_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
5
Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
I.1 – Stato della ricerca
La storiografia sugli insediamenti rupestri relativi all'Italia Meridionale si è
articolata in due tendenze antitetiche, delle quali l'una ha avuto il sopravvento
sull'altra.
Inizialmente l'aspetto artistico era l'elemento di maggiore interesse che
scaturiva dall'analisi del vivere in grotta. L'attenzione era focalizzata sulle chiese
rupestri e sulla conseguente questione della loro appartenenza o meno all'arte
bizantina. Ne conseguiva la decontestualizzazione degli elementi artistici dalla
complessa e molteplice realtà degli insediamenti rupestri. Si ignoravano diversi
fattori volti ad esplicare il contesto socio-ambientale entro cui prendevano vita le
unità abitative grottali e la loro cultura materiale
1
. Fautori di tale tendenza erano
C. Diehl
2
, che accanto all'influenza esercitata dalla pittura bizantina su quella
rupestre collocava una pittura "italo-latina"; E. Bertaux
3
a cui si riconosce il
contributo di aver contestualizzato le esperienze artistiche in questione; A. Medea
4
che studiando le cripte eremitiche della Puglia, con particolare attenzione alla
componente pittorica, valutava tali manifestazioni come la risultante artistica
dell’attività di quei monaci orientali che vivevano isolati nelle grotte dell’Italia
Meridionale
5
.
I monaci greci erano considerati i responsabili di queste pitture rupestri e in
tale ottica risultava chiara la stretta dipendenza artistica dall’arte bizantina. In
questi primi studi, la Calabria risultava poco interessante per l’esiguità dei
rinvenimenti al cospetto delle cospicue testimonianze agiografiche, che
1
DALENA 1984, pp. 168-169.
2
DIEHL 1894.
3
BERTAUX 1904.
4
MEDEA 1939.
5
Degni di nota sono alcuni studi inerenti alla presenza monastica greca nell’Italia meridionale
come BORSARI 1951, pp. 133-138; GUILLOU 1962, pp. 355-379; FALKENHAUSEN 1982, pp. 115-117;
GRIBOMONT 1987, pp. 355-379; FERRANTE 1999.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
6
tramandano una grande presenza di santi che vivevano nelle grotte calabresi
6
.
Questa interpretazione non rispondeva alle esigenze di altri studiosi, come P.
Orsi
7
, B. Cappelli
8
e A. Prandi
9
, che per primi cercavano di ridimensionare
l’azione esercitata dall’arte bizantina al fine di fornire un quadro più obiettivo di
tale fenomeno.
La svolta decisiva da un punto di vista storiografico si ha con i Convegni sulla
Civiltà rupestre nel Mezzogiorno promossi da C. D. Fonseca, negli anni
Settanta
10
. Le giornate di studio portavano a chiarimenti circa le dinamiche del
popolamento, l’organizzazione sociale delle grotte, i rapporti con la civiltà urbana,
il contesto culturale
11
.
Durante il primo incontro, G. Rubino propone uno studio sulle unità rupestri
medievali in Calabria, analizzando le grotte più significative. L’insediamento
rupestre, oltre ad essere collocato entro un arco cronologico più ampio e cioè
dall’età preclassica al tardo basso medioevo, si configura ora come una tipologia
d’insediamento alternativa alla civiltà urbana e del tutto autonoma rispetto alle
culture egemoni
12
.
La grotta è riscattata dalla sua esclusiva valenza mistica per assumere un
6
A tal riguardo, C. D. Fonseca analizza le fonti agiografiche per indagare l’habitat rupestre tra X e
XI secolo, in Sicilia e in Calabria. Prendendo in esame i bioi di alcuni santi calabresi o che
semplicemente vi dimorano, Fonseca intravede le motivazioni del vivere in grotta non solo nella
necessità di difesa ma soprattutto nella volontà di ascesi orientale tra esperienza anacoretica e
moduli esicastici e cenobitici. Il fenomeno rupestre è un fatto ambientale legato alle particolarità
geomorfologiche e climatiche del sito prescelto a sede dell’insediamento. La grotta assume in tale
contesto diversi significati, come luogo di culto, segregazione dal mondo, mistica simulazione di
morte. Essa è una delle tipologie dell’insediamento demico delle popolazioni del Mediterraneo.
C.D. FONSECA, Le fonti agiografiche, in C. D. FONSECA (a cura di), Il popolamento rupestre
dell’area mediterranea: la tipologia delle fonti. Gli insediamenti rupestri della Sardegna, “Atti del
seminario di studio” (Lecce, 19-20 ottobre 1984), Galatina, 1988, pp. 231-238.
