INTRODUZIONE
In una costellazione di fiction nazionali ad ambientazione per lo più poliziesca,
ospedaliera, religiosa o di attualità sociale, Boris rappresenta una ventata d’aria
fresca.
Oltre a costituire, con il suo carattere da commedia, una rivisitazione del classico
formato da situation comedy d’importazione americana, già scarsamente
frequentato nel Bel Paese, essa è la prima fiction interamente prodotta in Italia
concepita per il satellite.
Innovativa e votata alla sperimentazione, grazie alla libertà a lei concessagli
dall’essere meno soggetta alle tradizionali ingerenze da parte delle reti generaliste
e dall’essere improntata a logiche differenti da quelle perseguite dall’offerta dei
canali in chiaro, si può porre quale ideale fondamento della crescente volontà di
sviluppare un percorso produttivo autonomo nell’ambito della serialità in un
panorama generale di produzione satellitare autoctona ancora agli albori.
Boris è la dimostrazione di come si possa produrre una serie a budget ridotto,
ma di altissimo livello, contrariamente a quanto succede solitamente nel nostro
Paese: molti soldi, ma poca qualità.
L’ipotesi è, dunque, che questa serie possa mostrare la via da percorrersi nella
produzione fictional nazionale non solo alle reti satellitari, ma anche a quelle
generaliste, per un rinnovamento sostanziale del comparto, in questo cruciale
passaggio al digitale e all’ambiente multicanale che le vede attualmente
protagoniste, e che va a segnare una tappa fondamentale nella storia del mezzo
televisivo.
Avvalendosi di una bibliografia di testi curati da studiosi del medium in
questione – fra cui si possono citare Milly Buonanno e i suoi collaboratori presso
l’OFI (Osservatorio sulla Fiction Italiana) per la collana di studi e ricerche sui
media Zone (a cura della Direzione Marketing - Ufficio Studi della RAI), la
redazione di Link (collana di comunicazione curata da Mediaset - RTI), i
professionisti intervistati dalla rivista Script di Dino Audino, Aldo Grasso,
Giorgio Simonelli e svariati altri esperti del fenomeno –, si è scelto di tentare di
illustrare perché Boris rappresenti una “fuori serie” (come veniva presentata nel
corso della sua campagna pubblicitaria di lancio), per poi passare a mostrare come
la fiction metta a nudo, in un gioco metalinguistico e decostruttivo, i meccanismi
di creazione e produzione di fiction nazionale, e si è poi concluso con un piccolo
omaggio ai relativi prodotti cinematografici che costituiscono ideali controparti di
Boris sul grande schermo.
Si è dunque proceduto nel primo capitolo a introdurre l’ultimo decennio di
1
fiction autoctona in Italia, presentato dalla Buonanno come “la bella stagione”,
usufruendo del XVIII° Rapporto OFI sui corrispondenti migliori ascolti; si è poi
andato a descrivere cosa s’intenda per serie “all’italiana”, formato che ha guidato
la rinascita del genere nel nostro Paese, e si è tentato di comprendere se sia
possibile desumere una seconda Golden Age per la fiction nazionale. Si è quindi
1
M. Buonanno (a cura di), La bella stagione. La fiction italiana, l’Italia nella fiction, Roma, Rai
ERI, 2007, pp. 8-9.
1
passato a esporre il passaggio, ancora in corso in Italia, da una produzione
fictional artigianale a una di tipo industriale; è poi stato affinato il focus della
riflessione sulla conformazione che ha assunto il formato della sit-com in Italia,
per infine terminare con la presentazione della serie Boris e delle peculiarità che
la rendono un prodotto quasi ibrido e, anche per questo, innovativo.
Nel secondo capitolo si è cercato di ripercorre a grandi linee la storia del genere
metatelevisivo a livello nazionale, con una piccola incursione nel campo della
metafiction, sia per quanto riguarda l’offerta italiana, sia facendo uso di alcuni
esempi d’oltreoceano. Si è così giunti a provare a mettere in luce il meccanismo
decostruttivo che sostanzia la serie Boris e come esso si generi, per dunque
successivamente delineare la fiction nella fiction Gli occhi del cuore, metafora
delle peggiori serie offerte nel nostro Paese, e approdare all’analisi di alcune
sequenze di essa.
Il terzo e ultimo capitolo volge invece lo sguardo verso quelli che sono stati
ritenuti i prodotti cinematografici più prossimi, per temi e linguaggi visivi adottati
ad esempio, alla serie Boris: Effetto Notte di François Truffaut, e Bolle di sapone
di Michael Hoffman.
Chiude la trattazione, in Appendice, una intervista concessa alla tesista da Luca
Manzi, autore del soggetto di Boris.
2
1. Boris : la “fuoriserie” italiana
1.1 La rinascita della fiction italiana in un decennio: “la bella
stagione” dal ’96-’97 al ’05-’06
“Con la stagione 2005-2006 […] si compie una fase decennale di
rinascita dell’industria della fiction italiana. È infatti a partire dalla
seconda metà degli anni Novanta (stagione 1996-1997) che la
produzione di fiction domestica, precipitata in precedenza a livelli di
mera residualità, è entrata in una traiettoria di crescita rapida e
1
vigorosa”.
Così esordiva Milly Buonanno, nel suo diciottesimo Rapporto svolto su
incarico dell’ “Osservatorio sulla Fiction Italiana” (OFI), per introdurre quello che
Agostino Saccà, allora direttore di Rai Fiction, definitiva «l’Anno Mille della
2
Fiction Italiana», che andava a segnare l’ideale traguardo dopo dieci anni di una
crescita produttiva senza precedenti.
3
Sulla scorta delle categorie elaborate da John Ellis per segmentare le tappe del
processo di evoluzione dei sistemi televisivi, la Buonanno designa la stagione
1995-1996 come l’ultima facente parte della fase di scarsità – culminata nei primi
anni Novanta ma avviata nella decade precedente – in cui l’offerta di prodotto
domestico, fra reti pubbliche e private, sfiorava a malapena le 130 ore; le quali si
trovano poi ad essere più che quintuplicate, – dopo l’anno-record, il 2001, con ben
750 ore – raggiungendo un tetto di 726 ore, nella stagione 2005-2006, idealmente
presa in esame come l’ultima della fase di crescita.
