ricostruzione di uno Stato teutonico autonomo seppur filo-occidentale,
dall’altro i sovietici avviarono immediatamente un’azione socio-politico-
economica tesa a rendere il territorio tedesco di propria competenza
un’autentica propaggine sovietica nel cuore dell’Europa centrale.
Ed infatti, già nel biennio 1945/46 l’Urss mostrò ben chiari i propri intenti
egemonici sottoponendo il territorio tedesco orientale ad una
Amministrazione militare sovietica (Ams) il cui unico fine fu quello di
procedere ad un vero e proprio saccheggio delle risorse locali. L’Ams, come
atto significativamente introduttivo della propria gestione, procedette a
selezionare all’incirca duecento imprese tedesche, mirabilmente scelte tra
quelle che, compatibilmente con i disastri bellici, godevano della maggiore
potenzialità produttiva, annettendole direttamente all’Unione sovietica, la
quale, in tal modo, poté determinarne e gestirne l’attività, direttamente da
Mosca attraverso propri emissari, godendo in via esclusiva dei profitti dalle
stesse cagionati.
Tali imprese, denominate “Società anonime sovietiche” (Sowjetische
Aktiengesellschaften, Sag), furono, nella loro sorte, delle semplici antesignane
di quanto sarebbe di lì a poco accaduto.
Nel corso del 1946, infatti, l’Urss diede vita alla Riforma agraria,
espropriando gran parte delle terre ai contadini indigeni; nel contempo i
sovietici dichiararono “senza padrone” tutte le imprese non rientranti nelle
Sag e furono altrettanto solerti a colmare tale “vuoto di potere” inviando dei
propri direttori a gestire le “sfortunate” aziende artificialmente rese delle res
nullius.
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Fu questo il modo più crudo e diretto con il quale Stalin impose ai tedeschi
orientali il tributo per la guerra perduta: in realtà per le popolazioni
autoctone non si trattava che dell’inizio.
Peraltro la gestione imposta dall’Ams avviò quel processo di statalizzazione
dell’economia che fu successivamente perfezionato e, per certi versi,
estremizzato dal regime comunista della nascitura DDR che trovò nel
Partito socialista unificato (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, Sed)
il protagonista incontrastato e incontrastabile della sua breve storia.
Alla Sed – organismo nato dalla fusione imposta tra socialdemocratici e
comunisti (o, per dirla tutta, dalla confluenza forzata dei primi nei secondi) -
i sovietici affidarono, a partire da biennio 1947/48, la gestione del territorio
tedesco, incaricando la struttura politica locale di instaurare, in assenza di
linee politiche autocratiche, il regime del socialismo reale di matrice
staliniana nei territori della Germania orientale.
Nello stesso periodo in cui avvenne il predetto passaggio di consegna, le
tensioni tra gli ormai ex Alleati aumentarono sempre più, sfociando in una
serie di vicendevoli “dispetti” che posero le basi, oltre che di un fenomeno
di portata generale quale la cosiddetta Guerra Fredda, anche della naturale
conseguenza di quest’ultima, ovvero della definitiva separazione fra le due
Germanie.
Furono sostanzialmente gli Alleati occidentali a muovere un primo e
decisivo passo in tal senso, mediante la decisione, assunta nel corso della
conferenza di Londra nel febbraio 1948, di creare nella parte occidentale del
territorio tedesco uno Stato capitalistico da legare a doppio filo al mondo
occidentale.
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Per tutta risposta l’Urss, accusati gli ex Alleati di violazione degli accordi di
Potsdam, decise, nel Marzo del 48, il progressivo blocco di Berlino Ovest,
attraverso una serie di misure miranti a limitare, in modo via via sempre più
restrittivo, la circolazione da e verso la città. Tali misure, che come meglio
si vedrà erano destinate di lì a poco ad assumere contorni ben più drastici,
rappresentarono un autentico colpo di ariete posto in essere dal blocco
sovietico, laddove si consideri che Berlino Ovest, geograficamente
parlando, costituiva una vera e propria enclave occidentale del territorio di
pertinenza sovietica.
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Il susseguirsi degli eventi divenne a quel punto prevedibile: il 21 giugno del
1948 le potenze occidentali vararono, in via del tutto unilaterale, una
riforma monetaria, introducendo nei territori dell’Ovest il Marco
occidentale; neanche a dirlo, dopo soli tre giorni, una speculare manovra fu
adottata al di là del confine (per ora esistente a livello puramente politico)
dove i Sovietici crearono ed introdussero il Marco orientale. Le due monete,
ironia della sorte, furono messe in circolazione lo stesso giorno,
determinando una situazione di assoluto caos commerciale derivante dai
divieti, imposti da entrambi i blocchi, di conversione tra le due unità
monetarie. In questa girandola di eventi nefasti, a volte paradossali fino
quasi al ridicolo, l’episodio, invero assai durevole, più significativo fu il
blocco totale di Berlino deciso dai sovietici in data 24 giugno 1948.
