2
Di fatto attraverso trattamenti chimici, fisici ed enzimatici effettuati su estratti di
tessuto cerebrale ovino scrapie-infetto, è stata condotta un’indagine accurata sulla
natura biochimica dell’agente prionico, presunta causa dei focolai di scrapie. Tale
analisi ha rivelato che il prione viene inattivato, perdendo la sua capacità infettiva, se
sottoposto a digestione con tripsina (100 µg/ml) o con proteinasi K (100 µg/ml); lo
stesso risultato si ottiene dopo trattamento con:
- DEPC (10-20 mM),
- fenolo (in condizioni di saturazione),
- urea (3-8 M),
- GTC (1 M),
- SDS (1-10%).
Al contrario l’agente prionico mostra spiccata resistenza alla digestione con
ribonucleasi (0,1-100 µg/ml) e deossiribonucleasi (100 µg/ml); inoltre mantiene la
sua stabilità se sottoposto a:
- irraggiamento UV a 254 nm,
- idrolisi catalizzata da Zn²
+
(2 mM),
- fotoreazione con psoralene,
- trattamento con idrossilammina (0,1-0,5 mM),
- riscaldamento a 90°C per 30 minuti.
L’effettiva ritenzione della capacità del prione di generare la malattia per via
iatrogena in animali sani è stata poi saggiata mediante inoculo sperimentale in sede
intracerebroventricolare (anche per os seppur con minor efficienza di trasmissione)
degli estratti sottoposti ai diversi trattamenti. Si è concluso che procedure
normalmente impiegate per la denaturazione proteica sono in grado di inattivare
anche la particella prionica, la quale invece resiste ai normali trattamenti messi in
3
atto per degradare gli acidi nucleici (1). Questo ha permesso innanzi tutto di
escludere la natura virus-simile del prione scatenante la scrapie e
contemporaneamente di postulare il mancato coinvolgimento (almeno diretto) degli
acidi nucleici nel processo infettivo che invece risulta veicolato da una particella di
natura proteica: il prione (3).
In questo senso S. B. Prusiner, ha dato l’incipit al concetto di “ipotesi prionica”
secondo la quale una serie di disordini a carico del SNC di animali e più raramente
dell’uomo vede come causa scatenante l’intervento di “una particella proteica e
nient’altro”.
Una parte del mondo scientifico è ancora in difficoltà nei confronti di una scoperta
così recente che sembra scuotere i dogmi della biologia. Tutti gli agenti infettivi di
fatto includono nella loro struttura, per quanto semplificata essa sia, un quantitativo
minimo di materiale genetico (DNA o RNA), in cui risiede il “progetto”
dell’organismo stesso; questo gli conferisce la capacità di replicarsi una volta
all’interno dell’ospite e di generare la patologia. Nel caso dei prioni sono le particelle
proteiche stesse, prive di materiale genetico, ad essere in grado di autoreplicarsi e di
determinare l’insorgenza delle TSE.
1.1.2 Il prione: una proteina, due isoforme
Prusiner oltre a proporre la particella prionica come un rivoluzionario agente
infettivo, ha il merito di averne effettuato una prima caratterizzazione strutturale;
esperimenti di gel filtrazione, centrifugazione in gradiente di saccarosio e
elettroforesi su gel hanno rivelato che la sua massa molecolare era di poco inferiore
ai 50.000 daltons (1, 3); ulteriori studi condotti sulla scrapie hanno permesso di
4
individuare nei tessuti infetti la presenza di tale componente proteica (4), a cui è poi
stato attribuito il termine di PrP.
Nel 1984 è stata identificata una corta sequenza di 15 aminoacidi ad una estremità
della PrP e ciò ha permesso la realizzazione di sonde molecolari utilizzate per la
localizzazione cromosomica del gene codificante tale proteina. Nell’uomo il gene per
la PrP
prende il nome di PRNP ed è localizzato nel braccio corto del cromosoma 20,
mentre nel topo tale gene è noto come Prn-p e si localizza nel cromosoma 2 (5). La
scoperta interessante consiste nell’osservare che l’espressione della particella PrP
in
varie specie di mammiferi, tra cui l’uomo e il topo, non è associata a patogenesi;
questa evidenza sperimentale ha determinato la formulazione dell’ipotesi secondo la
quale la proteina PrP può presentarsi sotto due isoforme, una fisiologicamente
innocua definita PrP
c
(c = cellular) o PrP
sens
(proteasi-sensibile) ed una patologica
denominata PrP
Sc
(Sc = scrapie) o PrP
res
(proteasi-resistente) (6).
1.1.3 Caratteristiche strutturali e funzionali di un prione
In campioni di tessuto nervoso di criceti appartenenti alla linea SHa (Syrian
hamster), infettati per via sperimentale mediante inoculo di estratti tissutali di
animali affetti da scrapie, la particella prionica PrP si presenta come una
glicoproteina di 254 aminoacidi associata a 2 residui glucidici; ha una massa
molecolare compresa tra 33.000 e 35.000 daltons e risulta esposta sul lato
extracellulare della membrana plasmatica mediante un saldo ancoraggio con il
glicosil-fosfatidilinositolo (GPI), componente caratteristico delle membrane
plasmatiche eucariotiche (7). Una parte della PrP subisce processamento post-
traduzionale alle estremità COOH- e NH
2
-terminale, originando le due isoforme
5
prioniche entrambe costituite da 209 residui aminoacidici, quella fisiologica (PrP
c
)
che rimane esposta sulla superficie membranaria mediante l’ancoraggio con il GPI e
quella patologica (PrP
Sc
) contenuta in vescicole nella frazione citoplasmatica (6).
