2
La caratteristica fondamentale della sua uva è data dalla notevole
carica delle sostanze coloranti e tanniche che trasmette
integralmente al vino, il quale assume riflessi nero-violacei.
La vite ha una vigoria media ed una produttività discreta.
Presenta una notevole colatura dei fiori, probabilmente per
difficoltà di allegagione, per cui il grappolo che si forma risulta
spargolo e alato.
Questo si presenta, a maturità, di grandezza medio-piccolo, con
acini ovoidali, con buccia pruinosa e consistente, di colore nero-
bluastro, a stacco molto facile, con sapore leggermente
aromatico.
La maturazione dell’uva è media e nelle zone tipiche di media-
alta collina si verifica intorno all’inizio di ottobre.
Sul territorio molisano si riscontrano almeno due biotipi di
Tintillia: uno con uva a buccia colorata e succo incolore ed
un’altra con buccia e succo intensamente colorati.
Esistono probabilmente altre varietà che si sono selezionate
naturalmente nei diversi microclimi.
La Tintillia, denominata anche Tintiglia o Tentiglia, ha la
proprietà di tingere di rosso scuro la tovaglia o qualsiasi
indumento.
La Tintillia veniva raccolta in purezza ed utilizzata per la
preparazione dei cosiddetti “vini cotti”.
Si ottenevano dalla bollitura o dal riscaldamento dell’uva
diraspata in grosse caldaie di rame fino alla riduzione a due terzi
3
della massa iniziale e con successiva aggiunta di mosto crudo per
avviare il processo di fermentazione.
E il vino che si ottiene, la cui gradazione alcolica raggiungeva
anche 13°-14°, dopo un invecchiamento di sei o sette anni, è
paragonabile al miglior Marsala o Malaga.
In generale il tipo più diffuso di Tintillia ha una buona rusticità
sia rispetto alle avversità climatiche che a quelle di natura
parassitarie.
Il vino che si ottiene è di intensa colorazione, di odore vinoso,
denso e corposo, e si presta, con una buona tecnica di
invecchiamento, ad un notevole affinamento delle qualità
organolettiche (Fig. 1) (Tanno M., 1997).
4
Capitolo 1
CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA
VINIFICAZIONE
IL MOSTO
Il mosto non è altro che il succo cellulare della polpa dell’uva
matura di Vitis vinifera europea.
La sua composizione è molto complessa .
Esso è costituito per il 70-80 % da acqua e questa percentuale
varia a seconda del tipo di vitigno, del grado di maturazione, del
clima e delle caratteristiche chimico-fisiche-pedologiche del
terreno.
Nell’acqua si trovano sospese, disperse e disciolte molte sostanze
quali zuccheri, acidi organici, sostanze azotate più o meno
complesse, polifenoli, sostanze pectiche, sali, enzimi, vitamine,
microrganismi, ecc.
Quindi, il mosto d’uva possiede una composizione tale da
soddisfare le esigenze di crescita di numerosi microrganismi.
Ciò che impedisce alla maggior parte dei microrganismi di
moltiplicarsi nel mosto d’uva è il pH, che compreso tra 3 e 3,5,
svolge un’azione selettiva a vantaggio solo di alcuni
5
microrganismi capaci di tollerarlo come i lieviti, i batteri acetici,
i batteri lattici e alcune muffe.
Le condizioni di anaerobiosi che si creano dopo la pigiatura
dell’uva, consentono in breve tempo (1,2 giorni) ai lieviti di
prendere il sopravvento, impedendo ai batteri acetici e alle muffe
ogni tipo di attività. (Zambonelli C., 1998).
IL VINO
Il vino è il prodotto della fermentazione alcolica di mosto d’uva
proveniente dalla Vitis vinifera.
Esso è costituito da un gran numero di composti organici ed
inorganici, alcuni dei quali preesistenti nel mosto ed altri di
neoformazione, prodotta dal processo fermentativo e dalle
reazioni secondarie ad esso legate (Pallotta et al., 1977).
