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Il presente lavoro vuole essere un tentativo, forse ambizioso, di riportare alla luce
una parte importante della nostra storia filosofica troppo velocemente dimenticata.
Pensiamo che l’unica funzione concreta della filosofia contemporanea
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, risieda
proprio nella sua capacità di andare oltre le ideologie, i pregiudizi, cogliendo l’essenza
fondamentale dell’operare sotterraneo della teoria critica, indagare le leggi di
movimento della realtà, le sue contraddizioni, scoprire nell’immanenza quali inedite
forme potranno qualificarla domani. A partire da questa riflessione, ci sembra sempre
più attuale ed urgente una riflessione critica sulla complessa esperienza del marxismo
dell’est, non prettamente schiacciata sul piano concettuale, ma in costante osmosi con
le prospettive organizzative e di lotta che da questa possono giungere. La necessità di
ricollocare nel presente tracce significative di quell’esperienza, assume una valenza
sempre più pragmatica, necessaria a riattivare quel prezioso ed indispensabile dialogo
dialettico con gli inediti e molteplici processi di trasformazione del reale. Ed è in
quest’ottica che si deve leggere la nostra decisione di strutturare un percorso analitico
che intenda rintracciare in alcuni esponenti della filosofia marxista dell’est, quali
potessero essere i loro contributi alla riqualificazione dialettica delle categorie
fondamentali del pensiero marxiano
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.
Abbiamo dunque considerato più utile e proficuo affidarci alle proposte, agli spunti,
alle indicazioni di due importanti esponenti di quella stagione di rinascita dialettica e
pragmatica del marxismo (scienza che illumina e dirige la prassi) come Agnes Heller,
membro della scuola di Budapest, allieva del grande e spesso ingombrante maestro
Lukàcs e Karel Kosik che con la sua straordinaria ricerca sulla totalità organica del
movimento reale, è riuscito nella Dialettica del concreto a fluidificare ed a umanizzare
integralmente il messaggio marxiano.
La scelta di Agnes Heller non è affatto causale, poiché se il nostro obiettivo è quello
di ridefinire la filosofia come urgenza pratica di comprendere la realtà nella sua
organicità dialettica, di dare voce all’esigenze speculative che non trovano sbocchi
nella società, è doveroso partire dalla sua teoria dei bisogni radicali, dalla sua
profonda convinzione che in essi si esprimano impulsi, pratiche, progetti, costellazioni
valoriali insopprimibili della classe operaia, in grado non solo di riqualificarne
l’assurda meccanica quotidiana, ma può rappresentare la base concreta di
un’auspicabile rivoluzione sociale totale
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.
Una trasformazione radicale che la Heller pone come suo obiettivo fondamentale,
l’unica possibilità concreta per l’articolazione di una nuova prassi morale ed umana,
per l’edificazione di inedite, rivoluzionarie forme di vita comunitaria e quotidiana, che
trae origine dall’incessante frustrazione quotidiana di quei stessi bisogni che la società
capitalistica pone nelle classi subalterne, le quali – date le loro condizioni di
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Per l’indagine filosofica sono sempre più attuali le indicazioni di Walter Benjamin, che individuava nello scavo
archeologico del sapere, nel costante “lavoro di Sisifo” del dissotterramento, l’essenza fondamentale del teorico
critico della società, come l’unica possibilità per intaccare la superficie stratificata dei secoli e andare oltre le
innumerevoli letture pregiudiziali ed ideologiche che li hanno giustificati e condotti fino a noi, per riappropriarsi di
un passato, di una stagione che ha ancora troppe cose da insegnarci. Cfr, su questo Walter Benjamin, Angelus
novus, Einaudi, Torino 2004.
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Ed è proprio questa necessità che tiene insieme l’elaborazione dei nostri due autori di riferimento Agnes Heller e
Karel Kosik. Entrambi ritengono urgente ritornare all’essenza dialettica del marxismo, alla sua fluidità analitica e
concettuale, alla coerenza ed omogeneità epistemologica nei confronti delle trasformazioni sociali in atto e al
divenire contraddittorio della società capitalistica. Cogliere dialetticamente la realtà, significa altresì edificare degli
strumenti altrettanto dialettici ed organici per studiarla. Ed è in questo senso che bisogna studiare l’operazione di
riqualificazione dialettica dell’approccio critico marxiano.
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Una rivoluzione che può ricomporre, risolvere dialetticamente, la millenaria antinomia tra costruire e
decostruire.