Il ciclo evolutivo viene immaginariamente a chiudersi con l’annata 2006-2007, in
cui avrebbe inizio la fase della abbondanza, che rincorre il baluardo delle mille
ore annue di prodotto inedito; meta già da tempo dichiarata possibile e
perseguibile dai broadcaster italiani (in particolare dai dirigenti del servizio
4
pubblico).
In conclusione delle sue considerazioni generali la Buonanno, in una
valutazione complessiva, definisce il decennio preso in considerazione come una
5
bella stagione per la fiction italiana, che ha coinciso con una fase assai generosa
di soddisfazioni e riconoscimenti; una stagione bella dunque in quanto
gratificante, poiché, oltre a veder ottenere, da parte della fiction, maggiore credito
presso l’ambiente professionale-creativo della televisione, essa viene anche
riabilitata dal sistema culturale in generale, dopo anni di scarsa considerazione e
1
M. Buonanno (a cura di), La bella stagione. La fiction italiana, l’Italia nella fiction, Roma, Rai
ERI, 2007, p. 7.
2
Ivi, p. XIV.
3
J. Ellis, Seeing Things: Television in the Age of Uncertainty, London, Tauris, 2000, p. 193.
4
Suddivide in tre età la storia della televisione anche Aldo Grasso (A. Grasso, M. Scaglioni, Che
cos’è la televisione. Il piccolo schermo fra cultura e società: i generi, l’industria, il pubblico,
Milano, Garzanti, 2007, pp. 291-321).
5
M. Buonanno, La bella stagione. La fiction italiana, l’Italia nella fiction, cit., pp. 8-9.
3
pregiudizio imposti dalla cultura alta e accademica, ed assorbiti, di conseguenza,
anche dall’opinione comune.
6
La studiosa parla, infatti, di una «valorizzante rinascita della fiction» che, nel
7
corso del decennio, ha esercitato un “effetto dimostrativo” circa il proprio valore
a trecentosessanta gradi: è così che, prodotta in quantità crescenti, la fiction
domestica si è imposta nelle collocazioni migliori dei palinsesti, in particolar
modo la prima serata, contribuendo ad espellere film e serie d’importazione,
dando efficace dimostrazione del vantaggio competitivo di cui si fanno garanti i
contenuti locali. Una primazia che è resa evidente dai lusinghieri ascolti record
che hanno costellato il decennio, per mezzo di una produzione di successi davvero
considerevole per la numerosità dei titoli e le vette raggiunte degli indici Auditel,
rendendo manifesta la capacità del prodotto di fiction made in Italy di richiamare
davanti allo schermo un pubblico molto vasto.
Di come sia stato possibile giungere a questo punto, nella storia della fiction
8
nazionale, ne da una spiegazione Aldo Grasso: negli anni Novanta si è assistito al
progressivo crollo, accompagnato da un andamento ondulatorio, della fiction
domestica, per varie cause, di cui una fu l’eccessivo impegno economico che i
formati non seriali, di stampo cinematografico, prediletti in Italia, impongono,
soprattutto in relazione al fatto di non assicurare un’ampia copertura del
palinsesto, rispetto, ad esempio, ai prodotti d’importazione. La situazione venne
9
ulteriormente complicata dalla necessità di conformarsi alla legge Mammì sulla
produzione e sull’intero assetto del mercato televisivo, che prevedeva, da parte dei
network, sia pubblici che privati, di creare proprie redazioni giornalistiche; da qui,
in un forte momento d’indebitamento, è facilmente intuibile come i prodotti esteri
gravassero già più che sufficientemente sui bilanci, così da spingere le reti, in
particolar modo quelle commerciali, a cercare programmi che garantissero una
maggiore copertura di spazi e un miglior rapporto qualità-prezzo, prodotti di
flusso di vario genere che potessero assolvere al bisogno di affabulazione del
pubblico.
Nonostante la crisi si riscontrano alcuni segnali di rinnovamento e si tentano
autoproduzioni: per il broadcast pubblico costituite da miniserie, miniserie
colossal e serie episodiche, mentre per quello commerciale da simil-telenovelas,
serials e sitcom. Malgrado la scarsità dell’offerta, i rari prodotti registrano ascolti
elevati, a riprova della disponibilità del pubblico verso il prodotto autoctono.
Tempo addietro ne aveva dato un primo saggio La Piovra (1984, Rai 1) e i suoi
sequel; è però col rispolvero del modello della “serie all’italiana” , un formato
ibrido – ancora memore del primo tentativo di serializzazione operato in Italia con
I ragazzi del muretto (dal ’91 al ’96 su Rai Due) –, verso la seconda metà degli
6
Ivi, p. 8.
7
Ibidem.
8
A. Grasso, M. Scaglioni, Che cos'è la televisione, cit., pp. 160-162.
9
La legge, asserisce Maurizio Costanzo «redatta su misura dei broadcaster, […] ignora la
produzione e il sistema televisivo inteso come industria e distribuzione» e aggiunge «la legge
223/1990 è […] nata con il difetto di non avere accolto la novità della direttiva CE 552/1989, che
cercava di creare un mercato audiovisivo europeo forte. La successiva direttiva 36/1997 precisava
ulteriormente l’obbligo per gli stati dell’Unione di vigilare che le emittenti televisive titolari di
concessioni nazionali riservassero al mercato europeo la maggioranza del tempo di trasmissione
depurato da news, sport, giochi, pubblicità e televendite» (in M. Costanzo, F. Morandi, Facciamo
finta che. L’industria televisione: produrre fiction seriale, Roma, Carocci, 2003, pp. 19-21).
4
anni Novanta, nello specifico col telefilm hospital italo-tedesco Amico mio (’93-
10
’94, Rai 2), che si concretizza una svolta in direzione di un rilancio del prodotto
di fiction nazionale, verso una maggiore consapevolezza del medium e delle sue
potenzialità.
