I
Introduzione
“Nell’età moderna l’uomo incontrò l’uomo e non lo riconobbe,
come dire: l’uomo incontrò sé stesso e non si riconobbe,
avviando così una tragica alienazione che solo in un’autentica età
planetaria potrà essere pienamente risanata. […]
La fine della modernità implica infatti anche la fine
di quel monologo culturale che ha impedito finora
all’uomo occidentale di percepire l’altro come tale
e di stabilire con lui un rapporto di autentica reciprocità”.
Balducci E. (1992), La terra del tramonto, pp.68-70
Questa tesi nasce dalla mia esperienza di tirocinio, e dalla successiva
collaborazione, presso “L’Associazione Il Pellicano ONLUS”, che ha portato alla
stesura del progetto “Alla fine dell’arcobaleno cosa c’è?”, ideato da me e da Erika
Granese, biologo nutrizionista.
Ad oggi, in una società che punta all’effimero e al costante intercambio
relazionale, lavorativo, abitativo, in cui l’immagine del corpo è costantemente
strumentalizzata e manipolata, risulta d’obbligo fare un’analisi delle cause e,
soprattutto, degli effetti che si riflettono nella società odierna.
Molti studiosi hanno posato l’attenzione su una forte condizione di disagio,
sentita sia dai giovani che dagli adulti, volendo con questo termine inquadrare la
condizione di precarietà ed incertezza nella quale si è “costretti” a vivere per lunga
parte dell’esistenza. La riflessione svolta in questo elaborato è tesa ad analizzare la
società nel suo insieme, partendo dal concetto di corpo e dalla sua evoluzione nel
corso della storia, passando dalla definizione dei concetti cardine dell’essere
umano, “confine”, “identità”, “società”, “emozione”, “tecnica”, andandone ad
analizzare gli sviluppi all’interno di un cotesto sociale liquido.
Scopo ultimo è quello di porre il lettore dinanzi ad una panoramica della
società odierna, mostrandone senza filtri i “danni” subiti nel corso degli anni, nella
speranza che si possa, con una forte rieducazione alla civilizzazione e alle relazioni,
giungere ad un nuovo umanesimo.
Nel primo capitolo viene dato ampio spazio a quello che è il concetto di
corpo ed alla sua evoluzione nella storia, sino ad arrivare alla post-modernità, in cui
II
è avvenuta una lacerazione netta fra mente-corpo, relegando il corpo ad un oggetto.
Successivamente viene analizzata la sua “natura socializzata”, ovvero la sua
costruzione sociale come una realtà costruita sulla base di una certa idea di mondo
e dell’essere umano, con un focus particolare dato sull’incidenza che la moda ha
avuto in questa evoluzione.
Nel secondo capitolo si cerca di fare un’analisi della società moderna,
sempre più individualizzata e finalizzata nel qui ed ora, e dell’’identità, analizzando
diversi saggi del sociologo polacco Bauman. Sino a giungere alle illusioni del
moderno, soffermandosi principalmente sul concetto di libertà, apparente e fittizia,
e sulla imposizione coercitiva dei canoni sociali, illudendo l’uomo di poter scegliere
chi voler essere. In ultimo si pone il lettore dinanzi alla reale krisis data da una vita
transitoria in un universo eterno, ponendo l’accento sulla nostalgia e sulla tendenza
dell’essere umano di ritornare “indietro”, cercando sicurezze oramai perdute.
Lasciando comunque la speranza alle generazioni presenti e future di avere ancora
degli ideali, anche se assopiti.
Nel terzo capitolo si attua una riflessione sociologica circa l’emozione e
l’agire affettivo, soffermandosi sulle trasformazioni che queste hanno subito nella
società contemporanea, inneggiando in ultima analisi un ritorno alle passioni calde.
In ultimo si riprende il concetto di corpo, ed il modo in cui se ne fa uso per mostrare
il forte disagio contemporaneo, e di tecnica, mostrando come essa abbai schiacciato
l’uomo, ingabbiandolo in una gabbia precostruita che lui stesso ha creato.
