I
Introduzione
Il presente lavoro ha come obbiettivo quello di analizzare l’evoluzione
dei rapporti tra le Autonomie territoriali e l’Unione europea, alla luce
delle trasformazioni istituzionali che hanno investito sia il piano
europeo che quello nazionale negli ultimi anni. Questi cambiamenti
hanno sicuramente contribuito ad assegnare un maggiore peso politico
alle entità sub-statali degli Stati membri e sono stati promossi anche
grazie alla forte spinta federalista che ha investito l’Europa a partire
dagli anni settanta1 e che poi è culminata con l’adozione del Trattato
di Maastricht nel 1992.
Inizialmente il processo di integrazione europea ha penalizzato
fortemente le autonomie presenti all’interno degli Stati membri, che al
principio dell’esperienza comunitaria erano presenti solo in Italia e
Germania. Infatti sia le Regioni italiane, che i Lander tedeschi,
dovettero sopportare un’importante perdita di prerogative, che andava
dai poteri di interazione a loro garantiti dalle rispettive costituzioni
nazionali, alla sottrazione da parte della Comunità europea di
numerose competenze loro riservate (come l’agricoltura ad esempio),
alla tutela giurisdizionale (possibilità di adire la Corte Costituzionale o
il Tribunale costituzionale federale per violazione delle loro
competenze). Nel caso italiano poi si aggiunse una ulteriore perdita,
dovuta al fatto che sia il legislatore nazionale che la Corte
1
Ci si riferisce alla completa regionalizzazione dell’Italia, alla regionalizzazione del
Belgio, all’ingresso di Portogallo, Spagna (dotatesi entrambe nel frattempo di autonomie
regionali) e Austria (Paese di solida tradizione federale) nelle comunità europee e alla
creazione di autonomie regionali nel Regno Unito (Galles, Scozia e Irlanda del Nord).
II
Costituzionale convennero nello stabilire che, nelle materie di
competenza regionale, la potestà di attuare le direttive ed i
regolamenti comunitari spettasse allo Stato. Ciò perché lo Stato era
l’unico soggetto responsabile davanti alla Corte di Giustizia delle
Comunità, in quanto il diritto comunitario non aveva nessun riguardo
rispetto all’articolazione interna degli Stati membri. A questo
proposito Ipsen coniò la celebre metafora della cecità regionale
(Landesblindheit), patologia oculistica di cui soffrivano inizialmente
le comunità europee, che vedevano solo gli Stati e non si
interessavano minimamente alla loro articolazione interna.
Nonostante queste gravi perdite di potestà, le Regioni non vennero
minimamente ricompensate sul versante europeo, infatti non venne
previsto nessun loro coinvolgimento nei processi decisionali
comunitari. Le prime aperture si sono registrate negli anni ottanta, con
la creazione ad opera della Commissione europea nel 1988 del
Consiglio consultivo degli enti regionali e locali, un ente composto da
quarantadue membri, titolari di un mandato elettivo regionale o locale,
avente lo scopo di dar voce, in sede europea, agli interessi di Regioni
e autonomie locali. Sempre al 1988 risale la Carta comunitaria della
regionalizzazione, una risoluzione approvata dal Parlamento europeo
con il fine di promuovere l’istituzionalizzazione (o la conservazione)
di entità regionali da parte degli Stati membri. 2
Ma la vera svolta è stato il Trattato di Maastricht del 1992, che ha
portato tre grandi novità : a) prima di tutto l’apertura del Consiglio dei
Ministri ai rappresentanti delle entità sub-statali; b) in secondo luogo
2
A. D’Atena, Regioni e sovranazionalità, in Regionalismo e sovranazionalità, Giuffrè
2008
III
la creazione del Comitato delle Regioni, un organo a carattere
consultivo, composto dai rappresentanti delle collettività regionali e
locali, che fornisce pareri su atti e ordini del giorno degli organi
dell’Unione europea; c) l’enunciazione del principio di sussidiarietà,
che stabilisce che le decisioni debbano essere prese il più vicino
possibile ai cittadini (nella presente tesi questo principio sarà
analizzato sia dal lato europeo che da quello nazionale, in quanto è
stato ripreso anche nel nostro ordinamento).3
Successivamente, nel 2001, la Commissione ha predisposto il Libro
Bianco sulla Governance, avente lo scopo di favorire un'ampia
dinamica democratica nell'Unione e l’elaborazione di nuovi
meccanismi siano in grado di promuovere il dialogo tra territorio e
Istituzioni comunitarie. Infatti dal 1 gennaio 2007 l’Unione europea ha
subito un grande processo di allargamento, che ha portato ad una
estensione delle proprie attività su 250 regioni e più di 100 mila enti
locali. Ciò ha fatto sì che divenisse fondamentale studiare nuovi
processi di consultazione degli enti regionali e locali nella fase
ascendente così come in quella discendente. Attraverso il Libro
Bianco la Commissione ha suggerito alle amministrazioni una serie di
principi a cui attenersi per riuscire a realizzare i propri compiti
efficacemente ed efficientemente, in relazione alla crescente
importanza che esse rivestono in ambito europeo.
