! vi sono dei vincoli forti nella gestione del tempo dati dalla differenza
di fuso orario — ma non solo, come si vedrà.
Inoltre, questa relazione appare rilevante, da un punto di vista più prettamente
sociologico, poiché rappresenta una particolare forma di telelavoro che si sta
diffondendo sempre più, congiuntamente alla penetrazione sempre più capillare
di Internet nel mondo.
Questa tesi è classificabile come lo studio di un caso (case-study).
L’approccio metodologico utilizzato è quello etnografico (cfr. Cap. 3),
marcatamente qualitativo, che si avvale di metodi quali l’osservazione
partecipante, l’intervista, l’analisi dei testi scritti prodotti dalla cultura in esame,
e in questo caso anche dell’analisi della corrispondenza elettronica tra VD e i
Subcontractors (cfr. Cap. 4).
Queste fonti di dati sono state integrate dall’utilizzo esplorativo di uno strumento
più tradizionalmente quantitativo, quale il questionario, che è stato
somministrato ai Subcontractors tramite l’interfaccia web (websurvey) (cfr. §§
3.3.5. e 4.3.).
Inoltre, seguendo le linee guida dell’etnografia, ho ritenuto opportuno
cercare di fornire alla lettrice una cornice contestuale il più possibile ricca, che le
consentisse d’“immergersi” nella cultura specifica dell’organizzazione in esame
(cfr. Cap. 2).
Una piccola nota di carattere stilistico: nel tentativo di riprodurre in
italiano la — recente — abitudine anglosassone di riferirsi ad entrambi i generi
con le espressioni «he or she» o «s/he», ho scelto di utilizzare alternativamente il
genere maschile e quello femminile ogni qual volta non fosse possibile
menzionarli entrambi, pena l’appesantimento eccessivo dell’esposizione.
Nota sulle traduzioni
La ricerca si è svolta negli Stati Uniti e la lingua utilizzata è stata l’inglese
americano. Per fedeltà e trasparenza si è ritenuto opportuno citare in nero la
forma originale in inglese, facendola seguire da una traduzione italiana, in grigio.
La traduzione italiana non è sempre letterale, poiché bada a conservare il senso
contestualizzato della frase originale inglese.
In alcuni casi si è preferito mantenere la forma inglese senza tradurla,
ritenendo insoddisfacente qualsiasi traduzione italiana. È questo il caso dei
termini molto ricorrenti «Virtual Organization» e «Subcontractors». Nel primo
caso si è mantenuta la forma inglese perché la traduzione «organizzazione
virtuale» in italiano assumerebbe una connotazione diversa da quella originale
americana: non si tratta di un’organizzazione “finta”, bensì di una organizzazione
che esiste grazie a Internet e presenta le caratteristiche peculiari illustrate
dettagliatamente nel primo capitolo (cfr. § 1.1). Analogamente, si è preferita la
dicitura «Subcontractors» rispetto alla perifrasi italiana «telelavoratore autonomo
a contratto».
Per alcuni termini tecnici — ad esempio «sondaggio online» — a fianco alla
traduzione italiana viene indicato il termine inglese originale — «websurvey» —
contraddistinto dal corsivo.
I termini di origine inglese che sono ormai entrati nell’uso comune della
lingua italiana non sono mai declinati al plurale.
Capitolo 1
La costruzione dell’oggetto d’indagine
1.1. Che cos’è una “Virtual Organization”?
Non sorprende che non esista una definizione condivisa di cosa una
Virtual Organization sia, soprattutto se si considera che questa particolare forma
organizzativa è molto giovane, dal momento che non era possibile prima della
diffusione massiccia di Internet.
