Civili, nei mesi di maggio e giugno del 2008, mi sono soffermato sul significato della
candidatura di Obama per coloro che lottarono in prima fila per i diritti degli
afroamericani. Ho chiesto ad alcuni attivisti di quel Movimento se per loro Barack
Obama era un punto di partenza o un punto di arrivo nel raggiungimento della piena
integrazione razziale negli Stati Uniti. Nell’esame del dibattito politico che ha scaldato
la campagna per le elezioni presidenziali del 2008, ho verificato se, e in che modo, il
colore della pelle abbia influito sulla candidatura e sulla vittoria di Obama. Ho poi
affrontato una questione importante che è emersa nello scontro delle primarie
democratiche: il rapporto tra razza e genere, più volte portato alla luce dall’aspro duello
Hillary Clinton v. Barack Obama. Se, infatti, Barack Obama è un volto nuovo della
politica americana grazie anche al suo colore della pelle, lo stesso discorso vale per
Hillary Rodham Clinton che, se avesse vinto, sarebbe diventata il primo presidente
donna. Restando sul confronto tra race e gender ho poi analizzato la scelta del senatore
McCain alla vicepresidenza, la senatrice dell’Alaska Sarah Palin che avrebbe dovuto
portare un’ondata rinnovatrice al Partito Repubblicano. Ho poi preso in esame i dibattiti
televisivi tra Obama e McCain, focalizzandomi maggiormente su questioni riguardanti
la razza e la storia statunitense. Infine, dopo il successo elettorale di Obama, ho
esaminato alcune reazioni degli americani e del mondo alla vittoria di colui che è
divenuto sempre di più un leader “globale”.
Il secondo capitolo ripercorre la storia del Movimento per i Diritti Civili. Ho trattato
alcuni momenti della conquista dei diritti degli afroamericani, in particolare quelli che
sono entrati a far parte della memoria pubblica e ricordati durante il Martin Luther King
Day. Ripercorrendo gli ultimi tre anni della vita di King, dal Voting Rights Act alla sua
7
morte, il 4 aprile 1968, ho poi visto in che modo questa memoria trattiene solo una parte
della storia.
Il terzo capitolo è dedicato a uno degli stati dove il Movimento per i Diritti Civili ha
trovato una maggiore resistenza: il Mississippi. Ho ripercorso la storia della
popolazione afroamericana in questo stato, soffermandomi sul periodo del Movimento,
dai primi anni cinquanta a tutti gli anni sessanta, focalizzando l’attenzione sui principali
avvenimenti di quegli anni. Ho poi preso in considerazione i risultati elettorali delle
elezioni presidenziali di questo stato nel 1968, le prime dopo il successo del Movimento
e il raggiungimento dei pari diritti. Partendo dai risultati delle elezioni ho parlato di
George Wallace che, promuovendo un ritorno al vecchio sistema segregazionista, ha
ottenuto la vittoria di tutto il Deep South. Ho poi visto come la questione della razza
abbia continuato ad avere peso nelle elezioni americane per molti anni grazie ad una
strategia repubblicana chiamata “Southern Strategy”. Sono poi giunto alla recente
campagna elettorale esaminando il primo scontro delle primarie democratiche tra la
Clinton e Obama e quello tra i candidati presidenziali Obama e McCain; ho poi
esaminato il risultato elettorale del Mississippi contea per contea evidenziando come,
ancora una volta, la questione della razza abbia influenzato le scelte politiche di questo
stato.
8
FONTI:
Nel ricostruire la storia del Movimento mi sono basato sulla splendida trilogia di Taylor
Branch America in the King Years che permette di avere un quadro esaustivo della vita
di Martin Luther King, proposta quasi sotto forma di diario quotidiano, collocandola
nell’ambito dei conflitti della società americana negli anni del Movimento per i Diritti
Civili. In particolar modo mi è stato utile l’ultimo volume che tratta gli ultimi anni della
vita di King, dal titolo At Canaan’s Edge – America in the King’s Year 1965-1968.