7
ORSI 1929.
8
CAPPELLI 1963.
9
PRANDI 1965, pp. 435-456.
10
A partire dal 1970, si è dato l’impulso a nuove indagini speleologiche in Calabria con la
conseguente individuazione di siti carsici e le relative cavità. Tali ricerche hanno dato vita ad
elenchi catastali di grotte calabresi, con particolare riferimento all’area del massiccio del monte
Pollino e dell’Orsomarso, in provincia di Cosenza, dove sono stati localizzati i principali
affioramenti di rocce carsificabili. A questo proposito si veda: F. OROFINO, Primo elenco catastale
delle grotte della Calabria, “Notiziario del Circolo Speleologico Romano” (Roma), nov. 1965, 10
(11): 15-42. Si segnala inoltre: F. LAROCCA, F. OROFINO, II elenco catastale delle grotte della
Calabria, Trebisacce, 1987. Per l’area catanzarese e reggina si ricorda: M. STIGLIANO, Bibliografia
speleologica della Calabria con elenco catastale delle cavità. Primo contributo. Napoli, 1980.
11
DALENA 1984, p. 168.
12
RUBINO 1975, pp. 113-128.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
7
significato culturale e sociale, legato all’ambiente, al contesto politico
13
.
Contemporaneamente al delinearsi di una nuova interpretazione del fenomeno
rupestre limitatamente all’area del Sud Italia, proseguivano gli studi inerenti alla
Calabria, seppur con non poche difficoltà. Nel secondo Convegno Internazionale
di Studi, risalente al 1973, D. Minuto stilava una sorta di inventario sulle grotte
calabresi, suddividendole in aree geografiche ben precise
14
. Nel frattempo il
dibattito sull’insediamento rupestre rientrava in un’ottica storica sempre più
globale. Promulgatore di questa tendenza era C. D. Fonseca
15
. Questi, in risposta
alla provocazione di C. Settis Frugoni
16
che non condivideva la formula di “civiltà
rupestre” riferita ad una realtà che, a suo avviso, era ben lontana dall’essere una
civiltà negando quel carattere subalterno rispetto agli insediamenti urbani che
ancora i più sostenevano, si accingeva a fornire una rivoluzionaria definizione del
fenomeno rupestre.
Una prima tappa si ha con la spiegazione del concetto di “civiltà rupestre”, che
si identifica col vivere in grotta a cui si riconosce un alto livello di civiltà
17
contraddetto però dal suo stesso habitat. Pertanto questa formula non rappresenta
una definizione ma un giudizio di valore in relazione alle grotte di maggiore
dignità architettonica
18
.
Per “cultura rupestre” invece si intendevano quei valori accumulatisi durante il
processo di incivilimento
19
.
13
DALENA 1990, p. 23.
14
MINUTO 1977, pp. 353-378.
15
FONSECA 1970.
16
SETTIS FRUGONI, 1972, pp. 492-496.
17
Lo stesso Fonseca chiarisce il significato di “civiltà”, come forma di vita associativa che
consente di realizzare i valori. In tale ottica, la civiltà può avere tre significati: civiltà come mezzo
adoperato dagli uomini per soddisfare le necessità fondamentali; civiltà come sostanza degli
oggetti utili a soddisfare le esigenze; civiltà come contrapposizione alla vita selvaggia. C. D.
Fonseca, Civiltà e/o cultura rupestre, in C. D. Fonseca (a cura di), Il passaggio dal dominio
bizantino allo stato normanno nell’Italia meridionale, “Atti del secondo convegno Internazionale
di Studi” (Taranto-Mottola 31 ottobre-4 novembre 1973), Taranto, 1977, pp. 3-22.
18
Ibidem, pp. 3-22.
19
Ibidem, pp. 3-22.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
8
Importante era la definizione dell’habitat
20
entro il quale prendeva corpo questa
realtà rupestre. Si trattava di una tipologia di paesaggio rupestre, sia naturale sia
agrario e urbano, molto attestata nel medioevo, di cui si fa menzione negli
itineraria e negli atti privati. Questa categoria insediativa si diffondeva anche agli
edifici di culto, mantenendo vivi i rapporti con la realtà urbana contemporanea del
mezzogiorno d’Italia
21
. L’insediamento rupestre non aveva determinato la rottura
con i moduli architettonici di tradizione urbana e con gli schemi iconografici
tradizionali, per ciò che concerne le chiese rupestri.
Nel terzo Convegno Internazionale di Studi, il dibattito storiografico cercava di
definire meglio l’ambito cronologico entro il quale si collocavano gli insediamenti
rupestri nel sud Italia e cioè dalla seconda colonizzazione bizantina fino all’età
normanna.
