9
Introduzione
Il tema della formazione e dell’accesso alla professione
giornalistica è da tempo al centro di un dibattito che coinvolge
istituzioni, società civile, Università e giornalisti stessi.
L’ipotesi da cui prende le mosse il nostro studio è che,
al giorno d’oggi, per fronteggiare la straordinaria evoluzione
delle tecnologie, le strutture formative debbono essere in grado
di “forgiare” un giornalista multimediale. La nostra
convinzione è che solo un giornalista che abbia dimestichezza
con tutti i media, old e new, avrà la possibilità di inserirsi con
successo sul mercato del lavoro. Per dimostrarlo, illustreremo
l’esperienza delle scuole di giornalismo che, a nostro avviso,
sono in grado di affiancarsi con successo al tradizionale
praticantato, colmando alcune delle principali lacune di
quest’ultimo – come il difficile accesso e la formazione
insufficiente. Il praticantato, infatti, assicura al giornalista solo
una preparazione settoriale (quotidiano, oppure radio, oppure
Tv, oppure testata on line), mentre le scuole di giornalismo,
specie se affiancate alle Università, possono disporre di
sofisticate apparecchiature tecnologiche e di numerose testate
laboratorio che hanno la capacità di formare e preparare un tipo
di giornalista multimediale in grado di inserirsi con successo
nel mondo del lavoro. “I giornalisti che avranno più mercato
nel futuro saranno quelli in grado di gestire le notizie
muovendosi con disinvoltura fra i vari media: dal giornale alla
radio, dalla televisione alla rete. I nuovi giornalisti
multimediali devono saper scrivere una notizia, ma anche
parlare davanti a una telecamera o ad un microfono”
1
. Un
percorso formativo adeguato e un continuo aggiornamento
culturale ci sembrano più che mai necessari a chi fa uso
1
M. Pratellesi, New Journalism – Teorie e tecniche del giornalismo
multimediale, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 41.
10
professionale dei mezzi di comunicazione, contribuendo in
questo modo alla formazione dell’opinione pubblica. Solo una
professionalità nuova, intesa come conoscenza, competenza,
valore, qualificazione e metodo, potrà assicurare ulteriori spazi
di autonomia e di creatività per il giornalista e far sì che
l’innovazione tecnologica provochi un rafforzamento della
funzione sociale della categoria giornalistica, invece che il
rischio di un suo declassamento. L’acquisizione di competenze
multiple consentirà al giornalista di lavorare efficacemente con
i diversi strumenti della professione. Infatti, se un tempo la
divisione tra giornalista della carta stampata, giornalista
d’agenzia, televisivo o radiofonico era netta e per passare da
un mezzo all’altro si incontravano notevoli difficoltà, oggi,
grazie alla progressiva semplificazione delle tecnologie e
all’abbattimento dei costi di produzione, al giornalista può
capitare di lavorare indifferentemente e contemporaneamente
per l’uno o l’altro medium. È nostra convinzione che solo la
scuola di giornalismo, non più la vecchia gavetta, sia in grado
di offrire le competenze, le conoscenze e la duttilità
professionale necessarie per affrontare tutte le sfide che il
futuro della società dell’informazione riserverà ai nuovi
giornalisti. Se fino a poco tempo fa l’unica strada per diventare
giornalisti professionisti prevedeva lo svolgimento di 18 mesi
di praticantato in una redazione, seguiti dal superamento di un
esame di idoneità professionale, oggi la frequenza di un
biennio formativo presso una scuola riconosciuta dall’Ordine
dei giornalisti consente all’allievo di accedere ugualmente
all’esame di idoneità, by-passando lo scoglio del praticantato.
Inoltre, per chi intende diventare giornalista professionista, il
requisito della laurea
2
consentirebbe di elevare la soglia
2
L’itinerario di accesso per via universitaria dovrebbe declinarsi in due fasi:
una fase primaria di base, corrispondente alla laurea breve (triennale),
propedeutica alla fase di specializzazione, al termine della quale si accede
11
qualificante e il livello culturale dei giornalisti, garantendo il
libero accesso a chiunque ne abbia la capacità.