2
Per le notizie biografiche e sull’esperienza politica e sociale di Barack Obama ho
utilizzato le sue due autobiografie Dreams from My Father. A Story of Race and
Inheritance (1995) e The Audacity of Hope. Thoughts on Reclaiming the American
Dream (2006). Questi testi sono fondamentali per cogliere l’evoluzione del suo pensiero
in rapporto, soprattutto, alla visione della società statunitense.
Per la stesura del primo capitolo è stato importante l’aiuto degli esponenti del
Movimento che hanno amichevolmente ed esaustivamente risposto alle domande che ho
posto loro grazie al sito www.crmvet.org. Questo sito internet è stato creato da decine e
decine di esponenti del Civil Rights Movement ed è ricchissimo di documenti, servizi
fotografici, forum di discussione, pensieri e riflessioni che sono stati una linea guida per
capire meglio il Movimento stesso.
Assieme al sito degli attivisti è stato fondamentale per il mio studio l’eccellente
documentario della PBS Eyes on the Prize che, in quattordici ore di riprese e
testimonianze, sfrutta il potere dell’immagine per dare un’idea ancora più concreta di
quelli che furono gli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti.
3
2
Taylor Branch, At Canaan's Edge: America in the King Years (2006).
3
Il documentario Eyes on the Prize è stato prodotto nel 1987 dalla casa cinematografica Blackside ed è
commentato e narrato da Julian Bond.
9
Per il capitolo sul Mississippi e l’arrivo del Movimento nel Sud ho fatto riferimento al
volume di Charles Payne I’ve Got the Light of Freedom, che ripercorre molto bene la
storia dei diritti civili nel Mississippi a partire dai primi anni ’40. Per quanto riguarda
l’assassinio degli attivisti del Freedom Movement è stato utile il testo di William
Bredford Huie Three Lives for Mississippi con l’introduzione di Martin Luther King.
Tra le fonti utilizzate è stato prezioso il sito del New York Times, www.nytimes.com,
nel quale sono disponibili la maggior parte degli articoli apparsi sul quotidiano dal 1851
ad oggi. Poter utilizzare queste fonti primarie mi ha permesso di entrare in contatto con
un’epoca complessa come quella degli anni ‘60 statunitensi.
Per quanto riguarda l’attualità ho fatto riferimento alla CNN per seguire i dibattiti
politici e la campagna elettorale; per i commenti degli avvenimenti politici i quotidiani
di riferimento sono stati utilizzati il New York Times e, in maniera minore, il
Washington Post.
10
CAPITOLO 1
BARACK OBAMA: TRAGUARDO O PUNTO DI PARTENZA? L’INFLUENZA
DEL MOVIMENTO DEI DIRITTI CIVILI AFROAMERICANO SULLA VITA E
LA POLITICA DEL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI
1.1 Obama ed il Movimento per i Diritti Civili: un traguardo o un inizio?
Interviste ad alcuni esponenti del Civil Rights Movement
La storia degli Stati Uniti d’America è stata, ed è, intensa e piena di avvenimenti che
hanno condizionato non solo la vita interna di questo paese ma anche l’intero equilibrio
globale. Gli Stati Uniti d’America, in poco più di due secoli, sono riusciti a diventare
protagonisti del panorama mondiale e punto di riferimento per molti paesi del mondo.
All’interno degli Stati Uniti il dibattito su etnia, religione, differenze culturali e identità
nazionale è più che mai attuale e l’ascesa politica di Barack Obama ha, ancora di più,
alimentato la discussione. Gli scontri politici e le accuse su questioni come quella della
razza hanno spesso fatto trascurare l’aspetto più puramente politico della campagna
elettorale appena conclusa. Obama rappresenta la novità, il rinnovamento e, come tale,
genera da una parte curiosità, fascino, speranza mentre dall’altra sfiducia e diffidenza.