Persino all’interno di uno stesso numero del Journal of Computer
Mediated Communication (JCMC)
2
dedicato a questa nuova forma di
organizzazione, si ritrovano concezioni piuttosto differenti: Kraut e colleghi
(Kraut, Steinfield, Chan, Butler, Hoag, 1998), riconoscono la varietà degli usi di
questo termine presente nella letteratura specializzata, in cui lo si trova applicato
alla produzione cinematografica, in cui il personale collabora insieme per la sola
durata di un singolo progetto e poi si scioglie; oppure alle cosiddette
“adhocracies”, in cui gruppi di specialisti (task forces) si creano e si dissolvono
in funzione della domanda di un committente; o ai distretti regionali, in cui si
costituiscono dei consorzi ampiamente informali, che consentono frequenti
scambi di materiale e di personale tra le imprese appartenenti a quello specifico
distretto. Da questa analisi, Kraut e coll. (1998) “distillano” alcune
caratteristiche che dovrebbero caratterizzare una Virtual Organization:
2
Il suddetto numero di JCMC è stato realizzato in collaborazione con Organization Science, che ha
pubblicato i medesimi articoli, leggermente rimaneggiati, nel Vol. 10, n. 6. Nov.-Dic. 1999
“Primo, i processi di produzione trascendono i confini di una singola ditta, e pertanto
non sono controllati da una singola gerarchia aziendale.
Secondo, e forse come conseguenza, i processi di produzione sono flessibili, con diversi
attori coinvolti in tempi diversi.
Terzo, le parti coinvolte nella produzione di un singolo prodotto sono spesso
geograficamente disperse.
Da ultimo, data questa dispersione geografica, il coordinamento dipende pesantemente
dalle reti telematiche, più che dagli spostamenti fisici delle persone coinvolte.”
Questa definizione ben si adatta a descrivere una particolare modalità di
produzione di beni, e con buona approssimazione è rintracciabile nella letteratura
specialistica di stampo ingegneristico, (Herbsleb, Grinter, 1999; Grinter,
Herbsleb, Perry, 1999), ma a mio avviso non è la più adeguata a descrivere
Virtual Organization fornitrici di servizi, quale quella che ho analizzato in questa
ricerca. Pertanto si è preferito fare riferimento alla definizione che i curatori del
suddetto numero di JCMC hanno tratto dalla meta-analisi della letteratura
manageriale sul tema:
“Una Virtual Organization è un insieme di entità geograficamente distribuite,
funzionalmente e/o culturalmente diverse, che sono collegate da forme di
comunicazione elettronica, e che si affidano a relazioni laterali (versus gerarchiche) e
dinamiche per il proprio coordinamento.” (DeSanctis, Monge, 1998)
Continuando nella loro analisi, questi Autori segnalano come le Virtual
Organization siano spesso descritte come ricche di legami esterni (Coyle e
Schnarr, 1995), gestite attraverso team che vengono assemblati e dissolti secondo
bisogno (Grenier, Metes, 1995; Lipnack, Stamps 1997) e costituite di persone
fisicamente distanti l’una dall’altra (Clancy, 1994; Barner 1996). Il risultato,
nella sua forma più “pura” sarebbe
“(…) «un’impresa senza pareti» (Galbraith, 1995), che agisce come una «rete
collaborativa di persone» che lavorano assieme, a prescindere dalla loro posizione
geografica e da chi le «possiede» (Bleeker, 1994; Greiner, Metes, 1995; Hedberg,
Dahlgren, Hansson, Olve, 1997)” (Desanctis, Monge, 1998)
Le relazioni all’interno di questo tipo di organizzazioni tendono ad essere
contrattuali piuttosto che tradizionali, con una maggiore flessibilità di ruoli,
compiti, responsabilità che si traducono il quella che Mowshowitz (1994) chiama
«libertà combinatoria», e cioè l’abilità di distribuire dinamicamente il lavoro tra
le persone creando sottogruppi e unità operative in funzione della domanda
contingente.
In molti casi, tra cui anche quello di cui mi sono occupato, gli elementi di
queste organizzazioni possono appartenere a parecchie Virtual Organization
contemporaneamente, con ciò disperdendo il tradizionale senso di identificazione
e appartenenza che viene generalmente associato all’essere membro di un’unica
organizzazione.
La figura 1 riassume le caratteristiche finora individuate.
