafisica di Aristotele, cfr. Giovanni Reale, Il concetto di “filosofia
prima” e l’unità della Metafisica di Aristotele (sesta edizione), Milano, 1994.
4
Unendo le parti adeguate di queste dottrine, rispetto alla propria posizione cosmica,
ma rifiutandone le conclusioni
14
, Aristotele sostiene che si possa ottenere, mediante
l’induzione e la constatazione che tutte le cose in natura si muovono, una teoria
dell’universo incontestabile ed insieme i principi e le cause prime della sua attuazione.
Nella “Fisica” Aristotele per chiarire l’origine della realizzazione universale, riprende
l’antica dottrina dei quattro elementi, inserendola in un contesto nuovo riguardo al tema
del movimento. Il filosofo greco elabora su quest’antica concezione la teoria dei “luoghi
naturali”, secondo la quale ogni corpo semplice o composto, abitante il nostro pianeta,
si muove “necessariamente”
15
perché finalizzato al raggiungimento di uno scopo, in
vista del suo luogo naturale, deciso in base al peso “specifico” del corpo stesso. La
teoria del movimento è inserita da Aristotele nella distinzione tra l’atto e la potenza
16
e
nella loro correlazione alla categoria della relatività
17
. In primo luogo, ogni corpo che si
muove o si sposta nel mondo fisico, si trova o in basso o in alto, in relazione al suo peso
corporeo; in secondo luogo, ogni cosa che si muove, non ha in sé il principio del suo
moto
18
. Ogni corpo in movimento nel mondo fisico aristotelico presuppone la causa del
suo movimento fuori da sé e, di conseguenza, la motilità corporea di ogni entità fisica
coincide con il suo stato potenziale, mentre l’immobilità si riduce a semplice riposo
19
.
14
«Le principali ricerche aristoteliche iniziano, generalmente, con una rassegna delle concezioni
precedenti sull’argomento. Infatti Aristotele ritiene che ciascuna di queste concezioni debba contenere
qualche elemento di verità che va preservato». John Lloyd Ackrill, Aristotele, cit., p. 33.
15
Sulla differenza tra il necessario, la fortuna ed il caso, cfr. Aristotele, Fisica, cit., libro 2 (B), paragrafi
4 – 5 – 6, pp. 36 – 42.
16
Giovanni Reale, La dottrina aristotelica della potenza, dell’atto e dell’entelechia nella « Metafisica »,
Appendice ad Il concetto di “filosofia prima” e l’unità della Metafisica di Aristotele, cit., pp. 341 – 405.
17
«[...] e in primo luogo, come dicevamo bisogna trattare del movimento. C’è qualcosa che è solo in atto,
e qualcosa che è in potenza e in atto: e tale distinzione va applicata all’essenza determinata, alla quantità,
alla qualità e, parimenti, alle altre categorie dell’essere. Per quanto concerne, invece la relazione, si parla
di eccesso o di difetto, o anche di attività e di passività e, in genere del motore e del mobile[…]».
Aristotele, Fisica, cit., libro terzo (Γ), 1, 200b (25-30), p. 52.
18
Ibid., p. 167.
19
«Del resto si muove ogni motore che, come abbiamo detto, mobile in potenza e la cui immobilità si
riduce a riposo (si dice, invero, quiete l’immobilità di una cosa a cui, però, non manca la possibilità del
movimento)». Ibid., libro terzo (Γ), 2-3, 202a (5), p. 55.
5
Secondo la schematizzazione aristotelica della teoria dei luoghi naturali, l’aria ed il
fuoco si muovono necessariamente verso l’alto perché più leggeri, l’acqua e la terra,
invece, si muovono verso il basso, a causa del loro maggiore peso corporeo
20
. Sospesa
al centro dell’universo aristotelico si trova la terra, immobile, in questo spazio limitato
che la contiene, in conseguenza dell’“attrito”che essa ha con gli altri tre elementi e con
il loro peso corporeo
21
.
Il progetto cosmico aristotelico, naturalistico e teleologico insieme, è messo in
discussione dall’opera di Giordano Bruno
22
che, contro ogni forma di assolutismo,
presenta nei Dialoghi Metafisico-cosmologici una teoria dell’universo fondata sul
concetto di infinito, libertà, amore
23
ed uguaglianza
24
.