Gli Stati Uniti sono una delle nazioni del mondo in cui il melting pot di culture ed etnie
ha avuto maggior peso nella sua storia e nella sua formazione. Il processo di
integrazione tra le razze, in particolar modo tra bianchi e neri, ha avuto un momento di
svolta tra gli anni ’50 e gli anni ’60 quando il Movimento per i Diritti Civili cambiò la
storia di questo paese. Il Movimento fu un punto di partenza fondamentale per la storia
11
statunitense e per il cambiamento sociale che ne conseguì. Da quel periodo sono passati
più di quaranta anni e il lento processo di integrazione razziale sembra essere culminato
con la candidatura e l’elezione di un politico afroamericano alla presidenza degli Stati
Uniti d’America. Sarà, però, davvero un traguardo? A tale proposito ho posto alcune
brevi domande a degli attivisti per i diritti civili statunitensi che hanno fatto parte del
Movimento degli anni ‘50 e ’60. Nei mesi della campagna presidenziale sono riuscito a
intraprendere una breve corrispondenza via mail con alcuni di quelli che hanno vissuto
in prima persona la campagna dei diritti civili degli anni di King grazie ad un sito
internet creato proprio da loro
4
. Ho posto a tutti la stessa domanda: quale fosse
l’influenza del Movimento sulla politica di Barack Obama e in che modo egli
rappresentasse, alla luce delle loro battaglie per i diritti civili, un traguardo per la
comunità afroamericana. Le risposte emerse sono state molto interessanti, in alcuni casi
contrastanti, e potrebbero essere divise in due gruppi: il primo è rappresentato da
attivisti ed ex-attivisti pieni di speranza per la candidatura e la presidenza di Obama,
altri, che potremmo raggruppare in un secondo gruppo, rappresentano un’ala più critica
che vorrebbe dal politico afroamericano una maggiore attenzione ai problemi della
comunità nera. Vediamo in dettaglio come hanno risposto alcuni esponenti del
Movimento per i Diritti Civili dopo averli presentati con una brevissima biografia.
Jean Walker Rawlings è una donna afroamericana che dopo aver conseguito una laurea
e un PhD in psicologia all’Università di Memphis ha fondato, e sta attualmente
dirigendo, il Fannie Lou Hamer Women of Faith Cultural Center a Ruleville nel
Mississippi (dal nome della nota attivista degli anni ’60 Fannie Lou Hamer, appunto),
centro che si occupa di giovani disagiati offrendo loro una guida spirituale e un aiuto
4
www.crmvet.org
12
nella formazione culturale. La madre di Jean, amica della Hamer, fondò assieme a lei le
Delta Quilting Ladies, un gruppo di donne che raccoglieva fondi per il Movimento
vendendo trapunte e piumini. Jean Walker Rawlings, poco più di una bambina,
frequentò, dal 1964, le freedom schools nel Mississippi organizzate da studenti del Nord
assieme a giovani del luogo. Come lei stessa ha detto, nel periodo del Civil Rights
Movement la madre non le permise di far parte in maniera diretta del Movimento dato
che aveva allora solo tredici anni. La sua risposta a proposito della candidatura di
Obama è stata estremamente positiva.
5
Ha affermato che Obama è “il culmine del sogno
di M. L. King”. Jean Walker Rawlings ha evidenziato il fatto che Obama sia
estremamente intelligente e brillante, che abbia studiato nelle migliori università
d’America (già di per sé un importante obiettivo ripensando agli anni ’50 e ’60) e che
sia, grazie alle sue origini, il naturale promotore di un multiculturalismo fondato sulle
diversità. La sua risposta, dunque, non lascia dubbi, Obama incarna tutto ciò per cui
Martin Luther King ha lottato, dalla battaglia per l’istruzione delle persone di colore a
quella per i pari diritti, dalla promozione della famiglia a quella del sentimento della
speranza e della fede, inoltre, come lei stessa afferma, le sue caratteristiche oratorie e
comunicative lo avvicinano ancora di più figura del Dottor King. A questo punto è
opportuno fare una considerazione: il fatto che Obama sia arrivato dove si trova adesso
è il frutto di una sua storia personale, se così possiamo chiamare la vita di una persona,
particolarmente fortunata e capace? E poi, dal punto di vista dell’integrazione razziale,
Obama rappresenta un traguardo raggiunto oppure un punto iniziale da cui partire? Se
ipotizziamo una divisione del Movimento per i Diritti Civili in due periodi, il primo che
va dal caso Brown v Board of Education fino alla firma del Voting Rights Act (quindi
5
E-mail del 28 giugno 2008; si veda appendice pag. 177.