In particolare i cinque principi che stanno alla base della buona
governance sono :
3
C. Millon-Delsol, Il principio di sussidiarietà, Giuffrè 2003
IV
- il principio di apertura, in base al quale le amministrazioni si
devono impegnare a spiegare le loro azioni e le loro decisioni
mediante un linguaggio accessibile e comprensibile per i
cittadini;
- il principio della partecipazione, che mette in risalto il fatto di
come l’efficacia e l’inerenza delle politiche siano correlate alla
partecipazione che si saprà garantire durante tutte le fasi del
processo decisionale. Soprattutto è necessario un diretto
coinvolgimento dei cittadini e della società civile nella
programmazione e nell’attuazione delle politiche;
- il principio della responsabilità, secondo il quale tutte le
istituzioni, a qualsiasi livello di governo, devono saper spiegare
il proprio ruolo, assumendosene la responsabilità davanti ai
cittadini;
- il principio della coerenza delle politiche e degli interventi,
collegato al principio della responsabilità, deve garantire che
vengano rispettate le scelte effettuate da tutti i livelli di
governo. Per questo motivo la Commissione auspica che
aumenti anche il livello di comunicazione tra organi centrali e
periferici, di modo che le amministrazioni locali possano
informare il centro dei risultati di determinate politiche;
- il principio dell’efficacia sta ad indicare la necessità della
tempestività e dell’efficacia, appunto, delle politiche, affinché,
in base ad obbiettivi chiari, vengano prodotti i risultati richiesti.
Inoltre è importante che alle decisioni politiche venga data
attuazione al livello più opportuno e secondo un principio di
proporzionalità.
V
Il livello ideale di governo che permetta di misurare la coerenza e
l’efficacia delle politiche comunitarie è quello regionale e locale. Per
questo la Commissione punta molto anche sulla comunicazione,
affinché le informazioni provenienti dalla amministrazioni periferiche
(che sono quelle che generalmente danno concreta attuazione alle
politiche comunitarie), riguardanti l’impatto territoriale delle direttive
europee, giungano al centro attraverso meccanismi di veicolazione
celeri ed affidabili.4
Questo nuovo modello istituzionale proposto dalla Commissione, per
quanto riguarda l’Italia, si è inserito in un contesto di profondo
rinnovamento dei ruoli e delle funzioni della pubblica
amministrazione. Infatti con la riforma del Titolo V, e le successive
leggi attuative, le amministrazioni (soprattutto quelle locali) sono
diventate programmatrici ed esecutrici di gran parte delle politiche
pubbliche. Da qui la necessità di individuare anche in Italia nuove
forme di coinvolgimento e di partecipazione alla fase decisionale per
le autonomie regionali e locali, affinché venga realizzata quella
multilevel governance tanto ricercata ed auspicata nel panorama
europeo. Proprio dal concetto di governance multilivello, che negli
ultimi quindici anni ha acquisito una rilevanza assoluta in Europa e
nei vari Stati membri, parte l’analisi contenuta nel presente lavoro. Lo
sviluppo del termine governance è strettamente collegato al tema della
ridefinizione della sovranità politica che, intesa come perdita della
centralità dello Stato e diffusione della potestà decisionale,
contraddistingue la fenomenologia politico-istituzionale
contemporanea. Sotto questo aspetto, l’istituzione di un Europa quale
4
A. Siniscalchi, Presentazione dell’iniziativa, in Le Regioni italiane nei processi
normativi comunitari dopo la legge n.11/2005, Il Mulino 2007
VI
soggetto politico unitario, in cui gli Stati membri cedono parte della
loro sovranità col fine di addivenire alla creazione di un unico grande
mercato che sia competitivo su scala planetaria, è un fenomeno molto
interessante che ha suscitato studi e dibattiti in tutta la dottrina
mondiale. Questa ridefinizione dei processi che portano alle decisioni
politiche ha coinvolto anche i livelli di governo minori, che in parte
iniziano ad essere coinvolti nel processo decisionale (seppur con
grandi differenze da Paese a Paese), ma soprattutto stanno diventando
i soggetti attuatori di riferimento per le Istituzioni europee. Quello che
si è venuto a creare è un sistema policentrico in cui prevale ancora il
principio gerarchico, ma che tende a modificarsi secondo un principio
di diffusione del processo decisionale e attuativo.5
La trattazione poi prosegue con l’analisi del principio di sussidiarietà,
la sua enunciazione a livello europeo con il Trattato di Maastricht e la
concreta attuazione che ne è stata data da parte dell’Unione europea.
