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In quella sede ci si interrogava sul modo in cui i nuovi mezzi di comunicazione hanno
modificato la nostra percezione delle guerre, dei conflitti più dimenticati del Terzo e
Quarto Mondo.
In secondo luogo, questo lavoro intende essere il punto di approdo di una serie di
riflessioni, cominciate in sede di tesi triennale, sul rapporto tra sfera pubblica e sfera
privata. Analizzando l’opera di John Rawls, e in particolare di quello che è ormai
comunemente definito il “secondo Rawls”, il Rawls di Political Liberalism, si
giungeva in quella sede a riferire molte delle aporie del filosofo statunitense al
problematico rapporto, appunto, tra sfera pubblica e sfera privata. Questo lavoro
vuole allora rappresentare un approfondimento di quella questione, attraverso lo
studio di autori molto legati a e molti influenzati da Rawls: gli autori della cosiddetta
deliberative democracy.
In terzo luogo, la scelta definitiva è stata frutto dei suggerimenti dei due docenti che
mi hanno seguito in questo lavoro. Suggerimenti che hanno trasformato questa tesi in
corso d’opera, estendendo il campo d’indagine oltre il nucleo originario,
rappresentato appunto dalla deliberative democracy.
Questa tesi può perciò essere letta in due modi diversi. Il primo percorso, che è poi
quello seguito nell’indice e nella disposizione dei capitoli, è un percorso cronologico.
Il secondo percorso è invece il percorso che ripercorre la tesi dal suo nucleo
originario, rappresentato dal terzo capitolo, risalendo poi, negli altri due capitoli, alla
radice degli argomenti in esso discussi.
I tre capitoli, di cui questa tesi si compone, mettono a fuoco tre diverse
interpretazioni della sfera dell’opinione pubblica.
La panoramica che ne emerge non è naturalmente esaustiva né esauriente di tutte le
letture che, nel corso degli anni, sono state offerte a proposito della sfera pubblica.
Nel 1965 uno scienziato americano, Harwood Childs, tentò di raccogliere tutte le
definizioni, presenti nel patrimonio letterario, di “opinione pubblica”. Il compito,
particolarmente arduo, portò alla raccolta di ben 50 definizioni.
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L’episodio è raccontato in E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio, Meltemi, Roma 2002, p. 108
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Da allora sono passati quarant’anni, e sicuramente il numero di definizioni si è
moltiplicato. Sarebbe stato perciò complesso, oltre che tedioso, tentare un’impresa
simile in questa sede.
La logica che ha, invece, guidato chi scrive nella scelta degli autori è stata quella di
individuare, nel vastissimo ed eterogeneo panorama di posizioni, quelle definizioni
che risultassero più interessanti riguardo al legame tra formazione del consenso e
strutturazione dell’identità individuale.
Il faro che ci cha guidato è insomma l’interesse non per una sfera pubblica slegata
dagli altri ambiti di vita, bensì per la sfera pubblica nelle sue interazioni con la sfera
privata. Ciò che abbiamo cercato di costruire è una panoramica delle posizioni sulla
sfera pubblica, da cui in controluce emergesse una possibile lettura alternativa; una
lettura, cioè, che rimodulasse le tradizionali convinzioni sulla sfera privata, nell’ottica
di un contributo di questa alla salvaguardia di un reale potere critico dell’opinione
pubblica.
L’opinione pubblica rappresenta, infatti, la sede in cui emergono tutte le difficoltà e
le contraddizioni delle società in cui viviamo. Quelle società che gli esponenti della
Scuola di Francoforte definivano “a capitalismo avanzato”.
L’opinione pubblica si colloca, infatti, al centro di una serie di intersezioni, tutte
vitali per capire come la formazione del consenso funzioni, come influisca sulle
decisioni politiche e, più in generale, sulla vita di una democrazia.
Il primo e più elementare snodo è rappresentato dal rapporto tra sfera della politica e
clima d’opinione. Ciò che, in questo caso, è essenziale capire è quale sia il verso del
vettore democratico.
La democrazia è quella forma di gestione del potere in cui, al di là della forma
(diretta o rappresentativa) in cui essa si articoli, è la volontà popolare a contare come
fattore di decisione primario. Articolare questo assunto in società altamente
complesse significa riflettere anche sul modo in cui l’opinione dell’elettorato viene
interpretata, gestita, resa pratica politica.