È Fabrizio Lucherini, vice-direttore dell’OFI, ad affermarlo:
“All’origine di tutto c’è il successo di ‘Amico mio’ […], che impone
all’attenzione degli addetti ai lavori una formula narrativa e produttiva
inedita ed evidentemente efficace. L’esito di questo titolo, che si rivela la
fiction di maggior successo della stagione, è in larga misura inatteso,
tanto che per vedere sugli schermi la seconda edizione della serie
11
bisogna aspettare quasi cinque anni [’97, Mediaset]”.
Ormai però la strada è aperta, e, a partire dal 1996, questa forma seriale (da sei a
otto puntate) viene sistematicamente riproposta attraverso titoli come Il
maresciallo Rocca (1996, Rai 2 poi Rai 1), Caro maestro (1996, Canale 5), Linda
e il brigadiere (1997, Rai 1), Un prete tra noi (1997, Rai 2), Lui e lei (1998, Rai
1), Una donna per amico (1998, Rai 1), che conquistano regolarmente i primi
posti delle classifiche stagionali delle fiction più viste. Qualche insuccesso non
manca ma, nel complesso, la serie all’italiana si afferma come uno degli elementi
qualificanti dell’offerta di fiction domestica della seconda metà degli anni
Novanta, soprattutto nel prime time, dove si realizza la transizione dalla serialità
debole alla serialità forte.
Il volume orario di fiction nostrana trasmessa cresce gradualmente di anno in
anno, grazie alle nuove disponibilità d’investimento delle emittenti, e alla
percezione, da parte dei dirigenti, della necessità di aumentare in modo sensibile il
peso dell’offerta di fattura italiana: lo strapotere della “miniserie evento”, opzione
fino allora privilegiata da emittenti e produttori, viene ridimensionato in luce della
necessità di coprire un palinsesto più ampio: s’imbocca così la strada della lunga
serialità.
Nell’introdurre questo periodo, così esordisce Anna Lucia Natale,
collaboratrice della Buonanno presso l’OFI:
“La fiction italiana entra in questi anni in una fase di svolta e di
crescita, stimolata da condizioni economiche e legislative favorevoli: il
risanamento dei bilanci tv e le mutate condizioni dei mercati nazionali e
internazionali, che rendono meno conveniente il ricorso alle
importazioni; i larghi successi tributati alla fiction domestica, e il
parallelo declino di popolarità di alcuni generi importanti (telenovelas);
10
Ricorda Grasso: «L’audience è alta: si replica una prima volta a distanza di una settimana dalla
messa in onda dell’ultima puntata (è la prima volta nella storia della televisione italiana che un
serial viene riproposto immediatamente dopo la conclusione del primo ciclo) e poi una terza volta
nel corso del 1995. […] Nella stagione 1997-98 va in onda Amico mio 2». (In A. Grasso, Storia
della televisione italiana. I 50 anni della televisione, Milano, Garzanti, 2008, p. 577).
11
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34. La lunga serialità,
Dino Audino Editore, settembre-dicembre 2003, p. 50.
5
12
i nuovi obblighi legislativi sulle quote di produzione di fiction e film.
Condizioni, queste, che porteranno nel tempo allo sviluppo di
un’industria dell’audiovisivo in grado di ridurre fortemente la distanza
13
dagli altri grandi Paesi europei”.
In particolar modo è la Rai a rispondere all’inversione di tendenza e alle
trasformazioni del contesto competitivo e di mercato ristrutturandosi internamente
e scommettendo proprio sulla fiction come genere di punta, intuendone il
14
potenziale di sviluppo e di appeal nei confronti del pubblico.
Seconda chiave di volta attraverso cui viene operata una parziale riconversione
15
della produzione italiana, sempre secondo il parere di Lucherini, è l’introduzione
anche in Italia della macchina produttiva-industriale del serial drama quotidiano
16
con Un posto al sole, la prima soap opera domestica, realizzata da autori e
strutture italiani con l’ausilio del know how degli specialisti della Grundy (casa
produttrice del format australiano originario Neighbours, 1985), che esordisce su
Raitre nell’autunno del 1996.
“Accompagnato da banali e stereotipate polemiche pseudo culturali –
contro la colonizzazione culturale […] e contro la lunga serialità in
genere – ‘Un posto al sole’ è riuscito ad affermarsi, in condizioni non
facili, come un programma di successo e ha avuto il merito di introdurre
in Italia i modi di scrittura e di produzione industriale tipici della soap
che hanno contribuito a rinnovare l’intero comparto della fiction
17
italiana”.
12
Un’importante spinta all’incremento nella produzione di serialità è ulteriormente data, sempre
da quanto riporta Costanzo, dalla legge 122/1998: «nata per adempiere finalmente alle direttive
della Comunità europea. Più della metà del tempo mensile totale di trasmissione delle emittenti,
depurato però dei notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità, teletext, talk
show e televendite, deve essere riservato a opere europee di diversi generi e prodotte almeno per la
metà negli ultimi cinque anni. Il 10% del tempo di diffusione, con la stessa depurazione, deve
essere riservato di norma alle opere europee; per il servizio pubblico la percentuale è elevata al
20%» (in M. Costanzo, F. Morandi, Facciamo finta che. L’industria televisione: produrre fiction
seriale, cit., p. 21).
13
A. L. Natale, Reinventare la tradizione. Novità e ripetizione nella fiction tv in Italia, Roma,
Mediascape Edizioni, 2004, p. 35.
14
D. Cardini, La lunga serialità televisiva. Origini e modelli, Roma, Carocci, 2009, p. 156.
15
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 50.
16
Citando Grasso: «Per dare un giudizio su Un posto al sole (Raitre, ore 18.20, replica ore 20.15)
bisogna aspettare il 125° episodio. Così si sono espressi gli australiani della Grundy, la
multinazionale della comunicazione che esporta format e idee di televisione. Da un’idea di
Giovanni Minoli, arriva dall’Australia una scatola piena da riempire, secondo i gusti e le tradizioni
nostrane, un formato esportato in tutto il mondo adattabile alle diverse esigenze. Un posto al sole
si presenta come una serie non così bella da gridare al miracolo né così brutta da gridare allo
scandalo. I titoli di coda, inusuali, sono spie di un nuovo modo di produzione sovranazionale. […]
Con Un posto al sole si gioca la sfida tra la serie d’autore (quasi sempre fallita in TV) e quella
industriale o, come si dice, “a basso costo”» (in A. Grasso, Storia della televisione italiana. I 50
anni della televisione, cit., pp. 620-621.)