Nel quarto capitolo, quello conclusivo, si entra nel vivo della discussione,
chiedendosi: cosa succede quando la crisi non è più l’eccezione alla regola, ma
essa stessa regola nella nostra società?
Nel tentativo di dare una risposta il più possibile esaustiva a questa domanda
ho svolto una riflessione circa la nuova “malattia dell’occidente”, esplicandone le
varie sfumature e provando a contestualizzarle all’interno della società di
riferimento. Quella che ne è venuta fuori è una società vittima di sé stessa, bloccata
in un ingranaggio da lei stessa costruito e, ciò che fa più paura, è l’atteggiamento
nichilista dei giovani, palesando come il disagio non è più esistenziale ma culturale.
III
Al centro del dibattito vi è l’aumento, specie nell’ultimo decennio,
dell’incidenza del DCA in età evolutiva correlato al sempre più crescente impatto
che i media ed internet hanno nella vita quotidiana. Dopo una necessaria
classificazione eziologica del disturbo, si procede con una analisi statistica della sua
diffusione sul suolo italiano (con un focus particolare sull’Umbria) e sul significato
della sua nomenclatura a livello mondiale di disturbo etnico, concentrandosi sulla
diffusissima pratica dei blog pro-ana e pro-mia.
L’ultimo paragrafo, Black Mirror – Caduta libera, è quello che chiude la
riflessione circa corpo – emozione – società. Si vuole offrire una chiave di lettura
che favorisca la comprensione di quelle che sono le dinamiche relazionali ed il
rapporto con il proprio corpo, attuando una analisi minuziosa della società
utilizzando come paragone e linea guida una serie cult degli ultimi anni che racconta
le tecnologie nascenti e le conseguenze che portano, volendo suonare come un vero
e proprio campanello d’allarme per quello che sembrerebbe riservarci il futuro.
L’intento finale è quello di costringere il lettore a riflettere, a domandarsi dove
stiamo andando e quanto siamo realmente vicini alla realtà/finzione mostrataci dalla
serie; ammettendo che una via d’uscita è ancora possibile e che l’ultima chance è
possibile solo se la società si dimostrerà pronta a puntare il tutto e per tutto
sull’individuo e sul ritorno alla collettività, alla cura del cuore.
1
Capitolo 1 – Il corpo liquido
“Eppur non lo si nota nemmeno più:
siamo mutati.
Non c’è più un corpo intero
innanzi a un mondo intero,
ma piuttosto un quidi humanum
che aleggia nel brodo di cottura universale”
Robert Musil – L’uomo senza qualità
1.1 – Il concetto di corpo
Da che esiste l’uomo, all’interno del palcoscenico che è il mondo, questi è
diventato l’attore di spicco e il corpo è sempre stato al centro della scena. Che sia
una scena letteraria, teatrale, o mediatica, siamo costantemente circondati
dall’onnipresenza del corpo che, in fin dei conti, costituisce la base materiale e
sociale della nostra esistenza, occupando il centro assoluto di tutti gli scenari pos-
sibili.
Il corpo si conosce come quell’insieme di possibilità che le cose del mon-
do costantemente verificano, perché il mio corpo, lungi dall’essere un oggetto in
sé, è propensione verso il mondo, e il mondo è punto d’appoggio del mio corpo
1
.
Ne consegue che il corpo rappresenta il supporto per ogni attività dell’uomo, è il
motore che dà avvio al processo di socializzazione e di acquisizione delle identità
di genere. È la manifestazione esteriore dei simboli, dei segni che mostriamo agli
altri, mediante i quali è possibile comprendere più in profondità lo stesso linguag-
gio verbale. Il corpo è sempre stato al centro di dibattiti, si pensi a quelli concer-
nenti pratiche o ricerche scientifiche o ancora ai dibattiti sociali, che si fanno
sempre più incalzanti. Questo comporta che la delineazione univoca del concetto
di corpo si scontra con le differenti regole che ciascuna società si è data nel corso
della propria evoluzione.
