6
1.1 Il contesto storico
1.1.1 Tra XI e XII secolo
Rispetto al resto dell’Europa, solo in Italia c’erano scuole laiche: si tratta di scuole
private e poco conosciute che non assursero mai a centri universitari. A Roma,
Ravenna, Pavia, si insegnavano, assieme alle arti liberali, elementi di notariato e di
diritto pratico, e, a partire dalla fine del X secolo, a Salerno si era sviluppata, un’attiva
scuola medica.
In tutti gli altri centri le scuole erano sotto il controllo completo della Chiesa e, sia per
l’organizzazione che per le discipline insegnate, si fondavano sui principi dell’età
carolingia. Ogni scuola era dunque collegata a un grande insediamento religioso: a
un monastero, a una cattedrale, a una collegiata.
La scuola era diretta da un magister scholarum chiamato scolasticus che poteva
ricevere la collaborazione di qualche assistente ed era comunque subordinato
direttamente al vescovo o all’abate. Queste scuole erano destinate in primo luogo
agli oblati dei monasteri e ai giovani chierici (Arnaldi, 1974). Tuttavia era anche
prevista l’apertura ad allievi estranei, per esempio chierici attirati dalla fama di un
maestro illustre o giovani nobili cui i genitori volevano che s’impartisse una
formazione intellettuale particolarmente curata. Il livello di queste scuole era
complessivamente mediocre: molte impartivano un solo insegnamento elementare
(leggere, scrivere, fare di conto) o si limitavano a preparare i giovani chierici
all’assolvimento dei compiti liturgici. Solo alcuni centri “(…)si potevano davvero
considerare sede d’insegnamento superiore, e non erano né molti né stabili, poiché
spesso la loro buona reputazione era legata al soggiorno di un maestro celebrato e,
alla sua partenza, tramontava” (Verger, 1999 : 64)
2
.
All’inizio del XII secolo, dunque, le già poche scuole monastiche, come
Montecassino o il Bec perdono il loro prestigio conquistato nel secolo precedente.
Scarsamente uniforme era anche la loro distribuzione geografica: erano infatti
presenti solo nelle città più importanti (scuole cattedrali) di alcuni Paesi europei. In
Germania erano pressoché assenti, invece nell’Italia settentrionale e soprattutto nella
regione tra la Loira ed il Reno, vi erano zone di attrazione per gli studenti (Arnaldi,
1974).
I programmi e i metodi di queste scuole erano in gran parte ancora quelli stabiliti
dalla riforma carolingia. Alla base dell’insegnamento c’erano le sette arti liberali, al
vertice la teologia. Ogni disciplina disponeva di alcune opere fondamentali,
completate dalla lettura di auctores universalmente riconosciuti (Virgilio, Ovidio,
Pisciano, Cicerone, Aristotele) nonché dalla lettura della Bibbia. Seguendo un
metodo fisso, il maestro leggeva il testo da studiare (la lectio) e interrompeva a tratti
la lettura con un commento che doveva precisare il senso letterale del passo (il
sensus) e trarne poi quello profondo e nascosto (la sententia). La possibilità di
focalizzarsi su una materia piuttosto che su di un’altra, dipendeva anche dalla
notorietà della scuola e dei maestri.
2
Verger J. Gli uomini di cultura nel medioevo, Il Mulino, Bologna, 1999
7
1.1.2 Il XII secolo: la rinascita delle Università
Nel XII secolo si registra senz’altro un notevole fermento nel collezionare e
trascrivere i manoscritti della Bibbia, dei Padri Latini e dei classici: una certosina
opera di traduzione di migliaia di testi che si sviluppava spesso in centri differenti,
come ad esempio nelle antiche scuole monastiche (Arnaldi, 1974). Lo sforzo dei
traduttori del XII secolo riguardò senz’altro in primo luogo la filosofia e la scienza
greca, le opere di Aristotele e dei grandi scienziati, Euclide, Archimede, Tolomeo;
vennero tradotte le opere ed i trattati di molti autori arabi, trattati di matematica,
astronomia, scienze e medicina; più trascurata fu la letteratura greca. Nel campo del
diritto si incrementò molto il patrimonio di testi studiati nelle scuole grazie
all’introduzione del nuovo Codice, del Digesto e delle Novelle. Nel contesto della lotta
per le nuove investiture, ci fu quindi un improvviso risveglio dell’attività giuridica,
specialmente in Francia e in Italia. I sostenitori dell’imperatore e i difensori delle
libertà ecclesiastiche fecero continuamente ricorso tanto ai testi del diritto romano
che a quelli del diritto canonico; di qui un intenso lavoro di ricerca, di critica e di
riordinamento delle fonti del diritto. Si mise mano a tutte le collezioni di diritto, ai
manoscritti autentici e ai codici antichi (Verger, 1992).