13
dal 1954 circa al 1965) ed un secondo che va dal 1965 al 1968, potremmo dire che il
primo e fondamentale traguardo del Movimento sia stato pienamente raggiunto: la
situazione degli afroamericani in America, rispetto alla legge, è formalmente uguale a
quella dei bianchi. Se teniamo conto esclusivamente di questo aspetto allora è normale
che un candidato nero abbia vinto le primarie del Partito Democratico e la sfida
presidenziale contro John McCain. In questo senso indubbiamente Obama rappresenta
un traguardo raggiunto dal Movimento per i Diritti Civili. Senza le infinite e coraggiose
lotte di decine di migliaia di persone oggi questo non sarebbe stato possibile. Ma se
guardiamo oltre, se guardiamo a ciò che sta dietro all’uguaglianza formale, la situazione
è infinitamente più complessa. Lo strato di razzismo che permeava, e in molti casi
permea, la società americana non poteva essere cancellato con il raggiungimento di pari
diritti e questo è lo scoglio più difficile da superare. Obama, in questo senso, può aiutare
ad abbattere le barriere di pregiudizio che oggi più che mai possono risultare pericolose
per gli Stati Uniti; dunque Obama è un raggiungimento ed in molti casi un traguardo di
quel che ho definito una prima parte del Movimento per i Diritti Civili in quanto un
afroamericano, istruito e colto, ha la possibilità di sedersi sulla poltrona più potente
d’America. Per quanto riguarda invece la seconda fase del Movimento, quella che si
trovò a fronteggiare l’ostilità razziale dei bianchi in maniera diversa, nella vita di tutti i
giorni, la figura di Obama non può che essere un punto da cui partire per poter davvero
abbattere le barriere del pregiudizio.
Anche Julian Bond, ex-presidente della National Association for the Advancement of
Colored People, è intervenuto nel dibattito sulla candidatura di Barack Obama alla
presidenza degli Stati Uniti. Julian Bond, è stato uno dei maggiori esponenti del
14
Movimento, tra le file della SNCC
6
ha fatto parte del senato della Georgia per circa
dieci anni e dal 1998 al 2008 è stato presidente della NAACP
7
. La mail che Bond ha
spedito a tutti gli iscritti alla mailing list della NAACP si intitolava “An Historic Day”
8
.
Il riferimento era, ovviamente, alla vittoria di Barack Obama sulla Clinton alle primarie
del Partito Democratico. Nella breve lettera Bond non appoggia pubblicamente Barack
Obama a causa della carica che riveste, ma parla di Obama facendo riferimento al
successo della sua candidatura per la comunità afroamericana. Bond, dopo aver
sottolineato che si tratta della prima volta che un afroamericano è in corsa per la Casa
Bianca come candidato di uno dei due maggiori schieramenti, parla di “evento storico”
evidenziando quanti passi avanti siano stati fatti e quanti traguardi siano stati raggiunti
dall’inizio della lotta per l’uguaglianza tra le razze. Il traguardo conseguito non deve
però togliere l’attenzione su quanto ancora può essere fatto per raggiungere una reale
uguaglianza di tutti gli americani. L’ex presidente della NAACP dice che tutti coloro
che hanno lottato per i diritti civili dovrebbero essere orgogliosi del successo di Obama
ma ricorda anche tutti quelli che hanno dato la vita per garantire quei diritti di cui oggi
gli afroamericani godono.