Fig. 1. Caratteristiche tipiche di una Virtual Organization (adattato da Desanctis,
Monge, 1998).
Gli Autori fanno notare che questi attributi possono essere applicati alle
relazioni tra datore di lavoro e dipendenti, a quelle tra team, fino a quelle tra
diverse organizzazioni che si consorzino.
Oggi realtà organizzative che rispecchino fedelmente queste
caratteristiche, tali da essere considerate forme “pure” di Virtual Organization,
Le componenti di una virtual organization sono:
! geograficamente distribuite
! culturalmente e/o funzionalmente diversificate
! collegate telematicamente
! connesse lateralmente (versus gerachicamente)
A. Processi organizzativi altamente dinamici
B. Relazioni contrattuali (versus assunzioni)
C. Confini organizzativi sfumati e permeabili
D. Strutture organizzative riconfigurabili
Ciò rende possibili:
sono molto rare. Pertanto, come generalmente accade ad ogni modellizzazione,
anche questa va adattata al caso specifico in esame, che potrà presentare i
summenzionati attributi in misura variabile, integrati con aspetti più
convenzionali.
1.2. Chi sono i “Subcontractors”?
I Subcontractors sono i telelavoratori che hanno stipulato un contratto di
collaborazione con la Virtual Organization in questione, divenendone quindi
parte integrante. Nel caso specifico, si tratta di traduttori, interpreti, editor,
correttori di bozze, impaginatori, webmaster, di cui VD — un’agenzia di
traduzioni con sede a San Diego, California — si serve per espletare i propri
servizi.
I Subcontractors di VD costituiscono una tipologia molto particolare di
telelavoratori. Comunemente quando si pensa al telelavoro ci si immagina
qualcuno che lavora a casa usando il computer. Ovviamente questa definizione è
troppo generica e la letteratura specializzata ha distinto tra diversi tipi di
telelavoratori, per rendere conto delle differenze principali che questa particolare
forma di lavoro può assumere. Ritengo opportuno rifarmi alle categorie che sono
state utilizzate nelle più recenti ricerche sociali su larga scala che hanno indagato
questa tematica.
A livello europeo la massima autorità in questo ambito è il consorzio nato
attorno al progetto ECaTT (Electronic Commerce and Telework Trends in
Europe , http://www.ecatt.com). Nel corso del 1999 e del 2000, la Commissione
Europea ha finanziato un vasto programma di ricerca che ha impegnato società di
indagine sociale nei maggiori 10 stati europei (Danimarca, Finlandia, Francia,
Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna, Svezia, Regno Unito) coinvolgendo
quasi 12000 tra telelavoratori (7700) e società che praticano il telelavoro (4158).
Sono gli stessi Gareis e Korte, coordinatori della ricerca, che ammettono
che
“(…) contare i telelavoratori è come misurare un elastico: non è impossibile, ma i
risultati dipendono da quanto si “stira” la propria definizione, avendo a disposizione
una gamma infinita di alternative tra cui scegliere”. (Rapporto eWork 2000, p. 26).
Nella necessità di operazionalizzare la ricerca, queste sono state le
distinzioni utilizzate:
Telelavoro domiciliare (Home-based telework)
Sono telelavoratori domiciliari coloro i quali:
! Lavorano da casa (invece che recarsi in ufficio) per almeno un intero
giorno lavorativo a settimana;
! Usano un personal computer nel corso del loro lavoro;
! Usano tecnologie di telecomunicazione (telefono, fax, email) per
comunicare con i colleghi/supervisori, durante il lavoro da casa;
! Sono dipendenti stipendiati o lavoratori autonomi, nel qual caso il loro
principale posto di lavoro è deciso nel contratto che essi stipulano.
Individui che telelavorano da casa più del 90% del tempo complessivo di lavoro
sono definiti “telelavoratori permanenti” (permanent teleworkers), mentre coloro
che lavorano da casa meno del 90% del tempo, ma più di un giorno a settimana,
vengono chiamati “telelavoratori alternanti” (alternating teleworkers).