L’incremento del corpus dei testi che maestri e scolari avevano a disposizione non è
però sufficiente a spiegare la profonda trasformazione dell’organizzazione scolastica
occidentale durante il XII secolo: i centri più attivi nel tradurre e diffondere i testi,
come Toledo o la Sicilia, non hanno visto infatti sorgere scuole importanti. Occorre
dunque considerare alcune condizioni politiche e sociali in cui, a partire dalla fine
dell’ XI secolo, sarà possibile collocare la nascita dell’università (Verger, 1992).
La rinascita delle città fu una delle conseguenze del generale sviluppo demografico
dell’Occidente. La popolazione urbana cresceva attingendo in primo luogo al
serbatoio delle campagne circostanti. Le città del XII secolo non erano diverse dai
villaggi solo per volume di abitanti. Esse si opponevano alla pianura circostante,
articolata intorno ai signori dei castelli e ai grandi insediamenti monastici offrendo
condizioni, sociali e politiche completamente nuove a coloro che vi si recavano per
abitarvi. L’evoluzione delle città erano viste dai critici come delle maledizioni.
Dall’altra parte una schiera di ottimisti , i quali sentivano come le condizioni di vita
create dalle città e il contatto fra tanti uomini di origine diversa offrissero inaudite
possibilità d’arricchimento non solo materiale, ma intellettuale e spirituale. In primo
luogo “(…) la città comportava la divisione del lavoro e determinava il sorgere di
attività commerciali e artigianali; l’appartenenza ad una professione diventava uno
dei dati essenziali della coscienza di sé. La città dunque era anche corporazione,
spesso chiamata universitas; gli uomini che erano addetti a uno stesso lavoro e che
vivevano in contatto reciproco tendevano naturalmente ad associarsi per difendersi”
(Verger, 1992 : 34)
3
. Non esisteva ancora una definizione giuridica precisa, ma
grossomodo la corporazione si definiva da un parte per la sua autonomia
organizzativa interna, dall’altra per il riconoscimento della propria personalità morale
da parte dei poteri pubblici, che rinunciavano di fatto a rivolgersi direttamente e
individualmente ai membri della corporazione (Coppi, 1956). Ma la città significava
anche libertà: dopo aver raggiunto una certa importanza, le città tentavano (con
mezzi più o meno leciti) di ottenere dal loro signore una certa autonomia, e inoltre
garanzie giuridiche, fiscali, militari per i loro abitanti. Insomma l’influenza del nuovo
“movimento comunale” era fortissima sulla mentalità dei cittadini.
3
Verger J. Le università nel medioevo, Il Mulino, Bologna, 1992
8
Queste profonde trasformazioni hanno avuto durante il XII secolo conseguenze
importanti sulla vita scolastica occidentale, sia dal punto di vista pedagogico che da
quello dell’organizzazione e del ruolo sociale. In un famoso testo, Guiberto di Nogent
osserva che:
“una volta, e ancora negli anni della mia giovinezza, i maestri erano poco numerosi:
nei paesi mancavano del tutto e se ne incontravano appena qualcuno in città. E
anche quando se ne trovavano, la loro scienza era cosi misera che non la si
potrebbe paragonare a quella dei chierici vaganti di oggi
4
”.
Il passo sottolinea i due aspetti, quantitativo e qualitativo, del fenomeno in questione.
Cominciamo con l’aspetto quantitativo: nel XII secolo le scuole si sono moltiplicate
ovunque, almeno nelle città, poiché, come osservato in precedenza (Cfr par. 1.1), i
grandi monasteri rurali tendevano a chiudere. Sebbene sia arduo fissare delle cifre,
in alcune città possiamo senz’altro dire che la popolazione scolastica cominciava
certamente a formare un gruppo importante e a porre problemi sociali specifici. A
Parigi, un intero quartiere della città si trasformava nel quartiere delle scuole, intorno
al “chiostro di Notre-Dame”.
