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Il mondo della farmaceutica è complesso e articolato. Comprende istituti di
ricerca, università, imprese produttrici di farmaci ad uso umano e di farmaci
ad uso veterinario. Ci troviamo di fronte ad un settore di grande impatto
tecnologico che negli ultimi anni sta vivendo un forte processo di
concentrazione a livello mondiale. Realizzare un farmaco innovativo
comporta investimenti per centinaia di miliardi, anni di ricerca, l'impiego di
centinaia di persone. Per questo motivo le imprese tendono ad allagarsi,
attraverso fusioni e acquisizioni capaci di garantire maggiori risorse, umane e
materiali, da destinare alla ricerca.
Nel farmaceutico tutte le fasi sono sottoposte a controlli, dagli studi
sperimentali alla produzione, dalla vendita alla pubblicità. Questo non
significa che non si faccia comunicazione. Al contrario i messaggi, le
politiche di marca, l'informazione, la promozione richiedono abilità particolari
per agire il processo comunicativo in un campo minato. La cultura della
comunicazione da sola non basta se non è affiancata dalle conoscenze
scientifiche di base e dalla conoscenza del marketing farmaceutico, che ha
anch'esso le sue particolarità dovute al bene soddisfatto - la salute -, ai tempi
dell'innovazione, alla legge sui brevetti, al prodotto, ai vincoli alla
distribuzione. E così via.
Le imprese hanno la possibilità di pubblicizzare direttamente ai consumatori
solo nel segmento degli Otc, i cosiddetti farmaci da banco. Nel mercato degli
etici il target cambia: il ricevente del messaggio non è più il paziente, ma il
medico che decide per il primo quale soluzione apportare per quale bisogno.
Cambiando il target cambiano anche lo stile e i contenuti del messaggio.
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Le marche farmaceutiche ricorrono alla comunicazione istituzionale per
rafforzare la simpatia di tutti i pubblici di riferimento, anche il pubblico in
generale, attraverso discorsi scientifici che rientrano a pieno titolo nel campo
della medicina. Queste azioni di divulgazione e produzione di cultura
scientifica hanno il farmaco come punto di partenza e di ritorno: è il farmaco
l'anello finale del circolo comunicativo. Tutto parte dal farmaco, tutto vi
ritorna.
Rispetto alla comunicazione d'impresa analizzeremo quattro casi aziendali: la
comunicazione della Glaxo-Wellcome dopo la fusione delle due aziende
originarie; il caso Bayer, l'azienda dell'Aspirina, ma non solo; la storia e i
messaggi della Pfizer, divenuta famosa al grande pubblico per il caso del
Viagra, la prima pasticca contro la disfunzione erettile. Infine: la
comunicazione della Merck Sharp & Dohme e il suo interesse per il mondo di
Internet.
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Capitolo I
L'analisi del mercato e della comunicazione nel farmaceutico
Realizzare un farmaco di nuova generazione comporta un investimento di
circa 500 miliardi, l’impegno di almeno 150 ricercatori, un periodo di ricerca
e sviluppo di una dozzina d’anni. Queste cifre indicano da sole la particolarità
del farmaceutico, un settore high-tech, dove per acquisire e predidiare il
vantaggio competitivo le imprese sono costrette a investire ingenti risorse e a
dimostrare continuamente grandi capacità d’innovazione. Il mercato del
farmaco è un’area protetta, sottoposta a rigidi controlli su ogni versante
operativo: in materia di qualità, nel campo della vendita, della comunicazione
e della pubblicità. A livello europeo, nonostante le differenze nazionali, vige
un impianto normativo particolarmente vincolante.
Il carattere internazionale del farmaco è un elemento chiave del settore. Le
grandi multinazionali partecipano al mercato globale del farmaco attraverso
distaccamenti, unità di produzione e ricerca, acquisizioni, fusione e accordi di
co-marketing con imprese locali. In Italia non sono numerose le
multinazionali presenti con un ciclo di produzione completo - dalla ricerca di
base alle fasi di sperimentazione clinica - vista la tendenza dei grandi gruppi a
trasferire all’estero solo le fasi finali della produzione, concentrando presso la
casa madre le fasi della ricerca e dello sviluppo. Questo fatto allontana il
paese ospite dai ritorni scientifici della ricerca integrata. Un’azienda presente
nel nostro paese con una produzione a ciclo completo è la multinazionale
inglese Glaxo-Wellcome, la quale dispone a Verona di un centro di ricerca di
importanza mondiale.