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Qui i problemi si moltiplicano. Da un lato si tratta di comprendere in che modo i
rappresentanti devono svolgere il proprio mandato, ascoltare il flusso che circola in
tutti i canali a disposizione dell’opinione pubblica. Ciò significa anche confrontarsi
con la possibilità che il dibattito sulla stampa, in televisione, sia un dibattito elitario,
di cui l’elettorato è semplice fruitore.
Dall’altro, ancora più profondamente, questo dibattito si struttura grazie alla presenza
dei poteri forti del mondo della comunicazione, i quali sono, palesemente o meno,
portavoce di interessi di lobbies. Dunque di interessi privati, piuttosto che del
benessere pubblico. Di questi aspetti e delle loro approfondita analisi, dalle origini
sino al mondo contemporaneo, è stato acuto interprete il giovane Habermas, al centro
del secondo capitolo di questo lavoro, e di cui torneremo a parlare tra breve.
Un secondo snodo tocca invece i rapporti tra sfera della cultura e opinione pubblica.
In questa chiave la formazione del consenso diventa un tassello di una molto più
ampia rete, funzionale alla riproduzione dello stesso universo simbolico. L’opinione
pubblica, e i mezzi di cui si serve per la propria diffusione, sarebbero insomma
ingranaggio dell’industria culturale. Attraverso la televisione, la stampa, ma anche il
cinema, la musica, la fotografia, la società riesce ad ottenere dagli individui una
fedeltà assoluta, molto più efficace di quella che si potrebbe ottenere attraverso la
coercizione.
Da queste considerazioni è facile individuare anche l’ultimo snodo essenziale ai fini
della comprensione dell’indagine che abbiamo compiuto sulla sfera pubblica. Lo
snodo cioè tra sfera della personalità e opinione pubblica. Se l’opinione pubblica è un
mezzo di cui il sistema sociale si serve per la propria conservazione nei confronti
dell’individuo, allora viene spontaneo chiedersi se il processo possa essere capovolto.
Se, cioè, intervenire sulla formazione della personalità, per creare individui meno
inclini all’omologazione, possa essere una risorsa rigeneratrice rispetto a un
panorama di opinioni pubbliche drogate dai media.
Se si è seguito con attenzione questo excursus si giunge alla conclusione che la sfera
pubblica è la sede in cui i tre pilastri di ogni indagine sociologica, ma anche
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filosofica, nel senso in cui Habermas parla della filosofia come “scienza
ricostruttiva”, sono implicati in tutta la loro problematicità: cultura, società e
personalità.
Proprio nel valutare questi aspetti si è ritenuto opportuno dedicare i tre capitoli
rispettivamente alla Scuola di Francoforte, a Habermas, e alla deliberative
democracy.
Nel primo capitolo si sono analizzate le posizioni sull’argomento degli esponenti
della Scuola di Francoforte. Il riferimento a Horkheimer, Adorno e Marcuse era un
atto obbligato innanzi tutto perché questi autori sono stati testimoni e critici di due tra
i più interessanti esempi di articolazione dell’opinione pubblica.
L’uso dei mezzi di comunicazione nella Germania nazista (come nell’Italia fascista) e
la complessa articolazione dell’industria culturale negli Stati Uniti della metà del
secolo scorso, rappresentano un test forse irripetibile, in quanto ad intensità, per una
teoria che voglia confrontarsi col tema dell’opinione pubblica.
Nel corso del capitolo si sono individuati i principali nuclei argomentativi, comuni ai
diversi testi presi in considerazione. La figura del dominio, in tutte le sue
articolazioni, è il centro dell’analisi della società degli autori in questione.
In questo quadro l’opinione pubblica è organica all’industria culturale che è
strumento della perpetuazione del dominio. L’opinione pubblica è letta da questi
autori come semplice cassa di risonanza in cui le maggioranze trovano continuamente
sostegno per le proprie opinioni.
Ma tanto le maggioranze quanto le loro opinioni sono prodotti di laboratorio. È
l’industria culturale a indottrinare gli individui sino a spersonalizzarli. Grazie a
questo processo, la società di massa è riuscita a spezzare ogni forma di resistenza
individuale.
Queste sono ormai argomentazioni note a tutte, sono divenute quasi luogo comune.