Telelavoratori mobili
Sono coloro che:
! lavorano per almeno 10 ore lontano sia da casa che dal principale posto di
lavoro, ad esempio durante viaggi d’affari, visite ai clienti o per i clienti e
! in queste occasioni usano un computer online.
Telelavoratori autonomi in piccoli uffici/uffici domiciliari (self-employed in
Small Office/Home Office [SOHOs])
Rientrano in questa categoria i telelavoratori
! che sono autonomi o che comunque hanno un notevole autonomia
gestionale nell’organizzazione di cui fanno parte;
! il cui principale posto di lavoro è a casa, o che dichiarino di non avere un
“principale posto di lavoro”;
! che usano tecnologie di telecomunicazione avanzate per comunicare con i
clienti e/o con i loro partner d’affari.
La stragrande maggioranza dei Subcontractors di VD appartiene a quest’ultima
categoria. Il contratto che li lega a VD, denominato “Independent Contractor
Agreement”, all’articolo tre specifica lo status del Subcontractor:
“3.1. Il [sub]contractor
3
è un independent contractor e non un dipendente, agente, joint
venturer o partner di VD.
3.2. Sarà il [sub]contractor a determinare i modi, i dettagli, i mezzi, e il luogo per
svolgere i servizi [concordati].”
Se questa autonomia sia solo formale o anche effettiva verrà chiarito dai dati
presentati in seguito (cfr. Cap. 4).
Dei 5,5 milioni di telelavoratori presenti in Europa nel 1999 (il 4.1% della
forza lavoro del vecchio continente), in questa terza categoria se ne contano 1,25
milioni (0.9% della forza lavoro totale — fonte ECaTT, 2000).
In Italia le dimensioni del fenomeno del telelavoro sono inferiori alla
media europea, con 584.000 telelavoratori stimati, (2.9% della forza lavoro
nazionale) di cui 90.000 (0.5%) appartenenti alla categoria dei telelavoratori
2
Il termine che compare nel contratto ufficiale è "contractor" ma nel gergo del personale di VD la
denominazione comune è "Subcontractor".
autonomi “SOHO”. D’altra parte questo dato non dovrebbe sorprendere molto,
considerando che la penetrazione di Internet, che costituisce l’infrastruttura
principale per questa forma di lavoro, è ancora piuttosto scarsa nel nostro paese
4
.
Negli Stati Uniti la situazione è diversa: l’indagine corrispondente
all’ECaTT europeo, su cui sono stati fatti i raffronti ufficiali da parte degli
organismi internazionali, è la Telework America (TWA) 2000. Le 1877 interviste
telefoniche che costituiscono questa ricerca indicano che i telelavoratori sono 9,3
milioni (pari al 6,8% della forza lavoro americana). La tipologia di telelavoratori
utilizzata in questa ricerca non è esattamente sovrapponibile con quella europea,
in quanto opera le proprie distinzioni in base a due variabili:
1. il luogo di svolgimento del telelavoro:
A. a domicilio (home-based);
B. presso un centro di telelavoro (telework center-based);
C. la combinazione dei due precedenti;
2. la forma di impiego che il telelavoro assume:
a. dipendente (employee);
b. a contratto (contract worker);
c. operatori di telelavoro con ditta domiciliare (teleworking operators of
home businesses);
d. autonomi (self-employed).
Per stessa ammissione di uno dei massimi esperti di telelavoro in America, Jack
Nilles, che ha curato questa classificazione, queste categorie sono fuzzy, sfumate,
4
Nel 1999, anno del sondaggio EcaTT, gli aventi accesso a Internet in Italia erano stimati in circa 10
milioni. Stime più recenti, (novembre 2000) parlano di 13.4 milioni, pari al 23.3% della popolazione.
e non sono mutuamente esclusive: cercano piuttosto di raccogliere
esaustivamente le definizioni che del proprio lavoro forniscono gli intervistati.