La staticità e l’invariabilità dell’universo aristotelico compromettono l’assetto
dinamico dato al cosmo dai suoi predecessori; anche Bruno edificherà una teoria
cosmologica dinamica che avrà alla base un principio di agibilità ed ineludibilità:
l’infinito. Nell’universo aristotelico, predeterminato nella disposizione di spazi
necessari, sono presenti luoghi ben stabiliti, e questa predisposizione permette allo
Stagirita di formulare l’idea di un universo finito e, nello stesso tempo, perfetto ed
20
«[...] se il moto è verso l’alto, il corpo sarà o foco o aria, se è quello verso il basso, o acqua o terra».
Aristotele, Del Cielo, in Opere, a cura di Antonio Russo e Oddone Longo, Bari, 2005, volume terzo, libro
primo (A), 2, 269a (15), pp. 243. Ancora continua: «È necessario in verità che tutto ciò che si muove
verso il basso o verso l’alto abbia o leggerezza o peso, o l’uno e l’altra insieme […]». Ibid., libro primo
(A), 3, 269b (15), p. 245.
21
«Essa, però, permarrà [al centro], non perché non vi sia un luogo dove potrebbe essere spostata, ma
perché tale essa è per natura». Aristotele, Fisica, cit., libro terzo (Γ), 5, 205b (10-15), p. 65.
22
Cfr. Giovanni Papuli, Qualche osservazione su Giordano Bruno e l’aristotelismo, «Quaderno filosofico
del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Lecce», 10-11, 1984, pp. 201 – 222.
23
«Se in Bruno sono i concetti di infinito, desiderio e movimento a tenere aperta, nell’infinito stesso,
qell’inesauribile opposizione dialettica che dà origine continuata a nuove possibilità e che corrisponde ad
un’apertura originaria manifestantesi in tutte le direzioni come intenzione desiderativa universalmente
realizzante e che, proprio per questo, si traduce sul piano etico come apertura dell’amore verso una
reciprocità della libertà eguale e fraterna, nella filosofia aristotelica, mediante le diadi forma e materia,
con il prevalere della seconda sulla prima, e potenza ed atto, con il prius dell’ultimo sulla prima, e con il
concetto di fine (entelechia), si assiste alla strutturazione di un sistema che depotenzia e sacrifica la
determinazione finita alla sovraordinazione sostanziale». Giuseppe D’Anna, Stefano Ulliana, Una
modernità mancata, Giordano Bruno e la tradizione aristotelica, in Logos, n. s. 1, Napoli, 2006.
24
Sulla teoria cosmica di Bruno che si trasforma in dialettica della libertà cfr. Stefano Ulliana, Una
modernità mancata: Giordano Bruno e la tradizione aristotelica, Roma, 2004.
6
eterno
25
. La finitezza predeterminata del cosmo aristotelico è in netta contrapposizione
con la posizione cosmologica bruniana, la quale imposta tutta la nova filosofia nolana
intorno al concetto di infinito
26
come elemento che origina la totalità, concepito come
causa e principio di essa.
In Aristotele, l’universo nella sua architettura, è una “scala naturale” i cui gradini
rappresentano una vera gerarchizzazione della natura, alla quale appartengono tutti gli
esseri viventi. Esso è suddiviso in due parti: la zona celeste e la zona terrestre,
differenziate dalla natura del movimento presente in esse
27
. Da questa distinzione
gerarchizzata, fisica ed ontologica, Aristotele trae le seguenti conclusioni: il mondo
“inferiore”, la terra, risulta essere composto dai quattro elementi e dai loro movimenti
semplici, i moti rettilinei
28
, mentre al di sopra di esso, scissa, si trova la dimensione
“superiore” (l’aither, l’etere o il cielo
29
) al di fuori della quale non esiste nulla
30
e nella
quale si muovono di moto perfetto (il moto circolare) gli altri pianeti. Le due zone sono
delimitate dalla sfera della luna e la composizione dei pianeti del mondo sopralunare
25
Cfr. nota 1.