Sottoponendo i sopra citati estratti a digestione enzimatica con proteinasi K per 30
minuti a 37°C, si evidenzia l’idrolisi completa della particella PrP
c
e dei primi 67
aminoacidi della proteina PrP
Sc
; di questa componente rimane quindi solo un
polipeptide composto da 142 aminoacidi, del peso molecolare stimato tra 27.000 e
30.000. Il polipeptide in questione rappresenta il core proteasi-resistente della
particella PrP
Sc
rilasciato a seguito del taglio proteolitico all’estremità COOH-
terminale, e per le sue dimensioni prende il nome di PrP 27-30 (Figura 1) (8).
Figura 1. Processamento della particella PrP
Successivamente all’individuazione della particella PrP 27-30 sono stati realizzati
anticorpi in grado rilevare la presenza del residuo proteico da 142 aminoacidi
all’interno di tessuti cerebrali umani e animali affetti da patologie prioniche. In
questo senso le analisi condotte hanno dimostrato che il frammento PrP 27-30
PrP 27-30
PrP
Sc
PrP
c
PrP
CHO CHO GPI
SS
254 aminoacidi
209 aminoacidi
209 aminoacidi
142 aminoacidi
6
(digestione enzimatica postuma) è presente in tutti gli estratti cerebro-tissutali TSE-
infetti, mentre risulta non essere coinvolto in altri disordini neurodegenerativi come
il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson’s e la sclerosi laterale amiotrofica (9).
A seguito di tale acquisizione si è attribuita notevole importanza all’isoforma
proteica PrP
Sc
(da cui si origina per proteolisi la PrP 27-30), come proteina specifica
delle malattie prioniche essendo coinvolta nei processi di patogenesi e trasmissione
delle TSE.
Le particelle PrP
c
e PrP
Sc
rappresentano isomeri conformazionali (conformeri) di una
singola sequenza proteica; per quanto concerne la loro struttura secondaria, esse
differiscono sensibilmente pur conservando la medesima sequenza aminoacidica
(struttura primaria). Analisi di spettroscopia FTIR (Fourier Transform Infra-Red) e
dicroismo circolare (CD) hanno rivelato che la proteina PrP
c
si presenta con un
elevato contenuto in α-eliche (42%) e risulta quasi scevra da foglietti β (3%), mentre
i dati relativi alla componente PrP
Sc
indicano abbondanza di foglietti β (43%) e
ridotta presenza di α-eliche (30%). Una netta prevalenza di foglietti β (54%) rispetto
alle α-eliche(21%) si riscontra inoltre nella componente proteolitica PrP 27-30 e ciò
rappresenta un’ulteriore prova sperimentale che il suddetto frammento rappresenta
un residuo della particella infettiva PrP
Sc
(10).
Al fine di determinare la struttura terziaria delle particelle prioniche PrP
c
e PrP
Sc
,
sono state effettuate analisi di spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR),
in considerazione delle difficoltà incontrate nell’ottenimento di cristalli di tali
proteine che potessero essere analizzati con la metodica della cristallografia a raggi
X. Per ciò che riguarda l’isoforma fisiologica si è andati ad indagare la struttura di
proteine ricombinanti (SHaPrP e MoPrP) e questo ha permesso di rilevare la
presenza di 3 porzioni ad α-elica, HA (H = helix) compresa tra i residui aminoacidici
7
144 e 157, HB ( residui 172-193) e HC (residui 200-227). Si è inoltre riscontrata la
presenza dei due foglietti β S1 (S = sheet) nel tratto aminoacidico 129-134 e S2
(residui 159-165) (11). Il modello 3D proposto per la particella patogena PrP
Sc
scaturisce dall’analisi strutturale effettuata sia sulla proteina stessa, che sul
frammento PrP 27-30 e rivela la presenza di 4 foglietti β riuniti in 2 porzioni, S1
(residui 108-113 e 116-122) e S2 (residui 128-135 e 138-144). Accanto alle
conformazioni β si ritrovano 2 α-eliche definite H3 (residui 178-191) e H4 tra i
residui 202 e 218 (Figura 2) (12).
Figura 2. Struttura 3D delle proteine prioniche: a) isoforma fisiologica PrP
c
e b)
isoforma patologica PrP
Sc
8
Partendo dai risultati sopra ottenuti è sempre più accreditata l’ipotesi secondo la
quale alla base dell’insorgenza delle patologie prioniche, in tessuti originariamente
sani, vi sia la conversione intracellulare di PrP
c
in PrP
Sc
. Tale meccanismo è
caratterizzato da un refolding delle α-eliche (tra i residui aminoacidici 90 e 140) della
particella PrP
c
che riarrangiandosi nello spazio originano dei foglietti β, generando
così la proteina infettiva PrP
Sc
che si accumula a livello citoplasmatico (12). Le
modalità con cui si svolge questo processo non sono ancora note, ma studi condotti
in questo senso inducono a pensare che il passaggio dall’isoforma fisiologica a quella
patologica sia mediato da un agente di natura polipeptidica definito “proteina X”
(13). Nelle diverse teorie proposte per spiegare tale meccanismo di conversione, la
proteina X appare come un fattore in grado di legarsi ad un sito specifico della
particella PrP
c
(alla sua estremità C-terminale), determinando la formazione del
complesso PrP-proteina X; questo a sua volta interagisce con una particella PrP
Sc
già
presente, generando così l’intermedio trimerico PrP*, costituito dall’aggregazione di
3 componenti: PrP
c
, proteina X e PrP
Sc
. Solo successivamente si ha la formazione di
una nuova molecola PrP
Sc
, con il conseguente rilascio della proteina X che, secondo
tale modello, viene descritta come uno chaperon molecolare in grado di diminuire la
barriera cinetica tra i 2 isomeri conformazionali, grazie alla sua attività catalitica
(Figura 3) (14).