Nel caso specifico dei Subcontractors di VD, la questione si fa ulteriormente
complicata, in quanto la forma di telelavoro che essi praticano può essere ascritta
alle categorie b, c e d. Infatti, essi generalmente stipulano un contratto (b) con
diverse agenzie di traduzione, lavorano principalmente a casa ricevendo e
spedendo traduzioni via email, per cui si potrebbe dire che il loro è un home
business (c), e sono autonomi (d), cioè non dipendono da nessun superiore.
Questa multiappartenenza, oltre a rendere evidente le difficoltà di inquadrare la
varietà delle forme che il telelavoro può assumere, impedisce di trovare una
corrispondenza numerica con i dati del suddetto sondaggio, tale da fornire una
stima attendibile dell’entità del fenomeno studiato, nel contesto americano.
D’altro canto, per le finalità di questa introduzione, ciò che conta è
rilevare la forte crescita del fenomeno del telelavoro nel suo complesso
5
, e
plausibilmente anche di questa sua particolare forma, che forse più di altre riesce
ad avvantaggiarsi delle nuove tecnologie, senza incappare negli svantaggi tipici
del telelavoro dipendente (employee): sensazione di scarso controllo da parte dei
Fonte: Nielsen NetRatings.
5
È ben vero che le voci sull'evoluzione del telelavoro sono discordanti: in un recente articolo in proposito
apparso sul sito dell'International Telework Association & Council, il più autorevole organo americano
in materia, si dice:
"Molti articoli sui mass media, da ottobre [2000] innanzi forniscono un'immagine
piuttosto negativa del telelavoro [in USA] — alcuni concludendo che il telelavoro sta
perdendo popolarità. Certa stampa negativa può aver tratto ispirazione da dati forniti
da agenzie di analisi di mercato che fanno riferimento a diverse definizioni della
popolazione di telelavoratori. A seconda di come si taglia la torta, è possibile
concludere che i numeri del telelavoro stanno crescendo rapidamente o calando
continuamente. (…) In realtà, i numeri dei telelavoratori dipendenti stanno crescendo,
come emerge dai dati della ricerca ITAC Q3 2000 e da altri dati industriali. Il trend è
chiaro: il telelavoro come possibilità è vivo e vegeto." (Dicembre 2000,
superiori, farraginosità della negoziazione all’interno dei gruppi di lavoro,
inaridimento della comunicazione interna informale, solo per citarne alcuni.
Infatti, sia dalla letteratura di stampo manageriale che da quella più
marcatamente incentrata sulle tecnologie, emerge chiaramente una tendenza a
sottovalutare gli aspetti “umani” connessi all’inserimento nel contesto di lavoro
di una nuova pratica e/o tecnologia. Si tende cioè a “gettare” il nuovo artefatto
tecnologico nel contesto lavorativo, senza analizzarne preventivamente
l’appropriatezza e senza supportarne poi l’adozione con un adeguato intervento
formativo, che consenta alle persone di “far proprio” il nuovo modo di lavorare.
(Orlikowski, Yates, Okamura, Fujimoto 1994; Ruhleder, Jordan, Elmes, 1996).
Pertanto, il fallimento di programmi di telelavoro, che negli Stati Uniti come in
Italia ha determinato il diffondersi di un certo scetticismo attorno a questo tema,
va plausibilmente ascritto più ad un eccessivo entusiasmo iniziale, che si è
tradotto in un’introduzione avventata e miope, che non ad un’effettiva inefficacia
di questa forma di lavoro.
1.3. Per quali ragioni questa relazione tra Virtual Organization e
Subcontractors è interessante?