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In un mercato sempre più globale, tanto in termini di marketing quanto in
termini di ricerca, i fattori critici di successo necessari per acquisire e
difendere il vantaggio competitivo sono legati alla capacità dell’impresa di
investire grandi risorse nello sviluppo di nuovi farmaci. Questo spiega la
tendenza ad acquisizioni e fusioni che ha caratterizzato il comparto
farmaceutico negli ultimi anni. Grandi dimensioni, grandi capitali, ma anche
comunicazione e marketing, sono la condizione necessaria per acquisire la
leadership di mercato.
1.a- L’offerta farmaceutica
Nel nostro paese operano 286 imprese produttrici di medicinali ad uso
umano, 71 imprese che producono o commercializzano principi attivi
farmaceutici e 50 imprese produttrici di medicinali a uso veterinario.
Per fatturato di prodotti finiti l’industria farmaceutica operante in Italia - che
impiega direttamente 64.119 persone - ha realizzato nel 1997 10 miliardi di
dollari posizionandosi al quinto posto nel mondo, dietro Usa (108,4 miliardi di
dollari), Giappone (47,5), Germania (17,9) e Francia (16,7) (Fonte Fatti e
Cifre, Farmindustria).
L’Italia pur essendo il quinto mercato mondiale non ha imprese che figurano
tra le prime 50 del settore (Script Magazine, 1997). Alcune imprese tricolore
hanno una vocazione all’internazionalizzazione, come la Menarini, la Sigma-
Tau e l’italo svizzera Serono, ma la grande maggioranza focalizza le proprie
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attività sulle fasi iniziali del processo di ricerca, oppure opera in nicchie di
mercato o attraverso accordi di co-marketing con i grandi gruppi stranieri.
Geograficamente le imprese farmaceutiche sono concentrate nel nord del
paese, in particolare in Lombardia. Tra le regioni centrali è significativo il
peso del Lazio, più contenuto quello della Toscana, mentre il ruolo
competitivo delle regioni meridionali e delle isole è marginale.
Molto forte è la presenza delle aziende Usa, che controllano direttamente circa
il 25% del mercato italiano e indirettamente ulteriori quote di mercato
attraverso le politiche di co-marketing. La farmaceutica statunitense vanta
aziende del calibro della Merck Sharp & Dohme e della Pfizer. L’associazione
di categoria che riunisce l’industria del farmaco americana è la Phrma. Questa
opera nel mondo attraverso organi distaccati - Lawg (Local american working
group) - che riuniscono in ogni singolo mercato nazionale gli amministratori
delegati delle aziende Usa. Gli obiettivi principali dei Lawg sono due.
Primo: dare coerenza di fondo all’azione delle imprese nel mercato nazionale
specifico. Secondo: sviluppare l’adesione delle singole aziende ai principi
generali dell’associazione di categoria statunitense (la Phrma).
Il Lawg che opera in Italia, ovvero lo Iapg (Italian American pharmaceutical
group), riunisce 19 aziende Usa e aderisce a Farmindustria praticando al suo
interno azioni di lobbying che mirano ad influenzare le politiche della
farmaceutica italiana. Lo Iapg persegue una politica di “bassa visibilità” e una
comunicazione “low profile”.
Accanto alle grandi multinazionali troviamo le imprese italiane, concentrate
per lo più su strategie di nicchia, specializzate per area terapeutica, per
10
patologia o per segmento della catena di produzione. Il caso italiano è
esemplare: a fronte di una presenza straniera che controlla oltre il 70% del
mercato interno (vedi grafico, fonte Fatti e Cifre), troviamo solo un drappello
di società a capitale italiano che spendono in ricerca più del 15% del fatturato.
Ma si tratta di aziende di piccole dimensioni, concentrate su mercati di
nicchia, in alcuni casi legate ad accordi di co-marketing.
Attraverso il co-marketing una multinazionale cede una propria specialità
farmaceutica ad un’impresa nazionale per la distribuzione e la promozione del
prodotto sotto marchio diverso. Per le imprese italiane l’alternativa al co-
marketing è rappresentata dalla cosiddetta “innovazione imitativa”: le imprese
possono registrare farmaci contenenti principi attivi scoperti prima dell’entrata
in vigore della regolamentazione sui brevetti o non più titolari di copertura
brevettuale. Appropriandosi di una molecola scoperta da altri l’imitatore ha il
vantaggio di immettere sul mercato un prodotto per il quale non ha sostenuto
costi di ricerca. I prodotti imitati, detti generici, hanno una confezione
semplice, un nome che corrisponde a quello del principio attivo e un prezzo
più basso dei farmaci di nuova generazione, i quali sono invece coperti dal
brevetto e identificabili attraverso un nome di fantasia.
