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1.2 Fasi costruttive
La costruzione, che ha avuto inizio nel 1173, è stata realizzata in 3 successive
fasi:
dal 1173 al 1178 con la costruzione dei primi 3 ordini,
dal 1272 al 1278 vennero aggiunti altri 4 loggiati,
tra il 1360 e il 1370 si aggiunge la cella campanaria.
Gli intervalli trascorsi tra le successive fasi sono rilevabili dalla presenza di filari di
conci variamente dimensionati, e che furono utilizzati per riportare in piano la quota
che era stata raggiunta nella precedente fase costruttiva.[1]
La torre di Pisa nel corso della sua lunga vita, è stata sottoposta a numerosi interventi
di riparazione e manutenzione che hanno comportato talvolta anche sostituzioni di
parti non sempre avvalendosi dei medesimi materiali originari. Cosi ad esempio già
nel 1394, epoca in cui avvenne la sostituzione di quattro colonne con le loro relative
basi e capitelli, il marmo di San Giuliano impiegato per i paramenti e il calcare grigio
di Filettole impiegato per le decorazioni venne progressivamente sostituito da marmi
bianchi e grigi provenienti dalle cave di Carrara. Si addivenne ad una profonda
trasformazione dei materiali.
1.3 Cenni storici
Rivestito quasi completamente di marmo bianco, il monumento è alto 58.36
metri sul piano di fondazione; il suo peso è stato calcolato in 14,453 tonnellate. Il
baricentro si trova 22.6 metri al di sopra del piano di fondazione e quest’ultima
presenta un diametro esterno di 19.58 metri. L’inclinazione attuale è di circa 55 gradi
e cioè circa il 10%.
Fondata nel 1173 con funzione di campanile annesso al Duomo (iniziato nel
1064 dall’architetto Buscheto) e al Battistero (iniziato nel 1152 dall’architetto
Deotisalvi) nella “Piazza dei Miracoli”, la torre pendente viene generalmente ritenuta
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opera di Bonanno. Nel corso di alcuni scavi condotti nel XIX secolo alla base del
Campanile, infatti, è stata ritrovata un’urna con questo nome, che si è ritenuto fosse
allusivo al costruttore della torre.
Possiede una pianta circolare, interamente rivestita di marmo bianco.
Nell'ordine inferiore della torre si evidenziano colonne addossate al muro con
capitelli classici, arcate cieche e losanghe. I
lavori proseguirono sotto la guida di Bonanno
che nel 1180 scolpì le quattro porte di bronzo
della cattedrale, delle quali però ne resta solo
una.
L’edificio attuale, risultato di una lunga
vicenda costruttiva ed oggetto nel corso dei
secoli di numerose campagne di restauro, volte
in primo luogo a contenere i pericoli di crollo
sollevati dall’evidente pendenza, è costituito
da un corpo cilindrico di muratura, circondato
da loggiati con archi e colonne che poggiano
sul tronco di base e sono sormontati da una cella campanaria. Il corpo centrale della
struttura è composto da un cilindro cavo, costituito da un paramento esterno in conci
sagomati in calcare di San Giuliano bianco e grigio. All’interno di questa zona di
muratura è ricavata una scala elicoidale che, con 293 scalini, monta fino al sesto
loggiato, dove il pozzo interno è concluso – la cella campanaria – da una volta con un
occhio centrale per il passaggio della luce, consentendo l’accesso alla cella
campanaria soprastante e, nei tratti intermedi inferiori, ai diversi loggiati. Ai lati del
portale, alcuni fregi figurati con decorazioni animali e mostruose, e con una singolare
raffigurazione di navi, accompagnano l’epigrafe commemorativa della fondazione
dell’edificio. Infatti un’iscrizione apposta sulla parete destra della porta di ingresso
documenta la data di avvio dei lavori di costruzione dell’edificio, A.D. MCLXXIV.
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CAMPANILE HOC FUIT FUNDATUM MENSE AUGUSTI (nell’anno del Signore
1174, nel mese di Agosto, fu fondato questo campanile).