17
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., pp. 51-52.
6
Sposa la stessa linea di pensiero anche Grasso:
“La fiction nostrana comincia a far propri i meccanismi della lunga
serialità e della produzione seriale: il modello non è più il teatro o il
cinema, ma la fiction americana, anche se permangono resistenze legate
a pregiudizi culturali, al fascino del modello cinematografico e a
problemi produttivi. Il passo decisivo verso questo tipo di produzione
18
avviene grazie a ‘Un posto al sole’, prima soap opera italiana”.
L’avventura della soap opera domestica prosegue, e al prodotto della Rai se ne
vanno ad aggiungere, con le dovute varianti, due targati Mediaset per canale 5:
Vivere (dal 1999 al 2008) e Centovetrine (dal 2001). Nel 2008 sarà poi la volta del
meno fortunato Agrodolce, nuova proposta firmata Rai per la terza rete.
Se la Rai sembra aver compreso solo nel corso degli ultimi anni i vantaggi
offerti dalla serialità e la sua importanza nel costruire e consolidare un’audience
numerosa e costante del tempo, il percorso compiuto da Mediaset è differente; la
televisione commerciale, difatti, aveva intrapreso con maggior convinzione la
strada della serialità fin dall’inizio del decennio, cambiando però strategia: da
un’offerta di tono leggero, giovane e spensierato, concentrata quasi interamente su
Italia 1, si orienta poi decisamente verso la sitcom familiare, quasi totalmente
concentrata su Canale 5, per infine incrementare i suoi titoli seriali con le soap, e
facendo della serialità di media e ampia lunghezza la sua cifra stilistica distintiva
19
– anche se i maggiori successi in questo ambito saranno siglati Rai –.
In pochi anni, insomma, un formato estraneo al nostro panorama produttivo
viene quindi rapidamente adottato e diventa un elemento di forza del palinsesto
della televisione italiana, fino a provvedere a più di un terzo dell’intera offerta
20
annua di fiction.
Anche la super-soap, interessante integrazione tra narrative chiuse e aperte, infatti,
ricordano Gino Ventriglia e Anna Lucia Natale, sul finire degli Anni ’90, trova
una sua dimensione produttiva con crescente successo; ciò avviene con
21
Incantesimo che, nato nel 1998 come serial chiuso da prime time per Rai 1,
viene poi reso serial drama quotidiano dal 2007 (fino al 2008), e successivamente
con Vento di ponente (12 episodi nel 2002 e poi 19 da 110 minuti ciascuno dal
22
2003 al 2004).
È pertanto nella seconda metà del decennio che si definisce, sia in termini
quantitativi – si tocca il tetto delle seicento ore nella stagione 1999/2000 – sia in
termini di qualitativi, la forma della fiction italiana nel suo complesso, che nei
23
suoi aspetti principali perdura fino ai nostri giorni.
18
Grasso, M. Scaglioni, Che cos'è la televisione, cit., p. 162.
19
D. Cardini, La lunga serialità televisiva. Origini e modelli, cit., p. 157.
20
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 52.
21
Nato nell’estate come alternativa ai campionati del mondo di calcio per il pubblico femminile;
l’inatteso successo ha poi spinto a riproporre il serial nelle successive stagioni. Per Grasso è
l’ennesima conferma di come «gli ascolti premino ancora una volta la via melodrammatica della
fiction». (In A. Grasso, Storia della televisione italiana. I 50 anni della televisione, cit., p. 653).
22
A. L. Natale, Reinventare la tradizione. Novità e ripetizione nella fiction tv in Italia, cit., p. 38.
23
G. Ventriglia, “La linea d’ombra della fiction italiana”, in Script 46/47. La differenza seriale,
Dino Audino Editore, inverno 2008 – primavera 2009, p. 24.
7
Anche le serie, piatto forte dell’offerta di prima serata, guadagnano la simpatia
di larga parte dell’audience, con share spesso imponenti. Tra i successi di queste
stagioni possono essere annoverate due proposte del 1999: Commesse (Rai 1) e Il
commissario Montalbano (Rai 1).
Secondo Lucherini sono due i programmi locomotiva che hanno aperto la
24
strada alla lunga serialità in prime time: Un medico in famiglia (1998, Rai 1) e
25
Distretto di polizia (2000, Canale 5).
Constatando come si tratti di due serie mainstream molto popolari , ma così
diverse tra loro, sia sotto il profilo tematico che sotto quello stilistico-realizzativo,
l’autore dell’articolo conclude che esse possano smentire il pregiudizio secondo il
quale lunga serialità indichi prodotti indifferenziati, fatti con lo stampino e privi di
26
identità.
Ventriglia sottolinea come, se Distretto di polizia costituisce una produzione
tutta italiana (targata Taodue, la stessa che firmerà RIS - Delitti imperfetti dal
2005 su canale 5), Un medico in famiglia inauguri la tendenza, da parte dei
network e delle case produttrici, ad acquistare format di serie spagnole che, con
sorti alterne, giungono fino ai giorni nostri, come dimostrano Raccontami (2006-
2008, Rai 1) e il grande successo de I Cesaroni (2006, Canale 5) nel declinarsi
delle sue stagioni.
Anche la Rai cede dunque alla politica dell’acquisizione dei format stranieri, fino
27
a quel momento appannaggio della TV commerciale
.
L’autore televisivo è però scettico sui guadagni che possa apportare una tale scelta
aziendale, e critico nei confronti di questa moda, che non tiene affatto conto del
lavoro che implica, da parte degli sceneggiatori italiani, di pressoché totale ri-
concettualizzazione del materiale originario:
“È scoraggiante il fatto che si continui a pensare che le serie spagnole
siano dotate di maggiore ‘affidabilità’ o ‘inventiva’ rispetto a un concept
originale italiano. O che convenga appoggiarsi a ‘formule’ che in
qualche modo hanno già dato buona prova di sé, una sorta di ‘pilot’ a
28
basso costo, anziché tentare nuove strade di ideazione”.