Anche per Bond, dunque, Obama rappresenta un successo. Un successo che deve essere
vissuto con orgoglio dalla comunità afroamericana e da coloro che hanno sostenuto il
Movimento per i Diritti Civili. Julian Bond, però, sostiene anche che il traguardo
raggiunto non deve far pensare a nessuno che per arrivare alla reale uguaglianza di
opportunità di tutti i cittadini non siano necessari ulteriori, grandi, passi avanti.
6
Student Nonviolent Coordinating Committee.
7
Le notizie biografiche su Julian Bond sono tratte dal sito ufficiale della N.A.A.C.P. www.naacp.org.
8
La mail è del 5 luglio 2008 dopo che Obama era diventato il candidato per il Partito Democratico alla
presidenza degli Stati Uniti.
15
Un altro attivista per i diritti civili che visse in prima persona il Movimento è Dick J.
Reavis. Bianco dell’Alabama, Dick Reavis, fu uno di quei volontari che nell’estate del
1965 parteciparono al progetto chiamato SCOPE
9
della Southern Christian Leadership
Conference di King a Demopolis, in Alabama. Nel 1966 tornò a Demopolis con un
gruppo indipendente di attivisti che prese il nome di Demopolis Project. Dopo alcuni
anni trascorsi nel gruppo radicale di sinistra Seniors for a Democratic Society, oggi è un
giornalista “free lance” e autore di diversi libri sulla situazione in Alabama, negli anni
del Movimento, e sul problema dell’immigrazione messicana negli Stati Uniti.
Gli ho posto due domande su Barack Obama
10
. Nella prima gli ho chiesto se vedeva
Obama candidato alla presidenza come un traguardo che, in qualche modo, coronasse
gli obiettivi che il Movimento si era dato. La sua risposta è stata affermativa ma le sue
ragioni sono state diverse da quelle di Jean Walker Rawlings; per Reavis il motivo
principale della fiducia in Obama sta nel colore della sua pelle che in qualche modo lo
vincolerebbe ad occuparsi della comunità afroamericana; oltre ad esprimere una
maggiore fiducia nelle persone di colore, sostiene che se fosse ipoteticamente costretto a
scegliere tra la Clinton e la Rice sarebbe tentato di votare la seconda, non solo perché
nera, ma anche per l’effetto che un candidato nero potrebbe avere sulla popolazione
americana. Da questa prima parte della sua lettera l’impressione che ho avuto è che
Dick J.Reavis appoggi Barack Obama più per il colore della sua pelle e per quello che
questo potrebbe significare in termini di innovazione e cambiamento, che per la
condivisione delle idee politiche dell’ex senatore dell’Illinois. Questa tesi è confermata
9
Il progetto SCOPE, sigla che sta per Summer Community Organization and Political Education, fu un
progetto voluto dallo stesso Martin Luther King e da Hosea Williams con lo scopo di far registrare al voto
più afroamericani possibile. Il progetto, al quale aderirono più di 500 giovani studenti universitari, venne
attuato in 5 stati del Sud per un totale di 120 contee. Nonostante il progetto non sia molto ricordato dai
media, permise la registrazione di ben 49.000 afroamericani.
10
E-mail del 22 maggio 2008, si veda l’appendice pag.180.
16
anche quando risponde alla seconda domanda che gli ho posto: “Incarna, Obama, nel
suo modo di pensare e di fare politica, gli ideali per i quali avete lottato quaranta anni
fa?”. La sua risposta è stata affermativa per quanto riguarda il razzismo che tutt’ora è
presente nella società americana; in questo senso Obama aiuterà sicuramente ad
abbattere le barriere razziali che permeano la società statunitense. Per quanto riguarda le
altre tematiche “calde” della politica americana per le quali il Movimento dei Diritti
Civili si è battuto (e che soprattutto il Martin Luther King del secondo periodo portò
alla luce), la sua disillusione per l’intera sfera politica ed il suo pessimismo riguardo ad
un possibile cambiamento in termini di sanità pubblica, lotta alla povertà, o le varie
guerre in cui è coinvolta l’America oggi, emerge chiaramente. In questo senso,
probabilmente, Reavis pensa che anche un progressista come Obama non sarà in grado
di apportare significativi cambiamenti ad un sistema così difficile da scardinare.