I LIEVITI
I lieviti sono funghi unicellulari che si moltiplicano per
gemmazione o per scissione. Essi, pur essendo un gruppo
omogeneo di organismi, sono distribuiti fra le varie sottodivisioni
in cui sono classificati i funghi e sono piuttosto numerosi.
La classificazione di Kreger van Rij del 1984 comprendeva 500
specie e quella di Kurtzman e Fell (1998) comprende circa 700
specie.
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Tutti i lieviti hanno la capacità di sviluppare in mosto d’uva il
quale rappresenta un mezzo nutritivo molto buono per questi
microrganismi però, sono pochi i lieviti che di fatto intervengono
nella fermentazione cosiddetta “spontanea”, per cui di seguito si
descrivono i generi e le specie di lievito responsabili della
vinificazione (Zambonelli C. et al., 2000).
Genere Saccharomyces
Il genere Saccharomyces comprende i lieviti più vigorosi e
alcoltolleranti, quelli che più di tutti gli altri possono essere
considerati “lieviti”.
La specie per eccellenza è Saccharomyces cerevisiae, il tipico
lievito del pane, della birra e del vino, che viene prodotto
industrialmente in grandi quantità e viene utilizzato in diversi
settori alimentari.
Attualmente, il genere Saccharomyces è diviso in due gruppi:
Saccharomyces in sensu stricto e Saccharomyces sensu lato.
Saccharomyces sensu lato raggruppa solo alcune specie che
hanno tutte le caratteristiche proprie del genere, ma che hanno
generalmente scarsissimo vigore fermentativo, per cui inadatti
per l’industria enologica.
Invece, Saccharomyces sensu stricto è formato a sua volta da
quattro specie che si differenziano a due a due per il
comportamento verso la temperatura.
7
Le quattro specie sono: Saccharomyces cerevisiae e
Saccharomyces paradoxus, capaci di sviluppare oltre i 37 °C con
un ottimo di temperatura superiore ai 30°C; Saccharomyces
bayanus e Saccharomyces pastorianus capaci di sviluppare
massimo a 37 °C e con un ottimo di temperatura inferiore ai 30
°C.
Le quattro specie si differenziano per diversi caratteri fenotipici,
anche se sono molto simili tra loro (Zambonelli C. et al., 2000).
Saccharomyces cerevisiae
Saccharomyces cerevisiae è il lievito più vigoroso, più
alcoltollerante e il più resistente alla SO
2
. Esso produce la
maggior quantità di etanolo a parità di zucchero fermentato e la
minore quantità complessiva di prodotti minori dando origine a
fermentazioni cosiddette “pulite”.
Da quanto detto, si evince che Saccharomyces cerevisiae è il
lievito più importante dal punto di vista enologico.
Presenta una forte variabilità per un gran numero di caratteri e
questo lo rende molto interessante dal punto di vista biochimico e
genetico.
E’ un lievito omotallico, avente cellule sferoidali ed ellittiche e
capaci di sporificare, cioè, trasformarsi direttamente in aschi
contenenti da uno a quattro spore (Zambonelli C. et al., 2000).
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Saccharomyces paradoxus
Saccharomyces paradoxus è fenotipicamente molto simile a
Saccharomyces cerevisiae. Non se ne conosce l’interesse sotto
l’aspetto enologico perché i ceppi disponibili sono pochi e
insufficienti per l’esecuzione di uno studio biometrico attendibile
(Zambonelli C. et al., 2000).
Saccharomyces bayanus
Saccharomyces bayanus è una delle specie considerate più valide
sotto l’aspetto enologico, ma vi è una certa difficoltà nel
definirlo.
Nella classificazione del 1998 Saccharomyces bayanus differiva
da Saccharomyces cerevisiae solo per l’incapacità di fermentare
il galattosio.
Dato che la fermentazione degli zuccheri non è un carattere della
specie, ma del ceppo, per cui Saccharomyces bayanus perse
importanza sotto l’aspetto tassonomico.