24
Racconta Grasso: «Un medico in famiglia, formalmente, è una sorta di sit-com il cui modello o
format è stato acquistato nientemeno che in Spagna. Si dispiega in 52 episodi, due per serata, per
un totale di 26 puntate. Scopo dell’esperimento è stimolare comunque la risposta del pubblico
indipendentemente dalla bontà dell’offerta. Di fronte a una generica proposta di fiction, si vuol
sapere quanta parte di audience reagisce. Se va bene questa fragile commediola, in futuro andrà
bene tutto.[…] Un medico in famiglia sembra piuttosto una parodia della sit-com; non c’è nulla
che stia in piedi: né la recitazione, né i dialoghi, né le vicende cui si accenna. […] Ma poco
importa. L’esperimento pare funzionare: il pubblico risponde positivamente. […] Il successo di Un
medico in famiglia la dice lunga sulla buona salute della fiction». Nello Ajello, parla invece di
“neorealismo domestico” in la Repubblica, 19 marzo 2000. (In A. Grasso, Storia della televisione
italiana. I 50 anni della televisione, cit., pp. 657-658).
25
Asserisce Grasso: «Alla base del successo della serie c’è un genere, il poliziesco, che ha saputo
innestarsi su due grandi tradizioni italiane, quella del realismo e quella del melodramma» (In A.
Grasso, Storia della televisione italiana. I 50 anni della televisione, cit., pp. 707-708).
26
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 52.
27
D. Cardini, La lunga serialità televisiva. Origini e modelli, cit., p. 158.
28
G. Ventriglia, “La linea d’ombra della fiction italiana”, in Script 46/47, cit., p. 25.
8
Questa linea garantista e conservatrice è da sempre molto radicata sia nei
quadri dirigenziali delle reti, che in tutto il reparto produttivo; se ne ha conferma
dalla forte propensione verso i sequel che, per dare ulteriormente l’idea della
continuità narrativa al proprio pubblico, sceglie di posporre, al titolo della serie, il
numero attestante la stagione raggiunta; una usanza prettamente italiana.
È così, per fare un esempio, che, stagione dopo stagione, si assiste a La squadra
(2000, Rai 3), La squadra 2, La squadra 3, fino a giungere al 2007 e al settimo
29
anno di produzione con La squadra 7.
Molte serie che meglio erano state accolte dal pubblico italiano nel finire degli
Anni ’90 vengono inoltre mantenute in vita: è il caso, tanto per citarne una su
tutti, de Il maresciallo Rocca, che va in onda sulla Rai per cinque stagioni, tra il
1996 e il 2005.
La formula funziona, la seria all’italiana piace, e il meccanismo non si ferma,
dando alla luce altri innumerevoli successi, tra cui Il bello delle donne (2001-
2003, Canale 5), Carabinieri (2002-2008, Canale 5) e l’intramontabile Don
Matteo (Rai 1), sugli schermi dal 2000.
Nel suo articolo del 2004 troviamo un Lucherini disincantato circa le
potenzialità di questo tipo di gestione della serialità italiana:
“La serie all’italiana però ha un limite: i sequel non funzionano a
causa di quella linea orizzontale che non è riproponibile se non
attraverso forzature eccessive del concept e dell’impianto originale.
Comunque, molte di queste serie hanno una seconda e, a volte, una terza
edizione.‘Il maresciallo Rocca’, l’unico di questi titoli ancora in
produzione, è arrivato alla quarta stagione. Non siamo ancora alla
lunga serialità in senso proprio, ma la strada è stata imboccata,
soprattutto perché la continuità della produzione comincia a entrare
nell’orizzonte del possibile. La constatazione che le successive edizioni
di queste specifiche serie non funzionino è una delle ragioni che portano
30
ad abbandonare questo formato”.
Quest’ultimo verrà infatti messo da parte in favore di un titolo che, a parere
dello sceneggiatore, ha raccolto l’eredità della serie all’italiana, perfezionandone
31
la formula: Il commissario Montalbano (1999, Rai 1), arrivato con successo
32
crescente alla ottava stagione.
La serie ha per di più il merito di aver ridato respiro alla nostra esportazione di
fiction nel mondo – notevolmente affievolitasi dopo il boom de La Piovra –,
29
L’usanza, che si rifà a una tradizione cinematografica, tradisce l’origine recente della pratica di
allungare il ciclo di vita dei prodotti seriali.
30
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 50.
31
Annota Grasso: «Zingaretti ha definitivamente sovrapposto la sua fisionomia a quella di
Montalbano (come Gino Cervi fece con Maigret) e Camilleri sembra finalmente compiaciuto di
questa nuova identità fantasmatica», definendo la scrittura dell’autore siciliano come dotata di
«una forza comica e tempra popolare» (In A. Grasso, Storia della televisione italiana. I 50 anni
della televisione, cit., p. 694).
32
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 50.
9
venendo trasmessa in Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Danimarca, Ungheria e
Finlandia.
La lunga serialità si è ormai ritagliata uno spazio stabile nei palinsesti delle reti
italiane, arrivando a rappresentare circa l'80% del totale del volume orario, e
assumendo caratteristiche produttive sempre più definite e coerenti, così che le
serie di maggior successo vengono ora prodotte su base (quasi) stagionale.
La stagione '00-'01 segna la punta più alta nell'offerta di fiction tv nazionale. I
due broadcaster Rai e Mediaset hanno trasmesso oltre 650 ore di fiction italiana in
prima visione. Un risultato storico, che si manterrà pressoché stabile negli anni
immediatamente successivi, e che consente all'Italia di ridurre il gap nell'offerta di
33
fiction rispetto ai grandi mercati europei
.
