lo spiritualismo di Rosmini e Gioberti, e si dava spazio al clima positivistico che
imperversava in tutta Europa, senza, però, riuscire a conciliare in maniera
armonica la cultura retorico – umanistica con quella scientifica. Ma va anche
inserita in un momento (il primo decenni del Novecento) in cui il positivismo
veniva progressivamente soppiantato dall’Idealismo del Croce e del Gentile,
che segnò l’impossibilità di ogni progetto che concepisse una profonda
relazione tra sapere umanistico e conoscenza scientifica.
La figura filosofico – scientifica del Vailati non va dissociata, dunque, da quella
corrente che caratterizzò la vita culturale italiana, e non solo italiana, negli anni
a cavallo tra il XIX e il XX secolo: vale a dire il pragmatismo. Tra i motivi di
successo e della vasta diffusione del pragmatismo, oltre all’aver messo in
risalto il carattere prettamente pratico della conoscenza umana, v’è da rilevare
la sua presa di coscienza dell’ indissolubile e necessario nesso tra la
speculazione filosofica e la ricerca scientifica: l’indagine filosofica deve perdere
quel suo carattere tradizionale di disciplina autonoma, al di sopra delle altre, e
legarsi teoricamente all’indagine scientifica, praticando una profonda attività
critica nei confronti delle procedure, del senso, delle finalità e dei progressi del
sapere scientifico.
“Il nesso organico tra scienza e filosofia, a partire dal quale solo è possibile
realizzare il progetto dell’unificazione del sapere, in senso non meramente
formale, bensì pratico – umano fu il problema posto al centro degli interessi”
1
del Vailati.
Già quest’ aspetto basterebbe a far comprendere l’isolamento, se non
l’avversione, ai quali il nostro filosofo – matematico fu soggetto a causa del
torpore misticheggiante neoidealistico che si andava diffondendo in Italia nel
periodo in cui visse. Un’età crepuscolare, nella quale allo sconfitto ottimismo
positivistico si andavano sostituendo le più disparate manifestazioni teoriche.
Il Vailati non diede mai un giudizio positivo sulla cultura accademica italiana, più
volte non mancò di sottolineare la sterilità degli ambienti filosofici istituzionali; il
mondo accademico gli sembrava un circolo chiuso, essendo l’istituzione
universitaria poco propensa ad un cambio generazionale attinto da associazioni
1
M. De Rose, L’educazione dell’intelletto, il pragmatismo di G. Vailati, Guida Editori, Napoli 1986, p. 9
2
esterne, e per questo egli preferì riferirsi a quelle giovani menti, che operavano
fuori dall’ambiente universitario, e che dedicavano molta attenzione alle “nuove
dottrine filosofiche provenienti dai più evoluti ambienti culturali stranieri.”
2
Risulta opportuno, in questa sede, inquadrare l’opera di Vailati nel contesto
culturale italiano, soprattutto in relazione all’attività del gruppo dei pragmatisti
che si concentrò intorno alla rivista fiorentina “Leonardo”, a cui lo stesso Vailati
partecipò, e che portò alla polarizzazione del movimento pragmatistico italiano
in due visioni opposte: pragmatismo ‘logico’ e pragmatismo ‘magico’, a cui si
richiamavano, rispettivamente, Vailati e Calderoni, da un lato, e Papini e
Prezzoloni, dall’altro.
Al di là delle distinzioni, gli esponenti del gruppo dei pragmatisti italiani del
“Leonardo” erano tutti mossi dallo stesso intento di far circolare liberamente
idee nuove, attraverso un lavoro collaborativo più efficace.
“Si voleva fare un giornale assolutamente diverso dagli altri, e che fosse
per tutti i versi, anche nella veste, intellettuale. Carta a mano scura e
scabra invece di carta bianca e liscia; incisioni in legno fatte da noi
medesimi invece dei meccanici zinchi e degli impersonali reticoli; figure
e simboli invece di firme; nomi poetici e sonori invece de’ nostri cognomi
oscuri e disarmonici”.
3
È questo il ricordo, espresso da Papini, sulla propria rivista intellettuale; ma
questo carattere sembrerebbe non addirsi molto all’impostazione logico –
matematica peaniana del nostro filosofo cremasco. In effetti, le posizioni dei
fondatori del “Leonardo”, Papini e Prezzolini, erano molto distanti dalla
concezione vailatiana tanto del metodo scientifico, quanto dall’impostazione
pragmatista della ricerca.