Il corpo di volta in volta è stato organismo da sanare, forza lavoro da im-
piegare, carne da redimere, inconscio da liberare, supporto di segni da trasmettere,
centro di imputazione di diritti. Ciò perché nella società occidentale ha prevalso
una concezione dualistica, che accanto al corpo, ha collocato l’anima come dog-
1
Galimberti U. (2016), Psiche e techne, l’uomo nell’età della tecnica, Milano, Feltrinelli
editore, p. 200.
2
ma, fino ad arrivare alla riduzione, prettamente moderna, del corpo a materiale
organico. Il che ci conduce ad una vita separata dal corpo che noi siamo
2
.
Nell’antichità non era così, il corpo era identico all’io e correlato al mon-
do, non ad un moto dell’animo, il corpo è immediatamente espressivo: non rap-
presenta, esprime. Il concetto di anima (Psyché) fu introdotto dal tentativo di Pla-
tone di giungere ad una costruzione di sapere universale bypassando i sensi corpo-
rei in quanto non oggettivi poiché diversi per ciascuno. Un sapere universale,
nell’ottica di Platone, presupponeva l’introduzione di un elemento in grado di
produrre concetti astratti, appunto, l’anima. Così la scienza gradatamente ha preso
le distanze dalla vita.
Da qui in poi il corpo ha una storia di follia e mortificazione: non può es-
sere attivo nelle idee perché porta emozioni che offuscano la genesi delle idee
stesse. Come nel mito della caverna le catene imprigionano la conoscenza degli
uomini, così il corpo diventa una prigione per l’anima: più questa evade da esso
più si eleva. Da qui l’inscindibile dualismo anima-corpo.
La tradizione giudaico cristiana, profondamente corporea (si pensi al con-
cetto di resurrezione), non contemplava la parola anima fino al IV secolo dopo
cristo. La parola Nefesh, di per sé legata a più significati riferiti a organi e funzio-
ni vitali o alla forma complessiva dell’essere umano, è stata tradotta in psyché. È
così che la concezione dualistica greca, legata all’anima, viene introdotta nella
bibbia per opera di Sant’Agostino che introdusse il concetto di anima grazie alla
sua conoscenza di Platone e riprendendo il dualismo anima-corpo. L’anima ora
però non è più legata alla conoscenza, come in Platone, ma alla salvezza: il corpo
si corrompe, l’anima si salva.
Nel ‘600 grazie all’apporto di Galileo, Cartesio e Bacone si verifica un
cambio di prospettiva epocale: per conoscere la natura non si parte più dal com-
prenderne le costanti (come facevano i Greci), ma è necessario formulare delle
ipotesi da verificare con esperimenti. Nasce così la scienza moderna secondo cui
la natura è governata da leggi.
Kant, nella sua critica alla ragion pura, afferma che:
2
Galimberti U. Il corpo che noi siamo, in rassegna Biblioterapia, Rimini, 13 Dicembre
2014.
3
“quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano
inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sop-
portare all'aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a
quello di una colonna d'acqua conosciuta, […] fu una rivela-
zione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi com-
presero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce se-
condo il proprio disegno, e che, con princìpi de' suoi giudizi se-
condo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere
la natura a rispondere alle sue domande”.
Allora se le leggi di natura sono intellegibili grazie alle ipotesi umane,
l’uomo diventa padrone e possessore del mondo. L’uomo plasma la natura secon-
do le indicazioni dei suoi progetti. Tutto il mondo diventa misurabile, anche il
corpo umano.
Si afferma la scienza medica, il corpo è ora sommatoria di organi, un or-
ganismo. Ciò non significa però che il nostro corpo coincida con l’organismo,
benché la scienza lo riduca da strumento di comunicazione a oggetto da osservare
e le persone abbiano iniziato a convincersi di tale assimilazione. L’identificazione
del corpo all’organismo, operata dalla scienza medica, incontra il limite di quelle
patologie che non hanno manifestazioni organicistiche diverse dalla salute. Si
pensi alla catatonia, alla schizofrenia.