La specie Saccharomyces bayanus è divisa in due gruppi: il
primo denominato “gruppo bayanus” comprendente il ceppo
tipo ed altri di incerta caratterizzazione; il secondo, molto
omogeneo, è denominato “gruppo o tipo uvarum”, comprendente
ceppi molto comuni nei mosti e con particolari caratteristiche
fermentative.
9
I ceppi tipo uvarum sono morfologicamente molto simili a
Saccharomyces cerevisiae.
Attualmente Saccharomyces uvarum è stata proposta come nuova
specie.
Saccharomyces pastorianus
È considerato il tipico lievito delle birre cosiddette “lager”
ottenute per fermentazione a bassa temperatura.
Della specie si conosce un numero piuttosto limitato di ceppi,
tutti sterili, perché incapaci di sporificare o dotati di spore non
germinabili.
Per questo si dubita della validità della specie e si ipotizza che i
ceppi che la formano, siano in realtà ibridi interspecifici naturali.
A questo lievito non è riconosciuta alcuna importanza enologica.
I LIEVITI APICULATI
Questa denominazione deriva dal fatto che la loro
moltiplicazione avviene sempre per formazione di gemme alle
estremità delle cellule.
Dopo il distacco delle gemme, si ha il progressivo allungamento
degli apici delle cellule le quali assumono la caratteristica forma
"apiculata".
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I più importanti dal punto di vista enologico sono i generi
Hanseniaspora e Kloeckera, quest'ultimo considerato la forma
imperfetta, non sporigena, del primo genere.
Di conseguenza, il genere Kloeckera è stato soppresso e tutte le
sue specie sono oggi comprese in Hanseniaspora.
Il più noto lievito apiculato è Kloeckera apiculata (oggi,
Hanseniaspora uvarum) ed è il primo a cominciare la
fermentazione dei mosti.
Comunque, è considerato un cattivo lievito per il fatto che è poco
alcoligeno, si arresta ad una gradazione alcolica di 4°-5° e
produce alte quantità di acido acetico compromettendo la qualità
dei vino.
E' molto sensibile alla S0
2
e può essere facilmente eliminato con
l'uso di questo antisettico.
Nei mosti delle zone a clima temperato-caldo il lievito più
frequente è, invece, Hanseniaspora gulliermondii che, rispetto al
precedente, è molto più alcoligeno (8-9 Vol % di etanolo) e
resistente alla S0
2
. Anch'esso produce alte quantità di acido
acetico, molto più resistente alla S0
2
e, quindi, difficilmente
eliminabile (Zambonelli C., 1998).
I LIEVITI DELLA FERMENTAZIONE SPONTANEA
Con la tecnica della fermentazione cosiddetta "spontanea" si
produce il vino fin dai tempi più remoti.
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Le uve, arrivate alla loro giusta maturazione, vengono raccolte e
trasportate in cantina, dove, attraverso una pigiatura delle stesse,
si ottiene un succo d'uva, cioè, il mosto, subito dopo raccolto nei
cosiddetti "tini" o "vasi vinari".
A distanza di 1,2 giorni dall' ammostamento, inizia
spontaneamente la fermentazione attivata dai lieviti apiculati in
particolare la specie Kloeckera apiculata e nei climi caldi dalla
specie Hanseniaspora gulliermondii (Rosini e Ciani M., 1991).
Però, i lieviti apiculati, avendo una alcolresistenza molto bassa,
arrestano la loro attività sulla soglia dei 4 gradi alcolici.
Per cui prendono il sopravvento i cosiddetti lieviti a morfologia
"ellittica" come Saccharomyces cerevisiae, il lievito da vino per
eccellenza, Torulaspora delbrueckii, Saccharomyces bailii, che,
aventi un elevato potere alcoligeno, portano a termine il processo
fermentativo.
I lieviti sono presenti sugli epicarpi (bucce) delle uve e vanno a
costituire la cosiddetta "microflora epifitica", dove gli apiculati
sono presenti in percentuale molto più elevata rispetto a
Saccharomyces cerevisiae, il quale, come precedentemente
accennato, prenderà il sopravvento durante l'ammostamento.