Il pragmatismo dei due “scapigliati fiorentini” era una ‘collezione di metodi per
aumentare la potenza dell’uomo’. Il loro pragmatismo non si occupava, infatti,
dei problemi classici della filosofia; sembrava invece “prediligere lo studio del
molteplice e del particolare, in modo da sviluppare la conoscenza della
previsione, come metodo per accrescere il dominio degli uomini sul mondo”;
4
2
T. Urzi, La funzione della filosofia in Giovanni Vailati, Tesi di laurea presso l’Università degli Studi di
Catania;
p. 13
3
L. Bitanti, Giovanni Vailati, filosofia e scienza, Japadre Editore, L’Aquila 1979, p. 16.
4
L. Bitanti, Giovanni Vailati, filosofia e scienza, Japadre Editore, L’Aquila 1979, p. 17.
3
rispondeva al “bisogno, al desiderio di purificare e rafforzare lo spirito per farlo
capace di agire sulle cose, senza strumenti e intermediari, e giungere così al
miracolo e all’impotenza”, come afferma lo stesso Papini in Un uomo finito.
La collaborazione del Vailati alla rivista durò circa due anni, durante i quali il suo
equilibrato giudizio e il suo innato senso della misura si dimostrarono
incompatibili con le declinazioni teoriche che si svilupparono presso il
“Leonardo”.
“Ciò che Vailati si attendeva dalla rivista era, se escludiamo l’aspetto
problematico, un orientamento di studi verso la logica. Il Leonardo doveva
essere, insomma, la rivista del pragmatismo logico e della lotta culturale e
filosofica da esso ispirata in Italia”, come afferma M. Del Pra. Ma le cose
andarono diversamente.
E lo stesso Vailati se ne rese conto, affermando in una lettera al Papini del 1°
Giugno del 1908 (MCDLVIII),
“Ho l’impressione che per una quantità di ragioni, tra le quali è da
contare, oltre all’ingegno e alla cultura di Croce, anche la mancanza di
tali qualità nei difensori che presidiano e costituiscono la guarnigione dei
castelli filosofici italiani, il Croce conquisterà l’Italia filosofica ufficiale
rapidamente e senza colpo ferire, come Carlo VIII, mandando solo
avanti i suoi forieri a segnare i luoghi per alloggi e per il
vettovagliamento, o se preferisci, come Bizzarro o gli altri condottieri
spagnoli al Perù e al Messico.”
Al di là del tono drammatico con il quale Vailati pronostica l’avvento del
Neoidealismo crociano in Italia, egli riconobbe l’importanza nella cultura italiana
del “Leonardo” e del movimento di idee da esso provocato, ma sentì anche il
bisogno di distinguersi dai suoi “amici” pragmatisti, per la profonda diversità
delle sue posizioni.
Lo imponeva il suo indirizzo metodologico e la sua versione logica del
pragmatismo.
Il pragmatismo logico vailatiano si presenta,infatti, come una revisione e una
critica al positivismo, poiché propone un nuovo contatto con il dato
dell’esperienza, un contatto che si basa tanto su una dimensione logica, quanto
su quella pratica. Come afferma E. Garin: “il pragmatismo di Vailati pose uno
dei problemi fondamentali della riflessione contemporanea: reagire contro
4
l’intellettualismo senza sacrificare i diritti della ragione, costruendo una filosofia
che sia veramente il commento continuo di ogni umana attività.”
Il presente lavoro tenta di mettere in luce la complessità del pensiero del
filosofo cremasco, senza esimere dai collegamenti teorici più espliciti, alla luce
dei quali solo è possibile la giusta comprensione della sua portata filosofica.
Nel primo capitolo, si vedrà che la radice del pragmatismo vailatiano è da
rintracciare nella versione che il Peirce ha dato di esso, con una filtrazione
attraverso l’impostazione matematica del nostro filosofo lombardo. Si tenterà di
dare una chiara esposizione del pragmatismo come metodo di investigazione
non solo scientifica, ma atto a compenetrare tutti i vari ambiti del sapere.
Nel secondo capitolo, si analizzeranno con più puntualità alcune posizioni
teoriche proprie del Vailati, in particolare si farà riferimento alla sua concezione
della relazione tra filosofia ed epistemologia, al metodo della ricerca e alla
dimensione linguistica della conoscenza umana.