1.4 I materiali della torre
I materiali con cui fu costruita la torre di Pisa sono in gran parte provenienti dalle
cave delle montagne più vicine alla città, essendo all’epoca il trasporto delle pietre da
costruzione una delle voci che tendeva a far alzare maggiormente il costo finale
dell’opera da realizzare. Si possono dunque individuare principalmente i marmi di
San Giuliano, provenienti dalla zone di spartiacque fra le valli del Serchio e
dell’Arno, ma anche i più famosi marmi apuani, come il bianco e il grigio bardiglio,
delle celebri cave di Carrara, e infine il calcare delle colline di Filettole, una regione
lungamente contesa con Lucca ma all’epoca della fabbrica della Torre sotto il
dominio pisano. [2]
1.4.1 Marmo di San Giuliano
Il marmo di San Giuliano è il materiale costitutivo fondamentale non solo della torre,
ma di tutto il complesso monumentale di Piazza dei Miracoli. È un marmo di
granulometria molto fine, che gli conferisce un aspetto poco cristallin-traslucido, e si
presenta in varietà molto differenti per colorazione e tessitura. Il colore varia dal
grigio più o meno scuro fino al bianco, e dal giallo grigiastro al rosato, talora molto
intenso. Dal punto di vista tessiturale è in genere molto ornato, con venature frequenti
e irregolari, fino ad assumere aspetti brecciati, con clasti marmorei chiari immersi in
matrice grigia o rosata. Nella torre tali varietà sono diversamente distribuite: in
genera, gli ordini costruiti nella prima fase di costruzione (primo ordine e parte del
quarto ordine) presentano un aspetto più omogeneo, con marmo di colore grigio
chiaro e grigio-giallastro; nella seconda e terza fase si rileva invece un maggiore
utilizzo di varietà gialle-rosate e rosate. È difficile stabilire se tale distribuzione sia
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legata a scelte di selezione dei materiali o piuttosto al diverso materiale disponibile,
seguendo le zone di estrazione in cava.
Naturalmente il marmo di San Giuliano è il materiale lapideo originario, tuttavia
rispetto ai singoli elementi architettonici sono state operate numerose sostituzioni con
lo stesso litotipo, cosi come sono state eseguite frequenti rilavorazioni superficiali
evidenziate dal rinvenimento di vari segni di lavorazione sovrapposti; ciò rende
complessa l’attribuzione a interventi manutentivi o a rilavorazione di elementi
originari.
1.4.2 Marmi apuani: bianco e grigio Bardiglio
I marmi apuani si differenziano dal marmo di San Giuliano per maggiore
granulometria e omogeneità di colore (dal bianco al grigio più o meno scuro). Le
tessiture variano da omogenee a venate, da arabescate a brecciate. Il marmo grigio
Bardiglio ha una granulometria più fine rispetto alle varietà bianche, tale da conferire
al materiale un aspetto non traslucido, che lo rende molto simile al marmo di San
Giuliano grigio scuro. Il marmo apuano è stato sicuramente utilizzato per operare
numerose sostituzioni; tuttavia, in riferimento ai singoli elementi (ad esempio alcune
colonne) non si può escludere che sporadicamente siano stati utilizzati, anche durante
la costruzione, manufatti di reimpiego in marmo apuano bianco.
I marmi apuani bianco-grigio chiaro sono stati utilizzati per sostituire il marmo di San
Giuliano: in questo senso sono state rilevate varietà di marmi apuani non
particolarmente pregiate e pure, bensì variamente ornate, probabilmente per
conformarsi all’aspetto estetico del marmo di San Giuliano, decisamente eterogeneo.
Il marmo apuano grigio Bardiglio è stato utilizzato per sostituire sia il calcare di
Filettole nelle ornamentazioni scure, sia alcuni elementi architettonici del loggiato
(colonne, mensole, basi) originariamente in marmo di san giuliano, forse di
colorazione grigia marcata.
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Le sostituzioni operate con marmi apuani hanno interessato con diversa incidenza
tutte le parti della torre, ma sono maggiormente frequenti negli elementi architettonici
del loggiato, più esposti e lavorati (capitelli, colonne, basi di colonna, mensole, conci
degli archetti); per essi si rileva un progressivo aumento delle sostituzioni procedendo
verso gli ordini superiori.
1.4.3 Calcare grigio di Filettole
È stato usato unicamente per le tipiche ornamentazioni scure della Torre. Si tratta di
un calcare di colore grigio scuro-nero, a grana fine e con tessitura omogenea. Per
alterazione assume colore grigio chiaro o bruno-giallastro. Data la generale
omogeneità del litotipo, non si rilevano aspetti particolari, salvo minori variazioni
tessiturali, presenza di fini venature giallastre o forme di alterazione superficiale.