Nel primo capitolo affronteremo il tema del giornalismo
in Italia, partendo da una breve analisi di sfondo da cui
dovrebbero emergere alcuni limiti della stampa nostrana: il
basso numero di copie diffuse, l’eccessiva omologazione,
l’incapacità di leggere la società, la dipendenza dal potere
politico, i condizionamenti degli editori “impuri” e le loro
ripercussioni sulla credibilità degli operatori dell’informazione.
Descriveremo come il sistema mediatico mostri significativi
segnali di cambiamento rispetto al passato: sta esaurendosi
infatti la centralità e la dipendenza dalla televisione, a favore,
invece, di un innalzamento dei livelli di consumo multimediale.
Quindi, i consumatori, competenti e consapevoli, hanno
arricchito e diversificato la propria dieta culturale in direzione
di una multimedialità che spazia dalla tv alla radio, dai giornali
ad Internet, dall’analogico al digitale. Una multimedialità con
la quale devono necessariamente confrontarsi anche gli
operatori dell’informazione, ai quali si richiede sempre più una
preparazione a tutto campo, dalla stampa alla radio, dalla tv ad
Internet.
Successivamente, analizzeremo l’identità sempre più
incerta e labile del giornalismo moderno. Infatti, con
l’espansione delle attività di relazioni pubbliche, della radio,
della televisione, del marketing, della comunicazione
d’impresa e di Internet diventa sempre più difficile definire in
modo preciso e circoscritto l’attività giornalistica. E nonostante
sia presente un Ordine professionale che regolamenta l’accesso
alla professione, non è certo facile rispondere alla domanda
“chi sono i giornalisti”? La popolazione giornalistica ha
all’esame di Stato. Questa seconda fase (specializzazione di durata
biennale) potrà essere realizzata attraverso master e scuole di giornalismo
inserite in una struttura universitaria.
12
assunto, negli ultimi anni, una configurazione sempre più
composita e labile. Grazie ai dati fornitici dal Consiglio
nazionale dell’Ordine dei giornalisti, cercheremo di scattare
una fotografia della professione, in base al numero degli iscritti
all’Ordine. In particolare, ci concentreremo su alcuni aspetti,
come il numero dei praticanti, dei professionisti, dei
pubblicisti, la sempre più diffusa femminilizzazione della
professione, la provenienza geografica dei giornalisti, la
disoccupazione (per quest’ultimo aspetto attingeremo dai dati
fornitici dall’Inpgi). Infine, descriveremo come cambia il
giornalismo nella società digitale, sottolineando come
elettronica, informatica, multimedialità siano diventate le
parole-chiave con le quali devono confrontarsi i moderni
operatori dell’informazione. Ma perché questi ultimi possano
affrontare con successo la sfida multimediale è necessario che
investano nella propria formazione. L’eccedenza di
informazioni non garantisce trasparenza, ma determina spesso
nuova opacità sociale
3
. Orientarsi, sintetizzare e comprendere
diventa sempre più difficile. E il ruolo del giornalista si fa
cruciale.
Ci chiederemo poi come cambia il lavoro del
giornalista: è la fine del cosiddetto giornalismo di strada? Si
accresce sicuramente la componente di “desk” nel lavoro del
giornalista. L’operatore si trasforma in una sorta di multimedia
reporter
4
che si cimenta autonomamente con le fasi di editing e
postproduzione.
3
G. Bechelloni, “Doppio movimento – Nuova opacità sociale e illusione di
trasparenza”, in F. Crespi (a cura di), Azione sociale e pluralità culturale,
Franco Angeli, Milano, 1992.
4
G. Roberti, “Tra romanticismo e multimedialità: l’evoluzione della figura
del giornalista”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di), Multigiornalismi
– La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e Associati, Milano,
2001, p. 64.
13
Nel secondo capitolo affronteremo il nodo della
formazione e, in seguito, forniremo alcune cifre sulle due
modalità di accesso alla professione: praticantato e scuole di
giornalismo. Il riferimento ai dati sul numero dei candidati alle
due sessioni d’esame del 2004 ci consentirà di verificare
quanto incida la presenza dei diplomati delle scuole sul totale
dei candidati. In seguito, analizzeremo in dettaglio la
formazione tradizionale e la modalità di accesso principale alla
professione giornalistica: il praticantato, descrivendo anche i
requisiti di accesso al registro dei praticanti. Forniremo anche
alcune cifre che confermeranno una tendenza ormai molto
diffusa: di anno in anno aumentano coloro che chiedono di
accedere all’esame professionale tramite una dichiarazione
sostitutiva dell’Ordine – non avendo quindi ottenuto il
riconoscimento dei 18 mesi di praticantato dalla testata dove
invece lo si è svolto – rispetto al totale delle domande
presentate.
