CAPITOLO I
1. DAMIEN HIRST
E volevo essere famoso. Volevo essere un artista famoso. L'arte è più importante dei soldi. Però ci
serve molto più potere di quello che abbiamo grazie ai soldi.
1
DAMIEN HIRST
Damien Hirst è un artista inglese,
nato il 7 giugno del 1965 a Bristol, nella
regione meridionale dell'Inghilterra. Poco
dopo la nascita si trasferì insieme alla
madre (Mary Brennan) a Leeds, dove
passerà gran parte della sua giovinezza e
dove seguirà un corso alla Leeds School of
Art.
“Sono rimasto per due anni a
spasso, guardavo in giro, facevo dei
lavoretti. Appena finita la scuola
superiore avevo fatto domanda al St.
Martin, però non mi hanno preso. Avevo
un amico, Marcus Harvey, che
frequentava il Goldsmiths College. Per
due anni avevo passato in rassegna tutti i college, ma a quel punto era ridicolo
decidere se fare pittura o scultura, perché facevo di tutto. Quindi pensai che il
Goldsmiths fosse il posto adatto a me.”
2
1 D. Hirst e G. Burn, Manuale per giovani artisti: l'arte raccontata da Damien Hirst, Postmedia books, Milano
2004, p. 71.
2 Ivi, p. 16.
4
Damien Hirst
Dopo la scuola superiore a Leeds, dunque, riuscì nel 1986 ad iscriversi al corso di
BA Fine Art al Goldsmiths College di Londra, dopo aver tentato inutilmente l'accesso al
St. Martin, college di Arte e Design sempre nella capitale inglese. Si diplomò nel 1989.
Il Goldsmiths College in quegli anni aveva un programma di studi che non prevedeva
distinzione tra pittura e scultura e non era requisito fondamentale saper dipingere o
disegnare, “tu vai lì e fai quello che ti pare, è questo il motivo iniziale che mi ha spinto
ad andarci”
3
.
Durante il secondo anno di college, nel 1988, organizzò Freeze, una mostra
allestita in un deposito nella zona portuale di Londra, nella zona di Docklands. Alla
mostra parteciparono, oltre ad Hirst, diciassette studenti suoi colleghi al Goldsmiths,
l'artista di Leeds si occupò dell'intera gestione dell'esibizione, ricercò gli sponsor e lo
spazio espositivo, scelse lui stesso le opere da esporre e curò il catalogo e
l'inaugurazione. In quel periodo (per circa un anno) lavorava presso la galleria Anthony
d'Offay e fu determinante per la nascita di Freeze, perché fu in galleria che Hirst capì i
cosiddetti trucchi del mestiere.
“Imballavo i quadri e li appendevo in galleria. Così avevo visto il mondo dell'arte
da quel punto di vista. In un certo senso mi piaceva tutto questo. In quel periodo vivevo
con Hugh, un mio amico di Leeds, che lavorava con me. Un giorno mi telefonò
dicendomi che stava pensando di organizzare una mostra. Chiedeva la mia opinione,
perché voleva fare una mostra a Leeds con altri artisti. […] Ma non la fece mai. Così
credo che mi venne l'idea... […]. Al Goldsmiths c'era davvero ottima arte, creata dagli
studenti. Ad un certo punto mi resi conto che quello che si faceva al college era meglio
di quel che vedevo nella galleria dove lavoravo. Mi ero convinto che quegli studenti
fossero fottutamente bravi. Ed ero consapevole, in un certo senso, del fatto che nessuno
di noi sarebbe potuto sopravvivere nel mondo dell'arte così com'era allora. Dunque,
molto semplicemente mi venne in mente di fare una mostra. Scelsi tutte le persone che
già avevano fatto un lavoro brillante. […] Andavo in giro alla ricerca di un posto e
trovai questo vecchio edificio, che non sapevo a chi appartenesse. […] «Avremo
bisogno di denaro». Così domandai loro di finanziarci [ai dirigenti della società a cui
apparteneva l'edificio] Ci dettero una piccola somma, di circa mille sterline. […] Poi
3 Ibidem.
5
recuperai le luci usate da d'Offay, perché lì non c'era luce, mentre in galleria le
avevamo buttate via, abbandonate in una specie di cassonetto. […] A Londra c'erano
due grosse società di sviluppo: c'era la Docklands e un'altra, chiamata Olympia &
Yorke […]. Mi presentai da Olympia & Yorke chiedendo altre diecimila sterline per
fare il catalogo, il che come richiesta poteva suonare un po' troppo azzardata, ma
accettarono. Insomma, chiunque avvicinai mi disse di sì al primo colpo. Così facemmo
il nostro catalogo e poi la nostra mostra, che fu intitolata Freeze”
4
.
