Modelli di Stima della Domanda
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3. Modelli di Stima della Domanda
La costruzione del modello di un sistema di trasporto si articola in tre fasi:
specificazione del modello: formulazione della forma funzionale del modello e delle
variabili che vi compaiono. Le variabili esplicative, cioè le variabili indipendenti che
descrivono quantitativamente gli elementi che condizionano la domanda, sono pre-
senti nelle equazioni del modello sotto forma di attributi; ciascun attributo è associa-
to a un parametro, o coefficiente, che compare solitamente come fattore moltiplicati-
vo dell’attributo o come suo esponente.
calibrazione del modello: consiste nell’attribuzione di valori opportuni ai parametri
che compaiono nelle equazioni, in particolare ai coefficienti delle variabili indipen-
denti. Durante questo processo il valore degli attributi è noto, mentre è incognito il
valore dei loro coefficienti, pertanto è necessario attribuire un valore alle variabili
dipendenti, cioè agli elementi che caratterizzano la domanda di trasporto. Per la
quantificazione delle variabili dipendenti è necessario disporre di informazioni rac-
colte, anche in questo caso, con l’osservazione della realtà oggetto di studio, tipica-
mente con l’esecuzione di indagini disaggregate svolte su un campione di utenti, a-
naloghe a quelle che si effettuano nel processo di stima. Ovviamente è impossibile lo
svolgimento di indagini disaggregate su un campione di utenti non ancora esistente,
è però possibile raccogliere informazioni relative al loro ipotetico comportamento
futuro con l’impiego di indagini SP, o indagini sulle preferenze dichiarate.
validazione del modello: viene svolta a valle della specificazione e della calibrazione
del modello e consiste nella verifica della capacità del modello stesso di riprodurre la
realtà con i dati disponibili confrontando alcuni risultati simulati con la realtà. Anche
per l’esecuzione della validazione è quindi necessario disporre di informazioni rac-
colte con l’osservazione della realtà oggetto di studio, tipicamente con l’esecuzione
di indagini aggregate, costituite da conteggi o misure dei flussi di traffico.
I modelli di domanda possono essere classificati in base alle ipotesi di base dalle quali deri-
vano, cioè possono essere così suddivisi:
modelli comportamentali, o decisionali: derivano da ipotesi esplicite sul comporta-
mento di scelta degli utenti e tentano di interpretarlo con funzioni probabilistiche;
modelli descrittivi: rappresentano le relazioni causa-effetto rispettivamente fra va-
riabili socio-economiche SE e livelli di servizio T da un lato e la domanda sull’altro
lato, senza formulare ipotesi specifiche sul comportamento degli utenti/decisori.
Esistono sistemi misti di modelli, di uso frequente nella pratica, in ragione della difficoltà di
simulare il comportamento di scelta dell’utente su tutte le dimensioni di scelta.
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Formalmente il modello di domanda di spostamento può essere così espresso:
Nell’equazione sopra rappresentata, i parametri assumono il significato delle seguenti di-
mensioni di scelta:
categoria socio-economica q dell’utente: lavoratore, studente, turista, ecc.;
zona di origine o;
zona di destinazione d;
coppia di motivi s che generano lo spostamento; si parla di coppia di motivi perché
essi dipendono dalle due attività svolte rispettivamente nel luogo di origine dello
spostamento e in quello di destinazione;
intervallo temporale di riferimento h, che spesso coincide con una fascia oraria;
modo di trasporto m utilizzato;
percorso, o cammino, seguito c, solitamente espresso dalla sequenza degli archi
compresi tra i centroidi o e d nel modello di offerta relativo al modo m.
3.1 Modello a quattro stadi
Al fine di isolare più chiaramente le differenze di comportamento dei soggetti tipici che
compiono gli spostamenti, e quindi di ottenere un grado di precisione più elevato, la funzione
di domanda sopra formulata è differenziata anche per ciascuna categoria di utenti q (o segmen-
to di mercato) e la domanda globale viene ottenuta sommando quella delle diverse categorie.
Sebbene le dimensioni di scelta che entrano nel modello di domanda di spostamento siano
interdipendenti, è consuetudine fattorializzare, cioè suddividere, la funzione di domanda globa-
le nel prodotto di sotto-modelli interconnessi, ciascuno relativo a una o più dimensioni di scel-
ta.