1.5 Descrizione strutturale
La sua struttura, di forma cilindrica, si compone di due parti: il masso di
fondazione e l’elevato; tra questi due elementi si inserisce il piano marmoreo del
catino, progettato negli anni 30 del XIX secolo, quando tutto questo settore della
piazza fu sottoposto ad un pesante intervento di restauro. Le fondazioni, fatte di
pietrame e malta di calce di S. Giuliano, furono esaminate a più riprese agli inizi del
‘900 (indagini delle Commissioni del 1907- 1908, del 1912-1913, e del 1933-1935) e
negli anni ’70 durante i lavori della Commissione Polvani.
Costruita assieme ai paramenti, procedendo per strati pressappoco orizzontali,
la muratura ha uno spessore che si riduce con l’altezza: più larga alla base, dove
misura circa 4 mt, più stretta nel corpo centrale (circa 2.70 mt), arrivando all’altezza
del 7° ordine, ad uno spessore minimo di 2.49 mt. Nell’insieme la struttura, che
forma l’elemento portante dell’edificio estendendosi fino all’ultimo ordine della
torre, ricorda un altro cilindro cavo, da qui i nomi (fusto, tamburo, nucleo, canna) con
cui viene indicata. All’interno del sodo murario, si snoda, compiendo tre giri in senso
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orario, la lunga scala elicoidale che con 217 gradini, larghi circa 1 mt, conduce ai
piani delle gallerie anulari (dette loggie o loggianti) fino a raggiungere la 6° e ultima
loggia.
Da qui, per una stretta scala a chiocciola di 36 gradini, si passa, girando in
senso inverso alla scala principale, alla cella campanaria, mentre una 3° scaletta
sempre ricavata entro lo spessore della struttura muraria con un andamento a
chiocciola nel I tratto e a sviluppo elicoidale nel II, permette l’accesso al fastigio.
L’elevato della torre è ripartito esternamente in 8 segmenti chiamati ordini: il
tronco di base ( 1° ordine), i sei loggiati (dal 2° al 7° ordine) e la cella campanaria (8°
ordine). La cavità interna, detta tromba o gola, ha invece la forma di un grande pozzo
dalle pareti liscie, interrotto solo da alcune mensole, da quattro nicchie voltate ad
arco, situate all’altezza del piano del 6° ordine e la cui funzione rimane ancora oscura
e, a livello del 7° ordine, da sei finestroni alti e stretti, che in passato servirono ad
alloggiare le campane. Conclude la tromba, una volta molto ribassata nel cui centro è
ricavato un occhio di forma esagonale per il passaggio della luce e, in passato, per la
costante manutenzione delle campane che da questa apertura venivano calate a terra.
Alla nudità della cavità interna si contrappone l’articolata struttura delle
superfici esterne.
Ognuno degli otto ordini presenta, infatti, un complesso gioco architettonico
fatto di basi, colonne, capitelli, mensole e cornici che danno vita nei piani delle
gallerie anulari a effetti di chiaroscuro che si ammortizzano con i cromatismi dei
marmi[3].
1.6 Cause della pendenza
La torre di Pisa, come noto, iniziò ad inclinarsi già durante la costruzione.
I vari tentativi di contrastarne l’inclinazione risultarono solo in parte efficaci e
nei secoli seguenti si dovette intervenire per sostituire le colonne e le altre parti
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lesionate in conseguenza del sovraccarico alle strutture generato dalla anomala
posizione della Torre. Soltanto recentemente gli interventi, diretti sul sottosuolo,
hanno ridotto significativamente la pendenza della torre.
Il lavoro di recupero garantirà alla torre una longevità di 250-300 anni: oggi
infatti la pendenza è la stessa del 1838.
Gli interventi di manutenzione e restauro condotti nel corso del tempo sulla torre
hanno interessato due aspetti:
1- la conservazione dei materiali che ne compongono la struttura e la decorazione;
2- la statica, e più precisamente:
2.1- il consolidamento del terreno sul quale la torre è edificata,
2.2- il consolidamento strutturale delle fondazioni e dell’opera in
elevazione.
2.1- Dal punto di vista geotecnico la torre corre due tipi di rischi:
Il primo rischio riguarda il processo degenerativo che si innesca per effetto
dello sbilanciamento della torre dovuto all’inclinazione, calcolata in circa 5 gradi e
mezzo.
La posizione inclinata della torre induce un aumento della pressione sul terreno
circostante, il quale si deforma per compressione consentendo alla torre un ulteriore
spostamento, che conseguentemente genera un incremento della compressione sul
terreno che da luogo ad un nuovo spostamento e così via fino al collasso e alla rovina
a terra della torre.