Quelli del nuovo millennio sono anni in cui lentamente, nonostante i rischi che
caratterizzano la lunga serialità (investimenti elevati e, in caso di flop, voragini
scavate nel palinsesto della rete) stanno prevalendo le ragioni della fiducia in un
formato capace di dare vita a straordinari fenomeni di popolarità.
È probabilmente in considerazione dei sopra accennati rischi che, soprattutto
sull’emittente pubblica – si tenga conto che la Rai rispetto a Mediaset offre più
fiction in prime time – accanto alla lunga serialità continuano a trovare spazio
formati intermedi (4-8 episodi da 90’ di norma che vedono protagonisti attori
affermati, che difficilmente accetterebbero la lunga serialità). Titoli come Lo zio
d’America (2002-2006, Rai 1), Un papà quasi perfetto (2003, Rai 1), Amiche mie
(2008, Canale 5), narrativamente parlando non sono propriamente delle miniserie
o delle serie all’italiana, ma racconti corali e multi-lineari, miniserial realizzati
34
nell’ottica del prodotto-prototipo.
Anche la saga, sulla scia di questi ultimi, preferibilmente in costume, conosce
una certa renaissance, dopo il felice esperimento di Fantaghirò (1991 e poi 1992,
Canale 5): Orgoglio (2004-2006, Rai 1), ed Elisa di Rivombrosa (2003-2005 più
uno spin-off nel 2007, Canale 5); ma si possono considerare in costume, sebbene
più recente, con un certo “effetto nostalgia”, pure Le stagioni del cuore (12
35
puntate nel 2004, Canale 5) e La meglio gioventù (4 puntate nel 2003, Rai 1).
Riflette però Lucherini:
“Senz’altro vi è ancora un grande potenziale inespresso nel campo
della lunga serialità italiana. Per rendersene conto basta fare un
confronto fra la qualità media della scrittura che caratterizza le serie
rispetto a quella delle miniserie domestiche. Non si può non constatare
come l’eccellenza nella fiction italiana risieda ancora nella serialità
36
debole”.
33
Nonostante i tagli al budget dedicato alla fiction operati nel 2002, dovuti al rallentamento degli
introiti pubblicitari.
34
Ivi, p. 54.
35
G. Ventriglia, “La linea d’ombra della fiction italiana”, in Script 46/47, cit., p. 25.
36
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 54.
10
Anche Ventriglia conferma:
“Se medici e poliziotti – in ogni caso con famiglia – la fanno da
padroni nelle serie medie di prima serata, la sfida fra i network, per la
verità estremamente blanda, sceglie come luogo di scontro privilegiato
la miniserie in due puntate: paradossalmente, più di una volta sullo
stesso titolo (i due ‘Padre Pio’ e i due ‘Giovanni XXIII’ del recente
passato).
Il ‘biopic’ dedicato perlopiù a ‘eroi’ civili o sportivi o religiosi, o, più
raramente, il thriller basato su fatti di cronaca costituiscono ancora
oggi i generi di miniserie praticati per ottenere un’audience
37
considerevole nei periodi di garanzia”.
L'Italia resta, non a caso, uno dei mercati televisivi europei in cui si produce il
maggior numero di miniserie, proseguendo una tradizione che risale agli
sceneggiati; ma è quella composta da due episodi a imporsi mediamente, come
dimostrano i rapporti dell’OFI dalla stagione ’99-’00 a quella del ’06-’07, anno
38
dopo anno, come il programma col maggior numero d’ascolti stagionale.
La formula, a parere di Ventriglia, è ormai stanca e consunta dallo iper-
sfruttamento, e rischia di non agevolare affatto la maturazione della lunga
serialità, e così conclude:
“La miniserie in due puntate è di fatto una particolarità tutta italiana:
è un formato piuttosto conservativo, ancorato com’è a un modello
paracinematografico delle narrative popolari intese come ‘evento’, sia
per il tipo di professionalità e di modalità produttive impiegate nella
loro realizzazione, sia per i costi impegnativi, che costituiscono una
porzione consistente del budget complessivo della fiction. Ma
difficilmente la miniserie italiana viene utilizzata come ‘prototipo’, le cui
innovazioni sperimentali possano poi avere una ricaduta sulla
produzione di serialità più lunga. Anzi, sono probabilmente il genere-
formato della serialità meno innovativo: diverso sarebbe l’investimento
in TV movie di costo medio-alto, come accade in Germania, ad esempio,
dove il gran numero di film per la televisione va a costituire uno spazio
39
per nuove proposte e nuovi talenti”.
Il film per la tv è, difatti, una formula troppo spesso, soprattutto ultimamente,
trascurata dalla produzione e dalla programmazione televisiva: dimostrazione è
anche il fatto che bisogna tornare alla stagione ’96-’97 per trovarne uno che
s’imponga come programma più seguito, ed è con Ladri si nasce andato in onda
su Canale 5.
37
G. Ventriglia, “La linea d’ombra della fiction italiana”, in Script 46/47, cit., p. 25.
38
Per una rapida panoramica sui rapporti dell’Osservatorio sulla Fiction Italiana:
http://www.campo-ofi.it/ofi/osservatorio.php
39
G. Ventriglia, “La linea d’ombra della fiction italiana”, in Script 46/47, cit., p. 25.
11
Un altro genere sottovalutato nel nostro Paese a causa della pezzatura breve
degli episodi, che ne esclude, per un “malcostume” locale, l’utilizzo in prime time
(a differenza di quel che avviene negli Stati Uniti, ad esempio), è quello della
situation comedy. Da qui deriva la posizione marginale, legata al day time, di
questo tipo di produzioni, che si limitano ad essere il veicolo per le risorse di
popolarità di personaggi noti dello spettacolo: da Gerry Scotti (Finalmente soli,
1999-2004, Canale 5), a Luca Laurenti (Don Luca, 2001-2001, poi Don Luca c’è
nel 2008, Canale 5). È però una sitcom la serie più longeva della televisione
italiana; si tratta di Casa Vianello (con tre spin-off, 1988-2007, Canale 5, poi Rete
40
4), sugli schermi dal 1988.