Rimaneva accesa la discussione sul valore artistico della cultura architettonica
e figurativa degli edifici di culto, che trovava una sua spiegazione in base agli
elementi iconografici, ai cicli pittorici e alla cultura materiale
22
.
L’intervento di G. Uggeri
23
, inerente al sistema viario tra antichità e medioevo,
metteva in chiaro la natura autarchica dell’insediamento rupestre, che in quanto
tale non richiedeva la strada per metterlo in comunicazione con i centri limitrofi.
Qualora fosse risultato un collegamento tra le unità rupestri, esso era da
annoverare tra le strade già esistenti fin dall’età classica
24
. Se l’abitato rupestre è
la negazione totale della classicità e romanità, la strada in quanto simbolo
dell’impero romano è un concetto estraneo a questa tipologia insediativa
25
. Dopo
20
Nell’analisi dell’habitat rupestre, dal periodo tardo antico fino al XII secolo, hanno contribuito
le fonti narrative e documentarie, quali gli atti notarili, le visite pastorali, le platee, i bioi dei santi.
C.D. FONSECA, Le fonti per lo studio del popolamento rupestre dell’area mediterranea, in C. D.
Fonseca (a cura di), Il popolamento rupestre dell’area mediterranea: la tipologia delle fonti. Gli
insediamenti rupestri della Sardegna, “Atti del seminario di studio” (Lecce, 19-20 ottobre 1984),
Galatina, 1988, pp. IX-XII.
21
FONSECA 1977, pp. 3-22.
22
Idem 1978, pp. 15-24.
23
UGGERI 1978, pp. 115-139. Lo stesso autore aveva precedentemente affrontato la tematica del
fenomeno rupestre inerente all’Italia Meridionale, soffermandosi sugli esempi più significativi di
cui aveva individuato le cause e le caratteristiche. G. UGGERI, Insediamenti rupestri medievali:
problemi di metodo e prospettive di ricerca, “Archeologia Medievale”, I, 1974, pp. 195-230.
24
Nell’itinerario del geografo arabo Edrisi, attivo alla corte del re Ruggero, alcune strade
menzionate collegavano gli insediamenti rupestri, seguendo un tracciato a forma di stella
contrastante con la regolarità del sistema viario romano.
25
UGGERI 1978, pp. 115-139.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
9
l’anno Mille, in Italia Meridionale, si verifica una ripresa dei grandi tracciati viari
di età classica per iniziativa dei bizantini tra X e XI secolo. Soltanto i Normanni
riusciranno a sfruttare e a trarre profitto da questa viabilità
26
.
Da queste giornate di studio, deriva una diversa interpretazione
dell’insediamento rupestre. Esso è valutato come un fenomeno spontaneo,
connesso alla volontà di parte della popolazione di distaccarsi dalla comunità e
occupare ambienti laici o religiosi
27
. Alla grotta si attribuiva una valenza civile e
culturale e come tale poteva essere considerato un modo abitativo alternativo a
quello urbano
28
. Ci si allontana dalla interpretazione “panmonastica” per ciò che
concerne l’utilizzo delle grotte, per abbracciare la destinazione d’uso di abitazione
tradizionale delle stesse
29
.
Tale tendenza è quella che oggi prevale tra gli studiosi del settore. Seguendo
questa interpretazione si è dato avvio a nuovi contributi volti allo studio delle
principali unità rupestri calabresi in età bizantina, come quello promosso da A.
Coscarella, arrivando alla formulazione della prima carta archeologica in cui sono
evidenziate e quantificate varie tipologie di presenze bizantine nelle province
calabresi (Fig. 1). Questo supporto grafico, unito a schede degli oggetti analizzati
con relative fotografie, ha fornito un significativo contributo per lo studio degli
insediamenti bizantini in Calabria
30
, grazie all’apporto dell’archeologia medievale
che negli ultimi tempi ha fornito un grande contributo all’habitat rupestre,
soprattutto in caso di esiguità delle fonti scritte
31
.
26
Ibidem, pp. 115-139.
27
COSCARELLA 1996, p. 133.
28
DALENA 1990, pp. 16-17.
29
CUTERI 1994, p. 353.
30
COSCARELLA 1996.
31
D’ANGELA 1988, pp. 223-228.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
10
Fig. 1 – Carta di distribuzione delle unità rupestri della Calabria con segnalazione
della curva altimetrica fra le quote di m 300-400 (da COSCARELLA 1996).