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sfruttamento – non riusciranno mai a soddisfare pienamente. Il comunismo è dunque
per la Heller la necessità di lottare per l’effettiva realizzazione dei bisogni umani, per
una vita che ritorni finalmente a essere tale, seppur nella sua complessità e nelle sue
contraddizioni. E’ un istinto vitale di riqualificazione complessiva del quotidiano che
spinge gli uomini a lottare per la costruzione di un nuovo spazio politico, in cui
l’umanità socializzata potrà razionalizzare e godere a pieno dei bisogni che la stessa
società capitalistica gli ha fornito. Solo nella rivoluzione sociale totale, la produzione
(gestita dall’umanità socializzata) sarà messa al servizio del benessere progressivo e
generale della specie umana, non sacrificato sull’altare del profitto e dello
sfruttamento. Edificare dunque attraverso il quotidiano un’inedita prassi individuale e
comunitaria in grado di articolare molteplici ed arricchenti configurazioni vitali,
contesti sociali in cui potere finalmente soddisfare quell’insieme di necessità, capacità
inespresse, insoddisfatte all’interno della reificazione capitalistica.
Riconsiderare la filosofia, non come semplice farmaco della felicità, avulso dalle
contraddizioni, dai processi storici, ma come un’arma critica materiale, capace di
indagare l’organicità, l’essenza dialettica della realtà, cogliere in essa gli spazi, le
condizioni di una sua possibile trasformazione qualitativa, ritornare ad essere
quell’utopia razionale in cui le scelte valoriali degli individui liberi siano in grado di
ricondurre l’umanità a sé, di renderli responsabili delle loro opzioni, coscienti di essere
enti complessi di un divenire altrettanto complesso. Una rivoluzione che origina
dunque dalla rivendicazione di un’insopprimibile emancipazione politica, ma che
trabocca e si risolve pienamente nella compiuta liberazione di tutta la società dalle
proprie catene.
Nell’analisi della Heller, il bisogno si carica di un connotato etico di realizzazione
valoriale dell’uomo, come elemento attivo, cosciente, in grado di progettare e costruire
una società orizzontale, libera, trasparente, retta dai principi logici della speculazione
filosofica. Una comunità razionalmente autocosciente in cui tutte le funzioni sono
regolate dalla concreta capacità dei suoi membri di vedere nell’altro non un mezzo, un
obiettivo prestabilito, ma il fine, lo scopo del loro essere al mondo.
Questo è per la Heller il riflesso politico oltre che sociale della sua teoria dei bisogni
radicali. Dare spazio all’insoddisfazione e riconvertire la sua urgenza materiale nella
costruzione di una comunità filosofica gestita da uomini capaci di cogliersi come unità
dialettiche di storia e natura, di particolare ed universale, di teoria e prassi, pubblico e
privato. L’emancipazione progressiva e qualificante del singolo passa inevitabilmente
(e questo è uno dei pilastri del materialismo dialettico) attraverso la liberazione
quotidiana del collettivo. Soddisfare un insieme di bisogni radicali significa quindi
gettare nel quotidiano le basi stesse di una comunità umana in grado di porsi come
utopia concreta per il passaggio ad una società superiore, pianificata sulla razionale,
etica soddisfazione dei bisogni personali e generali che si impongono al suo interno.
Ma proprio la necessità helleriana di comprendere il movimento reale nella sua
totalità dialettica, caratterizza l’essenza di tutta la riqualificazione dinamica del
marxismo portata avanti da Karel Kosik. Ed è la sua profonda convinzione dell’innata
essenza dialettica delle cose, dell’insuperabile organicità del divenire storico che
individua nella sua opera la necessità di ricalibrare l’apporto marxiano allo studio
della società.
Nella sua opera più famosa Dialettica del Concreto del 1963, Kosik ci offre una delle
più importanti e profonde letture della dialettica come logica ed essenza strutturale
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del divenire materiale delle cose
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, già allora definita come la categoria centrale da cui
far partire ogni operazione di rinnovamento delle categorie e del linguaggio marxiano.
Ed è uno dei pochi teorici marxisti, a ricollocare – dopo l’enorme fatica di Lukàcs e
Korsch negli anni ’20 – al centro del dibattito il rapporto tra la dialettica idealistica
hegeliana e quella marxiana. A comprendere che l’unica possibilità concreta per aprire
una stagione di ripresa fluida del marxismo, come decifrazione e risoluzione concreta
dell’assurdità quotidiana, sia quella di ritornare allo studio attento e meticoloso
dell’essenza dialettica del movimento reale, della coscienza materiale dei processi
storici. Necessità di dare voce alla realtà concreta e lotta incessante contro tutte le
declinazioni ideologiche borghesi al fine di comprenderne (decostruendo nella prassi la
pseudoconcretezza quotidiana) la natura organica come intero strutturato, sono i due
punti attraverso i quali si articola tutta l’opera di Kosik.
