INTRODUZIONE
Poco dopo che la crisi finanziaria mondiale ha contagiato il Vecchio
Continente lo spread tra i titoli di stato italiani e gli omonimi tedeschi è stato
assunto a termometro della crisi della moneta unica. Man mano che gli effetti
della crisi diventavano sempre più evidenti alcune nazioni hanno cominciato a
dare i primi segni di cedimento economico e una volta raggiunto l'apice della
loro forza per alcune di loro ha cominciato a farsi largo l'idea di abbandonare
l'euro. Qualcuno ha sostenuto che una simile proposta fosse pura follia, una
proposta insensata, stupida e sconveniente qualora attuata. Tuttavia col passare
del tempo l'idea assurda ha cominciato a raccogliere sempre più attenzioni e
molte sono state le analisi frettolose e superficiali su cui si sono basati i giudizi
di diversi opinionisti. Allora il dibattito ha cominciato ad entrare nel vivo e tra
le due scuole di pensiero economico, quella ortodossa neoclassica e quella
eterodossa post-keynesiana, si è rinvigorito il confronto-scontro.
Sebbene da sempre affascinato dall'idea della possibilità del ritorno alla
moneta nazionale, ho sempre pensato fosse più un desiderio personale che una
reale necessità economica. La consapevolezza della serietà dell'argomento
però è nata quando nel 2011 in Inghilterra venne organizzato un concorso con
un premio di 250 mila sterline. Il premio Wolfson sarebbe stato assegnato al
lavoro che meglio avrebbe risposto al quesito “se gli stati membri
abbandonassero l'Unione Economica e Monetaria, qual è la migliore gestione
del processo economico per fornire le basi più solide per la crescita futura e la
prosperità degli attuali membri?”. Avendo questo argomento cominciato ad
ottenere particolare attenzione a livello internazionale ho deciso di
approfondirlo. In particolare se per una nazione, e nello specifico per l'Italia,
fosse stato conveniente valutare l'opportunità di un abbandono della moneta
unica, dal punto di vista della politica economica, e se necessario preparare
una “exit strategy” che ne permettesse di limitarne gli effetti collaterali.
Nel primo capitolo abbiamo analizzato la crisi economica e finanziaria
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mondiale dalle sue origini, negli eccessi di Wall Street, fino agli squilibri
europei, attraverso le opinioni e le analisi di numerosi economisti di fama
internazionale appartenenti ad entrambe le scuole del pensiero economico.
Particolare attenzione è stata data alle politiche economiche di austerità
imposte in Europa alle nazioni dell'area euro e ai principali effetti
macroeconomici che queste politiche di restrizione hanno avuto sugli stati
membri, soprattutto su quelli periferici. Nello specifico abbiamo analizzato la
presunta capacità delle politiche di austerità di invertire la tendenza alla
crescita del debito pubblico e di migliorare i fondamentali macroeconomici
circa l'occupazione, i livelli di risparmio e la crescita economica. Infine sono
state analizzate alcune possibili soluzioni agli squilibri che sono stati
riscontrati.
Nel secondo capitolo l'attenzione si è spostata sulla Modern Monetary
Theory quale base teorica alternativa per interpretare le ragioni alla base degli
squilibri dell'area euro. In particolare si analizza l'origine della moneta,
attraverso la visione ortodossa e quella neo-cartalista, per comprendere perché
in questa nuova teoria monetaria lo Stato svolge un ruolo tanto importante e il
ruolo delle tasse che, in questa nuova interpretazione, non servirebbero per
finanziare la spesa pubblica. Inoltre si analizza il meccanismo dell'inflazione
secondo la visione endogena della moneta, il ruolo della banca centrale e i
legami tra deficit di bilancio pubblico, i tassi di interesse e gli investimenti.
L'aspetto centrale in questa teoria è rappresentato dalla diversa interpretazione
dei deficit di bilancio dello Stato sulla base dell'approccio dei bilanci
finanziari settoriali e del loro meccanismo di supporto all'economia nelle fasi
recessive. Infine si è analizzato nei dettagli come avviene il meccanismo della
spesa statale e le sue relazioni con il settore finanziario privato.