L’offerta dell’industria farmaceutica italiana è rivolta per l’85% a grossisti e
cooperative d’acquisto di farmacisti, mentre gli acquisti di Asl, ospedali
pubblici e privati ammontano a circa il 10%. La quota rimanente dell’offerta è
assorbita dai corpi dello Stato: Esercito, Vigili del Fuoco. La competizione sul
mercato spinge molte aziende a praticare sconti consistenti ai farmacisti in
un’ottica promozionale. Le riduzioni maggiori sono praticate nei segmenti
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sottoposti a più alta pressione concorrenziale o in quelli a bassa fedeltà del
cliente finale (caramelle per la gola, antiacidi, etc.). Le società con prodotti
leader praticano sconti ridotti.
La redditività del settore farmaceutico è fortemente condizionata dai
provvedimenti del governo in materia di classificazione dei farmaci e di
prezzi. Con l’abolizione del Prontuario Terapeutico Nazionale, avvenuta nel
1994, sono state pesantemente colpite quelle società i cui prodotti chiave
rientravano nella fascia a completo carico del cittadino (fascia C).
Molti fattori fanno pensare ad ulteriori mutamenti del comparto. Per il Censis
(
1
) i cambiamenti fondamentali nei prossimi anni riguarderanno: la riduzione
dei prezzi dei farmaci etici; lo sviluppo del mercato dei generici; il calo del
mercato degli etici non rimborsabili; l’aumento del numero di medicinali a
carico dei pazienti.
A livello concorrenziale il farmaco è sottoposto alla minaccia dei prodotti di
erboristeria e dei farmaci omeopatici. L’incidenza della medicina alternativa è
più forte nelle aree di patologia non grave: in particolare il mercato degli Otc
(Over the Count), acquistabili senza prescrizione medica. Molte aziende
hanno reagito alla pressione concorrenziale della “medicina alternativa”
lanciando sul mercato farmaci che contengono principi attivi vegetali.
1
Cfr. Libro Bianco sull’Economia del Farmaco - Ed. Franco Angeli, 1995, pag. 89
12
1.b- La domanda di salute
Nel 1990 l’Italia ha speso 18.851 miliardi (l’1,44% del Pil) in assistenza
farmaceutica, di cui 12.941 a carico del Servizio sanitario nazionale. Nel 1997
l’incidenza sul Pil è scesa all’1,2% per un totale di 23.442 miliardi di cui
11.650 erogati dal Ssn, ma 12.106 secondo le regioni. (fonte Farmindustria,
grafici). Negli ultimi anni le politiche di spesa pubblica hanno attribuito al
cittadino una parte sempre più consistente nella compartecipazione ai costi per
l’assistenza farmaceutica. La spesa pubblica, aumentata fino al 1992 (95.558
miliardi) è scesa progressivamente negli anni successivi (94.201 miliardi nel
1994), e il contributo più consistente al contenimento della spesa ha
interessato proprio il settore farmaceutico. I cambiamenti introdotti nel 1994
con l’eliminazione del Prontuario terapeutico nazionale (Ptn), le nuove regole
di rimborsabilità e compartecipazione, nonché la nuova determinazione dei
prezzi in base al Prezzo medio europeo (Pme), hanno accentuato il trend di
ampliamento della spesa privata. Insomma il tratto saliente della sanità
italiana degli anni ’90 è rappresentato dalla “privatizzazione” della spesa per
la salute.
Accanto al cambiamento di politica economica se ne registra uno di tipo
culturale che interessa l’atteggiamento degli italiani rispetto ai temi della
salute e del farmaco. Gli aspetti di questa "rivoluzione" culturale sono
rappresentati da una sensibilità più diffusa rispetto all’informazione sanitaria,
ma anche dall’esigenza di un’offerta terapeutica personalizzata e di un
rapporto con il medico che tenga conto degli aspetti relazionali e psicologici
del paziente.