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
11
I.2 – Insediamenti rupestri in Calabria
Nella provincia di Reggio Calabria, le unità rupestri gravitavano attorno alla
turma delle Saline, dalle pendici dell’Aspromonte fino al litorale
32
.
Seguendo i primi studi circa il fenomeno rupestre in Italia meridionale, tali
grotte venivano interpretate come luoghi dove i monaci greci vivevano in
eremitaggio, come tramandano anche le fonti agiografiche
33
.
A tal riguardo è da menzionare la chiesetta rupestre di S. Angelo, sul monte
Consolino, nei pressi di Stilo. Priva di arredo fisso, si presenta come un anfratto
naturale con chiusura a mattoni. La presenza di affreschi parietali, che raffigurano
l’uno il Cristo che benedice i SS. Pietro e Paolo, l’altro S. Basilio con volto
giovanile, e il suo isolamento, davano conferma della destinazione eremitica della
grotta
34
. Inoltre questa grotta presenta uno dei pochi esempi superstiti di pittura
rupestre in Calabria, in cui gli studiosi avevano intravisto una espressione artistica
dei monaci orientali
35
.
Ad uso cultuale erano destinate altre unità rupestri, come la grotta di San
Silvestro
36
, non lontano dall’abitato di Gambarie; la grotta di Santa Maria della
Stella
37
, nei pressi di Pazzano; la grotta di S. Elia a Melicuccà, vicino Palmi
38
.
Alla luce delle nuove ricerche, alcune unità rupestri del reggino sono state
32
COSCARELLA 1996, p. 136.
33
Cospicua è la documentazione relativa al monachesimo greco nell’Italia meridionale e alla
forma di vita perseguita dai monaci. A tal riguardo risulta esaustivo il contributo di C. D. FONSECA
1988, pp. 231-238. Si veda supra, p. 5, nota n°6.
34
MINUTO 1977, pp. 363-364.
35
COSCARELLA 1996, p. 137.
36
Si tratta di una grotta individuata come una sola abside, definita da un arco in blocchi di pietra e
pomice lavica, e con due nicchie laterali rettangolari. Le strutture murarie sui lati dell’abside fanno
presupporre la presenza di un corpo di fabbrica. Ibidem, p. 145; FERRANTE, MINUTO, VENOSO 1983,
pp. 248-249.
37
Abitata dai monaci basiliani fin dall’VIII secolo, la grotta si riferisce alla prima fase di
diffusione del monachesimo a Stilo, non lontana dal luogo di culto. COSCARELLA 1996, p. 146;
ZINZI 1983, p. 108. Degli affreschi che un tempo decoravano la grotta, oggi, rimane ben poco.
Alcuni di essi sono ricoperti da una lastra in plexiglas per proteggerli dall’umidità. Singolare è
quello che raffigura la Comunione di S. Maria Egiziaca, nella sezione superiore. Databile al IX-X
secolo, questo affresco ha fatto nascere il sospetto che si trattasse di un eremo femminile. Al lato
di una pittura si apre un cunicolo destinato ai riti penitenziali degli eremiti. CRUCITTI 2004, pp. 40-
42.
38
AA. SS. SEPT. 1863, III, pp. 863-864, 881; LAURENT, GUILLOU 1960, pp. 113-114 ; MINUTO 1977,
pp. 361-362; ZINZI 1983, p. 107; COSCARELLA 1996, p. 146.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
12
collocate entro un contesto storico ben preciso, risalente alla riconquista bizantina
della Calabria e gravitanti attorno ai centri bizantini, non lontani dalle vie di
comunicazione
39
. Risulta evidente una destinazione d’uso diversa da quella
precedentemente ipotizzata.
Fig. 2 - Zungri (Vibo Valentia). Complesso rupestre (da LEDDA 1989).
In provincia di Vibo Valentia, un complesso rupestre localizzato nei pressi di
Zungri
40
(Fig. 2), sull’altopiano del Poro
41
, rientrerebbe nelle più recenti
interpretazioni sull’argomento. Si tratta di un complesso di circa ottanta grotte,
che nel 1985 hanno subito un’indagine preliminare dal Dipartimento di
Archeologia Medievale dell’Università di Salerno, con l’obiettivo di stabilirne una
39
COSCARELLA 1996, p. 137.
40
Ibidem, p. 149.