Questo accorgimento è utile nella prassi operativa in quanto permette di separare la raccolta
dei dati, la loro analisi statistica e la trattazione analitica del modello in singole fasi (o stadi),
ciascuna corrispondente a un componente particolare del processo decisionale che porta
all’effettuazione dello spostamento da parte del singolo soggetto.
Nel corso degli anni si è consolidato l’uso di scomporre il modello di domanda nella se-
quenza di quattro aliquote corrispondenti ad altrettante scelte successive.
Il sistema di modelli parte dalla stima del livello di domanda, cioè della domanda comples-
siva di spostamenti generati da ciascuna zona di origine nel periodo di riferimento, e lo suddi-
vide, parzializzandolo progressivamente, tra le destinazioni, i modi e i percorsi possibili.
Questa sequenza di sotto-modelli, molto nota e utilizzata nella pratica, è chiamata comune-
mente sistema di modelli a quattro stadi:
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In questa espressione i vari simboli hanno il significato indicato nel paragrafo precedente.
Oltre a essi compaiono i seguenti termini:
n q[o]: numero di utenti della categoria q che si trovano nella zona di origine o;
x: numero di spostamenti relativi alle categorie di scelta indicate.
Figura 3.1 Suddivisione del modello in sottomodelli
I fattori che compaiono sotto la sommatoria, cioè ogni aliquota parziale, corrispondono ai
sotto-modelli qui descritti.
Il sottomodello di generazione esprime la domanda come frazione degli individui della ca-
tegoria q che, trovandosi nella zona o, effettuano x spostamenti per il motivo s nella fascia ora-
ria h:
Il risultato dell’applicazione del modello di generazione consiste nella determinazione dei
margini della matrice degli spostamenti totali per il motivo s nella fascia oraria h. In questa
formulazione si sottintendono spesso gli argomenti [SE,T] e l’indice relativo all’intervallo h.
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Il sottomodello di distribuzione fornisce la frazione di individui della categoria q che, spo-
standosi dalla zona o per il motivo s nella fascia oraria h, sono diretti alla zona di destinazione
d:
Il risultato dell’applicazione del modello di distribuzione consiste nella definizione di tutti
gli elementi della matrice degli spostamenti totali che si effettuano nella fascia oraria h per il
motivo s.
Il sottomodello di ripartizione modale (o scelta modale, o taglio modale) fornisce la frazio-
ne di utenti della categoria q che, spostandosi tra la zona origine o e la zona destinazione d per
il motivo s nella fascia oraria h, usano il modo di trasporto m:
Il risultato dell’applicazione del modello di ripartizione modale consiste nella determinazio-
ne degli elementi della matrice modale degli spostamenti che usano il modo m per il motivo s
nella fascia oraria h.
Il sottomodello scelta del percorso fornisce la frazione di utenti della categoria q che, spo-
standosi tra o e d per il motivo s nella fascia oraria h usando il modo m, seguono il percorso c:
L’ordine dei sottomodelli che costituiscono un sistema non obbedisce ad alcuna regola: ogni
formulazione (o specificazione) del modello corrisponde a un’ipotesi sull’ordine con cui le
scelte relative alle varie dimensioni vengono compiute dall’utente e dunque come queste si in-
fluenzano reciprocamente.
La specificazione utilizzata nella formulazione a quattro stadi implica, per esempio, che la
scelta del modo sia condizionata da quella della destinazione e di effettuazione dello sposta-
mento, mentre risulta condizionante per quella del percorso.
In funzione della particolare realtà che si intende modellizzare sono possibili sequenze dif-
ferenti da quella a sopra riportata. Per esempio, in alcune specificazioni la scelta del modo
condiziona quella delle destinazioni.
Nel seguito verrà posta particolare attenzione solo ai modelli utilizzati generalmente per i
sottomodelli di generazione e distribuzione, poiché sono i soli usati per la realizzazione di que-
sto elaborato.
Le famiglie di modelli che vengono solitamente utilizzate sono:
modelli descrittivi: utilizzati per i modelli di generazione;
modelli comportamentali: usati per i modelli di distribuzione, utilizzano la teoria
dell’utilità probabilistica.