Successivamente viene trattato il medesimo principio a seguito della
sua introduzione nell’ordinamento italiano e della sua conseguente
costituzionalizzazione, specificando tra la sua accezione orizzontale e
quella verticale.
L’ultimo paragrafo del primo capitolo è invece dedicato ai casi di
Belgio, Germania e Austria, tre Paesi spiccatamente federali, nel quale
saranno brevemente analizzate le forme di partecipazione al processo
decisionale comunitario da parte delle rispettive autonomie territoriali.
A partire dal secondo capitolo tratteremo invece il caso italiano,
partendo dall’evoluzione storica del regionalismo, che fino agli anni
5
G. Messina, La strategia della governance nel dibattito sulla democrazia in Europa, in
L’Europa allo specchio. Questioni sociali e forme di governo, Bonanno 2008
VII
settanta è stato fortemente compresso da uno Stato ancora
decisamente centralista.6 Verrà dato risalto al principio dell’interesse
nazionale, alla funzione statale di indirizzo e coordinamento e ai
poteri sostitutivi statali (così come erano previsti dal nostro
ordinamento prima della loro costituzionalizzazione nel 2001), tutti
elementi che hanno ritardato l’affermarsi del regionalismo nel nostro
Paese. Quindi l’analisi si concentrerà sulle recenti innovazioni che
hanno portato a riscrivere il Titolo V della Costituzione, partendo
dalla riforma Bassanini che la ha anticipata e preparata. L’intento
principale della riforma è stato quello di incrementare le funzioni
locali fino a dove venisse consentito dalla Costituzione allora vigente,
realizzando una sorta di federalismo a Costituzione invariata.
Il terzo e il quarto capitolo si addentrano nel cuore della riforma
costituzionale e delle successive leggi di attuazione. In particolare il
terzo capitolo è dedicato esclusivamente alla c.d. fase discendente del
diritto comunitario e cioè alla sua attuazione nel territorio nazionale.
Particolare attenzione verrà data alle modalità di recepimento
regionale di direttive e regolamenti e all’innovativo strumento della
legge comunitaria regionale, suggerito dalla legge n. 11 del 2005 sul
modello di quella nazionale. In seguito vedremo come si è sviluppato
l’istituto dei poteri sostitutivi, anche a seguito della sua
costituzionalizzazione (artt. 117 e 120 Cost.) e delle successive
integrazioni avvenute con le leggi n. 131 del 2003 e n. 11 del 2005.7
6
A. Anzon, I poteri delle regioni nella transizione dal modello originario al nuovo
assetto costituzionale, Giappichelli, Torino 2003
7
AA. VV, Le Regioni italiane nei processi normativi comunitari dopo la legge
n.11/2005, Il Mulino, Bologna 2007
VIII
Attenzione verrà dedicata all’azione di rivalsa, anche questo
strumento di recente introduzione (legge finanziaria 2007), avente lo
scopo di permettere allo Stato di rivalersi appunto sulle Regioni in
caso di condanna da parte della Corte di Giustizia europea per
violazione degli obblighi comunitari.
L’ultimo capitolo è invece interamente rivolto alla trattazione della
fase ascendente, suddivisa tra la partecipazione regionale diretta alla
formazione delle decisioni comunitarie e la partecipazione indiretta,
cioè mediata con lo Stato centrale.
Nella parte sulla partecipazione diretta verrà dato spazio alla presenza
regionale a Bruxelles, che avviene in vari modi :
a) nel Comitato delle Regioni, nel quale sono presenti
rappresentanti delle Regioni, delle Province e dei Comuni;
b) tramite gli uffici regionali di collegamento, che effettuano
attività di lobbying, il cui obiettivo principale è la
rappresentanza politico-istituzionale degli interessi delle
rispettive Regioni nei confronti delle istituzioni comunitarie.
Specializzarsi nelle procedure e nei meccanismi comunitari,
sfruttare le opportunità di finanziamento derivanti dalla
partecipazione ai programmi comunitari, instaurare rapporti con
altre Regioni europee sono gli obiettivi primari che le Regioni
perseguono a Bruxelles;
c) la partecipazione alle sedute del Consiglio dei Ministri
dell’Unione, permessa ai rappresentanti regionali italiani dalla
legge n. 131/2003 che in pratica ha loro attribuito il “livello
ministeriale” richiesto dai Trattati.