Un’altra attivista a cui ho posto la stessa domanda su Obama è stata Gloria Clark.
Gloria Xifaras Clark fece parte del SNCC dal 1964 al 1970. Dal 1964 partecipò, come
insegnante, nel progetto delle Benton County Freedom Schools nel quale si occupò
dell’alfabetizzazione di alcune comunità afroamericane. Dopo aver fatto parte per un
breve periodo della NAACP, svolse varie attività in associazioni per i diritti civili che si
adoperavano anche per porre fine alla Guerra del Vietnam. Alla mia domanda su Obama
anche Gloria Clark ha risposto positivamente evidenziando il fatto che sia lui che
Hillary Clinton sposano molti degli ideali nei quali la sua generazione ha creduto e per i
quali ha lottato. In particolare Barack Obama le ricorda King per il suo modo di parlare
di speranza e di alternative per opporsi alla violenza che erano, ovviamente, due dei
punti su cui si fondava il pensiero di King. Ho anche chiesto alla Clark cosa ne pensasse
del termine post-razziale che viene spesso associato alla società americana. La ex
17
attivista ha risposto mostrando un forte scetticismo sull’accezione “post-razziale” in
riferimento agli Stati Uniti sostenendo che un cambiamento in termini di completa
uguaglianza tra le etnie non potrà essere portato né dalla candidatura di Obama né dalla
sua presidenza. In una recente intervista pubblicata su una rivista on-line
11
, l’attivista ha
inoltre affermato che negli ultimi quaranta anni, dalla morte di Martin Luther King ad
oggi, molti degli insegnamenti del leader afroamericano come l’amore per il prossimo,
l’integrità morale, la tolleranza e la non-violenza, sono andati perduti e che uno degli
obiettivi di Obama dovrà essere quello di recuperarli se vorrà attuare davvero il
cambiamento che propone.
Mario Marcelo Salas, altro attivista al quale ho avuto la possibilità di porre un paio di
domande, è un professore dell’Università del Texas di origini afroamericane e
messicane. Negli anni ’60, dopo essersi diplomato alla Phyllis Wheatley High School,
scuola segregata, divenne presto uno dei maggiori esponenti del Movimento per i Diritti
Civili di San Antonio e dell’intero Texas. Inizialmente fece parte della SNCC ma dalla
fine degli anni ’60 la SNCC di San Antonio andò radicalizzandosi divenendo un ibrido
tra la SNCC e il Black Panthers Party. Il nuovo gruppo, di cui Salas fu uno dei
fondatori, prese il nome di SNCC-Panthers, e seguiva il programma dei 10 punti
promosso dalle Pantere Nere.
Ho posto a Mario Salas due domande
12
; la prima verteva ancora su cosa pensasse della
candidatura di Barack Obama mentre la seconda, legata alla prima, alludeva al fatto di
poter considerare la società americana post-razziale alla luce della candidatura
dell’afroamericano. La sua risposta è stata molto esaustiva ed articolata ma l’appeal che
ha esercitato la domanda sull’America post-razziale ha interamente caratterizzato la sua
11
http://www.southcoasttoday.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20080407 il 7 aprile 2008.
12
E-mail del 20 giugno 2008; si veda appendice pag. 181.