26
«Ciò che vi è di più caratteristico nella filosofia di Giordano Bruno è il mutato significato del termine
«infinito». Nel pensiero classico greco l’infinito era un concetto negativo, si identificava con lo
sconfinato e con l’indeterminato. Privo di limiti e di forma, esso è inaccessibile alla ragione umana, che si
muove nel regno delle forme e che può capire soltanto quel che è formato». Ernst Cassirer, Saggio
sull’uomo, Roma, 1071, p. 65.
27
«Cosicché se il movimento primo è proprio di un corpo per natura primo, e se il movimento circolare è
primo rispetto a quello rettilineo, e quello rettilineo è proprio dei corpi semplici – infatti cosi il fuoco
come i corpi formati di terra si muovono in linea retta, il primo verso l’alto, gli altri verso il basso e in
direzione del centro –, avremo necessariamente che anche il moto circolare sarà proprio di qualche corpo
semplice; perché il moto dei corpi composti, come abbiamo detto, è a seconda della parte che prevale
nella mescolanza di quelli semplici. Da tutto questo risulta, come si vede, evidente, che v’è per natura
un’altra sostanza corporea oltre alle formazioni a noi note quaggiù, più divina ed anteriore ad esse tutte».
Aristotele, Del Cielo, cit., libro primo (A), 2, 269a (25-30), p. 244.
28
«[...] vediamo infatti che il moto proprio del fuoco è quello che parte dal centro e segue la linea retta. E
però, traendo le conseguenze di tutto questo, non si potrà fare a meno di convincersi che oltre ai corpi che
si trovano quaggiù e che ci circondano, c’è n’è un altro, separato, la cui natura ha tanto più pregio quanto
più esso è lontano dal mondo di quaggiù». Aristotele, Del Cielo, cit., libro primo (A), 2, 269b (10-15), p.
245.
29
«Considerando il corpo primo come un’altra sostanza, oltre a terra, fuoco, aria e acqua, essi chiamarono
il luogo eccelso etere, e gli diedero questo nome perché esso corre sempre nell’eternità del tempo».
Aristotele, Del Cielo, cit., libro primo (A), 3, 270b (20), p. 247. Ancora continua: «[…] diciamo cielo il
corpo immediatamente contiguo all’estrema orbita del Tutto, nel quale si trovano la luna, il sole e alcuni
degli astri, anche questi infatti noi diciamo che sono nel cielo». Ibid., p. 267.
30
«[...] perché fuori del cielo non vi è, ne è possibile che venga ad essere, alcun corpo. » Ibid., p. 268.
7
differisce, materialmente, dalla composizione del mondo inferiore poiché, Aristotele, né
dà una collocazione divina, giustificandola con l’asserzione secondo la quale «[…] essi
sono nel cielo […]»
31
. Secondo questa disposizione cosmica, ogni elemento
dell’universo aristotelico è posizionato nel suo specifico luogo e con il suo specifico
movimento. In questa teoria fisica che si realizza mediante una correlazione alternata di
finitezza e perfezione
32
si apre lo spazio necessario alla dilatazione dell’assolutezza
dell’Uno
33
inteso come principio primo ed immobile, causa prima e fine ultimo di ogni
movimento del mondo fisico.
È questa strutturazione cosmica che permette allo stagirita di negare l’esistenza fisica
del vuoto, o meglio, di rifiutarne la ragione propria del suo essere, quindi, di negare
l’infinito
34
. L’esistenza fisica del vuoto comprometterebbe la cosiddetta “localizzazione
degli spazi” utilizzata da Aristotele nell’ambito fisico (teoria dei luoghi naturali), per
stabilire la posizione cosmica di ogni corpo in base al suo peso specifico
35
. Nel vuoto,
così come nell’infinito, secondo lo stagirita, è impossibile delineare la posizione che il
31
«[...] siamo soliti infatti chiamare per eccellenza “cielo” il luogo estremo e più elevato, nel quale
diciamo anche avere la sua sede quanto v’è di divino». Aristotele, Del cielo, cit., p. 267.
32
Sull’atto di finitezza aristotelico e la dialettica della perfezione e del termine, opportuno cfr. Stefano
Ulliana, Una modernità mancata: Giordano Bruno e la tradizione aristotelica, pp. 21 – 31., ed. cit.