Nato dal presupposto che ogni attività professionale
debba essere preceduta da un periodo di tirocinio, l’istituto del
praticantato ha quasi subito mostrato i suoi limiti sotto il
duplice punto di vista dell’accesso e della formazione al lavoro
giornalistico. In base alla legge n. 69 del 3 febbraio 1963, il
praticante può svolgere la pratica professionale soltanto se ha
formalizzato un rapporto di lavoro con un editore. L’accesso
alla professione viene così affidato alla discrezionalità del
datore di lavoro e il reclutamento del candidato risponde spesso
a logiche estranee alla natura e agli interessi del giornalismo.
Se sul fronte dell’accesso i limiti del praticantato sono
evidenti, sul secondo versante, quello della formazione
professionale, le cose non sembrano andare meglio. Il risultato
sembra essere quello di avere un “giornalista abbandonato a se
14
stesso, in un settore del giornale”
5
così come preconizzava
Gaetano Afeltra nel 1978. Nel finire del capitolo, l’indagine del
Censis, contenuta nel Terzo rapporto sulla comunicazione in
Italia, ci consentirà di individuare quattro profili di
praticantato: “praticantato standard”, “praticantato difficile”,
“praticantato sul web”, “praticantato radiotelevisivo”.
Nel terzo capitolo analizzeremo la formazione fornita
dalle scuole di giornalismo italiane riconosciute dall’Ordine dei
giornalisti che, a nostro avviso, costituiscono the best way per
la formazione e per l’accesso alla professione. Nel modello
delle scuole di giornalismo italiane, alla pratica si affianca la
teoria, quindi, il learning by job si fonde necessariamente con il
training accademico. Solo in questo modo potrà essere
assicurata all’aspirante giornalista una formazione polivalente e
multimediale. Appare evidente come le scuole di giornalismo
stiano diventando un nuovo canale formativo in grado di
contribuire alla crescita di una forte identità professionale e in
grado di supplire alle carenze del praticantato tradizionale.
Descriveremo la loro distribuzione geografica, le modalità di
accesso e selezione, i costi di iscrizione. Ma il focus della
nostra attenzione si concentrerà sull’organizzazione didattica
delle scuole e quindi, sul connubio di teoria e pratica e, in
particolare, sulle testate laboratorio in cui gli allievi possono
svolgere la pratica giornalistica. Tale analisi ci consentirà di
verificare il tipo di formazione fornita dalle singole scuole.
Come vedremo, la maggior parte delle scuole editano un buon
numero di testate, consentendo quindi ai propri allievi di
cimentarsi contemporaneamente con diversi media. A fine
capitolo, descriveremo anche l’indagine del Censis sugli allievi
5
G. Afeltra, intervento in Formazione professionale del giornalista – Atti
del Convegno di studi promosso dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei
Giornalisti, Vico del Gargano, 5-6 maggio 1978, p. 186.
15
delle scuole, inserita nell’ambito del Secondo rapporto sulla
comunicazione in Italia.
Dopo aver analizzato le modalità di accesso e di
formazione al giornalismo nel nostro Paese, effettueremo un
confronto con i principali Paesi al di qua e al di là dell’oceano.
Negli Usa, le scuole di giornalismo costituiscono a tutti gli
effetti la fonte più accreditata per l’accesso alla professione
giornalistica e anche in Europa le scuole di giornalismo stanno
diventando le principali istituzioni deputate alla formazione dei
giornalisti. Cercheremo di descrivere brevemente
l’impostazione didattica delle principali scuole europee e
americane, per evidenziare anche affinità e differenze con le
modalità di accesso vigenti nel nostro Paese. Siamo convinti,
infatti, che da un interscambio con l’Europa e con gli Usa,
l’esperienza italiana possa trarre notevoli spunti per progredire
sulla strada di una formazione sempre più completa e
polivalente.