Per superare questo limite nasce così una scienza nuova che indaga le ma-
lattie senza riscontro organico, che poi sarà appannaggio degli psichiatri: i medici
dell’anima. Ma la psichiatria deve diventare qualcosa di oggettivo per esistere
scientificamente, e si oggettiva tramite la filosofia (nella definizione delle patolo-
gie) e dalla religione (nella determinazione della piena vertenza e del consenso
delle azioni) ancora una volta portatrici di dualismo. Lo stesso Freud, ispirandosi
e dando riscontro clinico al filosofo Schopenhauer, si muove tra corpo e psiche
mettendo nel corpo le pulsioni di vita e morte e nella psiche la rappresentazione di
queste pulsioni, io e super io.
Avviene tutto nell’interiorità psichica, il mondo che circonda l’individuo
torna rilevante nel contributo di Jaspers e della psichiatria fenomenologica del 900
che auspica il passaggio da una disciplina esplicativa ad una comprensiva: com-
4
prendere vuol dire catturare il nucleo da cui parte la “follia” per avere chiaro cosa
succede nell’individuo. Questo paradigma è valido non solo per i “folli”, ma per
tutti gli individui: se non catturo il nucleo della visione del mondo di chiunque
abbia davanti non capirò mai fino in fondo cosa vorrà dire. Comprendere vuol dire
catturare la visione del mondo dell’altro. Capire la simbolica dell’altro, come esso
si manifesta. In questi termini l’anima è un concetto incomprensibile, il rapporto è
quello fra corpo e mondo. Non organismo, ma corpo. Il mio corpo ingaggiato den-
tro un ambiente, il mio corpo che progetta e trova ostacoli o facilitazioni. La psi-
che è una parola vuota: il mio corpo è il “qui” di ogni “là”, attraverso di lui si rac-
conta il tempo.
Nella malattia ci si accorge quanto sia importante la coincidenza io-corpo
e la sua correlazione col mondo. Corpo e io non coincidono più quando ci amma-
liamo. Quando sto male il mondo esce dalla mia attenzione e il posto del mondo è
occupato dal mio corpo: avviene una scissione dell’io dal corpo. Nella malattia il
mondo non c’è più, il corpo è guardato e anche il mio io lo guarda. È la sensazio-
ne del corpo altro da sé, di non identità, che avviene anche in alcune manifesta-
zioni psicopatologiche come la schizofrenia. Quando “io sto bene”, invece, non
dico “il mio corpo sta bene”, non sono altro che il mio corpo in correlazione col
mondo.
1.2 - L’evoluzione del corpo nella storia
Il corpo, come detto precedentemente, ha subito mutilazioni e variazioni in
ogni periodo storico, seguendo le correnti delle differenti società. Vi sono difatti
delle grandi differenze rispetto alla concezione del corpo tra una società tradizio-
nale, in cui il soggetto non ha l’idea identitaria singola del corpo ma un’idea che
coincide con quella del gruppo, poiché i progetti degli stessi individui non si di-
staccano dal gruppo; e una società moderna e post-moderna in cui la riflessione
sul corpo e il vissuto del corpo sono puramente personali
3
. Bisogna quindi defini-
re la concezione e l’importanza che il corpo ha avuto nella storia per poter rendere
comprensibile il perché, ad oggi, si sia giunti ad una lacerazione mente-corpo. Per
fare ciò è necessario chiarire il legame sociale tra corpo ed individuo, soprattutto
3
D’Andrea F. (a cura di) (2008), Il corpo in gioco, Milano, FrancoAngeli, p. 33.
5
per giungere a comprendere il corpo nella sua rappresentazione moderna, attraver-
sando i vari periodi storici.