Un altro segno della crescita scolastica sono le nuove misure adottate nel 1119 dal
III concilio Lateranense, che mostrano molto efficacemente come le istituzioni
tradizionali rischiassero di essere travolte dalla moltiplicazione dei maestri e degli
scolari. La Chiesa riconosceva che con la moltiplicazione degli allievi ed il
miglioramento del livello scolastico le scuole capitolari da sole non erano più
sufficienti, almeno nei centri più importanti; ma nello stesso tempo la Chiesa
affermava il suo monopolio sulla scuola molto più nettamente che all’inizio del XII
secolo, quando il problema non era molto sentito per la scarsità stessa delle scuole
(Arnaldi, 1974). Per il momento si trattava di un monopolio locale, perché la
cosiddetta licencia docendi conferita dallo scolasticus aveva validità soltanto entro i
confini della diocesi; invece nel Duecento il papato istituirà per le università una
licencia ubique docendi, riconosciuta ovunque, che renderà temporanei i privilegi
scolastici delle autorità diocesane. Ma ora importa osservare come la Chiesa
affermasse in maniera del tutto perentoria il suo diritto a controllare tutta l’attività
dell’insegnamento. Del resto, il III concilio Lateranense non regolava i problemi
pratici posti dalla moltiplicazione degli allievi e dei maestri liberi dotati di licencia
docendi. Toccava dunque a costoro organizzarsi per fissare con gli scolastici le
condizioni pratiche di concessione della licencia, e per discutere il problema cruciale
della remunerazione dell’insegnamento, vale a dire del lavoro
5
.
Un secondo aspetto molto significativo della trasformazione delle scuole nel XII
secolo è di natura qualitativa. Durante il XII secolo la pedagogia ed il contenuto degli
studi avevano subito profonde modificazioni. Erano apparsi molti testi nuovi, anche
grazie alle traduzioni; soprattutto i metodi e gli obiettivi stessi dell’insegnamento
erano completamente cambiati in seguito ai progressi della dialettica. Lo studio non
era più semplicemente funzionale alla lettura ed alla comprensione della Sacra
Scrittura; grazie all’innovazione della dialettica – significativo l’apporto dell’Organon
aristotelico al riguardo – si ricavavano dai testi un certo numero di problemi filosofici
e scientifici che portavano l’uomo ad interrogarsi su stesso, sul mondo, su Dio
4
De Nogent G. Histoire de sa vie (1053-1124), Bourgin G. Parigi, 1907, p.12
5
Questo punto verrà meglio analizzato più avanti con riferimento alla situazione dei casi di Bologna e
Parigi
9
(Verger, 1992). Diventava dunque obbligatorio quasi il ricorso alla discussione
dialettica per riunire intorno ad un determinato problema i necessari riferimenti.
L’intellettuale prendeva coscienza della specificità sociale del suo lavoro, e quando
non si lasciava ricondurre a quello del chierico addetto alla sua chiesa, egli scopriva
anche che i metodi e le direzioni della ricerca e dell’insegnamento sono autonomi.
10
1.2 Le prime Università
1.2.1 Il modello di Parigi
Già nell’XI secolo c’erano scuole attive nel cuore di Parigi e nel chiostro di Notre-
Dame, la dimora dei canonici (che generalmente coincidevano con i maestri). Ai primi
del XII secolo queste scuole si svilupparono considerevolmente, e l’arrivo ed il
successo del canonico Abelardo sono una causa e un segnale insieme di questa
situazione. Fecero storia le traversie che dovette subire dovendo emigrare i suoi
insegnamenti sulla collina di Saint Geneviéve fuori dalla giurisdizione statale sotto la
stretta dipendenza dell’abate locale. Era frenetica la vita culturale parigina di quei
tempi; maestri e studenti affluivano da ogni parte del mondo, sicché già in queste
scuole si affermava uno dei tratti originali della futura università, il carattere
internazionale. Numeroso il gruppo inglese, tra i quali si contavano celebri maestri,
ma c’erano anche scandinavi, tedeschi, italiani. L’opera di Abelardo e quella degli
altri maestri attivi a Parigi fu molto importante (Verger, 1994).