Sintetizzando quanto detto, si può affermare con Anna L. Natale:
“In modi, misure e tempi diversi, la tv pubblica e quella privata hanno
partecipato dei principali processi evolutivi che ridisegnano il volto
della fiction italiana nel volgere di pochi anni, facendo registrare in
rapida successione: l’arrivo della soap domestica, lo sviluppo di un
nuovo filone di serial lunghi chiusi, la spinta alla produzione di prodotti
seriali di breve-media durata (la ‘serie all’italiana’), e infine la
conferma della miniserie quale genere principale della fiction italiana,
nonché veicolo privilegiato del ritorno al passato e ai generi della
41
tradizione”.
1.1.1 I migliori ascolti del decennio (XVIII° Rapporto OFI)
42
«È stata una stagione di grandi successi». Così Milly Buonanno introduce
43
quello che lei definisce il decennio de “La Golden age della fiction italiana”.
Attraverso una ricognizione effettuata sui cento programmi di fiction domestica
44
all’apice degli ascolti, nel suo diciottesimo Rapporto per l’OFI, la studiosa cerca
di ricostruire quali sono state le storie di fiction più viste in questi dieci anni,
quelle che hanno dato maggiormente prova di saper richiamare le più larghe
audience possibili. I cento programmi, va rilevato, equivalgono a circa il 25% di
tutte le fiction trasmesse in prima serata nel periodo considerato (le dieci stagioni
dal 1996-1997 al 2005-2006).
N. TITOLO STAGIONE RETE FORMATO ASCOLTO MEDIO
(in migliaia)
1 Papa Giovanni 2001-2002 Rai Uno Miniserie 13.180
2 Padre Pio tra cielo e 2000-2001 Rai Uno Miniserie 13.123
terra
3 Karol – Un uomo 2004-2005 Canale 5 Miniserie 12.832
diventato Papa
40
F. Lucherini, “La lunga serialità in Italia: una breve storia”, in Script 34, cit., p. 55.
41
A. L. Natale, Reinventare la tradizione. Novità e ripetizione nella fiction tv in Italia, cit., p. 37.
42
M. Buonanno (a cura di), La bella stagione. La fiction italiana, l’Italia nella fiction, cit., p. 73.
12
4 Perlasca 2001-2002 Rai Uno Miniserie 12.205
5 Padre Pio 1999-2000 Canale 5 Miniserie 11.660
6 Giovanni Paolo II 2005-2006 Rai Uno Miniserie 11.329
7 Il maresciallo Rocca 2 1997-1998 Rai Uno Serie 11.261
8 Paolo Borsellino 2004-2005 Canale 5 Miniserie 10.834
9 Jesus 1999-2000 Rai Uno Miniserie 10.806
10 Madre Teresa 2003-2004 Rai Uno Miniserie 10.600
11 Commesse 1998-1999 Rai Uno Serie 10.085
12 Un posto tranquillo 2002-2003 Rai Uno Miniserie 10.054
13 Il Papa buono 2002-2003 Canale 5 Miniserie 9.982
14 Una storia qualunque 2000-2001 Rai Uno Miniserie 9.897
15 Maria Goretti 2002-2003 Rai Uno Film-tv 9.896
16 Il maresciallo Rocca 4 2003-2004 Rai Uno Serie 9.862
17 Un medico in famiglia 1999-2000 Rai Uno Serie 9.581
2
18 Il commissario 2002-2003 Rai Uno Serie 9.428
Montalbano
19 Ladri si nasce 1996-1997 Canale 5 Film-tv 9.428
20 Come l’America 2000-2001 Rai Uno Miniserie 9.377
21 L’uomo che sogna con 2005-2006 Rai Uno Miniserie 9.252
le aquile
22 Il maresciallo Rocca 3 2000-2001 Rai Uno Serie 9.248
23 Soraya 2003-2004 Rai Uno Miniserie 9.234
24 Maria José 2001-2002 Rai Uno Miniserie 9.160
25 Linda e il brigadiere 2 1998-1999 Rai Uno Serie 9.146
26 San Paolo 2000-2001 Rai Uno Miniserie 9.087
27 Salomone 1997-1998 Rai Uno Miniserie 9.049
28 Uno bianca 2000-2001 Canale 5 Miniserie 9.045
29 Ultimo – La sfida 1999-2000 Canale 5 Miniserie 8.985
30 Al di là delle frontiere 2003-2004 Rai Uno Miniserie 8.961
31 Cime tempestose 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.942
32 Ultimo 1998-1999 Canale 5 Miniserie 8.930
33 L’uomo sbagliato 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.855
34 Il cuore nel pozzo 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.831
35 Lourdes 1999-2000 Rai Uno Miniserie 8.693
36 Gino Bartali – 2005-2006 Rai Uno Miniserie 8.657
L’intramontabile
37 Virginia – La monaca 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.626
di Monza
38 Il commissario 2005-2006 Rai Uno Serie 8.589
Montalbano
39 Un medico in famiglia 1998-1999 Rai Uno Serie 8.577
40 La cittadella 2002-2003 Rai Uno Miniserie 8.557
41 Orgoglio 2003-2004 Rai Uno Serial 8.523
42 Distretto di polizia 3 2002-2003 Canale 5 Serie 8.493
43
Ibidem.
44
Ivi, pp. 95-98.