33
Cfr. Miguel Angel Granada, Giordano Bruno e l’interpretazione della tradizione aristotelica:
l’aristotelismo e il cristianesimo di fronte all’«antiqua vera filosofia», in L’interpretazione nei secoli XVI
e XVII, a cura di G. Canziani e Y.C. Zarka, Milano, 1993, pp. 59 – 82.
34
«È insomma, chiaro che è impossibile affermare nello stesso tempo l’esistenza di un corpo infinito e
quella di un luogo per i corpi, se è vero che ogni corpo sensibile ha o peso o leggerezza e che, se è
pesante, esso per natura viene spostato verso il centro, se, al contrario, leggero, viene spostato verso
l’alto. Ciò, infatti, dovrebbe necessariamente valere per l’infinito, ma è impossibile o che esso sia tutto in
qualsivoglia dei luoghi, o che la sua metà subisca entrambi questi spostamenti: come in verità potrai
dividerlo ?». Aristotele, Fisica, cit., libro terzo ( Γ), 5 ,205b (20-25), p. 65.
35
«Una delle prime affermazioni che Aristotele cerca di dimostrare è che il mondo è un corpo finito e non
infinito (come pensavano in molti). Tra le varie argomentazioni di cui fa uso per negare la possibilità di
un universo infinito, una riguarda il peso. Aristotele sostiene che il peso di un corpo infinito non potrebbe
essere finito, ma se supponiamo che sia infinito, si ha una contraddizione. Infatti un corpo infinitamente
pesante percorrerebbe una distanza determinata ad una velocità infinitamente maggiore che un qualsiasi
corpo finito. Ma per quanto breve fosse il tempo impiegato dal corpo infinitamente pesante, vi sarebbe un
qualche rapporto definito tra quello e il tempo impiegato dal corpo finito, pertanto il corpo infinitamente
pesante non si sarebbe mosso ad una velocità infinitamente maggiore». John Lloyd Ackrill, Aristotele,
cit., p. 41.
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corpo occupa, proprio perché il vuoto e l’infinito sono entità che non occupano luoghi,
di conseguenza, sono privi di un “alto”, un “basso” o un “centro”
36
.
Ciò che vale per Democrito, il quale oltre ad intuire il movimento degli atomi nel
vuoto, precorre la teoria sull’inerzia, risulta infondato per Aristotele, che afferma
l’impossibilità fisica di uno spazio non occupato da un corpo, negando, quindi, il vuoto
come spazio infinito.
Il filosofo dell’antichità dedica molte pagine della “Fisica” alla dimostrazione
dell’inesistenza dell’infinito: nel libro terzo egli afferma che «[…] conviene a chi si
occupa della natura, meditare sull’infinito, se esso è o non è; e se è, che cosa mai esso
è». Mettendo in discussione la concezione ideale dell’infinito platonico, e criticando il
sistema matematizzante dei pitagorici (Platone applica sia alle cose sensibili sia alle idee
36
La teoria dei “luoghi” e la fissità dei pianeti viene criticata da Giordano Bruno ne L’immenso e gli
innumerevoli, a cura di Carlo Monti, Torino, U.T.E.T., 1980, pp. 433 – 435. «Dovunque nell’universo è il
centro. Quindi vediamo che i mondi sono al centro dell’etere non meno di quanto lo sia la Terra. Tutti gli
astri, tra i quali è un unico Sole, si muovono di moto rotatorio, anche le stelle fisse. Le comete non
differiscono in niente dai pianeti, se non nella disposizione rispetto alla nostra vista, per cui, talvolta, la
loro luce viene riflessa a noi come da uno specchio obliquo. Il centro dello spazio infinito può essere
stabilito dovunque. Da ogni parte, ugualmente, infatti, si estende un’uguale grandezza. Bisogna, quindi,
convincersi non un limite incombe sui corpi della natura, ma l’armonia della vita, contemplata dal senso e
dall’anima che è in essi. Quindi è assurdo che il tutto si muova attraverso il vuoto e che vadano vagando
verso indeterminati ricettacoli dello spazio i mondi emergenti dall’Oceano che, invece, percorrono
ininterrottamente le loro orbite intorno ai principi della vita; tra di essi i Soli si muovono con un giro più
breve e quasi nullo. Qui Delio appare variare il suo diametro non perché intorno a lui si trovi l’orbita
eccentrica della Terra, ma perché la potenza dell’anima vuole che tutte le cose siano mosse e che i mondi