Nell’età arcaica del mondo greco non esisteva alcuna distinzione netta tra
anima e corpo, tra natura e soprannaturale. Per i greci il corpo era «il codice che
permetteva all’uomo greco di concepire e di esprimere i suoi rapporti con sé stes-
so, con il suo essere presente a sé stesso in misura più o meno grande, più o meno
unificata o dispersa a seconda delle circostanze; ma connota anche i suoi rapporti
con gli altri, cui lo collegano le forme dell’appartenenza corporea
4
». Il corpo di-
viene, già nel mondo greco, la rappresentazione della limitatezza umana, in esso
sono espressi i segni dell’incompiutezza, che lo fanno divenire un “sotto corpo” in
contrapposizione al “sovra corpo” che è quello degli dei, caratterizzati dalla pie-
nezza corporea. Per i greci gli dei e gli uomini hanno un’identità che si compone
di due parti, il nome e il corpo. Il nome è un contrassegno sociale, identificativo
per distinguere i soggetti; il corpo è ciò che fornisce a un essere la sua identità,
una esteriorità materiale capace di distinguerlo dagli altri per i tratti, la fisionomia
ed i segni esteriori, stessa cosa vale per gli dei. Il mondo greco mostra il limite
dell’uomo, la sua finitezza, l’impossibilità di controllare il tempo, inteso come il
“termine che delimita senza remissione l’orizzonte della loro esistenza”. Tutte le
qualità del corpo umano saranno sempre limitate rispetto a quelle degli dei, poiché
in loro si sostanzierà un corpo finito, avranno sempre impressa l’impronta
dell’effimero e del passeggero.
«Nella società tradizionale il corpo, o meglio la sua idea, coincideva con il
gruppo, il collettivo, dove non esiste un corpo separato dalla persona e c’è una
continuità che situa il collettivo nel cosmo, ovvero non ci sono confini che sepa-
rano il corpo dall’ambiente
5
». L’uomo è corpo, un tutt’uno con il cosmo, con sé
steso e con gli altri. Il corpo non è soltanto uno strumento, un avere un corpo, ma
è identificazione, un essere corpo
6
.L’essere corpo identifica una corporeità natu-
rale, non costruita, accettata all’interno delle diverse fasi del corso naturale della
vita; un vivere il proprio corpo come comportamento innato. In società come que-
ste, dove la collettività è la base, non esiste un individuo distinguibile, il corpo
non sarà mai oggetto di scissione e le rappresentazioni del corpo non saranno altro
4
Ivi; p. 19.
5
http://www.iaphitalia.org/monica-volpini-con-gabriele-blasi-e-alessandro-langella-dal-
corpo-sacro-al-corpo-riconsacrato.
6
D’Andrea F. (a cura di) (2008), Il corpo in gioco, Milano, FrancoAngeli, p. 18.
6
che rappresentazioni dell’individuo. L’immagine del corpo non è altro che
l’immagine di sé, nutrita dalle materie prime che formano il corpo e la natura in
una sorta di indistinzione. Ne consegue che, non esistendo confini tra vivi e morti,
la morte perde la tradizionale accezione di annullamento, diventando una porta
d’accesso ad un’altra forma di esistenza.
Con l’avvento della società moderna, comparve una distinzione vera e
propria fra corpo e pensiero, determinando il passaggio all’individualismo. Nasce
un soggetto pensante che ha un corpo, e che non è corpo, vi è un allentamento dei
valori e dei legami. L’individuo tende a divenire il portavoce autonomo delle sue
scelte e dei suoi valori, ha abbandonato la costante preoccupazione della comunità
e del rispetto delle tradizioni. Assieme alla nascita dell’individualismo, di pari
passo si è evoluto anche il concetto di corpo, ponendo una scissione fra corpo e
pensiero. Il corpo comincia ad essere visto come un accessorio della persona, di
cui il volto è la parte determinante, la cui unità è oramai rotta. Lo spirito ed il pen-
siero sono all’interno di un contenitore fatto di pelle, non è più un tutt’uno con es-
so ed il mondo, ed una volta studiato, analizzato, agli occhi delle infinite capacità
mentali non diventa altro che un semplice contenitore, un involucro che procede
lentamente verso la sua stessa fine. È seguendo questa linea di pensiero che pos-
siamo affermare che l’uomo nell’età moderna ha un corpo a sé stante e che in
questo essere sé stesso, prima di essere membro di un tutto, il suo corpo diviene
confine preciso che segna la differenza fra un uomo ed un altro, è qui che nasce il
fattore di individuazione. Di pari passo al concetto di corpo tramuta anche la so-
cietà, seguendo una cultura emergente sempre più eterogenea che porterà alla na-
scita della ricerca anatomica, a sottolineare quanto sia realmente mutato il concet-
to di sé e del proprio corpo. Separato dalla mente, il corpo incominciò la sua storia
come somma di parti senza interiorità e la mente come interiorità senza distanza.
