7
Introduzione
«Sapore è sapere»
In un paese come il nostro, capace di esportare ormai quasi
esclusivamente fashion, furniture and food culture,
comprendiamo quanto la sensorialità assuma un ruolo
fondamentale nell’esperienza di tutti i giorni ancor prima che
diventi una necessità comunicativa. In quest’ottica il mio
lavoro intende partire da una prospettiva di studi di
antropologia culturale e dei sensi per descrivere come siano
cambiati i profili sensoriali nella società, determinando in
generale un’evoluzione della percezione e degli stessi sensi.
Secondo questa corrente di studi gli esseri umani
verrebbero principalmente plasmati dalla cultura a cui
appartengono, che li inscrive in una socialità capace di
modificarne il corpo e specializzare alcuni sistemi percettivi.
Non esiste quindi una sola sensorialità, ma molte forme
declinate a seconda del contesto storico, antropologico,
culturale e biografico (Howes 1991). L’idea di «sensorialità
collettiva» proposta da Matera (2002) spiega come i sensi
vengano rimodellati dalle principali forme comunicative
presenti nella società. È proprio in questa direzione che Wulf
(2002), McLuhan (1991, 1997) e Debray (1999) hanno
parlato di una società occidentale nella quale la vista e il suo
sguardo razionale hanno determinato una
desensualizzazione del mondo. A questa tendenza oggi
sembra rispondere una opposta che porta con sé la
necessità di dare un peso alle esperienze quotidiane, troppo
8
spesso divenute semplice routine, promuovendo l’idea di
multimedialità, di «prospettiva sporgente», di sguardo
partecipativo e di sinestesia, assieme a valori come
l’emotività, l’empatia e l’eticità.
Proprio la sinestesia vuole essere il filo conduttore della tesi
(perché capace, a mio avviso, di toccare tutti questi valori)
che ci condurrà dal primo all’ultimo capitolo.
«I sensi, il cibo e la mente embodied»
L’ intento è quello di dimostrare come la sinestesia non sia
solamente un meccanismo retorico né un fenomeno
fisiologico e psicologico che interessi un ristretto gruppo di
persone, i sinesteti, ma soprattutto rappresenti un processo
cognitivo autonomo proprio di ogni individuo. In questo
senso essa trae origine dall’esperienza corporea che è,
prima di tutto, sociale e propriocettiva. Non si tratta della
semplice unione polisensoriale dei dati sensibili, ma si
esplica nel dialogo tra corpo e mondo esterno; uno scambio
fatto di esplorazioni, di scoperte, di conoscenza e di
empatia.
Proprio quest’ultimo concetto apre le porte al legame tra la
prospettiva fenomenologica di Merleau-Ponty, la nozione di
embodiment, inteso come radicamento esperienziale e
corporeo (Violi 2003; Lakoff e Johnson 1998) e la Teoria dei
Neuroni Specchio di Rizzolatti (2004).
In un universo di senso così strutturato il cibo diventa il
principale sistema di modellizzazione culturale, non tanto
perché protagonista della scena quotidiana quanto perché
9
portatore di storia e di valori di un territorio al quale
sentiamo di appartenere. Per farlo però è necessario
riscoprire un’educazione gastronomica, se non ancor prima
passionale e sentimentale, che ribalti l’idea di spazi asettici,
di assenza di convivialità, di neutralità delle pratiche
gastronomiche, di rigidità degli schemi dietetici che
ossessionano una società dell’apparenza, tipica della cultura
fast food, verso un modello che permetta la valorizzazione
del corpo inteso come finestra sul mondo.
Niente sa spiegarci, come lo può fare il cibo, quanto la
mente sia in relazione con il nostro corpo e quindi con
l’ambiente che ci circonda (attraverso i nostri sensi): una
porzione di mondo che entra dentro di noi e ci modifica
dall’interno.
«Il sapore delle passioni»
Per Lévi-Strauss il cibo è una forma di linguaggio che usa gli
alimenti come parole e le relazioni (tecniche di
trasformazione, abitudini e scelte di consumo) come
strutture sintattiche. «Saremmo ciò che mangiamo» quindi
dal momento in cui usiamo l’alimentazione non tanto per
nutrirci, ma per comunicare attraverso le sue capacità
sinestesiche e culturali. Mangiamo segni di un testo
culinario, quale può essere un semplice piatto, fino
all’indigestione (Marrone 2012), assaporandone la sua unità
di gusto, che è prima ancora unità di sensi e senso.
Non è importante quindi la singola sensazione, ma quando
questa entra in relazione con altre, costruendo una
10
narrazione. Di questo percorso generativo delle passioni e
delle sensazioni si occuperà il secondo capitolo della tesi,
teso a far emergere quanto poco differiscano, non solo
foneticamente, i significati di senso (semiotico) e sensi
(della percezione).
La sinestesia in questo capitolo definisce l’importanza di
passare da un’analisi dei tratti elementari e delle sensazioni
prese singolarmente, nella costruzione di una buona
comunicazione, ad uno studio che parta dall’intero discorso
alla ricerca di una sintassi che faccia emergere un’atmosfera
evocativa, complessa, fatta di coerenze, isotopie e sinergie
e che unisca le diverse percezioni per restituirne un mood
evocativo: un’esperienza sinestesica completa. Questo
risultato può essere raggiunto sia in una costruzione
gastronomica così come in una pubblicitaria, laddove il
senso e i sensi possono essere veicolati solo attraverso la
vista (Marrone 2007, Floch 1995, Ceriani 2002).