girino sempre nell’ambito della propria orbita. Questo è, infatti, il frutto della vita, questo il segno della
vita, questo il principio della vita, questo si accompagna sempre alla vita. Così chiamiamo fisso un astro
che brilla. In tal modo, infatti, appaiono i corpi luminosi rispetto ai pianeti: ma chi riuscisse ad osservarne
il corpo con sguardo più penetrante di quello del volgo, facilmente potrebbe negare che, ad eccezione dei
sette pianeti, tutti gli altri mantengono un’uguale distanza dall’orbita su cui si trova il punto di
osservazione. Paragona, infatti, una stella più piccola con una stella della Vergine o con qualsiasi altra
grande stella che più disti da quella: in diversi momenti la vedrai a diverse distanze. Queste cose furono,
secondo me, scoperte dallo studio dei fisici e provate dall’evidenza del senso interno parecchi lustri or
sono e ora le trovo pienamente confermate dalle osservazioni del dotto danese Tycho che scoprì molte
cose con sagace ingegno e le mostrò conforme ai sensi. Si dissolve così l’immagine di un ciel che tien
fisse le sue stelle entro saldi legami e che trascina in un unico movimento tutti i corpi celesti ai quali non
sarebbe consentito di muoversi per una loro forza interna più di quanto sarebbe consentito di muoversi ad
un nodo del legno, se il legno resta fermo. […] Lo testimonia in questa nostra epoca la comparsa delle
comete che lo Stagirita ritiene che si possano formare solamente nelle concavità dell’orbita lunare e che
non possano stare al di sopra di essa; infatti, per nessun motivo crede che il cielo sia variabile perché non
è fendibile, non cede, non è penetrabile, ma questi corpi erranti stanno al di sopra dell’ orbita lunare, ora
avvicinandosi ora allontanandosi sempre più rispetto alle parti della Terra. Viene, quindi, solcato lo
spazio in maniera che non risulta vuoto e neppure completamente pieno e, invero, una determinata
sostanza riempie lo spazio, è accessibile a tutti i corpi, in essa i corpi del mondo possono essere
sottomessi alle leggi eterne del moto e della quiete».
9
il concetto di infinito; i pitagorici lo attribuiscono agli elementi numerici
37
), Aristotele
mette in luce in che modo è considerato l’infinito in Anassagora e Democrito, che lo
ipotizzano come principio delle cose generate, quindi finite. Questa enunciazione serve
allo stagirita per confutare l’“aporia” riguardo alla speculazione anassagorea:
l’insolubilità logica rispetto alla nozione di infinito
38
.
L’infinito, secondo Aristotele, non può esistere idealmente come principio, né
materialmente, sottoforma di sostanza o essere in atto
39
, dunque, nemmeno come corpo
semplice o composto. Con queste asserzioni il filosofo greco mostra l’impossibilità che
l’infinito esista; un corpo che sia fisicamente infinito non esiste, poiché il corpo è ciò
che è sempre delimitato da una superficie
40
, da uno spazio definito. Lo spazio è, per
Aristotele, sempre il luogo
41
ben stabilito che un corpo occupa
42
: non c’è spazio vuoto
senza un corpo, ossia non c’è infinito
43
. L’esistenza del luogo è dovuta, pertanto,
all’esistenza fisica del corpo, mentre la sua essenza è il movimento. Il luogo è, di
conseguenza, «[…] il limite, cioè del corpo contenente (in quanto esso è contiguo al
37
Aristotele, Fisica, cit., libro terzo ( Γ), 4, 203a (5-15), p. 59.
38
«A ragione tutti pongono l’infinito come principio: infatti non è possibile che esso sia invano né che gli
appartenga altra potenza, se non quella di principio: tutte le cose, infatti, o son principio o sono da un
principio, ma dell’infinito non vi è principio, perché questo sarebbe il suo limite. Inoltre, è ingenerato e
incorruttibile, proprio perché è un principio: necessariamente, infatti, il generato ha un termine e di ogni
cosa soggetta a distruzione c’è una fine. Perciò, come noi diciamo, di esso non c’è principio, bensì risulta
che esso è principio delle altre cose e che tutte le contiene e le governa tutte». Ibid., p. 59.