Il lavoro che Hirst portò in esposizione era composto da scatole di cartone
decorate con del lattice. Freeze è considerata la mostra che diede avvio al movimento
degli Young British Artists, di cui Hirst è l'esponente più rappresentativo, il punto di
partenza della carriera artistica di quel gruppo di studenti che hanno rappresentato la
corrente artistica britannica, una vera e propria mostra di auto-promozione. “La classe
del Goldsmiths che partecipò a Freeze- Hirst, Matt Collishaw, Gary Hume, Michael
Landy, Sarah Lucas e Fiona Rae - fu quella che in Gran Bretagna ebbe forse più
successo in ogni tempo in termini di carriera artistica”
5
.
Nei due anni successivi, nel 1989 e nel 1990, Hirst promosse insieme a due suoi
amici Bellee Sellman e Carl Freedman due mostre collettive: rispettivamente Modern
Medicine e Gambler.
Nella mostra del 1989 furono esposti quattro pannelli con quattro fotografie di medicine
cabinet (comuni nell'opera di Hirst) che vennero anche forate ed etichettate. Gambler,
del 1990, fu allestita nello stesso edificio di Modern Medicine, una fabbrica
abbandonata che chiamarono Building One, nel quartiere di Bermondsey (zona
meridionale di Londra), ma il contributo di Hirst, inizialmente fu limitato alla sola
organizzazione preliminare, poiché dopo una lite con gli altri due amici l'artista di Leeds
lasciò il progetto e Sellman e Freedman continuarono da soli.
Dopo qualche tempo Hirst fu invitato nuovamente a partecipare, i tre tornarono a
collaborare e l'artista contribuì alla mostra con una serie di lavori con mosche (i fly
piece), di cui la più importante fu un'opera diventata in seguito tra le più celebri del suo
4 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo archeologico nazionale,
Electa, Napoli 2004, p. 55.
5 D. Thompson, Lo Squalo da 12 milioni di dollari, Mondadori, Milano 2009, p. 87.
6
lavoro: A Thousand Year (Un
migliaio di anni), “una
rappresentazione della vita e
della morte nella quale delle
larve di mosca venivano fatte
schiudere in una vetrina e poi
spinte a superare una
separazione di vetro dalla
presenza di una testa in
decomposizione di una
mucca. Infine venivano
fulminate a metà del loro
tragitto”
6
. Era possibile
seguire l'intera evoluzione
della decomposizione, il
visitatore poteva tornare a guardare l'opera qualche giorno dopo e avrebbe trovato uno
scenario diverso, la testa sempre più scarna e smunta e il cumulo di mosche sempre più
grande. Per la costruzione dell'opera Hirst si rivolse ad un fabbricatore, non la costruì
lui personalmente (come farà per le altre opere in teca) ma fece solo un modellino in
scala in cartone e lavorò preliminarmente sugli elementi.
L'idea del fly piece deriva anche dalla volontà di Hirst di utilizzare il vetro come
elemento della composizione: “ho sempre amato i quadri di Bacon. E il vetro mi è
sempre piaciuto, perché è come qualcosa di pericoloso che ti tiene a distanza. Puoi
vederci attraverso, ma è solido. Mi è sempre piaciuta questa idea. Avevo messo il vetro
nei medicine cabinets. Mi piaceva molto usare il vetro in modo che non ci fosse la
cornice di un quadro. Inoltre volevo fare un'opera d'arte che aveva come oggetto
qualcosa d'importante. Ci pensavo in continuazione. […] Volevo fare un'opera d'arte
con un certo peso, una certa importanza e ci pensavo continuamente. Così mi venne
l'idea del fly piece. Ricordo che pensavo che volevo fosse come un Naum Gabo, o
qualcosa di simile, come punti nello spazio. Pensavo che le mosche potessero essere
6 Ibidem.
7
Damien Hirst, A Thousand Year, 1990
come punti nello spazio, in movimento nello spazio. Dunque decisi che volevo queste
due zone, nettamente separate, ma dove potevi ben vedere all'interno. Non doveva
necessariamente essere vetro; poteva anche essere una rete o qualcosa del genere.
Penso di aver visto in Dan Graham qualcosa di simile, alla galleria Lisson”
7
.