«Storie di gusto»
È proprio una prospettiva neuronarratologica (Calabrese
2009) quella usata nel terzo capitolo per descrivere esempi
di esperienze enogastronomiche. Storie che partono dalla
costruzione di alcuni piatti nella cucina di un ristorante della
costa tirrenica, dai racconti e dalle ricette di alcuni blog di
cucina, da alcuni testi pittorici e musicali che hanno trattato
il tema del gusto fino alla costruzione di atmosfere e di
mood artistici ad opera di alcuni dei più grandi chef del
mondo.
11
Un percorso che parte dal livello della manifestazione del
piatto cercando di trasportare il lettore prima al livello della
manipolazione della materia da parte dello chef, la sua
«messa in discorso», poi verso l’architettura narrativa del
gusto procedendo con le esperienze dell’assaggio e della
degustazione fino a condurlo ad individuare i valori principali
e le trasformazioni che stanno alla base del senso del testo
culinario (Greimas-Fontanille 1999). L’obiettivo finale del
capitolo è quello di riprendere le idee di stile percettivo
(Ceriani 2002) e di stili culinari (Marrone 2007), per
applicarle alla moderna gastronomia, costruendo un
quadrato semiotico iscritto in un mapping in grado di
evidenziare, in maniera più possibile dinamica, le principali
caratteristiche di alcuni tra i più apprezzati chef a livello
mondiale. Questo allo scopo di comprendere quali siano i
valori e le idee che muovono i principali trend artistici,
culturali e sociali del gusto. Proposte comunicative che
vanno dalla concretezza, tipica dello «chef bricoleur» capace
di fondare la sua arte nella trasformazione tecnica, alla
virtualità delle creazioni dello «chef ingegnere» (Marrone
2007) fino ad un bisogno di tradizione che tenda al controllo
e a una tendenza al dinamismo che porta altresì al
rinnovamento e alla decostruzione delle abitudini. All’interno
di questi assi si potranno posizionare cucine di tipo
referenziale (cognitive, pratiche, capace di promuovere i
valori del rispetto per l’ambiente, della stagionalità, del km
0 e della veridizione), mitiche (tutte tese a far sognare,
viaggiare, far conoscere l’esotico, emozionare, immaginare,
proporre valori come l’etnicità, ma anche capaci di far
12
ricordare chi siamo), oblique (desiderose di essere motori
del cambiamento attraverso l’introduzione di elementi
rivoluzionari, di esplorazione e mascheramento) e infine
sostanziali (portatrici di una dimensione estetica ed estesica
con il loro esaltare le caratteristiche percettive, sostanziali,
propriocettive dei prodotti usati).
«Buono da crederci»
L’ambizione di un’intersomaticità del gusto risiede nel
rapporto tra la sua natura soggettiva e quella
intersoggettiva che insieme vanno a costituire un’unica sfera
socio-culturale fatta di ogni tipo di comunicazione che sia
prodotta tra i fornelli, in cucina, nelle pratiche commensali,
nella scelta degli alimenti, nei discorsi letterari,
cinematografici, mediatici, pittorici, pubblicitari, di
marketing… (Grignaffini 1998, Perullo 2008). Per queste
caratteristiche una semplice zuppa, o la comunicazione
pubblicitaria di una cioccolata, possono essere analizzate
per far emergere l’immenso fenomeno di compressione
concettuale che portano con sé.
Troveremmo così una complessa rete semantica, frutto di
un processo di associazione di significati non solo alimentari,
non solo sociali, ma soprattutto percettivi e intersomatici.
Questi meccanismi, studiati da Fauconnier e Turner in
ambito linguistico, sembrerebbero essere alla base anche
dell’innovazione, del processo creativo e dinamico del gusto
(2002). Infatti la Teoria del Conceptual Blending, trattata
nell’ultimo capitolo, cerca di dimostrare l’esistenza di
13
relazioni metaforiche o mapping tra domini concettuali
all’interno della mente; saranno queste che, andandosi a
fondere in un Blended Space, innescheranno nuovi significati
originati dalle preesistenti conoscenze semantiche ed
enciclopediche. Questo processo dinamico e creativo è alla
base della nostra quotidianità funzionando in maniera
associativa.
Ho così cercato di capire se il processo associativo, che gli
autori spiegano essere di tipo metaforico, potesse essere
applicato ad un particolare tipo di metafora, come è
comunemente definita la sinestesia.
L’elemento che mette in relazione blending e sinestesia sta
proprio nella capacità di ogni elemento espressivo, veicolato
da una comunicazione e percepito da tutti i sensi
contemporaneamente, di trasformarsi in un elemento
semantico e quindi concettuale. La coerenza dell’unione di
questi due concetti verrà proposta nell’analisi di alcuni piatti
culinari così come nello studio di alcune esperienze gustative
e creative di chef rivoluzionari come Escoffier (Lehrer 2008).
Se è però vero che la sinestesia come forma di linguaggio
espressa nella costruzione di un piatto, si fonda
sull’esperienza corporea, nell’ultimo paragrafo si cercherà di
dimostrare come questo concetto possa risultare valido
anche quando l’ambito alimentare non funga da dominio
sorgente, in quanto sostituito da quello visivo: è il caso della
pubblicità. Ne saranno perciò analizzate alcune, attraverso
la teoria del Blending, che hanno la caratteristica di riuscire
a costruire sinestesie gustative e immergere il destinante in
un’esperienza enogastronomica completa.