Tale evento, che diede origine a grandi manifestazioni di solidarietà che
rinsaldarono i rapporti tra i tedeschi occidentali e le forze alleate, si
caratterizzò per la totale interruzione di ogni comunicazione, per terra e per
mare, per militari e semplici civili, tra Berlino e la parte occidentale della
Germania. A Berlino Ovest cessò l’erogazione dell’energia elettrica e, in
alcune zone, addirittura dell’acqua potabile. Per ovviare a tale drammatica
situazione, che durò per quasi un anno, gli Alleati istituirono un ponte aereo
ininterrotto con Berlino
Ovest; in media un aereo
ogni tre minuti sorvolava la
città, paracadutando generi
alimentari e non, necessari
alla sopravvivenza della
popolazione.
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L’operato dei velivoli occidentali rimase ben impresso nelle menti degli
abitanti di Berlino che ribattezzarono affettuosamente gli aerei degli Alleati,
la cui vista era stata foriera dei pochi momenti gioiosi o, quantomeno, non
tragici di quel periodo, Rosinenbomber, alla lettera “bombardieri di uva
passa” .
Il blocco di Berlino cessò
solo il 12 maggio 1949,
data fondamentale per la
nascita della DDR, in
quanto, nella conferenza
di Londra tenutasi in pari
data, le quattro grandi
potenze Urss, Usa, Francia e Gran Bretagna, si accordarono, in via
plurilaterale, definitiva ed ufficiale per la spartizione della Germania e,
consequenzialmente, per la creazione di due distinti Stati che avrebbero
rappresentato, per ciascuno dei due blocchi contrapposti, l’avamposto verso
il “confine nemico”.
Di lì a poco (il 23 maggio 1949) nacque la Repubblica Federale Tedesca o
Rft (Bundesrepublik Deutschland, BRD) seguita a ruota , il 7 ottobre 1949
da quello che la Sed affermò, con magniloquente entusiasmo, essere il
primo Stato tedesco degli operai e dei contadini.
Vedeva così la luce la Repubblica Democratica Tedesca (Deutsche
Demokratische Republik), altrimenti nota come DDR o, ancora, come Rdt o
Germania Est, uno Stato senza storia ma con la propria Costituzione, il
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proprio Parlamento (Politburo), i propri ministri di formale differente credo
politico e, almeno in apparenza, il proprio pluripartitismo simil democratico.
In realtà la storia della DDR insegna che, sin dalla nascita della Repubblica
Democratica, i partiti della minoranza quali la Cdu dei cristianodemocratici,
lo Ldpd dei liberali, lo Ndpd dei nazionaldemocratici e il Partito contadino
rappresentarono degli autentici partiti fantoccio, vilmente asserviti alla Sed
(ed invero non poteva essere altrimenti, pena la grave accusa di dissidenza
dal regime), ovvia conseguenza di elezioni apparentemente libere ma in
realtà assolutamente pilotate.
La Sed e il proprio Presidente plenipotenziario, che fino al 1971 fu il
temibile Walter Ulbricht, si dedicarono immediatamente, sin dal loro
insediamento ufficiale, ad una inesorabile prosecuzione del processo di
statalizzazione avviato qualche anno prima dall’amministrazione militare
sovietica.
L’abolizione progressiva di ogni forma di proprietà privata, industriale o
agricola che fosse, l’intensificazione dell’attività produttiva statale,
concentrata essenzialmente sull’industria pesante, la creazione di un
elefantiaco ed inflessibile apparato burocratico, l’attuazione di un solido
sistema di Welfare State, la messa a punto di una capillare propaganda di
regime, la realizzazione di un efficiente servizio di sicurezza interno furono
i primi obiettivi cui si dedicò la neonata struttura governativa tedesco-
orientale.
Si trattava di porre in essere le basi su cui costruire quel socialismo reale
che avrebbe finalmente consentito, stando ai proclami del Partito, agli
operai e ai contadini di raggiungere l’agognato traguardo del potere
gestionale del proprio Stato. In realtà, come più approfonditamente si vedrà,
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quel socialismo reale e “umanista” nel quale in molti, fino alla fine, avevano
creduto per davvero, restò per tutta la breve storia della DDR confinato al
rango di mera utopia, a dispetto dei menzogneri peana sistematicamente
cantati dagli scaltri governanti.