Nasce così la medicina moderna che non sarebbe stata possibile senza la
riduzione del “corpo” a “organismo”, in termini husserliani: dal “corpo vivente” in
“corpo-cosa”
7
. Questa utilizza come oggetto di studio il corpo anatomico, del tut-
to dissociato dall’uomo, preso e studiato solo ed esclusivamente come realtà ana-
tomica, come fosse un oggetto. Il corpo non parla più per l’uomo di cui porta il
volto, l’uno e l’altro sono distinti e gli studiosi dell’epoca, mossi da una curiosità
7
Galimberti U. (2016), Psiche e techne, l’uomo nell’età della tecnica, Milano, Feltrinelli
editore, p. 129.
7
smodata, partono alla conquista del segreto della carne, indifferenti alle tradizioni
e all’etica, relativamente liberi nei confronti della religione e delle credenze
dell’epoca. Il corpo appare come una dotazione della persona stessa.
Tipico di questa società, oltre la prevaricazione dell’individuo sul gruppo,
è l’assenza di valore che il corpo subisce, diventando un mero limite di frontiera
fra un corpo ed un altro. Così l’uomo appare come un automa mosso da un’anima
ed è dimostrato dal fatto che il corpo viene appiattito, de simbolizzato; non è più
facente parte di un sistema connesso, ma viene fatto oggetto della scienza,
nell’utopico tentativo di comprenderlo sino in fondo nei suoi meccanismi. È così
che l’uomo moderno si trova spiazzato da un dualismo che lo obbliga ad utilizzare
il proprio corpo per identificarsi, visto che il suo essere non è più una condivisio-
ne con il mondo ma è divenuto un qualcosa che vive dentro un involucro che fun-
ziona come fosse una macchina. L’unico controllo che l’uomo ha sul suo corpo è
quello che può utilizzarlo come fosse un oggetto.
Solo nel periodo post-moderno il corpo ha dovuto fare i conti con le novità
culturali e sociali, dovendosi adeguare, se non addirittura sottomettere, al volere
delle scienze che via via ne decisero i modi ed i tempi di costruzione e decostru-
zione, creando su questi teorie e tecniche. Il corpo assume in un crescendo conti-
nuo le caratteristiche di mero involucro con il difficile compito di mostrare come
una persona è, come è realmente fatta.
L’uomo di conseguenza cade nell’oblio di una continua ricerca di un corpo
immaginato secondo i modelli ideali delle mode del tempo. L’uomo adesso è il
suo corpo e al tempo stesso ha il suo corpo. La complessità che ne deriva è il frut-
to di quel disagio della modernità indicato ed amplificato dagli autori della prima
metà del Novecento, i quali hanno mostrato quanto la società moderna abbia crea-
to una società complessa, spesso di difficile interpretazione, in cui sono palpabili
la sofferenza ed il dolore, frutto dell’incapacità dell’uomo razionale moderno di
opporsi agli stravolgimenti radicali della realtà. Ne sono concreta espressione le
opere artistiche caratterizzanti l’espressionismo. Questo dava libero sfogo
all’anima dell’artista, traslata direttamente nella realtà attraverso un’opera d’arte,
senza alcun tipo di mediazione, riportando su tela drammatiche testimonianze del-
la realtà del loro tempo.