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3.1.1 Modelli descrittivi
Nella sua forma più semplice possibile, l’equazione di un modello descrittivo può essere
fornita, per esempio, dalla formula seguente:
dove:
d = flusso di domanda incognito;
x = variabile esplicativa della domanda;
1
,
2
= coefficienti della variabile esplicativa, cioè parametri di calibrazione del
modello.
In questa famiglia rientrano i modelli di emissione e di regressione zonale di Cascetta e Or-
tuzar.
La formula sopra scritta altro non è che l’equazione di una retta nel piano x-d, e i parametri
1, e 2 sono rispettivamente il coefficiente angolare della retta e la sua intercetta con l’asse d.
Nell’equazione del modello sopra introdotto sono presenti due insiemi di variabili e un in-
sieme di termini costanti.
Le variabili indipendenti, o variabili esplicative, sono costituite dagli attributi del modello, i
quali rappresentano le diverse caratteristiche socio-economiche e di trasporto degli scenari si-
mulati.
Le variabili dipendenti sono i flussi di domanda incogniti. Il loro valore viene calcolato in
funzione dei valori che vengono attribuiti alle variabili indipendenti.
I termini costanti sono i parametri del modello; essi esplicano la relazione funzionale esi-
stente tra le variabili indipendenti e quella dipendente. A seconda della forma funzionale scelta
per costruire il modello, i parametri compaiono come coefficienti moltiplicativi o come espo-
nenti del proprio attributo, o in altre forme più sofisticate.
Nel semplicissimo esempio riportato, la variabile esplicativa potrebbe rappresentare la po-
polazione residente in una zona; in questo caso il coefficiente angolare rappresenta la propen-
sione dei residenti nella zona a spostarsi nel territorio, generando flussi di domanda d. Cono-
scendo il valore x1 della popolazione residente nella zona 1 è così possibile ottenere una stima
della corrispondente domanda generata d1.
In pratica utilizzando questo modello si stima direttamente la grandezza:
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3.1.1.1 Calibrazione dei modelli descrittivi
Il presupposto necessario di questa operazione è la conoscenza del valore dei parametri ,
senza la quale il modello è inutilizzabile. La calibrazione è dunque l’operazione che permette
di quantificare il valore dei parametri .
Durante la calibrazione, pertanto, il valore della popolazione è noto e i assumono il ruolo
delle incognite del problema; per attribuire un valore alle incognite è però necessario conoscere
anche il valore del flusso di domanda. L’ottenimento della calibrazione presuppone quindi di
acquisire in qualche modo informazioni opportune sulla domanda generata dalle zone territo-
riali, operazione possibile con l’esecuzione di indagini campionarie. In altre parole, si procede
compiendo le seguenti operazioni:
si individua un certo numero di zone campione, delle quali sia noto il numero dei re-
sidenti;
in ciascuna delle zone individuate si esegue un’indagine per rilevare il flusso di do-
manda generato dai rispettivi residenti, si ottiene così un insieme di n punti (xi, di);
si esegue una correlazione tra la popolazione residente in ogni zona campione e il
corrispondente flusso di domanda: il risultato della correlazione è il valore dei coef-
ficienti incogniti;
il modello così calibrato nelle zone campione viene utilizzato nelle altre zone per
stimare la domanda in funzione della popolazione in esse residente.
Figura 3.2 Rappresentazione grafica delle osservazioni
Uno dei metodi più utilizzati per compiere la correlazione è la regressione lineare ottenibile
con il metodo dei minimi quadrati.
Indicando con n il numero delle zone campione e con xi e di, rispettivamente, la popolazione
residente nella zona i-esima e il flusso di domanda in essa rilevato, il metodo dei minimi qua-
drati consiste nella attribuzione a 1 e 2 dei valori che minimizzano la seguente somma S:
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Risolvendo questo problema di ottimizzazione si ottiene l’equazione della retta di regres-
sione, cioè il modello calibrato.
Utilizzando il modello calibrato è possibile stimare, con buona approssimazione, la doman-
da ancora incognita generata da una zona non compresa nei dati della regressione.