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1.c- Il target dell'industria farmaceutica
Una ricerca condotta dal Censis nel 1997 evidenzia l’affermazione di un
atteggiamento più pragmatico rispetto alla salute, non più percepita come
mera “assenza di malattia” ma come la capacità di sentirsi bene e di svolgere
normali attività. L’italiano degli anni ’90 sembra intenzionato a negoziare
“spazi di autogestione della propria salute”, per poi affidarsi in modo
pressoché completo al medico solo nei casi di patologie gravi. Attraverso il
metodo della cluster analysis il Censis ha tracciato cinque tipologie omogenee
per comportamenti e opinioni che sintetizzano l’atteggiamento degli italiani
rispetto ai temi della salute, della medicina e del farmaco (
2
). Le cinque
tipologie sono le seguenti:
- gli Incostanti sono per lo più giovani e giovani adulti di medio livello
sociale. Rappresentano il 26,1% del campione e mostrano un
atteggiamento “intermittente” rispetto alla tutela della salute personale
che viene perseguita attraverso comportamenti e controlli preventivi
saltuari. Accanto ad atteggiamenti di autonomia e autocura per sintomi
non gravi gli Incostanti mostrano anche comportamenti più scrupolosi
rispetto a malattie più gravi.
- I Sofisticati rappresentano il 12,4% della popolazione. Hanno
comportamenti e opinioni innovative rispetto alla salute che è percepita
come “complessivo equilibrio psico-fisico”. I sofisticati fanno uso di
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rimedi alternativi, prestano un’attenzione costante al proprio corpo,
seguono uno stile di vita sano ed equilibrato e hanno un rapporto
“essenzialmente strumentale” con il medico di famiglia. Sono per lo più
giovani con alto livello di scolarità, reddito e di buona salute.
- I Previdenti rappresentano il 23,6% del campione. Sono in larga misura
anziani e pensionati a bassa scolarità, reddito medio e condizioni di salute
non buone. Mostrano atteggiamenti previdenti e una totale fiducia sia
nella medicina tradizionale che nella classe medica.
- La fascia degli Indifferenti (21,4% del campione) è considerata dal
Censis come un segmento di popolazione “a rischio”. Disinteresse per i
temi della salute, rifiuto del medico e del farmaco sono i tratti comuni di
questa parte di popolazione che è distribuita principalmente tra le fasce
più svantaggiate e meno istruite. Spesso per sintomi gravi gli Indifferenti
si curano semplicemente stando a casa senza seguire le cure prescritte.
Hanno una visione “fatalista” della salute.
- I Tradizionalisti rappresentano il quinto e ultimo gruppo (16,5%),
costituito da una popolazione per lo più anziana, a bassa scolarità, reddito
e con condizioni di salute mediocri. Rispetto al medico i Tradizionalisti
hanno un atteggiamento di totale dipendenza e rispetto alla medicina una
fiducia “quasi miracolistica”. La salute è percepita come “assenza di
malattia”, e le buone condizioni sono attribuite a fattori extra-individuali,
2
Cfr. a Materiali di ricerca Censis in La domanda di salute negli anni Novanta - Comportamenti e valori dei
pazienti italiani - ed. Franco Angeli - Milano 1998 - pag. 23
15
come la fortuna e i progressi della medicina. In quest’ottica il farmaco è
vissuto come strumento “essenziale nella cura”.
La domanda di salute non interessa solo la medicina ufficiale ma anche il
settore dei rimedi alternativi che riscuotono particolare successo soprattutto
tra la popolazione più giovane, benestante e istruita. Da un ’indagine
multiscopo dell’Istat (anno 1994) risulta che sono più di 4 milioni e 700 mila
gli italiani che hanno sperimentato nei tre anni precedenti almeno una delle tre
pratiche di medicina alternativa: agopuntura, omeopatia e fitoterapia. I fruitori
sono concentrati principalmente al nord, hanno un livello di istruzione medio-
alto (diploma o laurea) e sono in maggioranza donne. Alcuni ricorrono alla
medicina alternativa a scopo preventivo, o quando il disturbo è percepito
come lieve, altri ricorrono a tali pratiche curative anche per il loro rimando ad
una filosofia di vita che incorpora valori d’opposizione rispetto alla medicina
tradizionale.
Il settore dei rimedi naturali rappresenta un grande business anche all’estero.
Negli Usa nel 1997 quattro persone su dieci, secondo studi dell’associazione
medica americana, si sono rivolte alla medicina non ufficiale incrementando il
ricorso ai metodi alternativi del 50% rispetto a sette anni prima.