A Thousand Year fu acquistata al termine dell'esposizione da Charles Saatchi
(pubblicitario anglo-iracheno e tra i più importanti collezionisti contemporanei) che ne
rimase stupito, in realtà, per fare un passo indietro, il rapporto tra Hirst e Saatchi era
cominciato già con la mostra Freeze, che il collezionista visitò. Proprio in
quell'occasione Saatchi decise di iniziare a collezionare alcuni lavori dell'artista inglese
e di altri artisti del gruppo che diventò successivamente quello degli YBAs (Young
British Artists). Fu però con la visita alla mostra Gambler e l'acquisto di A Thousand
Year che Saatchi si offrì di finanziare il lavoro futuro di Hirst.
Nel 1991 l'artista di Leeds allestì insieme a Tamara Chodzko la sua prima
personale in uno spazio autogestito: In & Out of Love. I lavori portati in esposizione
furono due cabinet pieni di bicchieri per l'acqua, dal nome rispettivamente I Can See
Clearly Now e We Don't See Eye to Eye, inoltre espose per la prima volta i lavori con le
farfalle: “[...] Più in là, come procedevi, c'era un tavolo che nascondeva i radiatori; e
appoggiate sul piano c'erano delle scodelle con acqua zuccherata e pagliette per pulire
le pentole, colorate per attrarre le farfalle, oltre a quattro umidificatori. Alle pareti i
quadri. C'era un monocromo bianco con dei ripiani sopra e c'erano delle larve vive di
farfalla incollate sopra. Le farfalle nascevano dal quadro e volavano intorno, quindi
c'era un ambiente per farfalle. C'erano monocromi bianchi. Al piano di sotto c'era un
altro lavoro con dei portacenere sopra e tele con farfalle morte, annegate nella vernice.
C'erano quattro scatole con dei buchi. Simili alle scatole che avevo usato per i fly
pieces, una scatola lunga circa un metro con un buco su ogni facciata, […] quindi misi
questi elementi nello spazio, che dovevano sembrare delle scatole dalle quali le farfalle
uscivano per andare a morire nella vernice o qualcosa del genere. Bizzarro. Ecco
com'era.”
8
Un anno dopo, i lavori degli YBAs, che Saatchi accumulò nella sua collezione
7 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit. pp. 70-72.
8 Ivi, pp. 74-77.
8
privata furono esposti nella prima mostra assoluta dedicata al gruppo, organizzata dal
collezionista stesso: Charles Saatchi's Young British Artists del 1992. Prima della
mostra collettiva, il gruppo non aveva ancora il nome che oggi lo contraddistingue, fu
proprio l'esposizione del 1992 a sancire la nascita, la consacrazione e l'etichetta degli
Young British Artists. La mostra fu allestita alla Saatchi Gallery, la galleria privata di
Saatchi, tra le opere esposte fu presentata di nuovo A Thousand Year, ma il pezzo
senz'altro più importante, che caratterizzerà successivamente l'opera di Hirst, è The
Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (L'impossibilità fisica
della morte nella mente di un essere vivente). L'opera è composta da uno squalo tigre
lungo oltre 4 metri posto in una vetrina riempita di formaldeide.
“The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living è un vecchio
titolo, è stato il primo pezzo che ho fatto. In effetti era una frase tratta da un testo che
avevo scritto su Robert Longo. Scrissi semplicemente che il suo lavoro parlava
dell'impossibilità
fisica della morte
nella testa di un
essere vivente.
[…] Mi piaceva e
mi è rimasto in
mente, ho sempre
desiderato fare un
lavoro con gli
squali... guardavo
fotografie e
leggevo storie
sugli squali, sulla loro capacità di terrorizzare. Allora ho cercato di capire se potevo
avere uno squalo in galleria, non volevo dipingerlo, né avere un bel cibachrome, un
lightbox o una foto. Poi ho pensato, se riuscissi ad averne uno in un grande spazio, nel
liquido, grande abbastanza da spaventarti, in modo che pensi di essere li con lui e che
ti possa mangiare, allora funzionerebbe”
9
.
9 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 18.