41
Interessante è lo studio condotto da A. Solano e A. San Pietro su alcune grotte eremitiche nel
versante sud-occidentale del monte Poro. La campagna scavo, durata appena 25 giorni (agosto –
settembre 1980), ha interessato diversi comuni della zona, come Limbadi, Rombiolo, Filandari,
Joppolo e altri in misura minore. Sono stati individuati quindici rifugi eremitici, che erroneamente
erano stati datati ad un periodo antico del monachesimo basiliano. A tal riguardo, si menziona una
grotta rinvenuta nel comune di Spilinga, in cui la povertà della struttura architettonica nel suo
insieme ha permesso di ascrivere tale unità rupestre ad una realtà storica antica. In effetti, la
modestia dell’ambiente è legato ad una cattiva gestione della ricerca, che ha permesso nel corso
del tempo manomissioni e distruzioni ingiustificate. A. SOLANO, A. SAN PIETRO 1981, pp. 433-440.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
13
cronologia e la natura dell’insediamento
42
. Dall’indagine archeologica ne è
scaturito che le grotte, ricavate dall’asportazione di roccia arenaria, tipica del
luogo, spesso su uno o più livelli, erano corredate di varie infrastrutture di servizio
quali sistema viario, silos, sistema idrico, palmenta per la lavorazione dell’uva e
delle olive, strutture in muratura che completavano e ampliavano le grotte nella
loro sezione anteriore
43
.
Il complesso veniva fatto risalire alla fase deuterobizantina, un periodo in cui
contemporaneamente nella vicina Puglia, i villaggi rupestri erano riorganizzati
capillarmente dal potere imperiale, andando a sostituire i precedenti sistemi di
produzione basati sulle ville rustiche
44
.
Appartenete al medesimo comune è la grotta di San Leo, che avvalora la tesi
inerente la duplice valenze delle unità rupestri nel Mezzogiorno d’Italia e cioè
quella della coesistenza di ambienti laici e religiosi, per ciò che concerne le
tipologie insediative rupestri.
Tale grotta ha un carattere cultuale, come testimoniano resti di affreschi
45
, oggi
in gran parte staccati, di cui si hanno testimonianze fotografiche
46
. Dall’analisi
degli elementi iconografici, soprattutto in riferimento alla scena della Deisis, la
grotta si data all’XI secolo
47
.
A distanza di qualche decennio, dall’indagine condotta da G. Pontati e da S. M.
Venoso si riscontrano alcune discordanze in riferimento all’analisi delle pitture e
allo stato di conservazione rilevati da D. Minuto. L’antro non presenta tracce di
muratura al livello dell’ingresso; il pavimento è stato interamente asportato per
essere collocato in un’abitazione privata; uno strato di intonaco riveste la parte
superiore della grotta
48
. Dei dipinti rimane ben poco: della scena inerente
l’Adorazione dei Magi, si è conservata parte dell’immagine della Madonna, una
colonna e alcune pecorelle; il dipinto con il Santo Papa in trono benedicente
42
LEDDA 1989, p. 116.
43
Ibidem, p. 117.
44
Ibidem, p. 117.
45
La grotta con i suoi affreschi è menzionata anche nei contributi di B. Cappelli, L’arte medievale
in Calabria, “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, II, 1935, pp. 275-287. G. B.
Comandè, L’architettura rupestre dell’Italia meridionale, Parte I, Palermo, 1970.
46
MINUTO 1977, pp. 358-360.
47
COSCARELLA 1996, p. 138.
48
MINUTO, PONTARI, VENOSO 1992, p. 156.
_____________________Capitolo I – Architettura rupestre bizantina in Calabria
14
risulta essere molto danneggiato; la pittura con il Crocifisso sorretto dal Padre in
trono non ha subito gravi danni; l’affresco con la Madonna galactotrofusa, cioè
che allatta il Bambino, si conserva bene; l’ultima scena inerente la Diesis è la più
danneggiata
49
. Le prime quattro pitture sono stilisticamente affini e si datano al
XVI secolo; per la quinta si conferma la datazione proposta dal Minuto e cioè
all’XI secolo
50
.
Nel crotonese le unità rupestri degne di nota sono localizzate a Santa Severina,
nell’area del Castello e nel quartiere Grecìa.
Fig. 3 – Santa Severina. Prospetto e sezione del Mastio e del Muro con la localizzazione di due
unità rupestri (da CUTERI, RUGA 1988).
Le prime sono state individuate nella sezione inferiore del mastio del Castello
(Fig. 3), costruito in epoca normanna e databili alla piena età bizantina (secc.
VIII-XI)
51
. Di queste unità insediative rimangono soltanto le sezioni posteriori, in
quanto quelle anteriori sono state asportate in seguito alla costruzione del muro
del Castello. Si tratta di grotte scavate artificialmente, di cui si individuano ancora
49
Ibidem, p. 156-157.
50
Ibidem, p. 157.
51
CUTERI, RUGA 1998, pp. 73.