Il secondo rischio è quello della rottura del terreno di fondazione, che
causerebbe anch’esso il ribaltamento della torre.
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Per capire l’origine dei rischi geotecnici bisogna tener conto che il Campanile è
costruito su terreni compressibili, cioè soggetti a deformarsi sotto l’effetto del peso, e
che esso concentra il suo carico (circa 14500 tonnellate) su una piccola superficie.
Il suolo pisano è costituito da una pianura formatasi per riempimento di
ambienti marini o paludosi che presenta una successione di strati compositi. A causa
del peso esercitato dalla torre in una zona ristretta, gli strati superiori hanno
compresso le argille degli strati sottostanti che nel tempo lentamente hanno espulso la
loro acqua, si sono consolidate e hanno portato ad un abbassamento di tutto lo strato
(calcolato in circa tre metri). Tutta la piazza è soggetta ad un fenomeno di
subsidenza, cioè di abbassamento progressivo della superficie del terreno.
2.2- Dal punto di vista strutturale il rischio maggiore per il campanile è quello
di una rottura della muratura sul lato sud (il lato sotto pendenza), in particolare al
livello della loggia del II ordine, che comporterebbe il crollo di tutta la struttura
sovrastante. Questa è una vera e propria “zona critica” della torre; nei secoli, con
l’aumento della pendenza, è stata sottoposta a sollecitazioni sempre maggiori (in
particolare a sforzi di compressione verticali) e ciò ne ha indebolito la resistenza.
La torre di Pisa è stata sottoposta a notevoli opere di manutenzione sin dal
momento della costruzione, ma il primo intervento vero e proprio di restauro è quello
degli anni 1838-1839, diretto da Alessandro Gherardesca, il quale riportò in luce tutto
il primo ordine del monumento, che era in gran parte interrato soprattutto a causa del
rialzamento del livello del suolo nel corso dei secoli. Gherardesca ampliò il bacino
intorno al monumento, dandogli le dimensioni che vediamo oggi e cercando, con
nessun successo, di renderlo impermeabile alle acque risalenti dal terreno con un
rivestimento in marmo delle pareti. È verosimile che lo scavo e poi i numerosi
pompaggi dell’acqua affiorante, mista a terreno e sabbie, abbiano causato un brusco
aumento dell’inclinazione.
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Tra la fine dei lavori di Gherardesca (luglio 1839) e l’istituzione, per la prima
volta, di una commissione incaricata di occuparsi dei problemi di stabilità della torre
(1907), la manutenzione del monumento proseguì come nei secoli precedenti, con
periodiche riparazioni o sostituzioni delle parti danneggiate. Nel frattempo la
situazione delle acque affioranti dal sottosuolo si era aggravata dopo i lavori di
Gherardesca, e in quegli anni furono necessarie numerose operazioni di svuotamento
del “bacino” stesso e di pompaggio di acqua.
1.7 Cantiere di progetto
La commissione, che lavorò dal 1907 al 1910, fece eseguire sondaggi per
approfondire la natura delle fondazioni della torre e del terreno sul cui è poggiata. In
seguito a tali studi, nel 1911 fu iniziato un monitoraggio sistematico dell’edificio,
condotto tramite un teodolite sistemato in una posizione fissa[3]. Le misurazioni dei
movimenti del campanile diventarono ancor più precise a partire dal 1934 quando
all’altezza del primo ordine furono sistemati 2 nuovi strumenti: un inclinometro e una
livella.
Tra il 1933 e 1935 furono messi in atto sia i lavori di consolidamento delle
fondazioni, tramite iniezione a pressione attraverso fori nella muratura di una miscela
di acqua e cemento, sia l’impermeabilizzazione del bacino intorno al basamento,
ponendo sotto il lastrico una soletta di cemento e uno strato di impermeabilizzante. Il
problema della risalita delle acque sotterranee fu eliminato ma l’immissione di
cemento nelle fondazioni causò anche un netto aumento dell’inclinazione
dell’edificio.
I lavori di monitoraggio e di studi continuarono negli anni seguenti.
Negli anni settanta fu chiarita l’importanza, per l’inclinazione della Torre, del
fenomeno della subsidenza del terreno, che si era accentuato anche per
l’abbassamento della falda idrica dovuto agli intensi prelevamenti e pompaggi
d’acque profonde condotti nel dopoguerra. In seguito a queste conclusioni fu vietato,
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nel 1973, il prelievo di acque profonde in prossimità del Campanile; il loro livello
smise di diminuire e anche la velocità di rotazione della Torre tornò ai valori
consueti[4].