Sono divenute esse stesse opinione pubblica. Abbiamo cercato allora di leggere i testi
della Scuola di Francoforte attraverso una lente che potesse condurci a conclusioni
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diverse, meno radicalmente pessimistiche sulla sorte della sfera pubblica nelle società
di massa.
Ciò non significa che abbiamo forzato l’interpretazione di opere come Dialettica
dell’illuminismo o L’uomo a una dimensione. Violentare un autore per utilizzarlo a
conferma di una propria tesi, oltre che intellettualmente deprecabile, risulta poco
efficace, quando l’obiettivo sia l’individuazione di una coerente via d’uscita per una
questione come l’opinione pubblica.
Ciò che invece abbiamo cercato di compiere è un’operazione che coniugasse una
lettura fedele e critica degli autori, con la valorizzazione di passaggi delle loro opere
da cui trasparisse una “promessa di felicità” inaspettata in autori catalogati ormai
come “apocalittici”.
In questo senso, abbiamo trovato una sponda importante soprattutto in Marcuse, nella
cui opera non mancano riferimenti alla possibilità di resistenza dell’individuo, alla
possibilità di liberazione che si aprono, pur se in forma di spiragli, anche nella
dimensione unidimensionale delle società di massa.
Dunque, se in questi autori è esclusa ogni possibilità di riconvertire in senso critico
l’azione della sfera pubblica, è per noi di grande interesse che le uniche speranze
siano riposte nella difesa del privato. Un privato ovviamente interpretato in modo
molto diverso rispetto al significato che a questo termine si attribuisce nel linguaggio
comune e anche in sede di dibattito filosofico.
Non mi dilungo qui nell’analisi di questo argomento, che è invece dettagliatamente
illustrato nel primo capitolo del presente lavoro. Un’ultima considerazione a
proposito di tale capitolo mi si consenta però di anticiparla. Uno dei principali limiti
della teoria critica della società è, a nostro modo di vedere (in questo sostenuti però
da tutta una serie di critici), la scarsa autonomia attribuita alla sfera della politica in
senso proprio. Nulla di nuovo o particolarmente originale, ma proprio a questo
carattere nel corso delle nostre argomentazioni abbiamo legato il giudizio impietoso
che i nostri autori esprimono sulla sfera dell’opinione pubblica.
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È certo suggestivo cercare paralleli tra il clima di mobilitazione totale delle dittature
di destra della prima metà del Novecento e il ruolo dell’industria culturale nelle
democrazie di massa. Una filosofia che voglia essere parte attiva e propositiva nella
critica sociale deve però essere in grado di segnalare i punti di differenza. Capire cosa
salva una società dal totalitarismo, cosa rende più stabile e meno scivoloso il delicato
terreno su cui sorge lo Stato di diritto.
Il secondo capitolo del presente lavoro è, invece, dedicato alla parabola del pensiero
di Habermas a proposito della questione della sfera pubblica. Da Storia e critica
dell’opinione pubblica a Fatti e Norme, il sociologo tedesco non ha mai smesso di
considerare il terreno della sfera pubblica come il principale banco di prova della
propria teoria e di ogni costruzione di critica sociale.
Anche in questo caso, trattandosi di testi ormai considerati come classici, si è cercato
di individuare delle linee guide coerenti con gli obiettivi di ricerca e proposta teorica
che ci si era prefissi. Sulla base di queste considerazioni, molta attenzione è stata
dedicata a quel processo di svuotamento della sfera pubblica e della sfera privata, in
favore di un unico contenitore: la sfera del sociale.
Questo processo sorge per Habermas dall’incontro di due tendenze contrapposte. Lo
stato da un lato assume molti dei compiti che erano patrimonio della società; la
società dall’altro si struttura sempre più sulla base dell’ordinamento statale.
Dunque socializzazione dello stato e statalizzazione della società. A pagarne le spese
è quella sfera pubblica che era stata un elemento caratteristico della società borghese.
Quella sfera pubblica che era il luogo in cui sorgevano e venivano discusse opinioni.
Un luogo di critica indipendente e distinto rispetto alla sfera della politica. Con la
scomparsa di questa sfera, anche la sfera del privato subisce un grave contraccolpo.
L’unica attività che si consente di svolgere nella sfera privata è la gestione del tempo
libero. Anch’esso però strutturato in base ai diktat dell’industria culturale.