Nell’ultimo capitolo si tenterà di esplicitare la dimensione psicologica che il
pragmatismo porta con sé, mettendo in relazione le conclusioni a cui Vailati
giunge nella sua analisi di credenze ed abitudini, con la sistematizzazione degli
atti psichici che realizza il fondatore della psicologia empirica, Franz Brentano,
soprattutto riferendosi all’ingerenza di tale impostazione nella classificazione
degli atti linguistici realizzata dal Vailati.
Concludendo, vale la pena ricordare alcune parole spese da Mario Del Pra sul
pragmatismo italiano:
“Giova ritornare al clima vario e ricco della breve stagione del
pragmatismo italiano che si collocò tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e
il primo decennio del Novecento, prima che la sistematica del neo –
idealismo conquistasse l’intero ambito della cultura nazionale […] Il
pragmatismo segnò appunto il tentativo di sciogliere le impalcature della
conoscenza e della stessa esperienza in operazioni continue, in
iniziative emergenti, in un quadro dell’esperienza stessa intesa più
attivamente e con finalità più strettamente connesse alla ricerca ed al
dibattito della conoscenza”.
5
Vedremo come il Vailati incarnerà appieno il genere d’approccio pragmatistico
appena delineato dal Del Pra.
5
M. Del Pra, Studi sul pragmatismo italiano, Bibliopolis, Napoli 1984, p. 10.
5
Capitolo I:
"Il pragmatismo logico: C.S. Peirce e G. Vailati, logica
matematica e regola pragmatista".
Per comprendere appieno il senso profondo della versione vailatiana del
pragmatismo, occorre, preliminarmente, richiamare l'attenzione sull’esposizione
che di esso ha dato il suo fondatore, Charles Senders Peirce, filosofo, logico e
scienziato americano vissuto esattamente negli stessi anni del nostro filosofo
cremasco.
Il pragmatismo è una dottrina alla quale la storia non ha ancora reso
pienamente giustizia, se non per il rinnovato interesse che verso di esso ha
avuto la filosofia analitica contemporanea. Le ragioni di quest’atteggiamento da
parte del mondo filosofico sono da ricercare in primo luogo, nel suo essere un
prodotto tipicamente ed eccessivamente americano: viene spesso considerato
infatti un pensiero grezzo, in cui dominano gli interessi materiali, e che non
tiene in considerazione le finezze della pura teoria. Da un punto di vista
strettamente "europeo", esso è fatto coincidere con l'ondata antintelletualistica
che si riversò sul pensiero filosofico occidentale sul finire del XIX sec, e di cui
altri significativi esempi sono il verbo neitzscheano della volontà di potenza e le
filosofia della forza vitale di Bergson.
Ma il pragmatismo è da considerare affatto espressione di una posizione
antintellettualistica, utilitaristica e calcolatrice, quanto piuttosto come un
principio o metodo della logica, volto ad accertare il significato di parole e
concetti astratti, e a determinare i significati dei concetti da cui può dipendere il
ragionamento. Né risulta chiaro come esso possa essere scambiato per una
dottrina primitiva e grezza, visto che si sviluppò in un ambiente culturale come
quello di Cambridge e che i suoi più importanti ed edificanti esponenti sono
pensatori del calibro di C. S. Peirce e di W. James.
Per sfuggire a false ed erronee classificazioni prenderemo qui in esame la
teoria pragmatista così come la espose, seppur in modo frammentario, il suo
fondatore, C.S.Peirce, per poi concentrarci sulla ricezione e sulla rielaborazione
che di esso ha teorizzato il più importante filosofo che nel nostro paese
abbracciò questa posizione filosofica, Giovanni Vailati.
6
1.1: Peirce: il pragmatismo come principio logico.*
Il pragmatismo di C.S.Peirce è una teoria di difficile definizione; esso risulta un
punto nodale di tutta la speculazione, più ampia e articolata, del filosofo
americano, un punto di contatto nella quale confluiscono alcuni dei suoi esiti
teorici più importanti e innovativi, come la teoria dei segni, la teoria delle
inferenze e la sua concezione della ricerca. L' interesse per la dimensione
logica della conoscenza umana è stato sempre presente in Peirce, sin da
quando nel 1866, ancora principiante in filosofia, ricevette dal De Morgan una
copia della sua memoria Sulla logica delle relazioni
1
, ed egli, con la scoperta
della logica delle relazioni, appunto, cominciò a criticare e riformare la logica
proposizionale di impostazione classica, critica che confluirà poi nella
definizione della posizione pragmatista.