Dialettica in quanto organicità concreta
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, nel duplice senso di cogliere l’essenza
totalizzante della realtà nel suo essere contemporaneamente presente e prodotto
storico; di approcciare, attraverso lo straordinario contributo marxiano, lo studio del
divenire sociale, politico ed economico come dinamico complesso unitario, in cui ogni
parte non può esistere e sopravvivere senza il tutto e viceversa, in una costante osmosi
che li determina, li arricchisce e li mantiene in vita.
Il bisogno, l’uomo e la dialettica si presentano dunque come elementi decisivi per
riattivare quel marxismo che riponga al centro delle sue analisi un’umanità bisognosa,
foriera di un insieme determinato di bisogni radicali, concreta, cioè autocosciente di sé
come umanità che lotta consapevolmente e praticamente per la sua progressiva
emancipazione e dialettica, elemento organico del divenire storico. Un marxismo
dunque che riparta dalle necessità reali dell’uomo reale, che combatte giornalmente
per realizzarsi come ente generico, che riconcentri la sua attenzione sulle forze che
liberandosi, liberano conseguentemente tutta l’umanità in quanto umanità
socializzata, punto di resistenza effettivo di quell’individualità collettiva che ha
bisogno di riconsiderarsi parte di un progetto, di un’idea di società. Agnes Heller e
Karel Kosik ci indicano un’urgente prospettiva: la politica non può essere mera
registrazione, amministrazione dell’esistente, ossequioso rispetto dello status quo, ma
deve rappresentare la lotta per l’edificazione di nuove forme di vita, di inedite
comunità di discussione, di elaborazione speculativa, di utopie concrete per la
trasformazione qualitativa della specie umana.
Siamo a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino. Il capitalismo domina
incontrastato in tutto il mondo. Pur ammettendo che la necessità del passaggio al
comunismo sia morta nella coscienza delle masse (se possiamo asserire che il
capitalismo di stato nelle democrazie popolari e in Unione Sovietica fosse il comunismo
preconizzato da Marx e da Lenin) ciò non significa assolutamente esautorare
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Karel Kosik, Ivi, cit., p. 275.
“Nella dialettica si tratta della “cosa stessa”. Ma la cosa stessa non è una cosa qualsiasi, e addirittura non è sempre
una cosa: la “cosa stessa” di cui si occupa la filosofia è l’uomo e la sua posizione nell’universo, oppure (il che con
altre parole esprime la stessa cosa) è la totalità del mondo svelata dall’uomo nella storia e l’uomo che esiste nella
totalità del mondo.”
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Karel Kosik, Ivi, cit., p.66.
“La totalità concreta come concezione dialettico – materialistica della conoscenza del reale (di cui abbiamo più volte
messo in luce la dipendenza dalla problematica ontologica della realtà) significa pertanto un processo inscindibile i
cui momenti sono: la distruzione della pseudoconcretezza, cioè della feticistica e apparente oggettività del
fenomeno, e la conoscenza della sua autentica oggettività; in secondo luogo, conoscenza del carattere storico del
fenomeno, nel quale si manifesta in modo caratteristico la dialettica del singolo e del generalmente umano, e infine
la conoscenza del contenuto oggettivo e del significato del fenomeno, della sua funzione oggettiva e del posto storico
da esso occupato all’interno del corpo sociale”.
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l’approccio critico del marxismo allo studio della società e del suo divenire storico.
Diviene anzi sempre più urgente – data la fine del ruolo guida dei partiti comunisti e
dei loro istituti di ricerca connessa all’annichilimento regressivo del movimento
operaio internazionale – che il marxismo torni a riflettere sulle profonde
contraddizioni e le manifestazioni alienanti che segnano il declino strutturale della
società borghese, ad essere quell’opposizione scientifica e morale alla corruzione e al
pessimismo nichilista della putrescenza capitalistica. L’essenza della scienza è quella
di dubitare tutto, anche delle conquiste più ovvie, le verità più evidenti, pronta anche
a negare se stessa se è necessario. Ed è questo l’approccio che il filosofo critico deve
riconquistare. Nulla è dato una volta per sempre. Nulla è scontato, naturale.
Distinguere la realtà dalla propria manifestazione intellettuale per riaprire nel
quotidiano la strada della riqualificazione progressiva dell’esistente, della vita e della
speranza umana.
La verità della storia diceva Marx, risiede nella sua concreta possibilità che l’uomo
ritorni in sé, che impari a sentirsi a casa nella società che ha contribuito a fondare e a
razionalizzare. Ed è questo l’unico ma immane compito che il marxismo ha oggi di
fronte.