Invero, gli sventurati tedeschi dell’Est ebbero modo di rendersi
immediatamente conto dei reali intenti del Partito e quindi di quello che,
verosimilmente, li avrebbe attesi per un tempo indefinito: sfruttamento
estremo delle risorse umane disponibili, qualità della vita estremamente
bassa, assenza di libertà di pensiero, di stampa e, soprattutto, di opinione
politica, azzeramento della privacy attuato mediante un sempre più invasivo
sistema di controllo della vita privata, progressivo abbattimento della libertà
di circolazione esostatale cui, da contraltare, avrebbe fatto, quantomeno,
l’assistenzialismo statale idoneo a garantire all’intera popolazione un
alloggio, i beni di prima necessità, l’istruzione scolastica e l’assistenza
sanitaria.
Nella DDR dei primordi, l’operato del regime manifestò un’attenzione
particolare alla accelerazione della produzione industriale legata anche e
soprattutto alla necessità di soddisfare le sempre incalzanti richieste
provenienti dall’Unione sovietica, “padre putativo” ma, soprattutto,
creditore privilegiato e insaziabile della DDR.
Ulbricht varò una serie di riforme tese a massimizzare il rendimento
dell’attività industriale, fondando però le stesse sull’aumento dei carichi di
lavoro e sulla contestuale riduzione dei salari. D’altronde sin dai primi anni
‘50 la Germania Est fu costretta a fare i conti con gli esodi di massa dei
propri abitanti che, intuite le reali intenzioni del regime o, comunque, attratti
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dalle sirene libertarie dell’occidente, iniziarono ad abbandonare in numero
cospicuo la propria novella patria.
La cronica emergenza emigrazione – che costituì la causa principale
dell’erezione del famigerato “Muro” nel 1961 –, pur riguardando
prevalentemente i ceti di cultura medio elevata, determinò un progressivo e
costante calo della forza lavoro, di fronte al quale la Sed si vide costretta,
come detto, ad incrementare ulteriormente le ore di lavoro degli operai ma a
ridurre nel contempo i salari a causa della galoppante crisi economica
ineluttabilmente collegata al colossale debito di guerra contratto nei
confronti dell’Urss.
A causa di tale situazione, tra gli abitanti della DDR, in particolare
all’interno del ceto operaio (e, più limitatamente, di quello contadino, a sua
volta scontento per la progressiva collettivizzazione dell’agricoltura) iniziò
a serpeggiare un crescente malcontento che parve trovare forza e coraggio
nella primavera del 1953, successivamente alla morte del dittatore sovietico
Stalin.
La consapevolezza di trovarsi costantemente sotto l’occhio del Grande
Fratello Sovietico e il naturale timore dell’intervento della grande Armata
Rossa avevano funto da inamovibile deterrente per qualsiasi iniziativa
rivoluzionaria o, quantomeno, di rivendicazione di diritti; la dipartita del
dittatore georgiano aveva tuttavia spalancato nuovi ed insperati scenari alle
masse operaie, oberate fino all’inverosimile dalle ultime riforme varate da
Ulbricht nonché dalla mole di limitazioni imposte dal regime.
L’incertezza che nel PCUS (il partito comunista russo) provocò la morte di
Stalin colpì di riflesso la Sed, minandone la spavalderia derivante dalla
“copertura” sovietica e rinvigorì lo spirito rivoluzionario dei tedeschi
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orientali, i quali si illusero di poter combattere ad armi pari con il regime,
senza “scomodi” interventi da Est.
La rivolta, passata alla storia come la prima ed unica vissuta nella DDR
(eccezion fatta per quella pacifica del 1989, maturata in ben altri contesti
storico politici), montò, dirompente, nella metà del mese di giugno del 1953,
dopo aver vissuto dei focolai preliminari durante il mese di maggio nelle
città di Berlino, Magdeburgo e Karl Marx Stadt.
Lungo le vie di Berlino Est e, in particolare della Stalinallee – strada dal
particolare valore simbolico, in quanto, nelle intenzione del regime, essa
avrebbe dovuto rappresentare la Kufusterdamm dell’Est -, iniziarono, a
partire dal 12 giugno, delle assemblee di operai che via via sfociarono in
autentici cortei di massa.
La forza del popolo aumentò di ora in ora, anche i più pavidi, fortificati
nello spirito dalla quantità dei partecipanti, si unirono alla protesta; il tutto
di fronte alla apparente inerzia del regime e dei famigerati Vopos (Volks
Polizei), la polizia popolare.
Al sesto giorno, quando ormai nella mente dei più la speranza di una
neutralità dell’Urss aveva rasentato i confini della certezza, quando ormai il
successo, quantomeno a livello dimostrativo, della protesta popolare poteva
sembrare ad un passo, accadde l’irreparabile.
Sin dal mattino del 17 giugno
l’inatteso spiegamento dei carri
armati sovietici, fino a quel
momento lasciati dietro le
quinte, aveva destato non poche preoccupazioni; queste ultime si
materializzarono intorno alle 12:30, allorché, dal palazzo del governo giunse
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