Il moltiplicarsi delle scuole pose presto dei problemi di carattere organizzativo; dalle
istituzioni scolastiche cosi rimesse in discussione sarebbe venuta fuori, nei primi del
Duecento, l’università parigina. Nonostante l’insufficienza delle documentazioni, si
può affermare che la genesi dell’università di Parigi sembra caratterizzata da una
duplice tendenza non senza contraddizioni.
Da un lato si afferma il carattere ecclesiastico dell’università, dall’altro la tendenza
alla laicizzazione delle scuole manifestatasi, prosegue nel XII secolo: i maestri liberi -
e gli studenti - non dipendevano direttamente dalla Chiesa (Verger, 1994). Essi si
sentivano più vicini agli altri lavoratori della città che ai tradizionali ambienti
monastici. Abelardo era un canonico di Notre-Dame ma ricavava l’essenziale del suo
reddito dagli onorari e dai doni dei suoi allievi; lui stesso scriverà di avere dato inizio
alla scuola ad lucrandam pecuniam. Ma un simile atteggiamento incontrava
resistenze e comportava conflitti. Le resistenze venivano dalla Chiesa, che a nessun
livello si rassegnava ad abbandonare il monopolio della scuola, riaffermato con forza
dal III Concilio Lateranense. Scarsa era l’integrazione dell’ambiente scolastico col
resto della società cittadina: il reclutamento conservava troppi caratteri particolari
rispetto a quello delle altre attività. Ne derivava uno stato di tensione permanente fra
scolari e borghesi che generava spesso conflitti violenti (Verger, 1994). Le taverne
erano spesso teatro di risse sanguinose, seguite da interventi non meno brutali del
capo della polizia del re e dei suoi sergenti, che si accanivano sugli scolari e i loro
servi molto più volentieri che sui loro avversari. In simili condizioni, maestri e studenti
capirono che era loro interesse restare nella Chiesa per sfuggire alla polizia e alla
giustizia del re, e non si opposero quando le autorità ecclesiastiche si sforzarono di
definire lo studente come un chierico. Tale tendenza fu confermata e completata
negli anni seguenti da un certo numero di bolle pontificie che introdussero il beneficio
del canone (con la pena della scomunica maggiore per chi mettesse una mano
addosso a un chierico) e sottolinearono come, agli occhi del papato, gli studenti
dipendevano solo dall’autorità ecclesiastica (Coppi, 1956). Può destare meraviglia, a
posteriori, che maestri e scolari abbiano accettato una situazione giuridica che,
mettendoli alle dipendenze della Chiesa, fece sentire ben presto i suoi effetti sul
piano dell’autonomia e della libertà intellettuale. Ma in un primo tempo questa
soluzione aveva garantito loro la condizione più facile e sicura: la sicurezza
11
personale e quella materiale erano garantite dalla Chiesa. Tanto meno sembrava un
intralcio l’appartenenza al clero in quanto, grazie alla politica di larga vedute
perseguita dal papato, ciò non poneva alcun ostacolo alla possibilità di organizzarsi,
di fronte alle autorità locali, in corporazione autonoma, padrona del proprio
reclutamento e dell’organizzazione del proprio lavoro.
Non significa che le autorità in gioco volessero lasciarsi sfuggire l’influenza sulle
scuole: lunga fu la disputa tra le autorità ecclesiastiche e i maestri parigini.
Nonostante tutte le tribolazioni – su cui la documentazione è scarsa e frammentaria –
si può avanzare l’ipotesi che la prima forma di associazione tra i maestri delle scuole
parigine sia apparsa intorno al 1170-80, e che tale associazione abbia dovuto
svilupparsi poco a poco (Arnaldi, 1974). Nonostante una carta concessa da Filippo
Augusto nel 1200, queste associazioni non si erano date delle istituzioni precise o
rappresentanti ufficiali (Coppi, 1956). Qual’era la posta in gioco per le parti in causa?