13
43 Ultimo – L’infiltrato 2003-2004 Canale 5 Miniserie 8.428
44 Edda 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.291
45 Don Matteo 1999-2000 Rai Uno Serie 8.286
46 Amanti e segreti 2003-2004 Rai Uno Miniserie 8.279
47 San Giovanni 2002-2003 Rai Uno Film-tv 8.262
48 San Pietro 2005-2006 Rai Uno Miniserie 8.257
49 Le ali della vita 1999-2000 Canale 5 Miniserie 8.241
50 Elisa di Rivombrosa 2003-2004 Canale 5 Serial 8.198
51 Un medico in famiglia 2002-2003 Rai Uno Serie 8.184
3
52 La caccia 2004-2005 Rai Uno Miniserie 8.153
53 Un medico in famiglia 2004-2005 Rai Uno Serie 8.133
4
54 Sansone e Dalila 1996-1997 Rai Uno Miniserie 8.126
55 Marcinelle 2003-2004 Rai Uno Miniserie 8.102
56 Mio padre è innocente 1997-1998 Rai Uno Miniserie 8.096
57 Il conte di Montecristo 1998-1999 Canale 5 Miniserie 8.058
58 Ferrari 2002-2003 Canale 5 Miniserie 8.003
59 Mai storie d’amore in 2003-2004 Rai Uno Miniserie 7.980
cucina
60 Soffiantini 2001-2002 Canale 5 Miniserie 7.976
61 La Piovra 8 1997-1998 Rai Uno Miniserie 7.974
62 Amore oltre la vita 1999-2000 Rai Uno Miniserie 7.970
63 Il mio amico Babbo 2005-2006 Canale 5 Film-tv 7.948
Natale
64 La Piovra 9 1997-1998 Rai Uno Miniserie 7.941
65 Geremia 1998-1999 Rai Uno Film-tv 7.925
66 Don Milani 1997-1998 Rai Due Miniserie 7.908
67 Mio figlio 2004-2005 Rai Uno Miniserie 7.884
68 Sospetti 2 2002-2003 Rai Uno Miniserie 7.869
69 Madri 1999-2000 Rai Uno Miniserie 7.837
70 Meglio tardi che mai 1999-2000 Rai Uno Film-tv 7.836
71 Il grande Torino 2005-2006 Rai Uno Miniserie 7.831
72 Regina dei fiori 2005-2006 Rai Uno Miniserie 7.830
73 Davide 1996-1997 Rai Uno Miniserie 7.827
74 Una donna per amico 1998-1999 Rai Uno Serie 7.821
75 La guerra è finita 2001-2002 Rai Uno Miniserie 7.777
76 La memoria e il 2001-2002 Rai Uno Miniserie 7.774
perdono
77 Distretto di polizia 2 2001-2002 Canale 5 Serie 7.715
78 Cuore 2001-2002 Canale 5 Miniserie 7.705
79 Teo 1996-1997 Rai Uno Film-tv 7.660
80 Difetto di famiglia 2001-2002 Rai Uno Film-tv 7.648
81 Il maresciallo Rocca 5 2005-2006 Rai Uno Serie 7.625
82 Vite blindate 1997-1998 Rai Uno Film-tv 7.574
83 Provaci ancora prof. 2005-2006 Rai Uno Serie 7.538
84 Linda e il brigadiere 1996-1997 Rai Uno Serie 7.532
85 Le ali della vita 2 2001-2002 Canale 5 Miniserie 7.497
14
86 Fatima 1997-1998 Canale 5 Film-tv 7.445
87 Il IV Re 1997-1998 Canale 5 Film-tv 7.444
88 Un nero per casa 1998-1999 Canale 5 Film-tv 7.404
89 Piovuta dal cielo 2000-2001 Rai Uno Miniserie 7.286
90 A due passi dal cielo 1998-1999 Rai Uno Film-tv 7.090
91 Piccolo mondo antico 2000-2001 Canale 5 Miniserie 7.026
92 Un prete tra noi 1997-1998 Rai Due Serie 7.019
93 Qualcuno da amare 2000-2001 Rai Uno Miniserie 7.012
94 Lui e lei 1998-1999 Rai Uno Serie 6.881
95 Il testimone 2000-2001 Canale 5 Miniserie 6.854
96 Il ritorno di Sandokan 1996-1997 Canale 5 Miniserie 6.692
97 Nostromo 1996-1997 Rai Uno Miniserie 6.178
98 I viaggi di Gulliver 1996-1997 Canale 5 Miniserie 5.849
99 Dio vede e provvede 1996-1997 Canale 5 Serie 5.802
100 Uno di noi 1996-1997 Rai Uno Serie 5.604
Fonte: Elaborazione OFI su dati Auditel.
L’ordine decrescente permette di cogliere a prima vista la parabola ascensionale
tracciata nel corso degli anni dai successi della fiction domestica: si osservi come
le audience più ristrette, quelle che per essere inferiori alla fascia dei sette e dei sei
milioni di ascolto si trovano situate proprio in coda alla graduatoria, coincidano
con una manciata di titoli messi in onda agli inizi del decennio (1996-1997), e in
ogni caso prima del Duemila (con l’eccezione de Il testimone, Canale 5, 2000-
2001). In modo opposto e simmetrico, le popolose platee dai dieci ai tredici
milioni di spettatori, che può vantare la dozzina di programmi in cima alla
graduatoria (da Papa Giovanni e Perlasca: Rai Uno, 2001-2002, a Un posto
tranquillo: Rai Uno, 2002-2003, passando per Madre Teresa: Rai Uno, 2003-
2004, Karol – Un uomo diventato Papa e Paolo Borsellino: Canale 5, 2004-2005,
Giovanni Paolo II: Rai Uno, 2005-2006), sono nella maggior parte dei casi un
45
fenomeno delle ultime stagioni.
“Non c’è dubbio che la recente Golden age della fiction italiana, per
quel che riguarda i risultati d’ascolto, abbia conosciuto agli esordi degli
46
anni Duemila il suo momento più smagliante”.
Assumendo a soglia di discrimine gli otto milioni di media d’ascolto (da
Ferrari: Canale 5, 2002-2003, a salire fino Al di là delle frontiere: Rai Uno,
2003-2004, e Ultimo – La sfida: Canale 5, 1999-2000), è chiaramente osservabile
come nel secondo quinquennio, interamente compreso negli anni Duemila
(stagioni 2001-2002/2005-2006), gli ascolti delle top fiction abbiano ricevuto
un’energica spinta verso l’alto: trentacinque titoli su cinquanta si situano al di
sopra dello spartiacque degli otto milioni. Quasi tutto incasellato nella seconda
metà degli anni Novanta, il primo quinquennio (stagioni 1996-1997/2000-2001)
registra invece una pur lieve prevalenza di risultati inferiori a questa fascia
(ventisette titoli su cinquanta non raggiungono gli otto milioni), mentre quasi la
45
Ivi, p. 74.
46
Ibidem
15