16
17
Capitolo 1
Il giornalismo in Italia
1.1 La crisi della stampa italiana
Quando ci si accinge a svolgere un lavoro sulla
professione giornalistica in Italia non si può prescindere da
un’analisi della stampa nel nostro Paese – il prodotto più tipico
del lavoro del giornalista – mettendone a fuoco la dimensione
della crisi e il gap con il resto dell’Europa.
La stampa in Italia non è mai diventata un medium
davvero di massa. Oggi, come venticinque anni fa, i quotidiani
vendono in media sei milioni di copie al giorno su
cinquantasette milioni di cittadini italiani. Siamo l’unico Paese
occidentale che non ha conosciuto un aumento della diffusione
dei giornali proporzionale alla crescita del livello di
alfabetizzazione della popolazione. La funzione di
socializzazione alla comunicazione – e non all’informazione –
è stata svolta, infatti, dalla televisione, vero collante linguistico
e mediatico della penisola, fulcro dell’immaginario collettivo e
protagonista indiscussa del media system italiano. Il
predominio della cultura audiovisiva su quella scritta e la
subalternità dei quotidiani rispetto al teleschermo sono stati per
lungo tempo i dati caratteristici del nostro panorama
comunicativo
6
. La stampa italiana, infatti, raramente è riuscita
ad intercettare, spiegare ed interpretare i cambiamenti e gli
umori profondi che hanno pervaso la società, la sua
modernizzazione e secolarizzazione. Come spiega Carlo
Sorrentino:
6
Su questi temi cfr. M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di), Multigiornalismi
– La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e Associati, Milano,
2001.
18
[…] Il ruolo della rappresentazione giornalistica è stato del tutto
secondario.[…] La società italiana non è affatto rappresentata nei media
degli anni cinquanta e sessanta: se si riprendono i giornali dell’epoca, si fa
enorme difficoltà a trovare una società dinamica, in forte trasformazione, in
cui si stanno realizzando enormi processi migratori, d’industrializzazione, di
crescita sociale e culturale
7
.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Mario Morcellini,
che afferma:
[…] La società è cambiata più velocemente rispetto alla capacità dei
giornali di rappresentare, descrivere e interpretare tali mutamenti
8
.
E come sottolinea Geraldina Roberti, siamo di fronte ad
uno scenario caratterizzato dal “progressivo scollamento tra le
istanze collettive e la capacità della stampa di rappresentarle”
9
.
Tuttavia, alla “sostanziale immobilità dei quotidiani”
10
si
contrappone il successo della stampa periodica specializzata e
dell’informazione televisiva, che si sono dimostrate in grado di
modificare la propria offerta informativa, “intercettando in tal
modo i nuovi bisogni di informazione delle audience”
11
.
7
C. Sorrentino, Il giornalismo in Italia – Aspetti, processi produttivi,
tendenze, Carocci, Roma, 2003, p. 22. Su questo argomento vedi anche G.
Bechelloni, Il mestiere di giornalista, Liguori Editore, Napoli, 1982.
8
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione tra
giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e
Associati, Milano, 2001, p. 36.
9
G. Roberti, Mediamente giovani – Percorsi, stili e consumi culturali,
Bulzoni Editore, Roma, p. 2005, 134.
10
Ibidem.
11
G. Roberti, Mediamente giovani – Percorsi, stili e consumi culturali,
Bulzioni Editore, Roma, 2005, p. 134.
19
Morcellini osserva, avvalorando le ipotesi di David
Forgacs
12
, che il processo di industrializzazione della cultura
italiana si è realizzato in maniera atipica:
Nel nostro paese il processo di radicamento storico dei grandi mezzi di
comunicazione è avvenuto in maniera disorganica e persino rovesciata
rispetto ai percorsi lineari di industrializzazione culturale
13
.
L’itinerario logico, infatti, prevede, in primo luogo, una
diffusione dell’istruzione e una correlativa espansione della
lettura e della carta stampata, seguita successivamente da un
forte sviluppo di mezzi audiovisivi come il cinema e la radio,
che sostanzialmente preparano il campo all’avanzata della
televisione.