Habermas, tuttavia, non cade nello stesso pessimismo dei propri maestri, poiché
crede in un potenziale critico sempre presente nella sfera dell’opinione pubblica.
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Tale potenziale, se messo in moto, può rigenerare continuamente la sfera della
politica istituzionale e garantire che la democrazia deliberativa funzioni in modo
efficace. L’opinione pubblica, nelle società complesse, non può pensare di essere in
prima persona il motore della politica.
Può invece tentare di indirizzare il potere amministrativo secondo indicazioni più
coerenti con le proprie indicazioni. Ma quali sono gli strumenti di pratica politica che
possono metterci in grado di realizzare una compiuta politica deliberativa?
Questo è l’interrogativo che guida gli studi dei deliberativisti, tema del terzo e ultimo
capitolo di questa tesi.
Il vantaggio, in questo segmento di lavoro, è stato quello di avere di fronte un terreno
se non vergine, almeno poco battuto. Il dibattito a proposito della democrazia
deliberativa è, infatti, tutt’altro che sedimentato. In questo caso, dunque, si è cercato
di tracciare un quadro quanto più completo possibile, ma senz’altro provvisorio.
Obiettivo della ricerca è stato rintracciare le radici storiche e teoriche di queste
posizioni. Capire cosa legasse questi autori a pensatori come Rawls e Habermas, e
cosa da essi li distinguesse. Comprendere quale fosse la collocazione di questo filone
di pensiero, rispetto al dibattito tra i diversi modelli di democrazia.
Ma ciò su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione di chi scrive è stato il
sondaggio deliberativo. Il sondaggio deliberativo è uno strumento di rilevazione
dell’opinione pubblica, ideato dal politologo americano James Fishkin.
Non voglio qui ripetere il modo in cui tale sondaggio è pensato e funziona. Nel corso
del lavoro ciò è spiegato in maniera piuttosto precisa. È opportuno, invece, spendere
qualche parola sulle conclusioni cui si è giunti nel valutare l’opportunità e l’efficacia
dell’utilizzo di questo strumento per migliorare lo stato di salute dell’opinione
pubblica nelle nostre democrazie.
La conclusione a cui siamo giunti è che certo il sondaggio deliberativo può essere
uno strumento per incentivare la partecipazione dei cittadini alla vita politica della
propria comunità. Esso può essere un valido antidoto a quella ignoranza razionale che
è uno dei mali che affligge le società democratiche, soprattutto in Occidente.
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Il rischio che si corre è, invece, di ritenere che i sondaggi deliberativi, trasformati in
pratiche istituzionali da utilizzare più o meno frequentemente, una volta pilotati dalla
classe politica, costituiscano un’alibi per una cristallizzazione dell’agenda politica.
Insomma, la strada verso una compiuta democrazia non prevede facili scorciatoie.
Non esistono soluzioni definitive, non si può abbassare la guardia. La politica è un
regno complesso, in cui ogni mossa può risultare ambivalente, in cui anche il
migliore artificio istituzionale può essere piegato alle esigenze contingenti di una
parte o dell’altra.
In definitiva, anche per i temi dell’opinione pubblica, il vero banco di prova è la
pratica politica, di cui la filosofia politica deve farsi giudice attento e severo, senza
legare le proprie analisi alla difesa di un modello, per quanto le prospettive di una sua
buona riuscita siano probabili.
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Capitolo I
Opinione pubblica e industria culturale: la Scuola di
Francoforte
Una premessa necessaria
Quell’eterogeneo gruppo di intellettuali che si è soliti definire come Scuola di
Francoforte rappresenta un punto obbligato di confronto per un lavoro che voglia
mettere a tema l’opinione pubblica.
Innanzi tutto, perché l’universo teorico in cui si svolgono le loro analisi è elemento
indispensabile per comprendere l’humus in cui è sorta la trattazione, ormai divenuta
classica, che, della sfera pubblica borghese, ha dato Habermas.
Inoltre la spietata analisi della società e della cultura di massa, svolta da Adorno,
Horkheimer e Marcuse, rappresenta una sfida a ogni facile ottimismo riguardo alle
sorti delle nostre democrazie.
È chiaro che, parlando della vastissima produzione collegata in qualche modo alle
attività dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, è stato necessario scegliere
un criterio di selezione per la raccolta di materiale utile ai fini dei nostri intenti
argomentativi.