In effetti, il pragmatismo, secondo il significato originario, si presenta come un
metodo della logica capace di accertare il significato di parole ardue e di
concezioni astratte, e di determinare i significati dei concetti da cui può
dipendere il ragionamento. Dunque lo scopo programmatico del pragmatismo
peirceano è quello di fornire un metodo che non solo fornisca i mezzi per una
giusta definizione di parole e concetti astratti (possiamo anche definirli
credenze), ma che vada anche a convalidare, o invalidare, tutte quelle
dinamiche che la ragione umana segue per arrivare alla formazione di una
credenza. Si capisce così l'importanza che la dimensione logica ha nel pensiero
di Peirce, e il perché della definizione della sua posizione come pragmatismo
logico.
Stando così le cose sembrerebbero totalmente insensate quelle critiche mosse
al pragmatismo che lo additano come strumentalismo e utilitarismo. In realtà la
complessità del pensiero del filosofo-ricercatore americano sta proprio in una
*Per tracciare un quadro più chiaro e completo nel ruolo che la logica svolge nella generale teoria della
conoscenza di C. S. Peirce si vedano anche: P. Dessi, L’ordine e il caso. Discussioni epistemologiche e
logiche sulla probabilità da Laplace a Peirce, Il Mulino, Bologna 1989; M. Ferriani, Logica e filosofia
della logica. Studi su Boole e Peirce, CLUEB, Bologna 1999; C. Mangione, La svolta della logica
nell’800, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol.V, pp. 92-161, Garzanti, Milano
1972-1976; E. Reverso, La logica di C. S. Peirce, in appendice a Metafisica e scientismo, Istituto
Editoriale del Mezzogiorno, Napoli 1957.
1
C. Sini, Il pragmatismo americano, Laterza, Bari 1972, p.185.
7
relazione bilaterale tra l'attenzione che egli rivolge alla dimensione pratica della
conoscenza umana e il suo carattere prevalentemente ipotetico, che la fa
cadere sotto il dominio della logica.
Ma procediamo con ordine.
L'accentuazione del cosiddetto carattere pratico di ogni genuino pensiero è
suggerito nell'originaria formulazione peirceana della massima pragmatista:
"Consider what effects, wich might conceivably have practical bearing,
we conceive the object of our conception to have. Then our conception
of these effects is the whole of our conception of objects.(Consideriamo
quali effetti, che possono avere concepibilmente conseguenze pratiche,
noi pensiamo abbia l'oggetto del nostro concetto. Allora, il concetto che
noi abbiamo di questi effetti è il tutto del nostro concetto dell'oggetto)".
2
Avere un'idea nella nostra mente, dice Peirce, significa riferire quest' idea agli
effetti sensibili concepiti dalle cose, significa che
"per chiarire il suo significato, noi dobbiamo determinare semplicemente
quali abiti essa implichi (...) Così noi scendiamo a ciò che è tangibile e
pratico come alla radice di ogni reale distinzione di pensiero, non
importa quanto sottile possa essere; e non c'è distinzione così perspicua
che consista in qualsiasi altra cosa che non sia una possibile differenza
di attività pratica"
3
.
La complessità di questo principio rende facilmente fraintendibile una sua giusta
interpretazione, ma si potrebbe tentare di delineare gli esiti e le finalità a cui
essa è indirizzata, per capirne il senso profondo.
Peirce parte dalla critica all'opinione di Berkley secondo cui l'unico modo di
decidere quale sia il carattere distintivo di un termine astratto è di chiedersi se ci
si può fare un'idea che corrisponda ad esso; se non è possibile, secondo il
Berkley, il termine, o la formula, in questione è privo di significato. Peirce si
ribella a quest' impostazione notando che se in matematica si fosse osservato
questo limite, la scienza sarebbe stata a tal punto semplificata, che essa non
avrebbe potuto dare risposte a problemi di elevata difficoltà: non si sarebbe,
infatti, approdati alle quantità negative, alle radici quadrate dei numeri negativi,
al calcolo infinitesimale, ecc... perché non saremmo stati in grado di farci
2
C. S. Peirce, Come render chiare le nostre idee, in Pragmatismo e pragmaticismo, a cura di G.
Gilardoni, Liviana, Padova 1966, pp. 54 – 55.
3
Ivi, pp. 51 – 52.
8
un'idea di simili cose.