3.1.2 Modelli comportamentali: la teoria dell’utilità probabilistica
Ricordando che il risultato finale della modellizzazione è costituito dai flussi di traffico cir-
colanti sui tratti viari di una rete, cioè i flussi di arco, l’entità di questi flussi è il risultato di una
successione di scelte concatenate che, procedendo a ritroso, possono essere così elencate: scelta
del percorso, scelta della modalità di trasporto, scelta della destinazione, scelta
dell’effettuazione del viaggio, scelta dell’origine.
Nel gruppo dei modelli comportamentali, spicca la famiglia dei modelli di utilità probabili-
stica (o utilità casuale, o utilità aleatoria).
I modelli comportamentali hanno l’ambizione di stimare la domanda di trasporto riprodu-
cendo il comportamento di scelta degli utenti. Per essere più precisi, essi tentano di riprodurre
non tanto il meccanismo psicologico che conduce a una particolare decisione, quanto il risulta-
to di quella decisione.
La teoria dell’utilità probabilistica si basa su ben definite ipotesi:
l’utente, cioè il soggetto che compie le scelte, sia un decisore razionale, cioè tenda a
massimizzare l’utilità che può trarre dalle proprie scelte e che non sia possibile pre-
vedere con certezza la scelta che egli effettuerà, ma soltanto stimare la probabilità
che egli scelga una determinata alternativa. Questa assunzione continua a valere an-
che nel caso nel quale si consideri non ogni singolo utente, bensì un’aggregazione di
utenti omogenea dal punto di vista del comportamento. Ciò che è importante sottoli-
neare è che il decisore q non sceglie, solitamente, un’alternativa fine a sé stessa, sce-
glie bensì l’insieme dei vantaggi propri di quella alternativa avendoli confrontati con
quelli delle altre alternative disponibili e appartenenti al suo insieme di scelta Iq.
l’utente generico q considera nella scelta tutte le mq alternative a lui disponibili, che
costituiscono il suo insieme di scelta Iq. L’insieme di scelta può variare per i diffe-
renti decisori q in funzione, per esempio, delle diverse modalità o tecnologie di tra-
sporto disponibili: nella scelta del percorso gli utenti che usano un’autovettura hanno
a disposizione un insieme di alternative differenti rispetto a quelle disponibili per gli
utenti non dotati di autovettura.
l’utente q associa a ciascuna alternativa i del suo insieme di scelta Iq un’utilità per-
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cepita o attrattività percepita Uqi e sceglie l’alternativa che massimizza questa utili-
tà, cioè:
l’utilità Uqi associata a ogni alternativa di scelta dipende da attributi propri
dell’alternativa i e dell’utente q, aggregati in un vettore Xiq denominato vettore degli
attributi dell’alternativa i relativa all’utente q:
È opportuno precisare che si tratta di una rappresentazione verosimile, ma pur sempre fitti-
zia della realtà: l’utente è ovviamente inconsapevole di tutto ciò e si comporta prevalentemente
in modo istintivo e qualitativo scegliendo l’alternativa che “gradisce” di più.
Nella simulazione del comportamento dell’utente q, una serie di cause di incertezza impedi-
sce di determinare con la massima attendibilità l’utilità che egli percepisce nella scelta
dell’alternativa i, pertanto questa rappresentazione deve fare affidamento a variabili aleatorie.
L’utilità che il decisore generico q associa all’alternativa i è un’entità soggettiva e astratta
che non può essere nota al progettista, il quale può limitarsi solamente a formulare alcune sue
interpretazioni della realtà. Questa interpretazione è affetta da varie distorsioni tra le quali, a
titolo di esempio, si possono citare le seguenti:
mancata soddisfazione della seconda ipotesi:
o alcuni soggetti potrebbero non essere effettivamente a conoscenza di tutte le
alternative di scelta disponibili nella realtà;
o uno stesso utente in momenti diversi, a parità di altre condizioni, potrebbe
percepire in modo diverso l’utilità delle alternative.
mancata soddisfazione della terza ipotesi: soggetti diversi possono valutare in modo
diverso gli stessi attributi:
o un lavoratore pendolare e un turista valutano in modo differente i costi e la
qualità dello stesso servizio;
o uno spedizioniere di materie prime grezze può valutare l’utilità della modali-
tà ferroviaria diversamente da chi spedisce derrate alimentari.
mancata soddisfazione della quarta ipotesi: inadeguatezza del modello formulato:
o potrebbe mancare un attributo relativo a una caratteristica di un sistema di
trasporto che, invece, nella realtà l’utente considera;
o un attributo potrebbe essere non correttamente espresso;
o il valore di un attributo non direttamente misurabile in modo quantitativo po-
trebbe essere errato o non correttamente aderente al suo valore reale.