18
mail. Per il professor Mario Salas, Obama non sembra rappresentare un traguardo del
Movimento per i Diritti Civili. Nel suo modo di vedere la situazione americana, il solo
fatto che si parli di traguardo non coincide con il suo modo critico di analizzare quella
stessa società; Barack Obama, piuttosto, potrebbe far capire all’America razzista che si
può essere neri e governare nella maniera giusta. Salas afferma anche che sarebbe
impossibile per un attivista del Movimento per i Diritti Civili afroamericano riscuotere
un così largo consenso su scala nazionale senza “abbassare i toni”; abbassare i toni
significa diminuire il proprio radicalismo su temi cari alla propria comunità così da
poter trovare consensi anche tra la popolazione bianca. Questo, per Salas, è esattamente
ciò che ha fatto Barack Obama; agire così ha da una lato deluso parte della comunità
afroamericana ma dall’altro gli ha permesso di non essere bollato come candidato
afroamericano troppo attento alla causa dei neri per diventare presidente. Nella sua
risposta Mario Salas si sofferma particolarmente sul razzismo in relazione alla
definizione di America post-razziale. Innanzitutto sostiene che le radici del razzismo
traggono origine dal colonialismo statunitense; secondo Salas, infatti, le recenti guerre
hanno dimostrato come questo “cambi la forma ma non sparisca”. Mario Salas pensa al
razzismo come a un male infiltrato nella struttura portante della società e, pertanto,
difficile da debellare. Spesso, afferma il professore di San Antonio, si tende a
dimenticare il problema del razzismo ma poi, all’improvviso, accade una catastrofe
come quella dell’uragano Katrina che ci ricorda che la situazione è tutt’ora molto
critica. Per Salas l’idea di “destino manifesto” e il periodo della schiavitù, che
ovviamente forgiarono ed amplificarono il sentimento razzista, tutt’oggi influenzano il
“background” della società statunitense. In questo senso Barack Obama potrà cambiare
ben poco. Secondo il professore anche la radice razzista presente a Washington non
19
scomparirà con l’arrivo di Obama e la stessa Hilary Clinton, in alcune fasi della sua
campagna elettorale, ha agito come un “razzista del Sud”. A conclusione della sua
risposta, Mario Marcelo Salas afferma che siamo ben lontani da un’America post-
razziale e che se anche la figura di Obama potrà portare qualche miglioramento, almeno
per quanto riguarda la speranza e le possibilità, alla comunità afroamericana, non
riuscirà comunque a debellare la malattia del razzismo che sembra essere tanto profonda
quanto le radici culturali dell’America stessa.
Anche l’ex esponente del Black Panther Party Mumia Abu-Jamal, attualmente detenuto
nello State Correctional Institution Greene di Waynesburg, in Pennsylvania, ha espresso
il suo parere riguardo alla candidatura di Barack Obama durante un’intervista rilasciata
ad una radio indipendente
13
. La riflessione di Mumia Abu-Jamal deriva da una visione
molto radicale della società statunitense dovuta in parte anche alla situazione personale
di condannato all’ergastolo
14
. Lo scrittore e giornalista afroamericano non pone molte
speranze nel candidato democratico sostenendo che, anche se raggiungesse la
presidenza, la sua preoccupazione per la popolazione afroamericana non sarebbe molto
diversa da quella di altri candidati democratici. In questo senso risponde a coloro che
accusano Obama di essere troppo “nero”; Abu-Jamal sostiene che questo non è vero per
due motivi: il primo è che Obama è un politico, il secondo è che il suo programma e le
sue idee, se ben analizzate, non risultano essere così progressiste come la gente sembra
pensare, forse condizionata dal colore della sua pelle. L’ex-pantera nera conclude
affermando che Obama ha “più a che fare con la sua immagine che con la sua sostanza”
13
Mumia Abu-Jamal ha rilasciato questa intervista il 7 marzo 2008 per Free Speech Radio News, radio
on-line sul sito www.fsrn.org
14
Mumia Abu-Jamal è attualmente condannato all’ergastolo per l’uccisione di un poliziotto nel 1981. La
decisione del giudice venne presa dopo un’indagine molto approssimativa della polizia e la sentenza fu
quella di condanna a morte. Il 27 marzo 2008 la condanna alla pena capitale è stata tramutata in quella di
carcere a vita.
20