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1.d - Il mondo della ricerca
L’industria farmaceutica si caratterizza per la produzione di entità chimiche e
la ricerca di molecole innovative capaci di sconfiggere le malattie. Per far
questo sono necessari grandi investimenti che possono dare risultati soltanto a
medio e lungo termine. La ricerca farmaceutica interessa settori diversi che
vanno dalla biologia molecolare alla virologia, dalle neuroscienze alle
biotecnologie. In Italia il dato complessivo delle risorse umane ed economiche
impiegate in ricerca è difficile da ricostruire: non si conosce quanti siano
effettivamente gli addetti, né l’ammontare effettivo della spesa in ricerca
presso le strutture pubbliche e le Università. Se il futuro della ricerca italiana
si gioca sulla capacità di far interagire pubblico, capitali privati e istituzioni
universitarie, colpisce la debolezza dei collegamenti tra enti di ricerca e
ministeri che erogano i fondi. Al 1993 il dato italiano rilevato presso
istituzioni pubbliche e private ammonta a una spesa complessiva di circa
1.494 miliardi (fonte Farmindustria): quanto spende da sola una
multinazionale del farmaco. La parte del leone spetta però alla ricerca privata,
che vanta un autofinanziamento dell’88 per cento.
L’Italia è strutturalmente debole nei settori high-tech, di cui il farmaceutico
rappresenta un’area di specializzazione. I motivi sono diversi: le difficoltà a
sostenere in modo permanente la ricerca e l’innovazione; le ridotte dimensioni
aziendali; il basso grado di internazionalizzazione delle nostre imprese.
La sperimentazione di un nuovo medicinale si sviluppa in quattro fasi. La
prima serve ad accertare la composizione e l’innocuità del farmaco e consiste
nel passaggio dalla valutazione pre-clinica a quella clinica. Seguono le
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verifiche dell’Istituto Superiore di Sanità, necessarie per il rilascio
dell’autorizzazione ministeriale che consente la sperimentazione clinica
sull’uomo. Le tre fasi successive, dette pilota, preliminare e allargata,
riguardano appunto l’estensione della sperimentazione sull’uomo. Attraverso
tre decreti ministeriali nel 1998 l’Italia ha abbreviato i tempi della
sperimentazione per incoraggiare le imprese estere e nazionali a fare ricerca
in Italia, e per favorire lo sviluppo di nuovi investimenti, know-how e
occupazione.
Il processo di ricerca è sempre meno alla portata delle imprese a capitale
italiano, in particolare per gli alti costi da sostenere nelle fasi di sviluppo
clinico. Solo l’immissione di nuove molecole sul mercato può arginare gli
effetti della forte concorrenza che caratterizza il comparto farmaceutico. La
necessità di grandi investimenti per sviluppare prodotti innovativi spinge
quindi le aziende verso politiche di acquisizione e concentrazione.
Specializzandosi su una singola fase di ricerca l’azienda concentra le sue
risorse su attività specifiche e limitate. E’ proprio lo sviluppo clinico - molto
costoso - a spingere una piccola impresa a cercare alleati e partner
commerciali. Se invece l’azienda focalizza le sue risorse su una specifica
patologia o su un’area terapeutica c’è la possibilità di presidiare un territorio
competitivo circoscritto attraverso strategie di nicchia. Le strategie di nicchia
sono alla portata delle piccole imprese che con risorse “modeste” possono
presidiare efficacemente il vantaggio competitivo su segmenti specifici della
domanda di salute. Questa strategia, inoltre, permette la collaborazione tra
aziende della stessa area terapeutica o di aree terapeutiche vicine.
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La nuova frontiera della Ricerca è rappresentata dal biotech che costituisce un
nuovo modo di produrre sostanze medicinali note. La competizione sulle
biotecnologie si gioca sul terreno della ricerca e comporta l’investimento di
alti capitali di rischio. L’Italia invece si caratterizza per una frammentazione
delle attività di ricerca e per la mancanza di iniziative significative di venture
capital capaci di garantire gli investimenti necessari senza la certezza dei
ritorni.
La ricerca è un campo interessante anche sotto il profilo della comunicazione
perché fare ricerca non vuol dire soltanto produrre farmaci, ma sviluppare
nuove conoscenze, divulgarle attraverso il canale dei convegni, degli
informatori medico-scientifici, della stampa. Il processo di comunicazione
legato al mondo della ricerca ha i suoi canali privilegiati e tra questi figurano
le grandi riviste mediche, fonti autorevoli di informazione scientifica. La
comunicazione del farmaco cambia a seconda dei significati che si vogliono
sottolineare (scientifici, politici, sanitari) a seconda dei mezzi di trasmissione
del messaggio e a seconda del pubblico a cui è indirizzata la comunicazione.
Vengono attivati codici linguistici diversi se si parla al grande pubblico o se
invece il target è rappresentato dalla classe medica.