In Italia questa rosea e quasi fisiologica evoluzione della complessità degli
apparati culturali si è invertita, in forza di una dinamica che ha visto la
televisione realizzare un massaggio socioculturale sostanzialmente
preliminare a una generalizzazione dell’istruzione e dell’informazione,
perfino rispetto al consolidamento di due media che pure hanno giocato nel
nostro passato una partita significativa, come il cinema e la radio
14
.
La sequenza temporale che caratterizza lo sviluppo dei
mezzi di comunicazione di massa (stampa-radio-televisione-
new media) ne è risultata sconvolta, al punto che
l’affermazione del quotidiano e l’acquisizione di utenti “di
12
Cfr. su questo argomento D. Forgacs, L’industrializzazione della cultura
italiana (1880 – 2000), Il Mulino, Bologna, 2000.
13
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e
Associati, Milano, 2001, p. 29.
14
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, cit., p. 30.
20
massa” da parte della carta stampata sono avvenute solo (e in
parte) sul finire del secolo.
Nel complesso, i dati relativi alla penetrazione della cultura audiovisiva nel
nostro paese (la televisione e perfino la radio) appaiono singolarmente
incomparabili se chiamati a confronto con quelli relativi alla lettura in tutte
le sue modalità, dal libro al quotidiano, dal settimanale al periodico
15
.
Come si può spiegare il predominio del teleschermo
sulla stampa?
Le ragioni per cui la cultura iconica, parlata, musicale e, in tempi più
recenti, audiovisiva, ha predominato e predomina su quella scritta, sono,
notoriamente, profonde e radicate nel passato del nostro paese: arretratezza
economica e sociale, frammentazione territoriale, diffusione e tasso di
analfabetismo rimasti elevati fino a tempi recenti, orientamento elitario
della sfera culturale e conseguente separazione dei ceti intellettuali dagli
strati più larghi della società, tarda costituzione di una lingua nazionale
unitaria scritta[…]
16
.
In un articolo pubblicato qualche anno fa su Problemi
dell’informazione, Caterina Lenzi sostiene che anche la cultura
religiosa dominante nel nostro Paese può essere considerata tra
le cause di questo divario:
In Italia si legge poco perché l’analfabetismo di ritorno è molto alto. Non
solo nelle aree depresse, ma anche in quelle economicamente più forti,
come il Nord-Est. E comunque l’Italia, Paese cattolico, non ha mai amato
davvero la lettura. Siamo abituati al culto delle immagini. Solo per ebrei e
protestanti la parola scritta ha un ruolo dominante. La Bibbia è la scrittura.
15
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, cit., p. 28.
16
M. Morcellini, F. Midulla, “La società, il lettore, l’utente, in V. Roidi, (a
cura di), Studiare da giornalista – Il sistema dell’informazione, Roma,
Centro di documentazione giornalistica, Roma, 2003, cit., p. 282.
21
Per la Chiesa cattolica, invece, la raffigurazione di un miracolo costituiva la
prova stessa della sua veridicità innanzi alle grandi masse. Dalla pittura del
Trecento siamo passati così alla televisione, dove hanno luogo ben altri
miracoli
17
.
Oltre alla scarsa propensione alla lettura, nel nostro
Paese sono presenti alcune anomalie come la mancanza di un
giornalismo quotidiano popolare che, nei Paesi nordamericani e
anglosassoni, ha consentito l’accesso alla cultura scritta delle
fasce più marginali della società; allo stesso modo, il
giornalismo italiano sconta la “perversa rincorsa emulativa che
induce simultaneamente i giornali ad un processo di
omologazione”
18
e l’eccessiva dipendenza e subalternità dal
sistema politico e da quello economico. Ciò ha avuto notevoli
ripercussioni anche sulla missione dei professionisti
dell’informazione:
Queste dinamiche hanno determinato una situazione di preoccupante
marginalità sociale per la stampa italiana, cui i giornalisti hanno spesso
finito per reagire cercando nei partiti politici o nei gruppi di potere gli
editori di riferimento. […] Un sistema che ha manifestato la propria
secondarietà, se non la sussidiarietà rispetto ad altri settori della società, di
fatto ha finito per svilire se stesso, in termini di percezione e
rappresentazione collettiva. Non a caso, in Italia più che altrove, si sono
determinate inedite sintonie ed intrecci anomali tra i diversi circuiti di
interessi: fenomeni gravi, che hanno minato, di fatto, la credibilità stessa
dell’intero comparto dell’informazione
19
.