39
«È chiaro, infatti, che non si può ammettere che l’infinito esista come un essere in atto o come sostanza
e principio: difatti, qualsiasi parte desunta da esso sarebbe infinita, se esso fosse divisibile in parti (invero,
ciò che è all’infinito, è infinito esso stesso, se pur l’infinito è sostanza e non è in relazione a un sostrato);
sicché esso è indivisibile o è divisibile all’infinito. Ma che la medesima cosa sia molti infiniti, è
impossibile [...]». Ibid., libro terzo (Γ), 5, 204a (15-20), p. 61.
40
«Orbene: se, partendo da tali premesse, conduciamo l’indagine con logica coerenza, dovrebbe risultare
che un corpo infinito non c’è. Se, difatti, si chiama corpo ciò che è limitato da una superficie, non
potrebbe esserci un corpo infinito né come intelligibile né come sensibile (anzi, neppure il numero, in
quanto separato, è in tal guisa infinito [...]». Ibid., p. 62.
41
In Aristotele il concetto di luogo è così definito: «Che cosa mai, dunque noi potremmo stabilire che sia
il luogo ? Per la sua particolare natura esso non è un elemento né può derivare da elementi, siano essi
corporei o incorporei. Esso, infatti, ha una grandezza, ma non è affatto un corpo, mentre gli elementi dei
corpi sensibili sono corpi, e dagli elementi intelligibili non deriva alcuna grandezza». Ibid., libro
quarto (∆), 1, 209a (15), p. 74.
42
«Infine: come ogni corpo è in un luogo, così anche in ogni luogo c’è un corpo». Ibid, p. 75.
43
«Tutto il sensibile è per natura in qualche luogo, e per ciascuna cosa particolare vi è un luogo, e questo
è il medesimo per la parte e per il tutto, ossia per tutta la terra e per una sola zolla, per il fuoco e per una
sola favilla». Ibid., libro terzo (Γ), 5, 205a (10), p. 63.
10
contenuto). E chiamo contenuto un corpo che possa esser mosso mediante
spostamento»
44
. In assenza dello spazio (il luogo), il movimento non può avvenire. Di
conseguenza, si chiede Aristotele, «[…] se lo concepiamo come un luogo privato di
corpo dove mai, quando ci sia un vuoto, sarà spostato il corpo che gli è posto dentro?
Non certo verso tutte le direzioni! Lo stesso discorso vale anche per quelli che credono
in un’esistenza separata del luogo nel quale il corpo viene spostato. Come mai, infatti,
potrà esser spostato o potrà permanere l’oggetto che gli è posto dentro?»
45
. La risposta
è legata alla teoria del movimento che ogni corpo presuppone, sia nel mondo inferiore
che in quello superiore. Aristotele ne dà un’ampia delucidazione nel libro quinto della
“Fisica”, dove sostiene che nel mondo terrestre vi sono diversi tipi di movimento: un
movimento secondo qualità, uno secondo quantità, un tipo di movimento che delinea la
posizione del corpo nel luogo, ed infine un movimento di alterazione del corpo. Il
movimento secondo qualità, non è quello della sostanza, ma ciò di cui un corpo è
affetto, ed esso si manifesta, ad esempio nel passaggio da un colore ad un altro. Il
movimento secondo quantità è quello che si riferisce all’accrescimento o alla
diminuzione del corpo, quello di posizione si ascrive, invece allo spostamento che il
corpo attua, quando cambia luogo. Infine vi è un movimento di alterazione del corpo,
come quando, ad esempio, il legno bruciando diviene cenere
46
. Al contrario, il mondo
superiore è dotato di un unico moto (circolare) uniforme e perfetto, conforme
all’attribuzione divina di questa dimensione. Il movimento del mondo sublunare,
inoltre, può essere naturale o violento; il moto naturale è legato alla teoria dei luoghi
naturali e si attua in relazione al moto che il corpo compie in base al suo peso specifico,
nel raggiungimento della sua posizione originaria; il moto violento, al contrario, si
realizza quando un corpo, a causa di un qualcosa di esterno, si muove in senso contrario
44
Aristotele, Fisica, cit., libro quarto (∆), 4, 211b (35)- 212a (5), p. 83.