Il cancelliere di Notre-Dame intendeva soprattutto difendere il diritto a concedere la
licencia docendi secondo la sua volontà, mentre il vescovo voleva mantenere la
giurisdizione sugli studenti. Ma ad essi mancarono gli appoggi esterni, ed il governo
regio divenne progressivamente più diffidente nei confronti degli studenti e anzi
divenne piuttosto incline nel tempo a limitare il progresso dell’autonomia
universitaria. In compenso, i maestri e gli scolari di Parigi avevano un alleato
onnipotente, il papa, e disponevano di armi efficaci, lo sciopero e la migrazione dalle
scuole. Sono dunque comprensibili le ragioni che spinsero i papi del Duecento a
mostrarsi più benevoli dei vescovi verso il moto di rinnovamento rappresentato dallo
sviluppo delle università. Era anche un fortissimo veicolo di diffusione per la Chiesa
accrescere, attraverso le università, un’immagine che riflettesse la cristianità nei
grandi centri di studio. I maestri parigini in tutto questo seppero creare le istituzioni di
cui avevano bisogno e successivamente cercarono di ottenere un riconoscimento
ufficiale, tramite una bolla pontificia. Insomma le decisioni dei papi andarono
generalmente nel senso auspicato dagli universitari. I maestri parigini conquistarono
progressivamente quasi tutti i privilegi che, nell’ottica della giurisprudenza del tempo,
definiscono una corporazione: l’università riuscì a attuare le istituzioni necessari alla
sua sopravvivenza (1215) fino al riconoscimento da parte di Gregorio IX della prima
vera e propria “Magna Charta dell’università” (1250). La prima esigenza della
corporazione universitaria era il controllo del reclutamento, e si accordarono per la
concessione della licenza senza chiedere né denaro né giuramenti individuali di
fedeltà. La seconda esigenza consisteva nel diritto di darsi degli statuti che
regolamentassero il funzionamento interno (organizzazione dell’insegnamento,
assistenza reciproca, ecc), di esigere che i membri giurassero obbedienza agli statuti
e di escludere i disobbedienti. La terza esigenza era il diritto di eleggere ufficiali per
assicurare l’applicazione degli statuti e per rappresentare la corporazione davanti alle
autorità esterne o presentarsi in giudizio per conto dell’università; dapprima informali,
questi rappresentanti divennero ben presto ufficiali regolari (è del 1245 la nascita
istituzionale della figura del Rettore). Infine, ogni corporazione doveva possedere un
sigillo; simbolo della sua autonomia, per autenticare gli atti (Verger, 1992). Questa è,
a grandi linee, la cornice entro cui è nata l’università di Parigi come istituzione.
1.2.2 Il modello di Bologna
Anche la ricostruzione storica della nascita dell’università di Bologna pone numerosi
problemi. Secondo parte della storiografia essa è nata dalle scuole di notariato, il cui
12
insegnamento, tratto dalle arti liberali, era completato da nozioni pratiche di diritto
tratte dal diritto barbarico (Bologna University Press, 1987). Erano anni in cui i codici
giuridici stavano vivendo una significativa opera di rivisitazione e rinnovamento. A
Bologna alcuni maestri approfittarono di questo momento per rinnovare in profondità
la materia e le forme dell’insegnamento. L’organizzazione delle scuole bolognesi si
trasformò completamente durante il XII secolo, non meno dell’insegnamento.
Dobbiamo inoltre ricordare che Bologna si trovava geograficamente al centro del
conflitto tra papi e imperatori, poiché era nella provincia di Ravenna, capitale
dell’antipapa Guiberto, ma era anche vicina ai territori della contessa Matilde e allo
stato della Chiesa. Ne risultarono un rapido indebolimento del potere imperiale sulla
città e lo sviluppo del comune, a partite dagli anni 1116-20. Nato originariamente da
un’associazione privata di protezione reciproca, il comune s’impadronì ben presto del
potere in città (Annali di storia delle università italiane, Bologna, 1997). Un certo
numero di gruppi sociali o professionali bolognesi, fra cui le scuole, si organizzò su
quel modello lungo il XII secolo. Ogni maestro formò una societas coi suoi allievi, ed
è probabile che, ad un livello superiore, l’insieme dei maestri si desse una forma
generale d’associazione. I giuristi ottennero per sé la costituzione Habita, base di
tutta la futura legislazione scolastica imperiale. La costituzione poneva gli studenti in
viaggio sotto la salvaguardia dell’imperatore e proibiva che gli studenti stranieri
fossero considerati responsabili dei debiti dei loro connazionali; inoltre gli studenti
erano assoggettati unicamente alla giurisdizione del maestro o del vescovo (Bologna
University Press, 1987).