Solo negli anni Ottanta l’editoria italiana è diventata
un’industria autonoma nel vero senso della parola,
17
C. Lenzi, “Giornali, lettori e promozioni: le ragioni della crisi”, in
Problemi dell’informazione, Il Mulino, Bologna, n. 1, marzo 1999, p. 79.
18
A. Barbano, L’Italia dei giornali fotocopia – Viaggio nella crisi di una
professione, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 19.
19
G. Roberti, Mediamente giovani – Percorsi, stili e consumi culturali,
Bulzoni Editore, Roma, 2005, p. 133.
22
caratterizzata, come ogni sistema industriale, da un disegno
imprenditoriale e da strategie economiche, finanziarie e di
marketing mirate. L’editoria si trasforma da settore artigianale
a sistema industriale, grande conglomerato che riesce a vendere
e quindi sostenersi e a stare in piedi sulle proprie gambe, in
grado di far sentire la sua influenza sia dal punto di vista
culturale che da quello economico.
Sulla scarsa propensione alla lettura dei quotidiani,
Morcellini osserva:
Nel nostro paese è sembrato a lungo prevalere un forte interesse per la
comunicazione, in tutti i suoi aspetti, a fronte di un bisogno di informazione
secondario e, tutto sommato, minoritario
20
.
Ipertrofia della cultura audiovisiva, subalternità
dell’intero sistema dei media al mezzo televisivo, debolezza
della lettura e, più specificamente, disagio permanente della
stampa quotidiana disegnano quello che è stato definito come
un dislivello di forza del modello comunicativo rispetto a
quello giornalistico-informativo
21
: in Italia, sui messaggi di
contenuto veicolati da simboli discorsivi, come il linguaggio
del giornalismo scritto, sono prevalsi i messaggi di interazione
della comunicazione audiovisiva, fondata su “simboli
rappresentativi ad alto tasso di identificazione e di più im-
mediata sollecitazione emotiva
22
”.
20
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e
Associati, Milano, 2001, p. 28.
21
M. Morcellini, “La crisi del giornalismo tra retorica e realtà – Problemi di
definizione e prospettive di ricerca”, in Problemi dell’informazione, Il
Mulino, Bologna, n. 2, giugno 1998, pp. 239-244.
22
S. K. Langer, Filosofia in una nuova chiave – Linguaggio, mito, rito e
arte, Armando Editore, Roma, 1972, p. 63.
23
Le agenzie di socializzazione tradizionale come la
famiglia, la scuola e le istituzioni, anziché agire in sinergia con
l’informazione, hanno spesso operato in forte competizione,
facendo emergere così il problema di una socializzazione
culturale debole degli italiani
23
:
Nel nostro paese, più che altrove, si è registrata infatti una sorta di
incomunicabilità tra i luoghi istituzionali della formazione e le diverse
declinazioni dei consumi culturali (e dunque anche di informazione). In tutti
i casi di studio internazionali, invece, il processo di scolarizzazione di
massa determina, a distanza di pochi anni, un mutamento nel
comportamento culturale degli utenti, stabilendo per la prima volta una
correlazione positiva tra l’incremento della scolarizzazione e l’ampliamento
della readership
24
.
Negli ultimi anni, però, il sistema mediatico mostra
significativi segnali di cambiamento: sta esaurendosi la
centralità e la dipendenza dalla televisione a favore, invece, di
un innalzamento dei livelli di consumo multimediale. I
consumatori stanno diventando più esigenti e moderni rispetto
al passato e il piccolo schermo non sembra più in grado, da
solo, di soddisfare tutti i bisogni mediali del pubblico e di porsi
come l’unica e sola fonte di informazione. Quindi, i
consumatori, competenti e consapevoli, hanno arricchito e
diversificato la propria dieta culturale in direzione di una
multimedialità che spazia dalla tv alla radio, dai giornali ad
Internet, dall’analogico al digitale. Una multimedialità con la
quale devono necessariamente confrontarsi anche i moderni
23
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini e G. Roberti, (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, cit., pag. 32.
24
M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione
tra giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti (a cura di),
Multigiornalismi – La nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e
Associati, Milano, 2001, cit., pp. 32-33.