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Per superare i limiti della bontà della modellizzazione derivanti dalle cause di aleatorietà
sopra accennate, si può formulare l’utilità percepita Uiq esprimendola come somma di due con-
tributi:
l’utilità sistematica Viq: valore medio costante per tutti gli utenti appartenenti allo stesso
contesto di scelta del decisore q, che rappresenta il valore atteso della loro utilità perce-
pita in funzione di un certo vettore di attributi Xiq, che sono quantità dipendenti dal si-
stema delle attività, dalla situazione socio-economica del territorio e dai livelli di servi-
zio dei sistemi di trasporto sul territorio;
un residuo aleatorio iq a media nulla che rappresenta lo scostamento dal valore medio
dell’utilità percepita dall’utente q:
,
L’utilità sistematica viene espressa come funzione di una serie di attributi e rappresenta
l’utilità che effettivamente si ritiene possa essere percepita dagli utenti della categoria q e da
essi attribuita a ogni singola alternativa i.
Nei residui aleatori vengono idealmente concentrati tutti gli elementi di incertezza, e in que-
sto senso, essi rappresentano formalmente lo scostamento dell’utilità percepita dall’utente q dal
suo valore medio, cioè dall’utilità sistematica. Non essendo possibile attribuire quantitativa-
mente un valore numerico ai residui aleatori, è tuttavia possibile esprimerne la distribuzione
probabilistica con una variabile aleatoria.
L’utilità casuale, come ogni altra variabile aleatoria, può essere caratterizzata dalle seguenti
notazioni:
valore atteso o media dell’utilità percepita:
varianza dei residui aleatori dell’alternativa q:
covarianza tra i residui aleatori relativi a differenti alternative q e h:
La varianza fornisce una misura della dispersione dei valori di una variabile casuale attorno
alla propria media μ. Se i valori sono concentrati vicino alla media, la varianza è piccola; se i
valori sono dispersi lontano dalla media, la varianza è grande.
La covarianza ha un significato che è strettamente legato ai possibili legami di interdipen-
denza tra i residui aleatori, cioè all’eventuale mutua dipendenza esistente tra alcuni attributi di
scelta
Per effetto delle condizioni poste dalle ipotesi introdotte, e in particolare a causa della im-
possibilità di esprimere numericamente i residui aleatori, in generale non è possibile prevedere
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con certezza l’alternativa scelta da un generico decisore, ma è possibile limitarsi a calcolare la
probabilità che egli scelga l’alternativa j, condizionata al suo insieme di scelta Iq,
La probabilità che egli scelga l’alternativa j può essere espressa come probabilità che
l’alternativa scelta offra una utilità percepita più elevata rispetto a quella di tutte le altre alter-
native disponibili nello stesso insieme di scelta:
Sostituendo l’espressione dell’utilità aleatoria in quella della probabilità. si ottiene per
quest’ultima la seguente espressione:
Secondo la quale la probabilità di scelta di un’alternativa dipende dalle utilità sistematiche
di tutte le alternative concorrenti e dalla legge di distribuzione congiunta dei residui aleatori.
3.1.2.1 Logit multinomiale
Il più semplice modello di utilità casuale si basa sull’ipotesi che i residui aleatori j siano i-
denticamente e indipendentemente distribuiti (i.i.d.) secondo la legge di Weibull-Gumbel
(WG), con funzione distribuzione di probabilità espressa come:
dove:
il parametro è un parametro, tipico di questa variabile aleatoria e va calibrato;
è una costante: costante di Eulero pari a 0,577.
L’ipotesi di distribuzione identica dei residui aleatori si traduce, nel formalismo matematico,
con la condizione di uguaglianza delle loro varianze. L’ipotesi della loro distribuzione indipen-
dente si traduce con la condizione dell’annullamento delle loro covarianze.