Terminata la fermentazione tumultuosa si possono evidenziare
alcuni aspetti importanti:
a) per la presenza di ceppi ecologicamente buoni, la
fermentazione si completa con l'esaurimento degli
zuccheri;
12
b) a causa della bassa temperatura e nonostante la presenza
di ottimi ceppi, o per la mancanza di ceppi dotati di
elevato potere fermentativo, la fermentazione non giunge
a termine lasciando un residuo di zuccheri più o meno
abbondante;
c) in qualche momento si sviluppano intensamente anche
altri lieviti, come Schizosaccharomyces e Brettanomyces
con andamenti anomali del processo fermentativo
(Zambonelli C., 1998).
Alla fine dell'inverno se il vino non viene portato
all'invecchiamento, si imbottiglia ottenendo così un vino con
alcune caratteristiche:
• vino tranquillo : già secco e non suscettibile nel subire
altre fermentazioni;
• vino frizzante secco: vino contenente una piccola
quantità di zuccheri e ceppi di Saccharomyces
cerevisiae capaci di rifermentarlo;
• vino tranquillo più o meno dolce: vino contente
zuccheri in quantità variabili, ma non ceppi capaci di
rifermentarli;
• vino dolce e frizzante: vino contente elevate quantità di
zuccheri e ceppi dotati di basso potere fermentativo;
• vino all'inizio dolce e frizzante con aumento
progressivo della pressione fino allo scoppio della
bottiglia: vino contente elevate quantità di zucchero e
13
ceppi di Saccharomyces cerevisiae capaci di
rifermentarli (Zambonelli C., 1998).
Con la fermentazione spontanea il mosto è abbandonato al suo
destino con il solo intervento dei lieviti cosiddetti "selvaggi", non
buoni e non facilmente controllabili, compromettendo così la
buona riuscita del prodotto.
Al fine di evitare inconvenienti e di migliorare la qualità e la
stabilità del vino che se ne ottiene, si è trovato, di recente, un
ampio spazio d'applicazione all'utilizzo dei cosiddetti "lieviti
selezionati", i quali verranno descritti nel prossimo capitolo.
I LIEVITI SELEZIONATI
Vengono definiti “selezionati” quei lieviti che danno origine a
fermentazione dei mosti o dei vini con risultati prevedibili e
programmabili.
Come descritto precedentemente, le specie che si tengono in
considerazione al fine della selezione, sono quelle del gruppo
Saccharomyces sensu stricto, soprattutto, Saccharomyces
cerevisiae, che possiede ottime caratteristiche di base, come l'alto
potere fermentativo, la buona resistenza naturale alla S0
2
, la
scarsa produttività di composti secondari della fermentazione
(Zambonelli C. et al., 2000).
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Di solito, la fermentazione spontanea dei mosti, sia in presenza
che in assenza di S0
2
, può causare degli inconvenienti sia per
l'andamento della fermentazione, sia per la qualità del prodotto
finito.
E questo accade perché, come precedentemente descritto,
Saccharomyces cerevisiae è presente nei mosti in numero così
limitato da essere superato da altri lieviti (ad es. i lieviti apiculati)
o da non essere in grado di provocare una fermentazione pronta.
Tutto ciò, può essere risolto in modo abbastanza semplice,
basandosi sul principio che se le cellule di Saccharomyces
cerevisiae sono poche rispetto a quelle di altre specie, è
sufficiente aggiungerle in numero tale da ribaltare ill rapporto
iniziale (Zambonelli C. et al., 2000).
Questa tecnica enologica di aggiungere lieviti selezionati è di
recente applicazione: fino agli anni '50 era praticata solo nei
Paesi nuovi produttori di vino come Australia, America, Nuova
Zelanda e Canada (Picciotti G. e Ciani M., 1999).
Per queste Nazioni l'impiego dei lieviti risulta essere
indispensabile perché le fermentazioni presentano spesso delle
brusche interruzioni con ripercussioni sul prodotto.
Invece, nei Paesi a tradizione vinicola millenaria, i lieviti
selezionati vengono impiegati per correggere difetti fermentativi
e/o attivare operazioni di rifermentazione.