9
Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone
Living, 1991
L'opera fu precedentemente commissionata e acquistata da Saatchi, che finanziò il
progetto anticipando ad Hirst 50.000 sterline, l'artista in questo modo poté rivolgersi ad
un pescatore australiano,Vic Hislop, che catturò lo squalo e lo spedì in Inghilterra, dove
sotto la direzione e la supervisione dell'artista inglese venne trattato e sistemato nella
teca di vetro riempita di formaldeide da una squadra di tecnici. L'opera fu rivenduta
successivamente (nel 2005) da Saatchi al collezionista Steve Cohen tramite la
mediazione del gallerista Larry Gagosian per 12 milioni di dollari e l'operazione rese
all'epoca Hirst l'artista vivente più quotato dopo Jasper Johns, quella cifra risultava la
più alta mai pagata per l'opera di un artista vivente (ad eccezione come già detto
dell'artista statunitense), ma l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo
successivo.
Hirst fu il primo ad esporre uno squalo come opera d'arte, ma non fu il primo ad
avere l'idea di esporre uno squalo. Nel 1989, ben tre anni prima rispetto all'esposizione
di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living alla Saatchi
Gallery, un negoziante di nome Eddie Saunders appese al muro (nel suo negozio di
elettricista a Londra) un pesce martello che nel 2003 fu provocatoriamente esposto con
il titolo A Dead Shark Isn't Art (Uno squalo morto non è arte) alla Stuckism
International Gallery di Londra. Saunder mise in vendita lo squalo ad un milione di
sterline con la seguente pubblicità: “«Saldi di fine anno: squalo per un milione di
sterline soltanto; risparmiate 5 milioni di sterline sulla copia di Damien Hirst»”
10
e
sottolineò, a differenza di Hirst, lo sforzo di averlo catturato lui stesso con le proprie
mani e che il suo era migliore, ma nonostante la pubblicità considerevole che ne derivò
non ricevette neppure una proposta d'acquisto.
Le opere di Hirst presentano titoli molto elaborati e complessi che contribuiscono
alla loro lettura. Il motivo di questa scelta è legato alla capacità dei titoli di porre una
riflessione e di invitare lo spettatore a cercare di intuirne il significato. A volte nasce
prima il titolo e in seguito l'opera.
“I titoli per me sono solo una verbalizzazione che serve a visualizzare quel che
faccio con la scultura. A volte l'idea della scultura nasce insieme al titolo. […] Con A
Thousand Years il titolo è venuto dopo. Avevo la scultura e ho cercato un titolo. Penso
10 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., pp. 88-89.
10
che con lo squalo avevo in mente da prima il titolo e non sapevo cosa farci, e poi ho
fatto questa scultura e penso di aver messo insieme le due cose. Mi ero reso conto che
The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, era un'espressione
che avevo usato per descrivere l'idea della morte a me stesso. L'avevo usata nel mio
saggio di tesi al Goldsmiths. Utilizzai quel termine per cercare di descrivere
l'impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno in vita. […] Penso che in
realtà si tratti di collage, è tutto un collage. Ci sono titoli e ci sono sculture. Ho anche
la passione per le parole che uso come materiale visivo. Sono sempre alle prese con le
parole e con le sculture e poi alla fine fondamentalmente le associo. […] Quando hai
una frase in mente, ci pensi costantemente... Quel titolo mi spingerà a fare la scultura
che si adatti perfettamente al suo senso”
11
.
Per The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living il titolo “è
solo un modo per descrivere la paura. Era solo paura, morte e paura, solo una cosa.
Era solo quello. Pensavo che la morte fosse difficile da rappresentare. Mi sembrava
che in quel tipo di espressione enigmatica, avrei detto quello che la scultura voleva
dire. È come non poter credere di dover morire. Non riesci a credere che sia reale, non
puoi credere che stia per mangiarti. Lo sai quando giri intorno al contenitore e vedi
quella rifrazione, che fa saltare lo squalo”
12
.
L'opera di Damien Hirst è dunque soprattutto una riflessione sulla morte, sulla
fragilità dell'esistenza, sul progressivo declino di tutto ciò che esiste al mondo. Come in
un tentativo di contrastare l'azione naturale di logorio e decadimento le opere in
formaldeide si pongono come una fotografia, statica e immobile che ferma il tempo e i
suoi effetti. In realtà, l'azione di decomposizione sugli animali non può essere arrestata
e lo squalo di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living non è
più l'originale esposto nel 1992 alla Saatchi Gallery, l'animale poco dopo iniziò a
deteriorarsi, la pelle si raggrinzì, una pinna cadde e la soluzione di formaldeide che
circondava lo squalo si intorbidì. Nonostante il tentativo da parte dei curatori della
galleria di iniettare uno schiarente all'interno della teca in vetro l'effetto rimase identico,
anzi la decomposizione dell'animale subì un'accelerazione.
11 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 122-123.
12 Ibidem.
11