Abbiamo scelto di utilizzare come testi centrali di riferimento il celebre capitolo su
“L’industria culturale” della Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer e
L’uomo a una dimensione di Marcuse.
Ad una attenta ricostruzione storica, che un lettore esperto non può esimersi dal
compiere, l’accostamento può sembrare indebito. I due testi, infatti, pur essendo
accomunati da una fortuna di critica e di pubblico straordinaria, appartengono a due
momenti diversi della Scuola di Francoforte.
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Quando Marcuse scrive L’uomo a una dimensione, l’Istituto per la ricerca sociale si è
già ritrasferito in Germania. Marcuse è tra coloro che hanno deciso di rimanere negli
Stati Uniti ed è, tra i membri più anziani del gruppo, colui che è rimasto su posizioni
più radicali.
La Dialettica dell’illuminismo è invece il frutto più maturo della “cattività”
statunitense. Le tesi contenute in questo libro, nella loro radicalità e nel loro
pessimismo, sono comprensibili solo tenendo presente gli anni (siamo in piena
Guerra mondiale), le vicende storiche (il nazismo, la persecuzione degli ebrei), le
traversie personali, la condizione intellettuale di emigranti, che ne segnano ogni
pagina.
Tuttavia, lo stesso lettore, filologicamente attento, non potrà negare, e in questo ci
sentiamo confortati dalle interpretazioni di molti critici, che i due testi siano legati
dall’idea che “i rapporti sociali dominanti tendono a permeare di sé ogni sfera della
vita, ogni settore pur minimo dell’organizzazione sociale, sino a non lasciare
eventualmente spazio ad alcun residuo di vita autonomo.”
2
Questa analisi, che trascina e soffoca ogni pia illusione sulle potenzialità di
trasformazione presenti nelle società a capitalismo avanzato, non può che
rappresentare una sfida a ogni teoria della democrazia esigente.
Inoltre, in un capitolo dedicato alla Scuola di Francoforte, è necessario chiarire la
prospettiva di interpretazione utilizzata ai fini di una disamina critica del concetto di
opinione pubblica.
Non è, infatti, scontato il collegamento tra opinione pubblica e industria culturale.
Tale collegamento è invece frutto del particolare approccio al regno della cultura
negli autori in questione.
Se da un lato, infatti, si afferma, come abbiamo sottolineato in precedenza, che la
totalità sociale tende a informare di sé ogni ambito della vita (dalla famiglia alla
politica, dalla religione alla tecnologia); dall’altro invece gli autori in questione
tendono a trattare in modo differenziato questi stessi ambiti.
2
L.Gallino, Introduzione a H.Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino 1999, p.X
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Alla cultura è assegnata una importanza sicuramente superiore a quella attribuita alla
politica. In questo i nostri pensatori si incuneano in una lacuna del marxismo
tradizionale. Il marxismo tradizionale, ortodosso, aveva, infatti, quasi ignorato quello
che per l’Istituto sarà invece l’oggetto costante dei propri sforzi teorici: la
ricostruzione e l’analisi della sovrastruttura culturale della società moderna, come
chiave di interpretazione per la scomparsa delle forze <<negative>> e critiche
all’interno della società stessa.
Da questa prospettiva si può più facilmente comprendere l’analisi della cultura di
massa. Ci si può inoltre più facilmente spiegare il motivo per cui nelle opere degli
esponenti della Scuola di Francoforte il tema della opinione pubblica non sia trattato,
come avviene invece nei teorici della democrazia (anche nell’ultimo Habermas), nella
cornice più generale dei temi della politica, ma sia inserito nelle complesse dinamiche
dell’industria culturale.
Tutte queste precisazioni non devono tuttavia diventare fuorvianti. L’inserimento
della Scuola di Francoforte all’interno della nostra trattazione non è solo strumentale,
non è solo un esempio, un monito. Questo capitolo sulla Scuola di Francoforte non
contiene solo una pars destruens. Ciò che invece ci ha guidati nella lettura delle opere
in questione è anche l’intento di cercare, nella complessa matassa rappresentata
dall’opinione pubblica, una via d’uscita, una forma di soluzione che possa essere
complementare (e non banalmente alternativa) rispetto a quelle che ispirano gli autori
della deliberative democracy.
Per chiarire questa posizione è necessario addentrarsi nei testi in questione e seguire
gli autori nelle loro argomentazioni.