Le grandezze fondamentali di una variabile di Gumbel risultano quindi:
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,h
La variabile di Gumbel gode di una importante proprietà detta di stabilità rispetto alla mas-
simizzazione, ovvero il massimo di variabili di Gumbel indipendenti e di uguale parametro θ è
ancora una variabile di Gumbel di parametro θ. In altri termini se le U
i
sono variabili di Gum-
bel indipendenti di uguale parametro θ e con medie diverse V
i
, la variabile U
M
:
è ancora una variabile di Gumbel con parametro θ e media fornita da:
La variabile V
M
è anche denominata utilità inclusiva e la variabile Y ad essa proporzionale è
denominata, per la sua struttura analitica, variabile logsum:
La stabilità rispetto alla massimizzazione fa sì che la variabile di Gumbel sia un’ipotesi par-
ticolarmente conveniente per la distribuzione dei residui nei modelli di utilità aleatoria, in
quanto questi esprimono la probabilità di scelta di un’alternativa come la probabilità che
l’utilità percepita per tale alternativa sia la massima fra quelle relative a tutte le alternative di-
sponibili. Infatti, nelle ipotesi fatte, la probabilità di scegliere l’alternativa “i” fra quelle dispo-
nibili , può essere espressa come:
Generalmente per le utilità V
i
si utilizza una forma lineare:
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E quindi:
Il Logit Multinomiale gode di alcune proprietà:
dipendenza dalle differenze di utilità sistematiche: la scelta di una determinata al-
ternativa dipende dalla differenza della sua utilità sistematica con le altre alterna-
tive. La scelta di una determinata alternativa è più probabile quanto più la diffe-
renza dell’utilità sistematica di questa alternativa con l’utilità sistematica delle al-
tre alternative è maggiore, avendo una minore influenza da parte dei residui alea-
tori;
influenza della varianza dei residui: una minore varianza dei residui aleatori por-
terebbe ad vere una maggiore influenza da parte dell’utilità sistematica, così come
una maggiore varianza porterebbe ad avere una maggiore influenza da parte dei
residui aleatori;
indipendenza dalle alternative irrilevanti: questa proprietà deriva dalle ipotesi
fatte sull’indipendenza dei residui aleatori e, in alcuni casi, può condurre a risulta-
ti irrealistici. Si pensi ad esempio al caso di scelta fra due alternative A e B di e-
guale utilità sistematica. In questo caso, la probabilità di scelta di ciascuna alter-
nativa calcolata con il modello Logit è pari a 0.50.
Figura 3.3 Indipendenza delle alternative irrilevanti
Si supponga di aggiungere all’insieme di scelta una terza alternativa C, di u-
guale utilità sistematica ma molto simile all’alternativa B. In questo caso, il mo-
dello Logit Multinomiale ridistribuirebbe la probabilità di scelta tra le tre alterna-
tive, dando 0.33 a ciascuna.
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Figura 3.4 Indipendenza delle alternative irrilevanti
Questo risultato è chiaramente paradossale: le probabilità di scelta in questa
modo si trasformano in p[1]=0,33 e p[2]=0,66, mentre nella realtà l’utente perce-
pisce ancora p[1]=p[2]=0,5.
Il tutto deriva dallo scarso realismo, per il caso descritto, dell’ipotesi alla base
del modello Logit che le alternative siano percepite in modo distinto dal decisore,
ovvero che i loro residui aleatori siano indipendenti. Da quanto detto, si evince
che nelle applicazioni il modello Logit Multinomiale dovrebbe essere utilizzato in
contesti di scelta con alternative sufficientemente distinte perché sia plausibile
l’ipotesi di indipendenza dei residui aleatori.
Caso particolare del logit multinomiale è il logit binomiale: la formulazione rimane la stes-
sa, ma le alternative a disposizione dell’utente sono solo due, A e B:
Questa relazione viene utilizzata anche da Cascetta in “Metodi quantitativi per la pianifica-
zione dei sistemi di trasporto”.
Nel momento in cui il logit diventa gerarchico, l’utente può percepire in modo diverso
l’utilità attribuita ad ogni scelta.