Nel capitolo 3 ci siamo occupati di approfondire i motivi delle divergenze
regionali che si sono venute a creare in Europa soprattutto a seguito
dell'integrazione dei mercati e all'adozione della moneta unica e il modello
centro-periferia sembra ben spiegare le dinamiche della divergenza tra le
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nazioni “core” e le nazioni periferiche europee. Nell'ultimo paragrafo abbiamo
preso in considerazione il lavoro di Baldwin e Forslid che aggiungono, al
modello centro-periferia, il modello della crescita endogena di Romer secondo
il quale gli spillover di conoscenza fungerebbero da forza che contrasta e
compensa le forze di agglomerazione del modello di Krugman.
Nell'ultimo capitolo, il quarto di questo lavoro, abbiamo impostato
una “exit strategy” per l'Italia affrontando le questioni legali ed
economiche più rilevanti. Per gli aspetti legali abbiamo discusso circa le
procedure contenute nei trattati per un eventuale decisione di abbandono
della moneta unica, la validità legale della nuova moneta e le questioni
relative alla ridenominazione del debito pubblico e dei debiti privati. Con
riferimento agli aspetti economici abbiamo effettuato un confronto per
stabilire quale opzione fosse migliore tra la soluzione prospettata dal
lungo periodo di austerità e di deflazione salariale imposto dalle autorità
europee per restare nella moneta unica e la soluzione dell'abbandono
ordinato dell'euro. Per la decisione di uscita, in particolare, abbiamo
discusso circa le modalità di gestione della decisione, l'introduzione della
nuova moneta e la ridenominazione dei vari debiti. Sono stati analizzati gli
aspetti legati al tasso di conversione e alla svalutazione e quelli legati alla
stampa e all'introduzione delle nuove banconote e monete. Infine
abbiamo argomentato alcuni strumenti di cui lo Stato potrebbe servirsi
per operare in un nuovo contesto di sovranità monetaria.
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CAPITOLO 1
LA CRISI ECONOMICA E FINANZIARIA
1.1 Breve excursus sulla crisi
1.1.1 L'evento scatenante e la propagazione della crisi
In un articolo apparso sull'Eastern Economic Journal nel 2009
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l'economista J. Stiglitz si poneva due interrogativi sulla crisi economica
appena cominciata: il primo, rivolto all'immediatezza, verteva su cosa si
dovesse fare con le banche appena fallite. Con il secondo, più generale e
profondo, Stiglitz voleva riflettere sul ruolo che gli economisti avevano avuto
nella crisi e più in generale sul ruolo che avevano giocato alcune idee
“dominanti” divenute “alla moda”. Partendo da questi interrogativi sarebbe
opportuno capire come la crisi ha influenzato il pensiero degli economisti e ciò
che essi consigliano ai governi di fare.
L'evento scatenante della crisi economica che stiamo vivendo è
sicuramente stato lo scoppio della bolla immobiliare americana. In America in
pratica si concedevano prestiti alle famiglie superiori ai valori dei beni offerti
a garanzia nella previsione di un aumento continuo dei valori immobiliari.
Questo finché il meccanismo non si è inceppato. Cosa sarebbe potuto accadere
se il mercato ad un certo punto avesse smesso di crescere o addirittura avesse
cominciato a decrescere? Le banche americane, invece di adottare pratiche
prundenziali nella concessione dei prestiti valutando la capacità dei debitori di
rimborsare i debiti contratti, come suggerito da una buona pratica aziendale,
hanno cercato e trovato nel meccanismo della cartolarizzazione
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il modo di
1 Stiglitz E. J. (2009).
2 La cartolarizzazione dei crediti (Securization) è un'operazione finanziaria che consiste nella
cessione a titolo oneroso di un portafoglio di crediti pecuniari o di altre attività finanziarie non
negoziabili, individuabili anche in blocco, capaci di generare flussi di cassa pluriennali. La
cartolarizzazione è una cessione di credito pro soluto. L'azienda cedente non deve pertanto fornire
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fare ulteriori guadagni senza per questo diminuire i prestiti erogati. In pratica il
rischio di insolvenza di ciascun debitore è stato spezzettato e inserito in altri
titoli, i cosiddetti titoli “spazzatura”, e rivenduti sui mercati globali. Tutte le
banche europee si sono ritrovate contagiate dalla bolla speculativa americana.