45
Ibid., p. 91.
46
Ibid., libro quinto (Γ), 2, 226a (25-35) – 226b (5), p. 123.
11
rispetto al suo luogo
47
naturale. Il peso del corpo si rivela come l’elemento determinante
per la direzione del moto e per il tempo
48
in cui esso avviene; dunque, per stabilire la
posizione e l’orientamento del corpo
49
, nello spazio, sono fondamentali, in ogni caso,
l’inconsistenza o la densità di peso. Di conseguenza, i corpi leggeri si muovono verso
l’alto (sfera della luna), mentre i corpi pesanti tendono verso il loro luogo naturale che
rappresenta il centro della terra. Aristotele, definisce, in questo modo, le cause di ogni
movimento, sia dei moti naturali che di quelli violenti. Gli esempi sui moti sono desunti
sempre da esperienze quotidiane; così per i moti violenti, in assenza di un’indagine sulla
forza gravitazionale, lo stagirita fornisce l’esempio della pietra scagliata in aria che
torna verso il basso.
In quest’universo così delineato, ogni corpo che nel mondo terrestre si muove dei
moti sopraelencati, non ha in sé il principio del movimento e si muove in vista del
raggiungimento di uno scopo ad esso esterno. Ogni corpo che si muove, è mosso da uno
scopo estrinseco, in un discorso che, però, non si ripete all’infinito
50
. Ogni corpo che si
muove, è mosso da una potenza motrice esterna e superiore ad esso
51
. Per gli esseri
47
Il luogo per Aristotele è, inoltre, determinato da tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità. Esso
non perisce, mentre le cose che sono in esso si distruggono. Cfr. Aristotele, Fisica, ed. cit., libro quarto
(∆), 1, 209a, pp. 74 – 75.
48
Sulla spiegazione del tempo cfr. Aristotele, Fisica, cit., libro quarto (∆), 10 – 11, pp. 99 – 105. Il tempo
coesiste con il cambiamento, poiché è proprio nel tempo che si attua il cambiamento: «E, infatti, nel
tempo le cose nascono, periscono e si accrescono e nel tempo si alterano e sono spostate». Ibid., p. 113.
49
«Sia, dunque, il corpo A spostato attraverso la grandezza B in un tempo Γ e attraverso la grandezza
∆, che è più sottile, in un tempo E: se la lunghezza di B e quella di ∆ sono uguali, il tempo sarà
proporzionato alla resistenza del corpo che fa da attrito. Siano, infatti, B acqua e ∆ aria: di quanto l’aria è
più leggera e più incorporea dell’acqua, di tanto A passerà più veloce attraverso ∆ che attraverso B. Vi
sarà, dunque, tra velocità e velocità la medesima proporzione che intercorre tra l’aria e l’acqua; sicché se
la sottigliezza è doppia, il corpo percorrerà la grandezza B in un tempo doppio che la grandezza ∆ e,
quindi, il tempo Γ sarà doppio del tempo E [...]». Ibid., libro quarto (∆), 8, 215b (5-10), pp. 92 – 93.
50
Aristotele lo dimostra in Fisica, cit., libro settimo (H), prima redazione, 241b (35), p. 167: «Tutto ciò –
che – si – muove è necessariamente mosso da qualcosa: se, infatti, non ha in sé il principio del
movimento, è evidente che è mosso da altro […]». E lo ribadisce in Fisica, cit., libro settimo (H), prima
redazione, 242a (50 ), p. 168: «Poiché tutto – ciò – che – si – muove è necessariamente mosso da
qualcosa, qualora una cosa, compiendo un movimento locale, abbia come motore un’altra cosa mossa, e,
a sua volta, questo motore sia mosso da un’altra cosa mossa, e quest’ultima sia mossa da un’altra, e così
via sempre, è necessario, allora, che vi sia qualcosa che faccia da primo motore e che non si proceda
all’infinito».
51
Non esiste secondo Giordano Bruno un ente superiore e dislocato che offre la possibilità del
movimento all’interno dell’universo, poiché la potenza divina non ha luogo ma è in tutti i luoghi