Mentre pareva che, come quella di Parigi, l’università bolognese si stesse
strutturando sull’organizzazione corporativa dei maestri, quella che vide la luce nel
Duecento fu una università degli studenti. Per capire la trasformazione è necessario
riportare la situazione politica e sociale di Bologna alla fine del XII secolo.
Il comune – notevolmente rafforzato in questi anni – richiese ai docenti l’impegno
sotto giuramento di non andar mai a insegnare fuori Bologna, sia per diffidenza verso
maestri in odore di ghibellinismo, sia per radicare nelle città le scuole, ormai divenute
incontestabilmente fonte di prestigio e ricchezza (si pensi al motto: Bononia docet). I
maestri accettarono, più o meno volentieri, privandosi del diritto di “secessione”,
privilegio ritenuto fondamentale a Parigi. Negli stessi anni in compenso, gli studenti,
almeno quelli stranieri, si raggrupparono per difendersi, visto che la garanzia
imperiale non era più sufficiente; essi infatti non erano membri del comune, e quindi
non potevano riceverne la protezione. Era dunque necessaria un’associazione che
assicurasse la sicurezza reciproca e negoziasse col comune la concessione dei
privilegi. Dopo varie incertezze le societas o universitates studentesche si ridussero
a due, quelle dei Citramontani (gli italiani non bolognesi) e degli Ultramontani (i non
italiani), a loro volta suddivise in un certo numero di “nazioni”; a capo delle università
appaiono, alla fine del XI secolo, due rettori elettivi (Arnaldi, 1974).
Questa particolare evoluzione incontrò la doppia opposizione dei maestri e del
comune. Quelli obiettarono che gli studenti non potevano costituirsi da soli in
università perché ogni corporazione doveva avere dei maestri, oltre che degli
apprendisti. Il comune cercò di limitare l’autonomia dell’università esigendo che i
rettori, come i maestri, giurassero di non lasciare Bologna. Ma fu tutto inutile: gli
studenti godevano di un grosso potere nei confronti dei maestri, molti dei quali erano
laici e vivevano con gli onorari (collectae) versati dagli studenti, che quindi potevano
facilmente obbligare i professori ad accettare le condizioni volute. Gli studenti
seppero organizzare in modo efficace la loro azione anche verso il comune. Va detto
che, diversamente da Parigi dove molti studenti erano giovanissimi e solo i maestri
potevano prendere in mano l’organizzazione dell’università, “…a Bologna la maggior
13
parte della popolazione studentesca aveva più di venti anni; molti inoltre, soprattutto
fra i tedeschi, appartenevano a famiglie ricche e anche nobili, e quindi avevano la
maturità e la sicurezza necessarie a organizzarsi e a negoziare con il comune”
6
.
D’altro canto gli studenti di Bologna – come i maestri di Parigi – ebbero l’appoggio
efficace del papato, animato dalla stessa volontà ambigua di aiutare lo sviluppo
dell’università pur mantenendola sotto il controllo della Chiesa. Nel 1219 Onorio III
attribuì all’arcidiacono di Bologna il monopolio del conferimento dei gradi, ma
contemporaneamente riconobbe agli studenti il diritto alla secessione e condannò il
giuramento di residenza che il comune cercava di strappare ai rettori. Questi conflitti
si placarono intorno al 1230, quando l’esistenza di numerose università in Italia tolse
importanza al diritto di secessione; gli studenti accettarono dunque il giuramento di
non lasciare lo studium di Bologna, che prestavano attraverso i rettori. Dal canto suo
il comune, che nel 1228 era passato in mano al popolo, riconobbe agli studenti
stranieri tutti i privilegi dei cittadini di Bologna; il comune ne proteggeva direttamente
le persone e i beni, mentre ai rettori si riconosceva il diritto di appellarsi al podestà e
al capitano del popolo, come facevano i capi delle altre Arti. Dunque intorno al 1230
l’università di Bologna si era stabilizzata, forte dei suoi privilegi di origine imperiale,
pontificia e comunale (Coppi, 1956).
6
Universitates e università. Atti del convegno di Bologna del 1987, Bologna University Press