Il resto lo hanno fatto i CDS (Credit Default Swap) che, nati come strumenti
finanziari per ridurre il rischio sui titoli, si sono trasformati in strumenti di
pura speculazione. I cosiddetti CDS Naked permettono di guadagnare
“scommettendo”, anche al ribasso, su titoli di cui non si detiene nemmeno la
proprietà. In pratica «attraverso questo strumento è infatti possibile acquistare
una polizza antincendio sulla casa del tuo vicino, senza possedere la casa del
tuo vicino. Ovvero, scommettere sul merito di credito di una società o di uno
stato senza necessariamente possedere il sottostante titolo a reddito fisso. […]
l'unico intento di chi lo acquista infatti è quello di scommettere a fini
speculativi sul fallimento del debitore, una società o uno Stato sovrano, in
maniera tale da massimizzare la leva finanziaria e quindi il profitto.
Naturalmente non è necessario arrivare al caso estremo del fallimento del
debitore: per guadagnare è sufficiente scommettere sul deterioramento del suo
merito di credito».
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Nel 2000 i derivati rappresentavano un valore nominale doppio del PIL
mondiale, nel 2011 lo superava di ben 11 volte.
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La domanda da porsi è: che
legame hanno questi strumenti finanziari con l'economia reale? Purtroppo
l'andamento dei derivati, e soprattutto dei CDS, ha influenza su tutti gli altri
mercati finanziari e alla fine sull'economia reale soprattutto. Spesso con i
derivati si combattono guerre speculative caratterizzate da assenza di regole
tra attori finanziari spregiudicati. Tutto ciò dovrebbe avvenire in un casinò ma
garanzie alla società veicolo in caso di mancato pagamento da parte dei debitori. Con il ricorso a
processi di cartolarizzazione l'azienda può rendere mobili quei capitali altrimenti vincolati nella
forma di finanziamento a terzi, ottenendo un immediato aumento della liquidità
3 Tremonti G. (2012), p. 228.
4 32.216 miliardi di dollari contro 63.009 miliardi nel 2001; 707.569 miliardi di dollari contro
62.911 miliardi nel 2011.
Tremonti G. (2012), p. 51.
Fonte: ISDA (International Swap and Derivates Association).
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invece si riversa interamente sull'economia reale, la quale alla fine perde
sempre mentre la finanza, grazie ai titoli anti-insolvenza, ha trovato il modo di
guadagnare anche quando il debitore fallisce e non può onorare il proprio
debito.
Secondo Stiglitz la crisi è cominciata in America, si è diffusa in Europa ed
infine è diventata globale, contagiando anche quelle economie estranee alla
speculazione, che hanno gestito bene le proprie variabili macroeconomiche,
evitando eccessivi indebitamenti e non comprando titoli tossici. Questo
rappresenta un grande problema poiché facendo un parallelo con la crisi
asiatica del 1997 non ci sono oggi le prerogative per superare la crisi attuale
altrettanto rapidamente. Infatti le economie asiatiche poterono uscire
rapidamente dalla crisi perché la svalutazione delle loro monete, sebbene
costituì un motivo di sofferenza economica in un primo momento, contribuì
alle esportazioni che sostennero la ripresa economica. Oggi, essendo la crisi
divenuta globale, nessuna nazione può contare sulle esportazioni per il rilancio
della propria economia pertanto le risposte dovrebbero essere globali e
coordinate.
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Ma questi sono solo gli eventi scatenanti la crisi. Tuttavia le ragioni di
fondo, le motivazioni per cui tutto questo è potuto accadere debbono essere
ricercate nell'attuale sistema economico e finanziario mondiale creato a partire
dagli accordi degli anni '90.
L'accordo del 1994 a Marrakech in Marocco con cui si istituisce l'OMC
(Organizzazione Mondiale del Commercio) può essere assunta a data
dell'inizio della nuova era globale. Il nuovo capitale che si è venuto a creare
può essere definito dominante: «una nuova forma di capitale che in soli venti
anni si è autonomamente sviluppata attraverso successioni di numeri e segni
astratti, indipendenti dalla realtà materiale sottostante, indipendenti dallo
scambio di cose e perciò capaci di moltiplicarsi potenzialmente all'infinito. E
per questo è tanto forte da dominare tutto il resto: i mezzi di produzione, la
5 Stiglitz E. J. (2009).
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forza lavoro, gli Stati, le nostre vite.»