Sinora le ricerche in questo ambito hanno avuto prevalentemente un taglio
sociologico, che mirava a quantificare e a classificare il fenomeno. Molto meno è
stato fatto invece per cercare di capire quali siano le peculiarità di un rapporto
lavorativo che si affida così massicciamente alla comunicazione mediata dal
computer (CMC). Nel caso di VD e dei suoi Subcontractors, siamo addirittura in
assenza completa di un rapporto faccia a faccia. È precisamente questo
aspetto che costituisce la particolarità di questa relazione e quindi il nucleo
http://www.telecommute.org/aboutitac/alive.shtm)
principale d’interesse per questa ricerca. Infatti, nella letteratura di stampo
tecnologico-aziendale che tratta i cosiddetti virtual teams — cioè quei gruppi che
collaborano a distanza usando oltre all’email e al telefono, anche la
videoconferenza — viene spesso ribadita l’importanza di regolari incontri faccia
a faccia per permettere al gruppo di stabilire e conservare una relazione di
collaborazione fruttuosa (Lipnack, Stamps, 1997; Warkentin, Sayeed, Hightower,
1997).
Conseguentemente, particolare attenzione è riservata al ruolo degli artefatti
tecnologici nel costituire la “piattaforma simbolica condivisa” su cui “giocare” le
interazioni quotidiane (Mantovani, 1996) nell’assenza completa di una
compresenza fisica delle persone interagenti.
Da un punto di vista teorico, viene ripresa la concezione wittgensteiniana
del linguaggio come forma di vita, secondo cui le parole — in quanto simboli
— sono strumenti con i quali non si descrivono semplicemente cose, bensì si
fanno cose; e si fanno seguendo certe regole del gioco.
43. (…) Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio. (Wittgenstein, 1953)
Il significato è pertanto contingente, ma non è “qualsivoglia”: esso preesiste nella
rete di possibilità che un determinato gioco linguistico offre.
Nel succitato “Ricerche filosofiche” (1953), Wittgenstein pone la questione del
contesto quale imprescindibile componente del senso. Senso che non è più
necessariamente e solo quello logico — del Tractatus (Wittgenstein, 1921) — ma
è un senso pragmatico, che inerisce alle intenzioni del comunicatore e non può
prescindervi; al di fuori di quel preciso contesto e di quello specifico gioco
linguistico che condivido con il mio interlocutore, quanto viene detto è
incomprensibile.
Grice raffinerà questo concetto arrivando a formulare il principio di
cooperazione
6
, ma soprattutto enuncerà le due condizioni fondamentali che
permettono l’indicazione e la conferma — in una parola, la negoziazione — del
significato nel contesto di una conversazione:
! Il significato che attribuisco alla tua azione consiste in quello che
credo sia la tua intenzione nel compierla.
! Il significato che tu attribuisci alla tua stessa azione non consiste
solo in ciò che tu intendi con essa, ma anche nell’intenzione che tu
ritieni io possa attribuirti.
Questi due principi fondano la teoria del significato in Harré (Harré,
1994), ma a questa stessa “fonte” si abbeverano, più o meno assiduamente e/o
dichiaratamente, l’interazionismo simbolico di G. H. Mead, la cosiddetta seconda
cibernetica di Bateson (Bateson, 1972), la metafora drammaturgica di Goffman
(Goffman, 1959), l’etnometodologia di Garfinkel, la psicologia culturale di
Bruner (Bruner, 1990), la relazione tra audience e generi narrativi di Rorty
(Rorty, 1994).
6
È una sorta di imperativo morale del comunicatore:
"Fa' che il tuo contributo alla conversazione sia tale, quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo
scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato." (Grice, 1967, in Sbisà,
1979: 204). Di seguito egli sviluppa le massime ideali che dal principio discendono e che ne
costistuiscono garanzia; memore di Kant, Grice le raggruppa secondo le seguenti categorie:
Quantità: 1. Dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto (per gli scopi accettati dello
scambio linguistico in corso)
2. Non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto.
Qualità: 1. Non dire ciò che credi essere falso.
2. Non dire ciò per cui non hai prove adeguate.
Relazione: 1. Sii pertinente.
Modo: 1. Evita l'oscurità di espressione.
2. Evita l'ambiguità.
3. Sii breve (evita la prolissità non necessaria).
4. Sii ordinato nell'esposizione.
(Grice, 1967, in Sbisà, 1979: 205)