Per Peirce il principio di individuazione berkleyano non ha alcun valore; egli
presenta una regola migliore e più efficiente: "Procediamo alla distinzione di
cose e pensieri a partire dalle finalità pratiche che essi hanno"; così una formula
astratta ha un senso se, e soltanto se, possiamo farne un uso, o possiamo
agire sotto la sua influenza in modo caratteristico e appropriato. Le parole
significano comunemente oggetti: ma esse non sono niente se le si astrae dalle
situazioni concrete in cui le usiamo, così come l'oggetto non è niente per noi se
non nei limiti in cui possiamo agire su di esso, o adattarci alle sue reazioni nei
nostri confronti.
In questa esposizione della massima pragmatista è racchiusa tutta l'ispirazione
ad un metodo scientifico che si applichi a tutti i campi del sapere, metodo che è,
appunto, espressione stessa del pragmatismo logico peirceano: in qualsiasi
scienza a carattere altamente sistematico, la nostra conoscenza, e quindi le
nostre definizioni informative, del comportamento e degli effetti di un dato
agente, non sono concepibili se non in relazione ai procedimenti generalmente
accettati per isolare ed identificare l'agente in questione; in altre parole, la piena
comprensione di una definizione informativa comporta e presuppone una
capacità di attuare un ‘contatto operativo’ con l'oggetto in questione, senza il
quale non potremo disporci a verificarla.
Affermare che il significato di una parola o di una concezione consiste in quegli
effetti concepibilmente produttivi di conseguenze pratiche, significa affermare
un principio di distinzione che verte sulla dimensione pratica della conoscenza
umana: se una concezione non differisce da un'altra in questo aspetto, ossia da
un punto di vista pratico, la nostra adesione ad essa non aggiunge niente alla
nostra adesione alla prima; e se essa non ha effetti pratici riscontrabili, le parole
che la esprimono sono addirittura prive di un senso reale.
La massima pragmatista esposta nel saggio del 1878 è per Peirce uno
strumento di chiarificazione e di analisi logiche: il suo scopo è di aiutarci a
distinguere chiaramente le diverse funzioni delle diverse espressioni verbali e
altre espressioni simboliche, nel limite del possibile. Da essa possiamo trarre
anche un assunto riguardante la concezione peirceana della conoscenza
umana: questa è caratterizzata da una dimensione per lo più sperimentalista, e
allo stesso modo, il pragmatismo corrisponde ad una generalizzazione dei
9
metodi e dei procedimenti usati in laboratorio. In effetti, Peirce, almeno in
questo, si unisce a quel coro di filosofi-scienziati che seleziona alcuni aspetti
particolari della scienza al fine di generalizzarli e renderli validi anche per tutte
le altre forme della conoscenza umana. Ma questa ascendenza scientifica del
pragmatismo non deve esaurire il suo senso profondo, che lo vede principio
generale di logica, suggerito in parte dai metodi caratteristici delle scienze
matematiche e naturali, ma che acquista un senso proprio nel contesto più
generale della teoria della conoscenza peirceana.
Risulta doveroso, dunque, tracciare le linee essenziali della teoria della
conoscenza del filosofo americano per chiarire ulteriormente il senso del suo
pragmatismo come intima tensione tra dimensione pratica, dimensione logica,
che plasma la prima, e senso sperimentale della conoscenza umana. A questo
proposito ci riferiremo per lo più ai gruppi dei saggi del 1877-78, e in particolare
ai saggi Il fissarsi della credenza (Novembre '77) e Come render chiare le
nostre idee (Gennaio '78), dove troviamo una buona esposizione della sua
concezione dell'esperienza, necessaria per comprendere il senso del
pragmatismo, e della sua concezione dell'inferenza, anche essa indispensabile
per chiarire il carattere logico della posizione peirceana. Non faremo riferimento
all'importantissima teoria dei segni del filosofo statunitense, che è stata la
radice storica della moderna semiotica. Ci limiteremo ad accennare che, per
Peirce, i segni sono, nel loro effettivo accadimento, indubbiamente dei fatti fisici
validi; ma la relazione in cui deve essere inserita una cosa fisica con le altre
cose per essere un segno, è una relazione che non può essere definita
puramente fisica o materiale: sapere, in relazione ad una serie di eventi fisici,
che essi come sequenza vanno a formare un segno o una serie di segni,
significa allo stesso tempo riconoscere che c'è una mente pensante dietro ad
essi che ha come scopo la comunicabilità di tali segni, e impegnarsi a costruire
e manifestare una serie di segni significa semplicemente pensare
intelligentemente.
In The fixation on of belief (Il fissarsi della credenza) egli comincia con il
tratteggiare esempi del moderno progresso scientifico con l'intento di mostrare
come, ad ogni progresso corrisponde un avanzamento del pensiero logico.
10