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1.1.2 Contrasto tra deregolamentazioni e regolamentazioni
Un'altra ragione destabilizzante dei vecchi equilibri è che la finanza
mondiale è diventata indipendente dagli stati e quindi, grazie al suo nuovo
potenziale, si è posta in cima alla piramide gerarchica sottomettendo gli stati
stessi. La nuova moneta così creata è indipendente dalla sovranità nazionale,
in Europa per l'assenza di una vera Banca Centrale, in America per l'assenza di
regole. Il meccanismo di creazione della nuova moneta nella zona euro, dettato
dalla dottrina neoliberista, è un meccanismo inverso rispetto a quello storico:
nel momento in cui si emette la moneta si crea un debito nei confronti dello
Stato. Lo Stato si vede costretto a raccogliere sui mercati finanziari la moneta
di cui ha bisogno per il suo corretto funzionamento riconoscendo degli
interessi il cui valore varia in base al rischio di insolvibilità attribuito dai
mercati stessi. E' evidente che il mercato finanziario occupi una posizione
gerarchica superiore rispetto all'entità Stato.
La deregolamentazione dei mercati finanziari e la maggiore
regolamentazione imposta alle nazioni e all'economia reale sono l'applicazione
pratica del pensiero neoclassico per cui il mercato, in assenza di frizioni
esterne, sia in grado da solo di distribuire nel modo più efficiente possibile le
risorse produttive scarse.
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I critici di tale visione dell'economia affermano che
le regole per la finanza sono state abolite quasi del tutto e si è creato un mondo
economico caratterizzato da due contraddizioni interne: da un lato la
contraddizione tra mercati finanziari globali e regole locali, quindi
contrastanti, e dall'altro l'aumento delle regole per le imprese e la
deregolamentazione per la finanza. Tutto questo ha posto naturalmente e
necessariamente la finanza al di sopra di qualsiasi autorità, anche di quella
6 Tremonti G. (2012), p. 53.
7 Per una disamina dei riferimenti bibliografici sulla economia mainstream e sul paradigma della
scarsità si veda Brancaccio E., Passarella M. (2012), pp. 136-137.
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statale. L'assenza di precise regole rende inesistente, ovviamente, la loro
violazione e quindi è pressoché impossibile muovere accuse di reato alla
speculazione non essendo prevista alcuna regola al riguardo. Per questi motivi
le vecchie nazioni, impreparate a questo nuovo mondo, nel momento dello
scoppio della crisi, si sono viste costrette a dover aiutare le banche in
difficoltà, protagoniste di azzardo morale e scarsa trasparenza, per evitare
disastri peggiori piuttosto che punirle per la loro condotta spregiudicata.
Secondo Brancaccio sarebbe «ingenuo e fuorviante adottare un giudizio
moralistico»
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sulle cause della crisi. Infatti, i principali attori che hanno
giocato un ruolo attivo in questa vicenda, ossia i manager e gli speculatori,
non hanno violato alcuna regola nel loro agire. Magari possiamo affermare che
tali regole sono mancate ma questo va imputato a chi detiene il diritto-dovere
di imporre delle regole. Tuttalpiù gli speculatori, spesso manager di aziende
multinazionali, hanno agito nell'interesse delle proprie aziende in un sistema
capitalistico dove il profitto è ed è stato l'orgoglio e l'unico credo dal
dopoguerra ad oggi. Gli azionisti hanno scelto e mantenuto i dirigenti in base
alla loro capacità di far crescere i rendimenti del capitale per remunerare il
proprio investimento. Per quanto questo risulti moralmente inaccettabile il dito
andrebbe puntato contro il sistema capitalistico e non contro i suoi attori.
1.1.3 Le riduzioni salariali e il problema della domanda
Gli anni più recenti, caratterizzati da dette deregolamentazioni sia dei
mercati dei capitali che delle merci e dei lavoratori, hanno visto la drastica
riduzione delle retribuzioni dei lavoratori, attraverso la cancellazione
dell'indicizzazione dei salari all'inflazione e attraverso il sempre più debole
legame con gli incrementi di produttività. Parimenti agli Stati è stata sottratta
8 Brancaccio E., Passarella M. (2012), p. 32.
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